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- segnalazioni resistenti - lettere - 22-10-12 - n. 426
Si è svolto a Torino, il 6-7 ottobre un incontro pubblico nazionale su "Lavoro, crisi, Europa verso il 2013" organizzato da A.L.B.A .(Alleanza lavoro, beni comuni, ambiente) per un "Soggetto politico nuovo".
da posta@resistenze.org
Sul convegno A.L.B.A. del 6-7 ottobre (e più in generale)
di Renato Ceccarello
ottobre 2012
Ho ascoltato una decina di interventi, tra cui, oltre Revelli, Ginsburg, Gianni, Gallino, Musacchio, Novelli, Landini, Rinaldini, Airaudo.
Mi sembra siano tutti abbottonati e che ci siano alcune risposte su singoli temi, come la rappresentanza e i diritti del mondo del lavoro, l'ambiente, la difesa della Costituzione e la democrazia in genere, … Evidentemente sono punti che i dirigenti di questo nuovo movimento politico (ma tutti hanno i capelli grigi ) ritengono prioritari e fissi, al contrario di altri, che ho sentito poco, se non nelle conclusioni di Revelli.
Questa cosa mi lascia scettico. Non perché non siano punti degni di interesse, ma perché, per restare sul piano dei punti programmatici, c'è poca risposta ad altrettanti grandi temi che pure determinano, eccome! - nel male - la nostra vita quotidiana. Primo tra tutti il tema dell'Europa, che ho sentito solo, con una impostazione per me da avversare, nell'intervento di Revelli. (Forse in ALBA è un tema che divide?). Voglio dire il tema non dell'Europa in astratto, ma di questa unione imperialista di Stati, perché questa è l'Europa concreta, per come essa si è configurata - anzi addirittura prefigurandosi con Maastrict - da 20 anni a questa parte. L'Europa non del lavoro, non dei lavoratori, ma del capitale e dell'alta finanza che lo ha messo in riga. (Mi ripeto, lo sapevamo 20 anni fa che era così).
E' questa Europa riformabile? A differenza di Revelli io dico di no. E' un'Europa da avversare con un processo politico di pressante attualità dove innanzitutto, togliendo terreno alla destra estrema, i comunisti sono per gli stati nazionali che si riprendono le loro quote di sovranità, tagliando quindi di netto ogni obiezione del tipo: sacrifici? Io non li farei ma è l'Europa a chiederceli; oppure: dalla moneta unica non si può più uscire; oppure: o si taglia il Welfare o si fa la fine della Grecia…
Può esistere un'Europa con qualche clausola sociale? Tipo un salario minimo di cittadinanza? Vale la pena di portare il movimento comunista all'adesione a una politica "riformista" dai tempi lunghi e dalle contingenze politiche incertissime che in sostanza taglia fuori e il tema della fuoriuscita dal capitalismo e l'adesione al socialismo? E perché, se questi spazi esistono davvero, il riformismo "classico" finora non ha balbettato quasi nulla, pur con qualche eccezione, tipo Lafontaine?
E la NATO? Ci rimaniamo dentro fino a che la "sinistra" non sarà maggioritaria in Europa? E quale sinistra? Quella di Dalema premier che bombarda Belgrado? O del suo compare Occhetto che brinda al quartier generale Nato?
E la globalizzazione dei mercati? Persino Tremonti diceva (dice?) che andava contrattata e governata. Quindi, la libera esportazione e importazione di merci e capitali? Non abbiamo nulla da dire anche se, anche per suo effetto, i nostri figli sono disoccupati, i nostri salari scendono, le nostre pensioni ci vengono scippate, i nostri diritti calpestati? Possibile non si veda un collegamento tra la nostra condizione di sfruttati, privati di diritti, rappresentanza, di fatto anche di parola, ed Europa e globalizzazione?
Un'altra Europa è possibile? Riassumo il mio pensiero dicendo: "Si, un'Europa socialista" - che non vuol dire governata dalla socialdemocrazia - . Ma, allo stato attuale questa è, purtroppo, un'utopia. Lo sarebbe forse un po' di meno se ALBA in Italia, Syriza in Grecia, Die Linke in Germania parlassero di socialismo, di come avversare e non riformare questa concreta ed unica possibile Europa, o questa concreta ed unica possibile globalizzazione.
Purtroppo, allo stato delle cose vale ancora il detto di Lenin: "gli stati uniti d'Europa sono impossibili o reazionari".
Al contrario, nel momento in cui questa concreta Europa, e questo concreto capitalismo europeo, affondano il coltello nelle nostre carni; nel momento in cui ogni proletario può constatare su se stesso la contraddizione e l'imbroglio dell'ideologia europea, bisogna più che mai dare alle masse un'altra risposta, che forse ancora queste non vogliono ammettere, perché ancora troppo recenti sono "i bei tempi del compromesso keynesiano": il socialismo e il comunismo.
Ciò non toglie che tra lavoratori europei debba esserci solidarietà, che questa vada costruita, a partire dalla solidarietà con il popolo greco (altra cosa che non ho sentito da ALBA); mentre il solo Landini ha detto qualcosa su cosa avrebbe dovuto fare "la sinistra" sull'avventura coloniale libica.
Potrei andare avanti, p. es. sulla posizione sulla Siria, sul dominio dell'imperialismo nel mondo, ...
Al di la dei punti programmatici sono in netto disaccordo col ribadito superamento della forma partito. Attenzione che qui non c'è solo una sacrosanta critica alla degenerazione dei partiti italiani, ed ai personalismi di quanti, coltivando orti ed orticelli, si sono di fatto frapposti alla ricostituzione, dopo i difficili anni successivi alla caduta dell'URSS, di un reale movimento comunista in Italia su basi proprie e con una politica propria. Qui c'è il rifiuto dell'esperienza del socialismo reale, ed anche di una gran parte di quello ideale. Ed una pratica movimentista, non proprio nuova, della quale mi sento di dire che è fallita (dai risultati!) non meno di quella partitica.
Ed è lo stesso lessico adoperato che non riconosco come mio.
Naturalmente il tema di ridare una rappresentanza - sindacale complessiva e politica - al lavoro è aperto. Ma per me è il tema della ricostruzione del sindacato e del partito, quindi della loro linea politica.
Nella fase attuale, in cui non mi sembra scorgere una prospettiva rivoluzionaria di breve periodo, tantomeno in Italia, questa impresa deve poggiare su due gambe:
a) La riaffermazione dell'identità, che non può coniugarsi con un orizzonte riformista, peggio, socialdemocratico;
b) Una pratica di concretezza e di accumulo delle forze, con lotte di difesa, ma anche di apertura a prospettive politiche, che, nella misura in cui raccolgono l'appoggio della popolazione, rivendichino il governo dei comunisti, che non è ancora il socialismo, ma ne apre la strada.
Il movimento operaio, ai massimi livelli, aveva già precorso quanto sopra, col 4° Congresso del Comintern (Lenin vivo) e che successivamente, mi pare di capire, la quasi sola Clara Zetkin ha interpretato con coerenza e saggezza negli ultimi, difficili, anni 20 e nei primi, drammatici, anni 30.
In sostanza la linea del fronte unico dei lavoratori, senza l'interpretazione disastrosamente settaria del "fronte unico dal basso".
Renato Ceccarello, ottobre 2012.
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