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Quando il garante strappa: Il presidente della repubblica e la sua inaccettabile definizione di sionismo

Fernando Pessoa | posta @ resistenze.org
Riceviamo e pubblichiamo

Nei giorni della marcia dell'opposizione parlamentare al Quirinale, sono tornati all'attenzione del teatrino politico gli attacchi al Presidente Napolitano, accusato di aver abdicato al proprio ruolo di garante della Costituzione, dopo gli inquietanti pronunciamenti sulla necessità di approvare le riforme costituzionali a tempo di record.

Ripetendo un concetto a noi noto, l'ordinamento giuridico - e quello Costituzionale, come vedremo, non fa eccezione - ha funzione di cristallizzazione dei rapporti di forza imposti dal blocco sociale dominante e nel contempo fornisce una base ingannevolmente imparziale con la quale esercitare la repressione delle istanze antagoniste. 

Laddove sembra concedere forme di garanzia, queste vengono in genere svuotate, disapplicate, eluse od interpretate in senso non pericoloso dai custodi di tale strumento, da chi cioè, per usare una metafora sportiva, "ha il pallino in mano".

Il comportamento di chi ricopre i ruoli istituzionali nelle democrazie parlamentari borghesi è sempre stato un efficace banco di prova di questa natura eminentemente sovrastrutturale e strumentale dell'ordinamento giuridico. 

Così gli strappi alla Costituzione sono stati molteplici e divengono necessari quando non c'è altro mezzo per tutelare i rapporti dominanti. Per converso, essi vengono sapientemente metabolizzati nella dinamica parlamentare rappresentativa. Non potrebbe essere altrimenti. L'ordinamento giuridico non è mai stato costruito ed utilizzato in modo imparziale e separato dai gruppi di potere che dominano i rapporti di produzione e la struttura sociale: diversamente abdicherebbe alla sua primaria funzione in una democrazia borghese.

Nell'attuale periodo in cui la crisi economica martella duramente non soltanto gli operatori economici ed i popoli, ma soprattutto le istituzioni del capitalismo, le democrazie parlamentari sono costrette a più frequenti strappi alle finzioni di imparzialità e di garanzia, pena un indebolimento inaccettabile dei rapporti di sfruttamento e produzione. Non è un caso che tali strappi, per il nostro paese, si ricolleghino al rafforzamento del ruolo egemone della UE, quale unione interstatale imperialista (1), nonchè dei suoi vari trattati e fonti giuridiche che intervengono nell'ordinamento interno - anche costituzionale - degli Stati assicurando la preminenza degli interessi dei monopoli internazionali (fiscal compact, MES e obblighi derivanti).

Purtuttavia, all'interno dei rapporti politici, operano spesso anche le primazie di altri interessi imperialistici di più ampio respiro e riferibili al blocco occidentale egemonizzato dagli Stati Uniti anche attraverso la NATO. 

Con l'occhio al conflito in Palestina di questi giorni, appare interessante metterne in luce alcune dichiarazioni rese dalla più alta carica istituzionale. Il 25 gennaio 2007, durante il suo primo mandato, in occasione del discorso per il "giorno della memoria", il presidente Napolitano ebbe ad affermare: "Col vostro appassionato contributo possiamo combattere con successo ogni indizio di razzismo, di violenza e di sopraffazione contro i diversi, e innanzitutto ogni rigurgito di antisemitismo. Anche quando esso si travesta da antisionismo: perché antisionismo significa negazione della fonte ispiratrice dello Stato ebraico, delle ragioni della sua nascita, ieri, e della sua sicurezza, oggi, al di là dei governi che si alternano nella guida di Israele." (3).

Ora, nella sua reale dimensione storica, il sionismo non può essere in alcun modo affiancato al concetto di antirazzismo, nè può essere accostato all'impegno contro la violenza e la sopraffazione contro i diversi. Non è possibile farlo pensando alla sostanza ideologica del sionismo, non è possibile farlo nemmno pensando a come si è manifestato nella vita e nella costruzione dell'attuale Stato di Israele.

Il movimento sionista, sin dalla sua nascita ed affermazione, non muove dall'anelito alla  libertà di autodeterminazione di un popolo insediato su di un territorio e soggetto a dominio, sfruttamento o persecuzione. L'esperienza di uno dei riconosciuti fondatori del movimento - Theodore Herzl, inviato corrispondente a Parigi per seguire l'affare Dreyfus - portò il giornalista askhenazita a concludere che gli ebrei non potevano integrarsi in Europa senza dover sempre temere per la loro incolumità e che pertanto necessitavano di un territorio proprio, ove poter autoamministrarsi e difendersi da ogni nemico esterno.  La pubblicazione dello "Judenstaat" da parte di Herzl, nell'inizio del 1896, rifletteva tale indirizzo politico.ideologico. 

L'ideologia sionista è quindi fondata su una necessità coloniale: trovare un territorio nel mondo dove creare un proprio stato fondato sull'appartenenza etnico-religiosa. Al primo congresso sionista di Basilea, tra le dichiarazioni di chiusura si sanciva che  "Il sionismo persegue per il popolo ebraico una patria in Palestina pubblicamente riconosciuta e legalmente garantita.". All'epoca di tali fatti, nonostante la migrazione, gli ebrei in Palestina costituivano una minoranza etnica concentrata a Gerusalemme, nello stesso modo in cui potevano esserlo a Sarajevo o in altre simili città europee. Volere la Palestina come patria indipendente del popolo ebraico significava colonizzarla e sottomettere un enorme territorio popolato in prevalenza da arabi al dominio di una minoranza etnicamente e religiosamente caratterizzata. Un po' come se la minoranza di magrebini di Milano volesse risolvere i propri conflitti di integrazione invadendo e colonizzando l'intera Sicilia o la Spagna del Sud, creando un proprio stato a scapito delle popolazioni e delle società indigene.

Qualcosa di molto diverso dal concetto espresso all'art. 3 nella Carta Costituzionale di cui il Presidente italiano era ed è garante: "Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali."

Questa dimensione iniziale non sarà mai abbandonata nella fenomenologia successiva del movimento sionista. 

Nella visione della dichiarazone di Balfour, i britannici finirono per accettare l'idea di una "Jewish National Home" in Palestina ed agirono di conseguenza consentendo fatalmente, con il potere del loro mandato,  l'immigrazione e la colonizzazione di quel territorio da parte di gruppi ebraici. Ciò comportò la reazione dei popoli palestinesi che si opponevano alla forzata colonizzazione delle loro terre. Il progetto sionista avanzava mediante l'occupazione di territori, beni comuni e privati in cui erano insediate altre genti.  Le rivolte che seguirono furono sedate col sangue dai mandatari britannici, nonchè con invani tentativi di far accettare agli invasi una sorta di "fatto compiuto" attuando una spartizone tra due Stati. I tentativi delle commissioni parlamentari inglesi Peel (1937) e Woodhead (1938), così come la Conferenza di St. James nel 1939, proposero diverse dimensioni territoriali che non furono mai accettate dai Palestinesi invasi, ma nemmeno dai coloni invasori. 

Nel mentre, la colonizzazione costituiva potenti capisaldi ed organismi protostatali incaricati di suggellare e blindare i territori occupati dai coloni,  favorire le immigrazioni di altri soggetti di razza ebraica (i quali giungevano sia regolarmente che irregolarmente nel paese, attraverso le varie "aliah", ondate migratorie), creare - in modo formalmente clandestino ma di fatto tollerato - gruppi militari di difesa che agivano negli scontri con le popolazioni arabe (l'Haganah, di cui uno dei leader era David ben Gurion). A questi si affiancavano anche gruppi (come l'Irgun del futuro premier Mehamed Begin, o come la banda di assassini detta "Stern") i quali realizzavano anche aggressioni ed attentati nei confronti degli stessi mandatari britannici.

Questo tipo di colonizzazione era incurante di ogni diritto delle popolazioni stanziali ed era caratterizzata dal requisito razziale: i coloni erano tutti di razza e religione ebraica. A differenza del colonialismo tradizionale e delle future forme dell'apartheid, non cercavano di sfruttare la popolazione locale assogettandola, ma aspiravano a sostituirsi ad essa. 

Tutto ciò appare ben stridente con altri valori costituzionali come quello dell'art. 2 della nostra Carta Fondamentale: "La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale."

Si noti che la caratterizzazione razziale della colonizzazione sionista e della costruzione dello Stato Ebraico non è mai stata ufficialmente sconfessata neppure nei  documenti ufficiali del movimento, neppure dai suoi più eminenti rappresentanti. Ben Gurion così presentava ai suoi seguaci coloni il progetto di spartizione britannica: "Lo stato ebraico che oggi ci si offre non è l'obiettivo sionista. In questa ristretta regione non è possibile risolvere la questione ebraica. Ma  può servire come fase decisiva sulla strada di una più sostanziale realizzazione sionista. Esso permetterà di consolidare in Palestina, nel più breve tempo possibile, quella reale forza ebraica che ci porterà al nostro obiettivo storico." (3) In una lettera al figlio, lo stesso Ben Gurion chiarirà questo inciso nel senso che "Lo stato ebraico, scriveva, avrà "un potente esercito – non dubito che il nostro esercito sarà uno dei più potenti del mondo – e così non ci si potrà impedire di stabilirci nel resto del paese,  cosa che noi faremo o con accordo e mutua comprensione con i vicini arabi o altrimenti" (4).

Questo preminente carattere razziale della colonizzazione consentì addirittura - prima dell'Olocausto - documentate relazioni con tutti i regimi fascisti e nazisti, con gli ultranazionalisti antisemiti polacchi e perfino con l'impero giapponese. Lo scopo era la persecuzone degli ebrei assimilazionisti o dei comunisti, i quali, privilegiavano gli uni l'integrazione nell'Europa, gli altri l'internazionalismo proletario, erano avversari dell'immigrazione in Palestina, la quale forniva ai sinositi il "materiale umano" con cui costruire il loro progetto di stato razziale e confessionale.

Il carattere razziale fu uno dei punti dello stesso Zionist Biltmore Program che a New York sancì la saldatura tra gli interessi USA e la lobby ebraica. Nel documento si prefigurava il dominio ebraico su tutta la Palestina. Lo stesso orientamento di fatto permane in associazioni come "Grande Israele" ed è la più genuina ragione che spiega le azioni di aggressione e pulizia etnica attuate, favorite od organizzate dallo Stato Ebraico dal '48 ai giorni nostri. Deir Yassin, Sabra e Chatila ed il tremendo massacro odierno di Gaza hanno in se' la recondita (ma nemmeno tanto) ragione dell'espulsione del popolo palestinese dal territorio di influenza dello Stato Ebraico. Come intelligentemente ricordato dal prof. Ismael Hossein Zadeh, "il noto falco Ariel Sharon ha altresì sottolineato, il 24 marzo 1988, che "se la rivolta palestinese fosse continuata, Israele avrebbe dovuto fare la guerra ai suoi vicini arabi. La guerra - ha dichiarato - avrebbe fornito la 'circostanza' per l'espulsione di tutta la popolazione palestinese della Cisgiordania e di Gaza e anche dall'interno del territorio di Israele propriamente detto" (5).

Tutte queste evidenze di sicuro allontanano di molto il concetto di sionismo e la sua natura da qualsiasi parallelismo con i concetti di antirazzismo, lotta contro la violenza e la persecuzione dei diversi. Censurare l'antisionismocomporta una vera e propria distorsione storica,  la metabolizzazone dell'ennesimo corpo estraneo all'interno della sovrastruttura giuridica. 

I concetti di antisemitismo e di antisionismo, sono stati per molto tempo concetti chiaramente opposti nella cultura di sinistra dalla quale il Presidente proviene. Mentre si condannava l'antisemitismo come odio razziale, l'antisionismo significava legittima avversione ad unao spregiudicato nazionalismo di stampo coloniale e razziale.

Annullare questa differenza appare operazione culturale simile a quella tentata e praticata con la banalizzazione del concetto di antifascismo e col recupero del concetto per cui "i morti sono tutti uguali", oppure con i tentativi di affiancare comunismo e nazismo sotto la mendace costruzione mediatica dei "totalitarismi". Operazione in palese contrasto con la storia e altresì con i valori costituzionali, che ha l'effetto di presentare come plausibile l'obiettivo di una colonizzazione ebraica della Palestina, tramutata in fatto compiuto della Storia, con un implicito invito a pensare che tutto sommato lo stato ebraico ha fatto rifiorire il deserto e abbattuto i latifondi;  resta preda dell'oblio il fatto che la costruzione dello stato ebraico nei binari del sionismo ha spesso dato luogo ad una pulizia etnica e ad una persecuzione delle popolazioni indigene in atto da quasi un secolo. Un'operazione culturale simile a quei bisunti tentativi di riabilitazione del ventennio fascista, sull'onda del "che forse nel fascismo non c'era del buono? E le colonie (quelle marine), i treni, le bonifiche e le vacanze popolari?", dimenticando che quel regime di violenti millantatori ha condotto migliaia di italiani alla morte, alla povertà, alla perdita della dignità in pochi anni.

Fernando Pessoa, è vissuto a Lisbona.

Note

1) Con il termine imperialismo ci si riferisce qui non al concetto della normale vulgata ma alla definizione di Lenin come fase suprema e monopolistica dell'imperialismo.

2) "Giorgio Napolitano: cinquanta anni dalla parte del più forte (parte 1°)", Azzarello, in http://www.ossin.org/dizionario-del-diavolo/giorgio-napolitano-cinquanta-anni-dalla-parte-del-piu-forte.html

3) David Ben-Gurion, citato in Norman G. Finkelstein, Image and Reality of the Israel-Palestine Conflict,  Verso, Londra e New York, seconda edizione, 2003, p. 15, a sua volta citato in Mauro Manno, La natura del sionismo, in http://www.israelshamir.net/Italian/natura.htm 

4) David Ben-Gurion, citato in Norman Finkelstein, ecc. Ibidem.

5) Ariel Sharon, in Stephen J. Sniegoski, "The War on Iraq: Conceived in Israel," http://vho.org/tr/2003/3/Sniegoski285-298.html cit. in Ismail Hossein Zadeh, "Il disordine pianificato in Medio Oriente ed oltre, La diabolica alleanza tra il complesso industriale della difesa e della sicurezza e la lobby israeliana", in www.resistenze.org


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