Molti postulano l'esistenza delle posizioni sociali come se fossero blocchi di granito, che non mutano mai, per natura, la posizione dei loro minerali e cristalli. Secondo questa visione, chi fa parte dei lavoratori dipendenti (categoria che comprende al proprio interno posizioni sociali diversissime: persino il grande funzionario con grande stipendio a rigore è lavoratore dipendente) farebbe sempre parte del fascio teorico di interessi dei lavoratori dipendenti. Chi è lavoratore autonomo è nato imprenditore di capitali e sarà sempre legato ad interessi del tutto diversi ed opposti.
Questo tipo di visione è diffusa in entrambe le posizioni sociali: molto diffusa tra i dipendenti, che abitualmente vedono i lavoratori autonomi come privilegiati, in quanto sfuggono a quel prelievo fiscale in prededuzione sullo stipendio che invece colpisce loro in modo inesorabile ed automatico. Specularmente, la medesima visione è altrettanto diffusa tra i lavoratori autonomi, i quali immaginano gli stipendiati come dei privilegiati, in quanto dispongono di un reddito fisso, indipendentemente dal loro impegno o successo nel lavoro. Un piccolo sguardo più attento dimostra come tali convinzioni siano, non soltanto completamente errate, ma anche instillate da coloro che ambiscono a non fare incontrare mai le contraddizioni che il sistema di produzione crea sulla carne viva.
Brecht ricordava "Compagni, parliamo di rapporti di produzione": sono infatti principalmente questi ultimi che delineano la posizione nella catena di sfruttamento o in quella che oggi viene denominata "catena globale del valore" (GVC). Se le "Partite Iva" osservassero il mondo dell'odierno lavoro dipendente, scoprirebbero che moltissimi dipendenti sono legati ad un lavoro assolutamente precario, intervallato da periodi di disoccupazione e, ove non precario, sottoposto al quotidiano ricatto di un padrone e con reddito insufficiente alla vita dignitosa della loro famiglia: altro che comoda rendita.
Questa è infatti la struttura che le Catene Globali del Lavoro assegna al lavoro subordinato, la cui principale funzione non è quella di aggregare rentiers, raccomandati o fannulloni, ma di concentrare e sfruttare forze produttive al fine di prelevare, senza retribuirla, quella valorizzazione che tali forze sono in grado di conferire al capitale investito nella produzione. Così, se si osservasse meglio il mondo delle "Partite Iva", si scoprirebbero molti soggetti che hanno la partita iva proprio perché sono stati espulsi dal lavoro dipendente, ovvero perché, figli di un lavoratore dipendente, sono stati costretti al lavoro autonomo dalla disoccupazione costante e dalla mancanza di impieghi.
Le contraddizioni cui spesso vanno incontro i ceti produttivi autonomi sono veicolate dai rapporti di produzione delle catene globali del lavoro, le quali riorganizzano la produzione espellendo i capitalisti più obsoleti, espellendo la forza lavoro dipendente dai processi produttivi relegandola ad un precariato autonomo o addirittura pseudoautonomo: si pensi alle false partite IVA, ai falsi lavoretti autonomi, nel campo della logistica, del food delivery, fino ai cottimisti dell'edilizia. Le cosiddette, tanto nominate, "alleanze sociali", per chi si definisce in campo quantomeno socialista, non devono allora essere condotte sul piano delle categorie astratte del consenso ( "gli autonomiii, i dipendentiiih !"), ma individuando coloro che:
1) da un lato, da un punto di vista oggettivo, siano concretamente collocati nei rapporti di sfruttamento;
2) dall'altro, da un punto di vista soggettivo, abbiano coscienza di combattere lo sfruttamento che subiscono attraverso il cambiamento dei rapporti produttivi, non semplicemente pretendendo la tutela della propria corporazione, ma aspirando ad una idea di governo collettivo ed egualitario del processo produttivo, che sia in grado di governare la produzione secondo i principi "Ognuno secondo le sue capacità, a ognuno secondo i suoi bisogni"" e "la vita e il pianeta come fine e mai come mezzo".
Chi ambisce a blandire semplicemente "le partite iva", i lavoratori autonomi, senza chiedersi come essi intendano combattere il loro sfruttamento, semplicemente fa del populismo corporativo, una cosa non diversa da consimili salse di pensiero già ampiamente sfruttate dal populismo di destra che ha solide radici nella palude italiana e che sono state efficacemente spiegate dalle intuizioni di Gramsci nell'articolo sul Popolo delle Scimmie del 1921, dopo lo scontato insuccesso della cialtronata fiumana.
«Il fascismo è stata l'ultima "rappresentazione" offerta dalla piccola borghesia urbana nel teatro della vita politica nazionale. La miserevole fine dell'avventura fiumana è l'ultima scena della rappresentazione. Essa può assumersi come l'episodio più importante del processo di intima dissoluzione di questa classe della popolazione italiana. Il processo di sfacelo della piccola borghesia si inizia nell'ultimo decennio del secolo scorso. La piccola borghesia perde ogni importanza e scade da ogni funzione vitale nel campo della produzione, con lo sviluppo della grande industria e del capitale finanziario: essa diventa pura classe politica e si specializza nel "cretinismo parlamentare". Questo fenomeno che occupa una gran parte della storia contemporanea italiana, prende diversi nomi nelle sue varie fasi: si chiama originalmente "avvento della sinistra al potere", diventa giolittismo, è lotta contro i tentativi kaiseristici di Umberto I, dilaga nel riformismo socialista. La piccola borghesia si incrosta nell'istituto parlamentare: da organismo di controllo della borghesia capitalistica sulla Corona e sull'Amministrazione pubblica, il Parlamento diviene una bottega di chiacchiere e di scandali, diviene un mezzo al parassitismo.» (Gramsci, dall'"L'ordine nuovo", 12 giugno 1921; link per una lettura completa dell'articolo: https://www.marxists.org/italiano/gramsci/21/popoloscimmie.htm)
Chi pospone una corretta analisi delle alleanze sociali, rivela di non prendere affatto in considerazione il fine del socialismo, ma ambisce solamente a farsi interprete di un malcontento, nella tradizionale visione del partito populista di massa. L'unico fine che prende in considerazione è quello di aumentare i propri consensi nella contesa elettorale, senza riflettere sulla questione fondamentale: il consenso di chi semplicemente intende volgere a proprio favore gli esistenti rapporti di produzione, difficilmente può rivelarsi sostegno o base di chi vuole cambiarli. Se si accorge di aver preso il taxi sbagliato, scende.
Tuttavia, è sempre stato più frequente che il tassista, per evitare l'abbandono della corsa, finisca per portarla dove richiede, lontano dalla meta e da quei principi che stanno a cuore a chi effettivamente subisce lo sfruttamento, non a chi aspira a rivolgerlo lontano da se o a chi aspira a vivere di quello stesso cretinismo parlamentare ben dipinto da Gramsci.
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