Marco Philopat: La Banda Bellini
Gli anni ’60, i vagiti del “biennio rosso”, ’68-’69. Uno sguardo che si
racconta in un romanzo-verità da parte di Andrea Bellini, leader di un gruppo
di ragazzi, di cui faceva parte e che dirigeva con i suoi fratelli ed alcuni
amici. La definizione dello scritto, che appare anche in copertina, come a
fugare ogni dubbio, è quella di essere un romanzo. Sempre in copertina
campeggia, a raffigurare la Banda, un
disegno western: quattro pistoleros, con i fucili in mano che camminano verso
“la sfida” con il mondo.
Infatti la sfida è il canovaccio del libro che ripercorre tappe tipiche di
quegli anni: le occupazioni a scuola, la vita in comune, il carisma dei leader
o come meglio si può dire, stando alle dimensioni locali, leaderini, verso le
ragazze del gruppo, angeli del ciclostile; le occupazioni di case,
dell’università, gli scontri con la polizia. Tutto il testo è pervaso da questo
senso di sfida, di scontri interni con linee più tiepide, sul piano fisico. I
“Bellini” si inventano anche una divisa, trench lunghi e Ray-ban agli occhi. Un
po’ appunto come gli impermeabili o spolverini che appaiono in molti film
western.
Il libro si legge come una storia senza fine e senza un finale, che non sia il
passare del tempo, nel quale si agitano figure che esistenzialmente cercano
qualcosa: la rivoluzione, una donna, la notorietà nel movimento, una ragione di
vita. Vi è anche lo scontro mortale con le droghe pesanti che ammorberanno, ed
ammorbano, la vista sociale contemporanea. La pochezza teorica degli attori del
libro, tranne figure dogmatiche di contorno, è, direi, totale. Pare che gli
anni della contestazione fossero contraddistinti solo da scontri fisici, da
tattiche “militari” da fare trionfare sulla polizia. Purtroppo quel mostrare i
muscoli non ha dato grandi frutti. Il giocare con categorie
“militar-insurrezionali” per “essere migliore” ha lasciato sul terreno morti
reali, e feriti altrettanto reali.
Certo vi era anche quello, ma non solo. Ed in fondo ciò che è rimasto da quel periodo
è stato un rimescolamento del paese, delle coscienze, della sua vita sociale,
che è servito a tanti. Che è servito per caratterizzare una fase del nostro
secolo passato. Ma la “Banda Bellini”, così appare nel testo, era totalmente
intrisa ed intenta a fare la guerra per la guerra.
A chi può servire un libro così parziale? Forse ad alcuni giovani di oggi, per
permettergli di gustare un piatto tipico cucinato in modo molto particolare.
Una interpretazione di una ricetta che lascia molti vuoti e molti punti in
sospeso. Il rischio è leggere il testo solo come una esaltazione di questo
gusto, per mettere a disposizione del palato unicamente il sapore della
fisicità. Questa non è tanto un’invocazione pacifista ma un richiamo ad una
complessità di lettura che pare proprio la “Banda Bellini” non abbia saputo
fare propria. Ne esce pertanto, precisa, la disperazione di una generazione che
almeno in questi personaggi, non ha saputo, di fronte al potere diffuso, fare
altro che cercare ed in modo perdente, logicamente, di rispondere al suo stesso
livello.
T. Tussi
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Shake Edizioni underground 2002 Pagine 191 Prezzo di copertina: 12.00 Euro |