www.resistenze.org - segnalazioni resistenti - libri - 29-11-04

G.Pesce - F. Minazzi: Attualità dell'antifascismo


Prefazione di Tiziano Tussi

Questo libro sulla Resistenza scaturisce da un incontro avuto dal Comandante Giovanni Pesce, medaglia d'oro al valore militare, con gli studenti del Liceo Scientifico "Galileo Ferraris" di Varese.  Un'occasione abbastanza usuale per i partigiani dell'ANPI. Incontrare i giovani delle scuole, di ogni ordine e grado, rappresenta per coloro che "hanno fatto la Resistenza" un'attività di punta. Si può così invitare i giovani a ricordare, a non dimenticare quello che fu realmente il fascismo e la conseguente reazione popolare che si è sostanziata dal 1943 al 1945 nella lotta armata di migliaia di giovani e meno giovani di allora contro il regime oramai imputridito.

L'attività dei partigiani dell'ANPI nelle scuole non è sempre semplice ne scontata. A volte impedimenti vengono dai dirigenti scolastici o  dagli insegnanti, quando anche da gruppi di genitori. Ma anche se questi problemi non si presentano, il tempo che passa inesorabilmente tende ad offuscare quella che fu una scelta etica di fondo dei partigiani di allora e spesso vengono proposte argomenti di pacificazione tra chi combatteva il fascismo e chi fascista invece era a tutti gli effetti. Vengono allora proposte azioni di "riconciliazione" in nome di superiori valori umani.

Qui non vogliamo prendere in considerazione la cosiddetta "zona grigia", che ultimamente è divenuta oggetto di alcuni studi e cioè la parte degli italiani che non hanno preso apertamente posizione, quelli che, nel primo romanzo di Alberto Moravia sono chiamati "gli indifferenti". Questa parte di popolazione sempre si presenta in qualsiasi occasione storica. Come diceva Don Abbondio, nei Promessi Sposi "uno il coraggio non se lo può dare". Non è con costoro che viene richiesto un atto "conciliativo". E' proprio verso il nemico più efferato e reale che a volte scatta un insinuante richiamo al riabbraccio nazionale. I partigiani dell'ANPI all'opposto credono che le differenze debbano essere rispettate, sempre. Di fronte a certe stravolgimenti della civiltà, in atto nel ventennio fascista, il coraggio fu messo in campo da persone, normali, che svolgevano normali attività  nella società di allora, oppure da giovani che sfuggirono agli obblighi militari. Insomma da uomini e donne che il coraggio "se lo sono dato".

Preme sottolineare la differenza, così come Pesce spesso fa nel suo  intervento, tra la scelta di eticità dei partigiani e l'antiumanesimo dei fascisti e dei nazisti. Pesce qui ripercorre la sua esperienza di Comandante dei Gap (Gruppi di Azione Patriottica), prima torinesi e poi a Milano. Con grande fermezza egli ricorda le ambasce ed i timori che lo hanno da subito perseguitato. In primis se uccidere fascisti e nazisti per strada, col rischio di ferire od uccidere inermi passanti, fosse giusto. Una domanda di alto valore morale in una situazione in cui, siamo alla fine del regime oramai, la disgregazione sociale dell'Italia settentrionale, in particolare, era vissuta come se fosse una specie di lotta in una giungla, dove la legge del più forte e del più violento trionfava spietatamente sugli altri. Nazisti e fascisti, al loro servizio, non  si ponevano certo questo tipo di domande. L'accanimento contro i partigiani o comunque contro tutti coloro che non appoggiavano "la belva nera" era smaccato.

Delatori, doppiogiochisti, e stragi continue la facevano da padrone in quel pezzo d'Italia. "Salò", un discusso film di Pier Paolo Pasolini, rende comunque molto bene il senso di disfacimento umano che accompagnava quella situazione. In questo quadro chiedersi se la probabilità di ferire od uccidere innocenti fosse ostativa rispetto alla giusta punizione dei carnefici del popolo italiano fa risaltare ancora di più la distanza tra i partigiani ed i loro aguzzini. Se l'eticità deve segnare le nostre azioni, se uno Stato deve essere etico, una comportamento che sia tale deve imporsi, sempre. Ecco perché Pesce risponde in modo chiarissimo e radicale ad alcune domande di studenti che pretenderebbero di avere, per farsi una chiara coscienza del fenomeno in discussione, anche la presenza dei carnefici di ieri ad un "ideale" contraddittorio.

Pesce ribadisce che lui non potrà mai scendere su un terreno dialettico e dialogare con  chi massacrava il popolo italiano, con i fascisti. Viene a galla in queste richieste un "moderno" ed errato senso di quello che dovrebbe essere la democrazia. Pare che per essere democratici si debba sempre avere di fronte almeno due posizioni che si confrontano, che dibattono. Solo così sarebbe possibile, in teoria, "farsi una effettiva ragione" di qualsiasi accadimento storico. Si dice che solo così, poi, sarebbe possibile "scegliere". Se un racconto viene fatto da una sola parte questo sembra non interessare alcuni giovani d'oggi, che sospettano subito una sorta di "raggiro".

Si assiste quindi ad un curioso fraintendimento: nei libri di scuola, nei manuali si ricerca la verità. Si parla di oggettività, di neutralità di alcune fonti. Si pensa veramente che, a certi livelli,  possa esistere l'oggettività. In campo giornalistico si divide infatti tra la cronaca, si dice oggettiva,  ed il commento ai fatti, che riporta considerazioni personali. Come se anche la cronaca non fosse al contempo già scelta di dati, un certo tipo di scelta. Poi comunque quando la situazione cambia, quando si passa al racconto orale, alla testimonianza, non ci si accontenta più della sola voce di un protagonista. La si vuole mettere a confronto con altre, ad essa contrastanti, senza indagare che livello di testimonianza sia, senza certificare la sua attendibilità comunque. Sarebbe quindi curioso che, esemplificando per assurdo, si richiedesse che ad una persona scampata ai campi di sterminio, e poter essere certi della sua testimonianza, venisse richiesto un accostamento con chi materialmente procurava in quei luoghi la morte come responsabile dell'organizzazione delle camere a gas. Solo così si potrebbe ottenere un passaporto di certificazione di quanto sopportato allora.

Insomma i giovani sono a volte confusamente dibattuti tra istanze tra loro di diversissima  configurazione concettuale, contraddittorie. Pesce taglia corto dicendo a chiare lettere che con i fascisti non è possibile nessun contraddittorio. Che non è possibili mettere sullo stesso piano chi uccideva e chi all'opposto si difendeva. Chi opprimeva e chi lottava per togliere quell'oppressione. Chi prevaricava crudelmente e chi rispondeva spesso con atti di eroismo. E' commovente e "bellissimo" nello stesso tempo il ricordo che Pesce, anche in questa occasione, ci propone di Dante di Nanni, un valorosissimo partigiano torinese, che non a torto viene nel suo intervento qualificato come eroe. Questi resiste per ore ad un soverchiante gruppo di fascisti e nazisti a Torino e poi, terminate la munizioni, gravemente ferito, si porta sul balcone della casa dove stava asserragliato e allargate le braccia saluta a pugno chiuso e si lascia cadere dal balcone schiantandosi al suolo in un silenzio attonito ed imbelle degli assalitori che non immaginavano certo che a contrastarli fosse un solo uomo. Sarebbe quindi un delitto, ulteriore, mettere sullo stesso piano questa situazione, questi uomini.

La Resistenza ha forgiato la nostra repubblica, la prima ed unica che ci sia mai stata in Italia. Su quel prolungato atto di rinascita civile, hanno poi lavorato i politici che sono sopravvissuti al periodo fascista, nell'Assemblea Costituente.

Un problema profondo nel passaggio guerra-dopoguerra è stato il processo di epurazione statale dall'incrostazione fascista e di (ri)nascita di uno stato democratico. Su questa questione si apre l'intervento di Fabio Minazzi, che prende le mosse sempre dagli incontri tematici che avvengono al Liceo di Varese, sopra citato, e di cui lo stesso è organizzatore. Minazzi propone una tesi radicale, con ampi ricorsi a sponde culturali oramai consolidate in campo storiografico e testimoniale - Claudio Pavone, Vittorio Foa, Ludovico Geymonat, per citarne solo alcuni. In soldoni si dice che la trasformazione democratica dell'Italia, dopo il regime fascista, non è stata affatto un atto compiuto sino in fondo. L'infrastruttura statale, per molti aspetti, è rimasta tale e quale prima e dopo il Ventennio e poco ha inciso il processo di epurazione avviato subito dopo la fine della guerra. Impressionante appare l'elenco di sentenze della magistratura che scagionano crimini e criminali fascisti con motivazioni veramente paradossali, e che giungono sino all'inizio degli anni '50.

Il trasformismo di fondo degli uomini dell'apparato dello Stato ha interessato anche la Resistenza. Lo scaricare le colpe sul "capo" è stato, per esempio,  un elemento di costante scusa politica e personale di molti burocrati e militari. In questo senso cogliere l'incompiutezza della Resistenza è solamente un dato di fatto. Ma la situazione allora (come ora) era molto frammentata e la fine del conflitto armato fece scatenare tutte le distinzioni politiche che nel pieno delle battaglie erano sopite, anche se non del tutto. Minazzi  ricostruisce tale periodo addebitando responsabilità e limiti un poco a tutte le parti che concorsero all'attuazione di quel momento.

Ma è da tenere presente che oltre al panorama nazionale e personale - le volontà dei singoli - vi erano anche costrizioni internazionale che accerchiavano il fenomeno resistenziale. Gli stesi rapporti politici, oltre a quelli militari, del campo Alleato, none erano certo piani ed idilliaci. Lo si vedrà subito dopo il conflitto mondiale con la Guerra di Corea, la "guerra fredda", la costruzione del "muro di Berlino". Quindi una tesi che presa per la sua "pars construens" ci spinge a considerare che l'opera dei partigiani dell'ANPI non sia certo terminata con il 25 aprile 1945, ma deve proseguire anche oggi.

Ed è proprio in questo direzione che vanno le presenze degli stessi fra i giovani, nelle scuole. La discussione attorno a queste tematiche deve e può essere oggetto di ampi dibattiti, anche aspri. Ma occorre evitare la faziosità e la menzogna.
Noi crediamo che  anche questo libro contribuisca a portare avanti un lavoro di chiarificazione che pare mai finito e che deve, purtroppo a volte, ricominciare da zero (o quasi) proprio perché la storia non è mai un dato assodato, ma in essa agiscono forze che la fanno sempre ribollire, che la fanno diventare, sempre , "storia d'oggi".

Tiziano Tussi.
Consiglio Nazionale dell’ANPI




La Città del Sole

Via Giovanni Ninni, 34 - 80135 - Napoli

2004


Pagine 202

Prezzo di copertina: 10.00 Euro






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