Gianfelice Facchetti: Bundesliga ’44
Passata l’ubriacatura nazionalista post mondiale non è male leggersi questo piccolo volumetto che ci fa intravedere cosa possa essere il gioco del calcio in una prospettiva assurda quale quella dei campi di concentramento e di sterminio nazisti.
Siamo nel 1944, in Ucraina. Si svolge un torneo a più squadre tra internati ed aguzzini. Un torneo come epifenomeno della normalità delle cose umane. Niente di meglio che un torneo di calcio per cercare di normalizzare una situazione infernale, definitiva, che finisce, si getta di continuo nell’abisso dell‘inferno concentrazionario. La partita finale vede prevalere i prigionieri che, logicamente, dovrebbero perdere, perdere la partita come hanno già perso la libertà, ed, in prospettiva, la vita. Ma il gioco del calcio non è mai definitivo. Gli internati vincitori subiranno comunque le pene che si infliggono a coloro che non debbono vincere mai. L’ira dei nazisti porterà come conseguenza torture e morte post partita.
Bundesliga ’44 è il testo di uno spettacolo teatrale che è già stato rappresentato a Milano. La sceneggiatura è di Gianfelice Facchetti, figlio del mai dimenticato terzino interista degli anni 60/70. Lo spettacolo racconta i retroscena di quelle partite. Nel back stage si aggirano spettri umani che non fanno altro che comportarsi come pseudo veri giocatori, sempre in pericolo di esser mandati a “fare la doccia” ed esser così eliminati fisicamente dal gioco. Un gioco che vede impegnarsi negli allenamenti forzati più larve che vivi, più morituri che uomini con un minimo di libertà data loro dal pallone. Gli allenamenti sono lo specchio delle torture subite nei campi, le partite non arrivano mai. Ed anche il giocatore è uno stuck – pezzo, che era poi l’epiteto dispregiativo con cui venivano qualificati gli esseri viventi, non più uomini, nei campi.
Gianni Mura, nella prefazione ricorda l’intreccio tra calcio e vita, tra calcio ed opposizione al nazismo, negli anni Trenta ed infine la partita finale tra internati ed aguzzini. Esempi di resistenza al nazismo si hanno anche nella nazionale austriaca che verrà assorbita, dopo l’Anschluss, dalla Germania. I giocatori spuri, ribelli, e, va da sé, ebrei, moriranno in condizioni oscure dopo avere espresso in pubblico la loro lontananza dallo stordimento di gioia che aveva preso molti austriaci all’unione con il terzo Reich di Adolf Hitler. Ma altri ed innumerevoli sono gli esempi di scontri politici, mascherati da scontri calcistici.
Anche nel caso Zidane-Materazzi si adombrano questioni di questi tipo, per fortuna infinitamente più leggere, di quelle che il testo teatrale ci rende ancora vive e chiare. Partite giocate in nazioni guidate da militari fascisti, l’Argentina della fine degli anni ’70; gli screzi nazionalistici tra nazioni cosiddette libere ed altre ingessate da regimi autoritari; mitiche partite dell’Italia negli anni ’50 in Cile; motivi politici che hanno segnato la partecipazione o l’esclusione da olimpiadi, campionati mondiali, coppe di calcio internazionali – il caso delle squadre albanesi nel passato periodo comunista di quel paese; lenta emersione di nazioni africane. Insomma il tema politico e razzista si aggira sempre per gli stadi. Anche tra la tifoseria più impegnata, nelle divisione dei club di aficionados.
Il testo ci rimanda a tutto questo, ma di rimbalzo. In primo piano la tragedia assurda dei campi e la loro fenomenologia, ancora da capire sino in fondo, ancora da essere analizzati: cause politiche, economiche, morali? Quali di queste motivazioni è sicuramente egemonica sulle altre e perchè. Il teatro come rispecchiamento della realtà. L’assurdo del testo come specchio dell’assurdo dei campi. Le sette scene dello spettacolo vanno via lisce e tremende verso il finale in cui si dissolve anche quella lieve differenza che avrebbe dovuto esser costruita dal gioco più bello del mondo, seppure nel campo di reclusione. Il calcio è nella vita, come la vita e non sfugge alle contraddizioni della stessa. E quando le condizioni di vita sono tremende, il calcio è tremendo: è morte, è tortura, è dissolvimento sotto la doccia.
Una lettura che dovrebbe aiutare un poco a rifletter meglio sulla magia del pallone che poi, gratta gratta, e non si fa davvero molta fatica a grattare, resta sempre una maschera della società. Anche se il rotolare della pala in un prato di periferia è sempre invitante e magico. Ma non per i sogni cui induce ma per il movimento e la socializzazione che produce. La sfera ha sempre esercitato un fascino magico sugli uomini e se è possibile calciarla tanto meglio. Ma attorno ad essa gira il mondo, una sfera anch’esso, un po’ schiacciata ai poli.
Tiziano Tussi
pubblicata anche su Liberazione il 20 luglio 2006
Gianfelice Facchetti, Bundesliga ’44, sedizioni, Milano, 2006, p. 61, €10 (tel: 0245479442; www.sedizioni.it)