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- segnalazioni resistenti - libri - 07-09-07 - n. 193
Antonio Pagliarone: Contractors
Editore: Sedizioni - via Cappuccio 18 - 20123 Milano - fax: +39.02.99986076 - e-mail: diego.dejaco@mac.com
Prezzo di copertina: Euro 10.00
Speculazioni economiche in un clima di distruzione creativa:
l’11 settembre e la lobby del Pentagono
Prefazione di Tiziano Tussi:
L’11 settembre 2001 è una data che segna. Segna qualcosa. Ma cosa poi segni è una conseguenza dell’accadimento. Mi spiego. Ogni fatto lascia una scia di conseguenze e si inserisce in un percorso fattuale pregresso che concorre, una volta sostanziatosi, a rinforzare. Quindi ciò che si realizza è in qualche misura casuale e ciò che viene poi, in seguito, segue nello stesso modo. La casualità è un dato inquietante e perciò gli uomini hanno col tempo trovato il modo che il caso – la fortuna di Machiavelli - si riduca ad un livello minimale e sopportabile. Ma non sempre ci si riesce. Poi vi sono accadimenti che devono accadere. L’obiettivo viene fortemente inseguito al fine di indirizzare le conseguenze verso i propri interessi. Questo accade spesso, ma non sempre ciò che si persegue si realizza totalmente. La realizzazione è quasi sempre in percentuale. Più ci si avvicina al cento per cento e più siamo contenti. Ma il fatto che si crea viene così ad inserirsi non a caso, o pochissimo a caso, quasi per nulla, nella scia del fiume delle cose e lascia come esito ciò che si vuole che lasci, o almeno così noi speriamo. Quando il progetto sta in piedi tutto ciò accade.
Quando non sta in piedi gli avvenimenti che abbiamo suscitato prendono, si dice, una brutta piega. E’ il caso eclatante della questione dell’11 settembre.
Ora, quando si parla di quella data del 2001, ci si ricorda a malapena di un altro 11 settembre. Quello del 1973. L’uccisione di Salvador Allende ad opera di Augusto Pinochet e l’inizio di un periodo dittatoriale della destra fascista in Cile.
I due 11 settembre, in fondo, hanno qualcosa in comune. Sono esempi di falsi storici che dovrebbero poi portare a risultati, per chi li ha creati, favorevoli. Il primo 11 settembre in effetti portò il Cile totalmente nel mirino statunitense e fece di quel paese un sicuro tassello per i piani di politica internazionale degli USA. Questioni complesse che si agitavano su uno scenario di cosiddetta guerra fredda, allora in piedi, fortissima. In fondo la realizzazione di un falso cileno, l’instaurazione di un dominio comunista in quel lungo paese, era servito a rendere funzionale, aveva messo bene in funzione un piano. Si era cerato un fatto che aveva fruttificato bene, per troppo tempo, per i disegni dell’amministrazione degli USA.
Molto meno bene ha funzionato l’altro 11 settembre. Gli interventi in Afghanistan ed in Iraq si sono rivelati un pozzo di costi senza fine. Gli interessi statunitensi non saranno ripagati, non sono ripagati.
Già, si dirà troppo facilmente, ma questo secondo caso è stato originato da un attentato terroristico nel cuore stesso dell’America del Nord, ricca e sicura di se, da sempre, a New York. Attaccati dal cielo dopo il momento di Pearl Harbor che segnò l’entrata in guerra degli USA nella seconda guerra mondiale. Attacco, anche questa volta, terroristico, seppur di diversa natura di quello, del 1941: Osama Bin Laden, Al Qaeda.
Proprio il paragone con Pearl Harbor, e con i suoi misteri – gli americani lo sapevano? hanno fatto finta di ignorare apposta l’attacco aereo imminente dei giapponesi per potere entrare in guerra poi a vele spiegate? – apre diversi interrogativi verso le analisi ufficiali che ancora vanno per la maggiore.
Ma da subito, dopo l’abbattimento delle Twin Towers, la versione ufficiale mostrava segni evidenti di contraddizione. Alcuni, forse precipitosamente, dissero – se lo sono fatti loro!
Possibile? Miglia di morti, quanti esattamente non si saprà forse mai; una città ed una nazione annichilita; una ammissione di vulnerabilità così palese verso il mondo intero? uno sconquasso nell’economia, finanza e produzione industriale?
Del resto da noi, in Italia, attentati terroristici dubbi od oscuri non sono mancati negli ultimi decenni. Il periodo della strategia della tensione.
Non restarono pochi a sollevare dubbi sull’11 settembre, diventarono un bel gruppo e poi una valanga.
Film, libri, articoli, trasmissioni televisive. I sospetti che qualcosa non andava divennero più sostanziosi con passare del tempo, avvolgenti.
Alcuni hanno raggiunto anche una notorietà mondiale, come nel caso del film di Michael Moore, Fahrenheit 9/11 del 2004.
Ma anche a livelli molto meno eclatanti in questi anni vi sono stati sforzi critici tesi a capire la genesi di quei fatti. Accadeva anche in Italia. Persino nelle tesine di maturità, in alcune scuole, gli studenti hanno analizzato e portato in superficie dubbi sugli aspetti degli impatti sia sulle torri gemelle sia sul Pentagono. E se studenti di Milano, ad esempio, hanno potuto, con informazioni dai media, più o meno filtrate, arrivare a mettere in discussione la verità ufficiale, vuole proprio dire che qualcosa non va.
Questo fu il motivo per cui vennero organizzate, dopo cinque anni dal fattaccio, in diverse situazioni in Italia ed all’estero momenti collettivi di riflessione. Da uno di quelli scaturisce lo scritto che segue. L’analisi di Antonio Pagliarone verte soprattutto sulla corda finanziaria.
Un tema che sta a cuore all’Autore che ne fa il centro, il cuore della sua tesi. Non compaiono volutamente altre tesi. Per brevità indichiamo: a) tesi petrolifera. Dall’11 settembre l’emergere di una volontà politica che intende sfruttare il vulnus creatosi per potere sfruttare ancora più intensamente e sicuramente il petrolio medio orientale e, tendenzialmente, buona parte del petrolio mondiale; b) tesi imperialista. Gli USA come grande Satana che vogliono dominare il mondo. L’Autore ci porta a considerare la deriva finanziaria ed le sue conseguenze quale unica spiegazione di fondo. Un tema che potrà anche non convincere del tutto, neppure io lo sono, ma che si riveste di una chiara lente di ingrandimento. Ma qui non serve entrare nelle intercapedini e nei grovigli analitici e dialettici. Serve vedere l’uso di tale monistica proposta.
La sottolineatura dell’importanza finanziaria internazionale ci porterebbe perciò a spiegare, ad esempio, anche la privatizzazione del fare guerra, che poi si è messa in campo. Un risvolto interessante. Importante non sarebbe perciò il risultato da raggiungere, la vittoria, ma i guadagni che si possono ottenere anche in caso ed in mezzo a sconfitte prolungate. La centralità finanziaria spiegherebbe come il gruppo vicino al presidente degli Stati Uniti lo determini e lo indirizzi dove si dirige la speculazione a livello internazionale sul gioco di borsa, sugli acquisti sempre più veloci di beni finanziari voluttuari, volatili, che si ricreano, insomma nel vortice dell’acquisto e della vendita di capitale puro, nella realizzazione di opportunità di rapidissimo guadagno.
Forse si potrebbe sottolineare che tale analisi lascia un poco scoperto il piano storico. In fondo per speculare la storia non serve. La formazione di vita sociale non interessa al grande investitore, al grande capitale. Ogni cosa si deve adeguare alle sue voraci fauci di accaparratore – un carattere anale? Sfortunatamente per lui la storia comunque prosegue, segue. Ed ecco perciò che sia in Afghanistan sia in Iraq i piani anche finanziari di chi voleva tanto guadagnare – ma quando? ma per quanto? – non sono stati così semplicemente raggiunti, così facili. Certo qualcuno si sarà già fatto la pancia piena e Pagliarone ce lo dice, ma altri rimarranno, rimangono delusi e forse pensano ad altre imprese: Iran, Siria? chissà? Altri dovranno forse pagare ciò che non volevano pagare in nessun modo: una debacle politica di Bush? Altri ancora forse ripagheranno i popoli dei paesi invasi della loro sconsiderata politica a supporto del gioco di un gruppo di accaparratori.
Ricordo Colin Powell, segretario di Stato statunitense, all’Onu girarsi fra le mani le prove, poi rivelatesi false, delle armi segrete di Saddam Hussein, armi di distruzione di massa, mai esistite. Ricordo che anche il collegamento Bin Laden – ma è ancora vivo ? – con Saddam Hussein, altra prova inoppugnabile anni fa, è stata poi smentita anche da fonti ufficiali. La guerra in Iraq, in modo particolare, è totalmente fuori legge. Anche se può essere paradossale dire che una guerra è fuori legge. La guerra in Afghanistan, precedente all’altra, è un disastro che si sta velocemente irachizzando. Anche lì non si risolve nulla.
Dove sono i grandi guadagni ipotizzati? Dove sono le meravigliose nuove sorti democratiche, da quelle più evidenti - via il Burqa per le donne - sino ad una partecipazione appunto democratica della popolazione ad una decente vita sociale, che notoriamente anche ora non esiste?
Si attendono risvegli dalla politica, anche di quella cosiddetta europea.
Si deve osare di più e si deve finalmente dire che non esiste solo la borsa, o il controllo del mondo, o il profitto della produzione di merci – i due ultimi argomenti li ho aggiunti all’analisi di Pagliarone. C’è la vita dell’uomo in genere. La generica vita dell’uomo. Serve ancora a qualcosa configurasi come esseri umani. Anche se il denaro non puzza, pecunia non olet, noi umani puzziamo sicuramente ed a volte moltissimo.
Questo dell’11 settembre 2001 è uno di quei casi.
Tiziano Tussi