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Jihad e imperialismo

Maurizio Brignoli

2023

Dalle origini dell'islamismo ad al-Qaida e Isis: quale ruolo nel grande scontro interimperialistico?



Maurizio Brignoli, Jihad e imperialismo, L'AD, 2023, ISBN 9791280401281

* * *

Indice:

Introduzione
Prologo: al servizio dell'imperialismo
1. Islamismo e nazionalismo arabo laico
2. Crisi economica e affermazione dell'islamismo
3. Una nuova interpretazione del jihad
4. L'imperialismo e il jihad afgano
5. Esportazione del jihad e scontro interimperialistico
6. Primavere arabe

Cos'è, dove e per conto di chi agisce l'Isis
1. Le origini irachene
2. La questione libica
3. Dalla Libia alla Siria: il jihad per rovesciare Assad
4. Rovesciare e riprogettare il Medioriente: una nuova carta geopolitica
5. Corridoi energetici
6. Cosa ha rafforzato islamismo e jihadismo e la questione dei "foreign fighters"
7. La strategia del "caos controllato"
8. Alleanze variabili all'interno dello scontro interimperialistico
9. I casi simbolici di Aleppo e Mosul
10. Alternative imperialistiche: la strategia statunitense da Obama a Trump
11. Vittorie siriane e armi chimiche
12. Lotte di potere e strategie imperialistiche alternative negli Usa
13. Contro l'Iran
14. Nuovi tentativi di "rivoluzione colorata" in Iran
15. Iran: rafforzare le alleanze sul piano economico e militare per resistere all'attacco
16. La "mezzaluna sciita"
17. Spezzare l'Asse della resistenza nel suo anello più debole
18. L'asse sunnita-sionista e i reali interessi in campo con l'Arabia Saudita
19. Gli "Accordi di Abramo" e il rafforzamento dell'asse sunnita-sionista
20. Gli sponsor del jihadismo alla resa dei conti. Una Nato araba nata morta?
21. I curdi
22. Idlib
23. Una Gladio "nazijihadista" in Ucraina?
24. Continuazione della guerra siriana con altri mezzi: dal terrorismo jihadista al terrorismo economico
25. Un nuovo uso del jihadismo in Siria
26. Israele verso spazi di manovra sempre più ristretti?
27. Interessanti evoluzioni diplomatiche in Siria
28. Continua il "grande gioco" libico: verso un compromesso fra Mosca e Ankara?
29. La vittoria dei talebani: esportazione del jihad o nazionalismo fondamentalista?
30. Isis-K
31. L'uso del jihadismo per destabilizzare l'area di influenza russa nel Caucaso e in Asia centrale

Conclusioni: lo scontro interimperialistico e il ruolo del jihadismo
1. Il nuovo ordine mondiale
2. Le vie della seta
3. "Concentrazioni imperialistiche", aree valutarie, petroyuan e "dedollarizzazione"
4. Opec Plus contra Usa
5. Un bilancio provvisorio: nuovi rapporti di forza in Medioriente
6. La clamorosa svolta nei rapporti fra Iran e Arabia Saudita
7. Un polo imperialistico islamico?
8. Nuovi equilibri interimperialistici, evoluzione delle strategie statunitensi e continuità di quelle neoconservatrici
9. Ciò che resta dell'Isis ed evoluzione della galassia jihadista
10. Funzionalità del jihadismo alle esigenze imperialistiche e alcuni equivoci ideologici

Glossario
Sitografia


Introduzione

Mosul 29 giugno 2014 - Mosul 29 giugno 2017.
Potrebbero essere queste le date sulla pietra tombale dell'Isis, quanto meno nella sua forma "statuale", cioè l'arco di tempo compreso fra il giorno della proclamazione della rinascita del califfato e quello in cui l'esercito iracheno ha ripreso possesso della moschea, o di ciò che ne resta, di al-Nuri dove Abu Bakr al-Baghdadi (1971-2019) il 5 luglio di tre anni prima aveva tenuto il suo primo discorso pubblico come nuovo califfo. Potrebbero, il condizionale è d'obbligo poiché, come tenteremo di capire, la parabola di ciò che viene ormai abitualmente definito jihadismo presumibilmente non terminerà qui.

Un limite di buona parte delle analisi che hanno tentato di indagare l'Isis, e precedentemente al-Qaida et similia, consiste nel fatto che venga posta come centrale la dimensione religiosa, con tutto un conseguente correlato di riferimenti che rende più agevole inserire il fenomeno all'interno dello "scontro di civiltà" [1], concetto che, a sua volta, permette di offuscare la comprensione delle origini e degli scopi dell'oggetto di indagine riconducendolo all'interno di un discorso avente come fine ultimo l'unione delle classi subalterne occidentali col capitale nella lotta contro un nemico della "civiltà occidentale", che in realtà di questa civiltà, ma per meglio dire, di una ben determinata fase dello sviluppo del sistema imperialistico, che è l'elemento fondante della civiltà che viene pomposamente difesa oggi, è il diretto frutto. Come vedremo la realtà sottostante al discorso pseudoreligioso e di scontro di civiltà è assolutamente materiale e profana.

Il sistema capitalistico non ha bisogno di una legittimazione religiosa, soprattutto dal XVIII secolo, periodo in cui la borghesia, tramite l'illuminismo e la rivoluzione francese, si afferma nella lotta ideologica contro la religione e completa quel cammino che l'ha portata a non aver più bisogno della fede per giustificare i rapporti di produzione e le divisioni di classe. Ormai il compito di legittimare da un punto di vista ideologico la formazione economico-sociale concepita nella sua totalità è affidato all'economia capitalistica e alle sue leggi.

Questo non vuol dire che le religioni non svolgano ancora un ruolo di supporto alla giustificazione del capitale, ma la questione più importante nel nostro caso è se mai chiedersi come mai la religione goda, e qui ci soffermeremo necessariamente sulla fede islamica, di largo consenso nelle lotte condotte nei punti caldi del pianeta coincidenti con i luoghi di maggior interesse per la penetrazione e lo scontro di capitali. D'altro canto, e questo è un punto cruciale, non è la religione la questione principale da prendere in esame per spiegare le cause del fenomeno Isis, al-Qaida, ecc., bensì l'imperialismo nella sua dimensione economica, politica, militare e ideologica. Usiamo la parola "imperialismo" nell'accezione marxista di una fase di sviluppo del modo di produzione capitalistico caratterizzata da una concentrazione monopolistica della produzione e del capitale, dalla nascita del "capitale finanziario" (nel senso marxista di unione fra capitale industriale e bancario e non solo "monetarista", come inteso dagli economisti dominanti, con esclusivo riferimento alla dimensione affaristica, borsistica e speculativa), dall'esportazione di capitale e dalla spartizione del mondo fra le diverse imprese monopolistiche e le grandi potenze imperialistiche. Senza per questo dimenticare il liberale Hobson, autore del primo studio approfondito sul fenomeno, stiamo facendo riferimento ai cinque punti di Lenin, sostanzialmente ancora validi con l'avvertenza che siamo giunti in una fase dell'imperialismo che si può definire "transnazionale" dove la proprietà e la direzione dei grandi monopoli non fanno più riferimento a un solo paese ma in cui capitali di differenti nazioni si uniscono sotto un organo direttivo unico e indipendente dallo stato nazionale, una fase inoltre caratterizzata dalla nuova crisi e dall'acuirsi della lotta interimperialistica, che costituisce, rispetto al periodo, in cui Lenin scriveva, dominato dall'imperialismo nella sua fase nazionale, un ulteriore grado di evoluzione [2].

Tutto ciò non deve far sottovalutare il fatto che la dimensione religiosa possa soggettivamente influenzare la percezione della realtà in cui ci si trova a operare, anche se il contesto decisivo in cui può maturare una reazione ideologicamente giustificata e percepita attraverso gli schemi di un'antica tradizione di fede è determinato dalla realtà dell'imperialismo. Ciò che però più ci interessa è cercare di capire quali rapporti vi siano fra questa realtà che definiamo genericamente "islamista", "jihadista", "fondamentalista" e l'imperialismo e tentare di comprendere quelli che, apparentemente, sembrano conflitti locali, ma che vanno inseriti all'interno di una realtà più ampia caratterizzata dallo scontro interimperialistico. Queste sono le coordinate di fondo attraverso le quali tenteremo di ricostruire l'origine e gli scopi del jihadismo, e nello specifico del cosiddetto "Stato islamico", nelle sue diverse incarnazioni.

Nel prologo cercheremo pertanto di delineare a grandi linee le origini e lo sviluppo del fenomeno politico islamista e andremo a vedere come la nascita di formazioni jihadiste come al-Qaida, e dei suoi succedanei, sia strettamente collegata alle politiche dell'imperialismo statunitense e dei suoi alleati a partire dagli inizi degli anni '70, premessa per poter affrontare nel secondo, centrale e più lungo, capitolo la vicenda specifica dell'Isis, e delle altre principali organizzazioni jihadiste, la quale però, per essere pienamente compresa, necessita di un inserimento all'interno del grande scontro interimperialistico in atto per il controllo delle fonti energetiche, dei corridoi commerciali e delle aree valutarie che analizzeremo nel capitolo conclusivo.

Ci proponiamo di tornare ad approfondire la questione delle origini e dello sviluppo dell'islam e altri temi specifici che in alcuni casi qui abbiamo potuto solo abbozzare fornendo alcuni riferimenti bibliografici, come ad esempio il significato di jihad nel Corano, in un futuro lavoro.

Alcune indicazioni finali: pur lasciando nel testo i nomi in arabo (ma anche in farsi, curdo, turco, urdu, ecc.) di persone, istituzioni e località come sono in linea di massima più note al lettore italiano (Muhammar Gheddafi anziché Mu'ammar al-Qadhdhāfī o Saddam Hussein invece di Ṣaddām Ḥusayn) e traslitterate senza i relativi accenti per non appesantire eccessivamente la lettura, abbiamo comunque posto alla fine del volume un glossario per dare un'idea più vicina possibile a quella che potrebbe essere la pronuncia corretta, soprattutto considerato il fatto che talvolta predomina una traslitterazione di matrice anglosassone che viene poi impropriamente pronunciata seguendo le regole dell'italiano creando così un notevole pasticcio. A tal proposito può essere utile l'esempio della formazione sciita libanese Ḥizb Allāh o Ḥizballāh (Partito di Dio) da noi nota come da grafia inglese Hezbollah e oltretutto pronunciata non all'inglese, il che manterrebbe almeno una vaga vicinanza a Ḥizb, ma come si leggerebbe una parola italiana. A questo punto abbiamo preferito seguire un criterio di uniformità nelle citazioni prendendoci la libertà di modificare gli eventuali Hezbollah, al-Qaeda, ecc. in Hizballah, al-Qaida e così via; stessa libertà ce la siamo presa correggendo, ove necessario, l'articolo femminile nel caso di jihad che in arabo è termine maschile.

Sempre nell'intento di rendere più scorrevole la lettura abbiamo fatto ricorso alla soluzione non convenzionale di togliere nelle citazioni i puntini fra parentesi quadre […] che si usano abitualmente quando si omette una parte della citazione, la cosa non dovrebbe impedire comunque al lettore desideroso di approfondimenti di poter recuperare agevolmente le parti mancanti. Per non appesantire ulteriormente le già numerose note abbiamo evitato nella maggior parte dei casi i riferimenti a indirizzi internet completi, del resto facilmente recuperabili, lasciando nella sitografia finale un elenco coi riferimenti ai principali siti di quotidiani, riviste e varie istituzioni e centri di ricerca cha abbiamo utilizzato.

Per i testi citati più lontani nel tempo abbiamo messo fra parentesi quadra la data della composizione o della prima pubblicazione.

Ricordiamo infine che il presente lavoro in parte si origina da una serie di articoli pubblicati sulla rivista la Contraddizione nei numeri 129 (dicembre 2009), 130 (marzo 2010), 134 (marzo 2011), 147 (giugno 2014), 150 (numero speciale 2015).

Milano, 16 giugno 2023


Prologo: al servizio dell'imperialismo

Ci sono due aspetti che hanno portato alla nascita e al consolidamento delle correnti radicali islamiche: uno endogeno strettamente correlato con lo sviluppo dell'ultima grande crisi da sovrapproduzione [3] esplosa agli inizi degli anni '70 che ha colpito il sistema capitalistico con devastanti conseguenze anche nei paesi di fede musulmana e che ha favorito lo sviluppo di uno spazio di azione, aiutato per altro dai vari governi per motivi economici e politici, per le organizzazioni islamiste capaci di intervenire, per usare un termine caro al corporativismo cattolico, in funzione "sussidiaria" nei campi dell'assistenza, dell'istruzione, ecc. a favore delle frange più povere della popolazione guadagnando gradualmente un forte consenso popolare; l'altro, sempre collegato strettamente alle dinamiche dello sviluppo imperialistico, ma più rilevante e decisivo dal punto di vista militare e "terroristico", è quello che risponde alla strategia di finanziare, addestrare e utilizzare le formazioni jihadiste prima in funzione antisovietica e poi per eliminare avversari politici e governi non allineati con i diktat del polo imperialistico statunitense ed europeo e, infine, come utile strumento all'interno dello scontro interimperialistico in atto fra i principali poli del capitalismo mondiale.


[1] Cfr. Samuel Huntington, Lo scontro delle civiltà e il nuovo ordine mondiale, Garzanti, Milano 2005.

[2] Ricordiamo quattro testi indispensabili per studiare l'origine del fenomeno: John A. Hobson, L'imperialismo, [1902], Newton & Compton, Roma 1996; Rudolf Hilferding, Il capitale finanziario, [1910], Mimesis, Milano-Udine 2011; Nikolaj I. Bucharin, L'economia mondiale e l'imperialismo, [1915], Samonà e Savelli, Roma 1966; Vladimir I. Lenin, L'imperialismo, fase suprema del capitalismo, [1917], in Opere complete, Editori Riuniti, Roma 1966, vol. XXII (cfr. anche Id., L'imperialismo e la scissione del socialismo, [1916], in Opere, cit., 1965, vol. XXIII, pp. 102-3). Del testo di Lenin è stata pubblicata una nuova edizione curata da Gianfranco Pala, con la più corretta traduzione di "fase superiore", in senso relativo, anziché "suprema", che raccoglie anche altri scritti sul tema (cfr. Vladimir I. Lenin, L'imperialismo, fase superiore del capitalismo, La Città del Sole, Napoli 2020), mentre per quanto riguarda l'imperialismo transnazionale cfr. Gianfranco Pala, Perla critica. Dell'economia politica, secondo Marx, La Città del Sole, Napoli 2014, pp. 452-541.

[3] Cfr. Gianfranco Pala, L'ultima crisi, Angeli, Milano 1982. Come sottolinea Pala: «marxiana crisi da sovrapproduzione [nb: da e non di, perché la sovraproduzione di valore, cioè la produzione di plusvalore è "norma" per la "successiva" accumulazione del capitale, mentre soltanto il suo eccesso, rispetto alla capacità del capitale stesso di assorbirlo e realizzarlo, diviene causa di contraddizione e crisi]» (Gianfranco Pala, Antikeynes, La Città del Sole, Napoli 2022, p. 59). Cfr. anche Carla Filosa - Gianfranco Pala - Francesco Schettino, Crisi globale. Il capitalismo e la strutturale epidemia di sovrapproduzione, l'AntiDiplomatico, Roma 2021.


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