Ci ha lasciato Giovannino Marostegan “Gimmi”
Commissario politico della Brigata Pasubiana
Gruppo Formazioni
garibaldine “Ateo Garemi”
Giovannino Marostegan “Gimmi” nasce a Vicenza il 29 maggio 1916, da famiglia
povera di
periferia, terzo di sei tra fratelli e sorelle. La madre casalinga; il padre,
muratore presso una coperativa, un acceso antifascista, capocellula della zona
della Polveriera al quartiere di S. Bortolo; più volte bastonato, incarcerato e
“purgato” con l’olio di ricino dai fascisti, tanto che la sua salute ne uscì
compromessa al punto da portarlo a morte prematura nell’estate del 1943.
Finite le scuole elementari, “Gimmi” lavorò come garzone di barbiere, prima a
Vicenza e poi a Bolzano per un anno e mezzo. A 18 anni venne chiamato alle armi,
all’VIII reggimento Bersaglieri a Verona, in una compagnia motociclisti.
Nel ‘37, alla richiesta di volontari per la Spagna, nessuno della sua unità
rispose all’appello; il colonnello dispose allora un’estrazione a sorte e tra i
sorteggiati toccò anche a “Gimmi”. Nonostante le sue proteste, fu inviato a
Roma con gli altri “volontari” forzati. Dopo alcuni mesi di permanenza nella
capitale, nell’aprile del 1938 arrivò l’ordine di partire. Determinati a
resistere, tutti i non volontari decisero di uscire dalla caserma e di recarsi
al Corpo d’Armata a protestare. Qui però furono circondati da carabinieri e
polizia e riportati indietro su camion. Dopo un’inutile trattativa col
colonnello vennero messi di fronte all’alternativa di partire per la Spagna o
finire al carcere militare. Dovettero rassegnarsi a partire.In Spagna. “Gimmi”
rimase un anno, dal giugno del ‘38 fino alla fine della guerra civile, come
conduttore di motocicletta, senza mai sparare un solo colpo, come aveva
promesso a se stesso e al padre.
Tornato a casa, entrò per breve tempo al Lanificio Rossi di Vicenza come
cardatore, ma dopo pochi mesi venne richiamato alle armi e destinato al II°
reggimento bersaglieri, a Roma, sempre come motociclista. Venne inviato coi
commilitoni nella Venezia Giulia per addestramento. Nel novembre del ‘40 furono
imbarcati a Brindisi con destinazione Valona, Albania. L’aggressione alla
Grecia - che pure aveva un governo di destra amico di quello italiano - era
stata decisa a freddo dal regime fascista, ma l’accanita resistenza delle forze
armate e del popolo greco costrinse gli invasori italiani prima a ritirarsi con
gravi perdite, e poi ad attestarsi su linee difensive via via più arretrate.
Così passò il terribile inverno tra il ‘40 e il ‘41, tra duri combattimenti e
migliaia di congelamenti. A primavera gli italiani passarono all’offensiva,
approfittando parassitariamente della ben più imponente avanzata tedesca da
nord e da nord-est, e in breve la Grecia venne piegata. Anche in questa guerra
a “Gimmi” toccò la circostanza, quale motociclista addetto al trasporto di
materiale, di non sparare nemmeno un colpo.
“Gimmi”, tra Atene, Tebe e Kalchis trascorse tutto l’anno, l’anno successivo
1942 e oltre metà del ‘43. Inviato in licenza a causa dell’aggravarsi delle
condizioni del padre, una volta giunto a Vicenza ne apprese la morte già
avvenuta in sua assenza. Decise di non tornare mai più in Grecia e a questo
scopo riuscì anche a ritardare la partenza simulando una malattia. Fu durante
questo mese e più di permanenza in Italia che sopravvenne l’armistizio dell’8
settembre, e, mentre i tedeschi si davano alla caccia di soldati
italiani,“Gimmi” decise che da quel momento sarebbe cominciata la sua guerra.
Col futuro cognato Giovanni Savio svaligiò la polveriera vicino a casa sua e
nascose casse di armi e munizioni sotto a un campo nei paraggi dell’aeroporto.
Si mise subito i contatto coi cugini, i comunisti Carlo, Bruno e Giordano
Campagnolo, e con tutti i compagni che in quei giorni stavano organizzando i
primi GAP a Vicenza. Cominciò l’incetta di armi, il sabotaggio di aerei al
suolo, gli attentati alle linee ferroviarie ed elettriche, la propaganda
attraverso manifestini incollati sui muri e fatti girare sui luoghi di lavoro.
Tra le azioni più significative la “notte dei fuochi”: saltarono i tralicci
della corrente a Vicenza in preparazione dello sciopero generale del 1° marzo
‘44 e l’attentato al Palazzo del Littorio messo a segno da “Gimmi” e Gino
Cerchio.
A seguito della scoperta fortuita di una base in allestimento in collina, a
Gambugliano, “Gimmi” fu fermato assieme ad altri compagni, ma riuscì con uno
stratagemma a scappare e a raggiungere le formazioni di montagna. Raggiunto il
distaccamento garibaldino sull’Altipiano di Asiago, zona di Treschè
Conca-Cesuna, ne divenne il comandante alla partenza di Romano Marchi Mirro e
Leone Franchini Franco. Partecipò al concentramento partigiano nella parte
nord-occidentale dell’Altipiano, in zona Ghertele- Larici-Manazzi, per
raccogliere lanci. Durante questo periodo, , mise a segno con altri il
sequestro di un camion di viveri destinati ai fascisti lungo la strada che
dalla Val d’Astico sale a Tonezza. Come gli altri compagni, subì il
rastrellamento che investì in maggio le formazioni in quella zona,
disperdendole.
In seguito venne chiamato in Val d’Astico per organizzare, con Alberto Sartori
“Carlo” e Germano Baron “Turco”, il btg. Marzarotto. Divenne commissario del
distaccamento al comando di Giuseppe Costa Ivan, con base a Monte Piano, sul
versante destro della Val d’Astico. Partecipò ai preparativi per ricevere un
lancio ai Campiluzzi durante il periodo della zona libera di Posina. Il
rastrellamento, lanciato da un’intera divisione nemica, cominciato all’alba del
12 agosto 1944 e che puntò per primo su Malga Zonta, lo colse con un
distaccamento nella vicina Malga Melegna. Frazionatisi a piccoli gruppi,
“Gimmi” e compagni riuscirono a mimetizzarsi per tre giorni, senza cibo nè
acqua, e a uscire indenni dalla tenaglia.
Nell’ottobre dello stesso anno, incaricato di portare un messaggio ad una
missione alleata, venne catturato con Ivan e una staffetta presso le Vezzene,
sull’Altipiano di Asiago; nel corso della cattura la staffetta rimase
gravemente ferita e “Gimmi” fu colpito da un proiettile a un malleolo. Durante
la marcia di avvicinamento a Lavarone, e quindi prima dell’identificazione che
li avrebbe condannati a morte certa, “Gimmi” e Ivan tentarono con successo la
fuga. Col sopraggiungere dell’inverno “Gimmi” restò alla macchia con i pochi
che non potevano presentarsi a lavorare nella TODT in quanto ricercati. Il
bunker divenne il loro rifugio nella neve e nel gelo pungente.
Nel febbraio 1945, nei pressi del rifugio Campomolon, vennero finalmente
raccolti abbondanti lanci, soprattutto di esplosivo, che permisero, in marzo, l’operazione
di sabotaggio che doveva bloccare la statale del Brennero e la parallela
ferrovia. Il complesso piano venne realizzato in collaborazione coi gruppi
trentini della Val Lagarina (parte meridionale della Val d’Adige) e “Gimmi” vi
svolse il ruolo di artificere. L’ampio franamento provocato in località Murazzi
ostruì le vie di comunicazione per almeno una settimana.
Con il sopraggiungere della primavera la guerra volgeva ormai al suo epilogo,
in aprile colonne tedesche sempre più numerose risalivano la Val d’Astico fino
a farsi un torrente in piena a cominciare dal 26. Il 30 sembra tutto finito, ma
non è così: una smagliatura nella rete informativa non avverte i pochi
partigiani di Pedescala che un’ultima colonna in partenza da Arsiero,
potentemente armata, sta per imboccare la valle. Partigiani e popolazione,
inconsapevoli del pericolo che incombe, si danno a raccogliere le numerose armi
abbandonate nella notte da un reparto di russi collaborazionisti; nell’euforia
qualcuno si mette anche a sparacchiare contro gruppetti isolati di tedeschi
lungo la strada provinciale di fondovalle, rischiando di colpire anche “Gimmi”
che proprio in quei momenti la sta percorrrendo su una moto tedesca requisita.
Per Pedescala suona l’ora della condanna e non vale a salvarla la forte
reazione dei partigiani appostati sui versanti, che nonostante tutto
riusciranno a inchiodare la colonna per due giorni. Gli eccidi in paese e nella
vicine frazioni di Forni e Settecà faranno alla fine contare 82 morti e
numerose case incendiate.
Con questa amara pagina si chiude la vicenda bellica di “Gimmi”, che due anni
dopo, di fronte alla restaurazione e all’offensiva antipartigiana, deciderà di
partire con la sua compagna per l’Argentina, dove rimarrà 30 anni.
Rimasto vedovo nel 1975, deciderà di lì a qualche anno di tornare in Italia,
riallacciando i contatti coi vecchi compagni di lotta.
Sotto l’incalzare della denigrazione della Resistenza, che localmente si
manifesta nell’addossare ai partigiani la colpa per la strage di Pedescala,
“Gimmi” si è attivato per chiarire ogni aspetto dell’ episodio e per difendere
le ragioni e l’onore dei resistenti. A partire da qui il suo impegno si è
allargato fino a ripercorrere tutta la sua esistenza, lasciandoci un importante
patrimonio di interviste, foto e scritti.
La sua feconda attività, che ha animato gli ultimi anni della sua lunga vita,
ha illuminato anche il cammino dei più giovani compagni che hanno preso nelle
loro mani la bandiera della vecchia Resistenza e che dagli insegnamenti di questa
traggono forza e guida per condurre a termine la lotta cominciata oltre 60 anni
fa.
Onore al compagno
“Gimmi”
Hasta la victoria siempre
Compagni della nuova e vecchia resistenza
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anpimalo@yahoo.it