www.resistenze.org - cultura e memoria resistenti - antifascismo - 27-07-11 - n. 374

E' morto il compagno Athos
 
Cari Compagni
vi segnalo che giorno 21 luglio 2011 è venuto a mancare il Partigiano Nunzio Di Francesco, combattente in Piemonte (nome di battaglia ATHOS) e deportato a Mauthausen e Gusen II. Una delle ultime conferenze la fece al Circolo Gramsci Riposto il 23 aprile 2011 (resoconto sul nostro sito). Vi mando alcuni articoli sulla figura del Partigiano "ATHOS", l'ultimo è un mio ricordo personale. Mi auguro lo vogliate ricordare in qualche modo. Era un grande uomo, un figlio del Sud che ha fatto grande l'Italia e che si batteva per l'attuazione della Costituzione e contro ogni tipo di revisionismo storico. Teneva tantissime conferenze ogni anno e voleva tramandare tutto ai piu giovani. Esponeva sempre il fazzoletto di deportato con il triangolo rosso e quello tricolore di partigiano, dovunque andava. Combattè con il mitico Comandante Barbato (Pompeo Colajanni) e per noi Siciliani jonici-etnei è stata una grande perdita. Ha scritto un libro di memorie dal titolo "IL COSTO DELLA LIBERTA'" che meriterebbe grande diffusione.Vi ringrazio.
 
Saluti Comunisti
Andrea Pavone - Circolo Gramsci Riposto

 
E’ morto oggi 21 luglio all’età di 87 anni Nunzio di Francesco, il partigiano “Athos” delle brigate Garibaldi, deportato dai nazisti nel campo di sterminio di Mauthausen. Se ne va così un importante testimone del nostro tempo. Nunzio era nato a Linguaglossa (CT) nel 1924, agricoltore come era rimasto per tutta la vita; nel 1943 l’annuncio dell’armistizio lo aveva colto militare di leva a Venaria, in Piemonte. Fu un “si salvi chi può” e Nunzio trovò rifugio e solidarietà in una cascina dove visse alcuni mesi, maturò intanto la scelta di raggiungere le formazioni partigiane che nascevano sulle montagne circostanti attorno a Pompeo Colajanni, il mitico comandante “Barbato”; fu lui a dargli in nome di battaglia di Athos. Per un anno Athos combatté sulle montagne piemontesi stringendo legami per vita con la gente del luogo. Fu catturato per una spiata nel dicembre 1944, deportato prima a Bolzano, poi a Mauthausen dove passò cinque terribili mesi. Sopravvisse a questa prova e tornato in Sicilia si impegnò nella lotte sociali aderendo al Partito socialista italiano e alla CGIL. Fu un dirigente nelle lotte per la terra, m anche un attento cooperatore nella vitivinicoltura. Fu presidente dell’ANPI (Associazione Nazionale Partigiani d’Italia) di Catania, consigliere nazionale dell’ANED (Associazione nazionale ex deportati nei campi di sterminio nazisti), Presidente onorario dell’ISSICO (Istituto Siciliano per la Storia dell’Italia Contemporanea “C. Salanitro”).
 
Per tutta la vita Nunzio sentì fortissimo il dovere di testimoniare quanto aveva visto e vissuto nel campo di sterminio. La sua caparbia capacità di riflessione lo portò a scrivere una memoria della sua esperienza pubblicata in ben tre edizioni con il titolo di Il costo della libertà (Bonanno editore). Si tratta di una delle più interessanti e ricche testimonianze della lotta partigiana e dello sterminio nazifascista, illuminata da una straordinaria forza, accompagnata da una grande energia vitale che ha portato Nunzio ad essere un instancabile comunicatore, con decine e decine di impegni annui nelle scuole, circoli, parrocchie, università.
 
Nunzio stendeva sul tavolo le sue insegne: il fazzoletto a strisce del deportato e il fazzoletto tricolore del partigiano, li fissava con una pila dei suoi libri e poi avviava un intenso colloquio davanti a centinaia di giovani e meno giovani, che seguivano attenti un così drammatico racconto fatto da un così autorevole testimone.
 
Essere sopravvissuto al campo di sterminio era di per sé un valore e una vittoria, vittoria conseguita nella solitudine e nella umiliante spersonalizzazione a cui il mostruoso sistema concentrazionario condannava le sue vittime avviandole alla morte per stenti, per sfruttamento e per fatica. Nunzio di tutto ciò dava spiegazioni razionali, cercava le cause politiche e sociali, rifiutava l’idea del nazismo come male assoluto, la sua stessa condizione di deportato politico rafforzava la sua argomentazione. La sua posizione di partigiano siciliano, come Colajanni e molti altri, testimoniava sui principi di solidarietà che avevano caratterizzato la ricostruzione della nuova Italia nata dalla Resistenza.
 
Nei suoi discorsi Nunzio trasmetteva una grande passione per la vita e per la libertà. Il suo impegno è continuato fino a poche settimane fa. Lo salutiamo come un grande testimone del nostro tempo, un costruttore di pace e di democrazia nel nostro Paese.

 
Nunzio Di Francesco, dalla Sicilia a Mauthausen
 
di Davide Pappalardo
 
su redazione del 22/07/2011
 
Scalfire i pregiudizi, si sa è compito arduo. Talvolta sorprende però che questi possano annidarsi a sinistra anche su questioni cruciali per la nostra storia, nelle sedi dei partiti o delle associazioni e soprattutto tra le giovani generazioni. Stiamo parlando della credenza consolidata che la Resistenza sia stata quasi esclusivamente una questione settentrionale. Se è vero che la scena delle azioni partigiane si è svolta soprattutto al Centro-Nord, sulle montagne o nelle grandi città e roccaforti operaie del Paese, non si può dimenticare il grande contributo dato dai Meridionali. Le approfondite tesi di laurea, rispettivamente opera di Giuseppe Caltabiano e Giovanna D’Amico dell’Università di Catania, smentiscono questi pregiudizi, avendo censito, per quanto riguarda il solo Piemonte, 2680 partigiani siciliani.
 
E tra questi Nunzio Di Francesco, la cui esperienza resistenziale merita di essere ricordata. Siciliano di Linguaglossa, un paesino etneo in provincia di Catania, Nunzio di famiglia contadina, per mantenere gli studi, comincia a lavorare la terra giovanissimo presso un signorotto locale, accorgendosi ben presto dello sfruttamento della povera gente schiavizzata da salari da fame.
 
A 19 anni, nell’aprile del 1943, il giovane viene chiamato alle armi con destinazione Venaria Reale, in provincia di Torino. A differenza di molti coetanei benestanti, che riescono ad essere esonerati, Nunzio è costretto a fare il soldato, a conferma che le guerre vengono dichiarate dalle classi più ricche ma combattute, per costrizione, dai proletari.
 
Il momento storico è cruciale per il regime. Già nell’estate dello stesso anno in cui Nunzio va in Piemonte, gli Alleati sbarcano in Sicilia e primi episodi di resistenza ai Tedeschi si registrano anche nella provincia da cui proviene il giovane, a Mascalucia e a Castiglione di Sicilia. Episodi quasi sconosciuti che meriterebbero di essere approfonditi dagli storici.
 
Tra il 24 e il 25 luglio il regime fascista capitola. Di qui all’armistizio di Cassibile passano pochi giorni e Nunzio, l’8 settembre, si trova a Torino tra i militari allo sbando, senza direttive. Nel giro di poche ore, il giovane siciliano è messo di fronte ad un bivio, deve compiere una scelta che si rivelerà decisiva, capitale per il suo futuro, ma Nunzio non ha dubbi, decide di resistere alla barbarie nazifascista. Un impegno morale che lo porterà, dopo varie traversie, a ritrovarsi sulle montagne piemontesi nelle fila dei partigiani del leggendario comandante “Barbato”, Pompeo Colajanni, siciliano come Nunzio e futuro liberatore di Torino alla testa delle Brigate Garibaldi. Athos, questo il nome di battaglia di Nunzio, partecipa quindi ad una serie di azioni partigiane e durante un’operazione compiuta per nascondere armi, si imbatte in una pattuglia tedesca. Per sfuggire all’inseguimento si getta in un precipizio, sviene e viene aiutato da una ragazza del luogo che lo nasconde in un pagliaio.
 
Nella notte tra il 5 e il 6 giugno del 1944, in Val Varaita, per attraversare un ghiacciaio, precipita nel buio e viene dato per morto. Salvatosi, ancora una volta in maniera rocambolesca, riesce a raggiungere i compagni, ma in seguito è costretto al ricovero in un convento a causa di una broncopolmonite. La XV Brigata Garibaldi, dopo che si è rimesso in sesto, gli affida il comando di un distaccamento. Athos però, a causa della delazione di un infiltrato fascista, viene catturato nella notte tra il 17 e il 18 ottobre del 1944. Interrogato nel carcere delle SS a Saluzzo, viene condotto nelle prigioni di Torino dove, il 10 dicembre, gli viene letta la sentenza di condanna a morte per aver agito alla testa di una banda armata contro la repubblica di Salò.
 
Viene quindi deportato a Bolzano in un campo di concentramento che gli si para davanti con una scena orrenda, quella di un uomo legato a testa in giù ad un palo e con il viso e le mani annerite dal freddo. Da qui in poi la catena degli orrori si moltiplica in maniera esponenziale. E’ tra i sorteggiati che dovranno pagare con la morte il tentativo di fuga della notte di Natale, ma la punizione reale è un pesante pestaggio e 14 giorni, senza cure, relegato in una cella sotterranea. L’8 gennaio del 1945, viene tirato fuori dalla cella e sorprendentemente ancora in vita, viene inquadrato insieme ad altri 500 prigionieri per partire dalla stazione di Bolzano. Quasi tutti i passeggeri di quel carro-bestiame non torneranno mai più a casa. La destinazione è Mauthausen, ma i prigionieri ancora non lo sanno.
 
Qui, in questa cittadina austriaca trasformata dal campo di concentramento in inferno dantesco, non sarà più né Nunzio né Athos, ma solo un numero, il 115.503. Una matricola che rimarrà indelebile nella sua memoria.
 
A Mauthausen, il prigioniero incontra Carmelo Salanitro, professore di Latino e Greco nei licei di Catania, deportato per la denuncia del preside di una delle scuole in cui insegna e che troverà la morte nella camera a gas il 24 aprile, ad un passo dalla resa dei nazisti. Un incontro che fa riflettere il giovane reso ancora più triste per la prigionia di un pacifico insegnante cattolico tradito perché da insegnante educava gli studenti alla pace, alla libertà e contro le guerre.
 
Nel campo nazista, convivendo con morte, malattia, fame e capricci dei kapò, Nunzio riesce ancora a commuoversi. Negli ultimi giorni del gennaio 1945 a Mauthausen arriva una lunga colonna formata da centinaia di bambini dai 4 ai 12 anni, in maggioranza di origine ebraica. In pochi giorni gran parte di piccoli scompare. I loro corpi sono poi visti ammassati alla rinfusa, pronti per il crematorio.
 
Una data che non dimenticherà mai è quella del suo ventunesimo compleanno, il 3 febbraio, quando assiste ad una scena tremenda: alcune SS lanciano da un piano sopraelevato i bambini vivi, mentre altre dal basso si esercitano su di loro con la pistola e li infilzano da terra con la baionetta. Dopo qualche giorno verrà trasferito al campo di Gusen II, da dove uscirà finalmente libero ma martoriato nel fisico e nello spirito, il 5 maggio. Tornato in Italia, prima a Milano e poi a Torino, dove è convalescente a causa dei danni subiti, dopo un viaggio lungo tre giorni riesce a tornare in Sicilia, a Linguaglossa dove lo aspettano i suoi cari. E qui, subito, ha la prima amarezza dopo il ritorno in patria. Nunzio, partigiano, combattente per la libertà, deve subire le critiche del parroco e di un gruppo di giovani locali delle classi agiate, con cui aveva condiviso la militanza nell’azione cattolica, preoccupati perché la lotta partigiana minaccia di far perdere loro i pochi privilegi che ancora conservano. Nunzio si accorge subito dunque che non è la Sicilia che vorrebbe. Gli alleati hanno ricostruito l’amministrazione locale affidandola spesso ad esponenti della mafia e a vecchi funzionari fascisti ed inoltre avvalendosi delle collaborazione dei grandi proprietari terrieri per impedire lo sviluppo del sistema democratico.
 
Il giovane partigiano deve fare i conti anche con l’ottusità della burocrazia. Nonostante gli attestati del Cln, gli viene negata la pensione di guerra, mentre i reduci fascisti ottengono pensioni, riconoscimenti ed impieghi negli enti pubblici.
 
Ma Nunzio non si piega a queste contrarietà ed un certo tipo di mentalità che tutto tende a zittire e a offuscare e nel dopoguerra continua la battaglia per la libertà su posizioni socialiste, partecipando in prima persona alle lotte sindacali in difesa dei contadini siciliani.
 
Oggi, anche grazie al suo libro “Il costo della Libertà”, moltiplica l’impegno di testimonianza e monito contro la barbarie nazifascista e può essere considerato quindi un ambasciatore della lotta partigiana nei tempi moderni, sempre presente in dibattiti, conferenze, tra le giovani generazioni, nelle scuole, alle manifestazioni sulla Resistenza e prezioso consigliere per tesisti e dottori di ricerca.

 
di Nunzio Di Francesco
 
Ero l'unico siciliano "etneo" già condannato a morte dal Tribunale nazifascista presso Le Nuove di Torino essendo stato catturato il 18.10.1944, assieme a due delle mie squadre della XV Brigata Garibaldi in Val Girba - Busasco - Piemonte, a seguito di una spiata di un indisciplinato partigiano veneto sceso a valle per bere vino. I nazisti lo costrinsero a parlare e durante la notte subimmo una imboscata rimanendo prigionieri senza poterci difendere. Solo la terza squadra, situata più in alto della valle riusciva a sottrarsi alla cattura. Dopo le carceri giudiziarie di Saluzzo e Le Nuove di Torino giunsi a Bolzano a tarda notte del 16 dicembre 1944. Nel mentre che i nazisti ci ispezionavano all'entrata del campo vidi un prigioniero attaccato a un palo, punito forse per un tentativo di fuga. Era conla faccia e le mani anneriti per il forte freddo, la neve era gelata, e per i solchi delle frustate ricevute ben evidenziate sul viso. Acqua, chiedeva borbottando a bassa voce. Mi abbassai per prendere a terra un po' di neve per porgerla fra le sue labbra. Ma sulle spalle mi arrivò un colpo del calcio di fucile da un nazista. Sbattuto a terra venni pestato ed una pedata mi arrivò in faccia rompendomi il setto nasale. Ma bocca e il naso gonfiarono e il dolore era atroce.
 
Venni assegnato nel blocco "E" in un castelletto di legno accanto al blocco "F" delle donne. Dopo qualche giorno riuscivo, aiutato anche dall'altro lato delle donne, a comunicare con una ragazza neveta coetanea (ventenne), catturato solo perché studiava lingua inglese e perché sua madre era scozzese. Quando era possibile ci vedevamo nel recinto spinato davanti ai blocchi, appoggiati al muro dei due baracconi divisi dal filo spinato. Ci guardavamo senza parlare per poi comunicare dal buco del muro confinante coperto entrambi dai due castelletti. In quel breve soggiorno a Bolzano Lei mi diede un gran sollievo morale, inoltre mi portava di fuori sempre qualcosa da mettere fra i denti.
 
Dopo alcuni giorni dal mio arrivo venni avvicinato da un compagno, credevo che fosse un giovane ingegnere bolognese, e che si chiamasse Bolognese; dopo avermi intervistato con un interrogatorio a 360 gradi mi parlò della costruzione del tunnel e che saremmo evasi tutti da quel baraccone nel corso della notte di quel successivo Natale, organizzati in squadre, ripartendo gli anziani fra i giovani per essere aiutati nel corso dell'evasione. Mi fece vedere anche una cartina geografica stampata su un fazzoletto militare e i luoghi di destinazione per sottrarci alla cattura. Accettai di partecipare e anche il mio pagliericcio veniva riempito di terre durante la notte sostituendo i riccioli che venivano bruciati in quella specie di stufa collocata nel centro del baraccone.
 
Il traditore che ci ha spiato, sin da allora pensai che fosse un vecchio alquanto taciturno e appartato. I guai furono creati dagli ultimi minuti del nostro faticoso lavoro lasciando sporco di terra vicino il castelletto ove iniziava il tunnel. Il vecchio lo rapportò al capo blocco. Il capo blocco ne rimase sconvolto e demoralizzato. Io mi accorsi del caso e riferii subito a Bolognese che intervenne subito rassicurando anche il capo blocco. Il traditore, non vedendo agire il capo blocco lo comunicò a quel nazista bolzanino che veniva sempre ad ispezionarci. Ed ecco la fine della nostra ultima speranza verso la libertà.
 
Il primo nucleo che tentò di uscire dissuaso da una raffica, mentre noi rimanemmo terrorizzati nel baraccone. Successivamente entrarono i nazisti nel blocco sbattendoci, con le solite violenze, fuori nel recinto spinato, minacciandoci che se non fossero usciti fuori i responsabili ci avrebbero massacrato tutti, eravamo circa trecento deportati. Rientrati nel baraccone per qualche ora alcuni compagni stabilirono di dichiararsi responsabili, ma erano in pochi, quattro o cinque. Tuttavia seguì la solidarietà di una dozzina di compagni, io ero con loro. Fummo massacrati e poi alcuni portati in cella. Io ricevetti frustate e fui calpestato sul viso, tanto che al rientro dalla prigionia venni ricoverato all'ospedale militare di Torino presso il Mauriziani e fra l'altro subii un intervento al naso per lo spostamento del setto.
 
L'8 gennaio 1945 fummo inquadrati per la stazione di Bolzano per la deportazione a Mauthausen. Un tentativo della Resistenza per evadere dai carri bestiame lungo il percorso non è mancato. Già trovammo un martello e uno scalpello, questa era l'ultima speranza di evadere. Purtroppo, andò peggio anche quest'altro tentativo e i morti con i feriti seguirono con noi lo sciagurato destino.
 
Io andai a finire a Gusen 2 e liberato il 5 maggio 1945. Di questo trasporto su 501 i sopravvissuti siamo stati 47. Il mio numero di matricola era "It 115.503".
 
Fra i compagni del Lager di Bolzano mantenni cordiali rapporto con Piero Caleffi. Ricevetti in omaggio una sua memoria: "Si fa presto a dire fame". Conobbi e ne restai amico, il sacerdote di Trento, solo ora dal T.R. ho appreso che si chiamava don Narciso Sordo. Allora, essendo militante nell'A.C. me lo tenevo come assistente spirituale.

 
Due ore fa ho appreso la notizia della morte del partigiano Nunzio di Francesco. Dolore e rabbia. Dolore per la scomparsa di un uomo che ho avuto il piacere di conoscere, rabbia per un progetto che non ho potuto ultimare. L’ultima volta che ho sentito Nunzio Di Francesco è stata non piu di due settimana fa. Gli avevo chiamato per digli che la prima settimana di agosto sarei andato a trovarlo a casa sua (via del Peculio a Linguaglossa) per realizzare un’intervista video “per capitoli”, che ripercorresse la straordinaria storia di Nunzio di Francesco, seguendo l’ordine del suo libro (“Il Costo della Libertà”). Dopo l’ultimo incontro con Nunzio, tenutosi al Circolo Gramsci il 23 aprile, mi ero reso conto che mancava un lavoro del genere (almeno nella rete), una serie di interviste video in ordine sequenziale e volevo colmarlo quel vuoto. Volevo realizzarle a fine maggio, eravamo messi d’accordo sul giorno e sull’impostazione. Era tutto pronto. Avevo lo zaino verde già preparato, con dentro la videocamera ed il caricabatterie (qualora ce ne fosse stato bisogno, visto che Nunzio era tipo abbastanza loquace), il compagno Vincenzo Fasano aveva dato la disponibilità ad accompagnarmi e sarebbe passato sotto casa mia da lì a breve. Ho dovuto disdire tutto due ore prima, causa dolori allo stomaco particolarmente forti (chi mi conosce sa che ne soffro), ripromettendomi di fare l’intervista piu in là ed avvisando il compagno Di Francesco che ci aspettava. Poi gli esami all’università ed altri impegni con il circolo mi hanno tolto tempo, ma non avevo dimenticato quel progetto. Ad inizio luglio chiamo Di Francesco il quale, tra le altre cose, è ancora disponibile a fare l’intervista video, anche se mi racconta che non sta attraversando un periodo di forma ottimale. La pressione, il diabete, ricordo fossero questi i problemi. Gli replico: “cosa vuoi che siano Nunzio questi problemi per uno che è stato nel campo di sterminio e che ha conosciuto l’orrore del nazi-fascismo?Li supererarei alla grande”. Sorrideva Nunzio al telefono, trapelava un po’ di orgoglio, e mi diceva: “la prima settimana di agosto la faremo. Però sbrigatevi, sono vecchio….”. Quelle parole “però sbrigatevi” adesso pesano quanto un macigno. Ci tenevo davvero a realizzare queste interviste.Ne parlavo proprio ieri alla riunione del mercoledì al Circolo Gramsci, durante il mio intervento. Qualche ora fa la notizia della morte.
 
La prima volta che ho conosciuto Nunzio avevo 17 anni ed ero uno studente del liceo classico “Michele Amari”. Ogni anno si organizzava qualcosa di importante per il 25 aprile ed io, allora rappresentante degli studenti dell’istituto, decisi di chiamare Nunzio di Francesco e Carmelo Mio. Per me, comunista e antifascista, era il massimo. Carmelo Mio, allora Presidente Provinciale dell’ANPI (Associazione Nazionale Partigiani d’Italia), combattente in Valsesia, professore di francese e Nunzio di Francesco deportato a Mauthausen e combattente per la libertà a fianco del mitico Pompeo Colajanni (il comandante Barbato). Non fu concessa l’Aula Magna (qualcuno addusse motivi di pubblica sicurezza e pose l’accento sulla “non manifesta rilevanza dell’incontro”) ma riuscì lo stesso ad organizzare l’incontro in palestra. E quella manifestazione fu un successo. Da un lato l’eleganza di Carmelo Mio che parlava di diritti e rispetto a noi giovani e della barbarie fascista, dall’altro lato la virulenza e l’impeto del Di Francesco che sottolineava la necessità dell’attuazione della Carta Costituzionale e l’importanza delle donne nella Resistenza (tema che avrebbe poi ripreso nell’ultimo incontro tenutosi al Circolo Gramsci). Sono stato orgoglioso di avere organizzato quell’evento a cui diedi molta importanza. Ogni anno rivedevo Carmelo Mio (poi scomparso anche lui all’età di 87 anni nel 2006) e Nunzio Di Francesco (divenuto successivamente Presidente dell’Anpi di Catania) alla manifestazione organizzata il 25 aprile dall’ANPI di Catania e mi fermavo ad ascoltare i loro comizi conclusivi, sempre appassionati e partecipati.
 
Come Circolo Gramsci abbiamo sempre organizzato manifestazioni ed incontri per il 25 aprile, ricordando la resistenza partigiana e la lotta al nazifascismo. L’anno scorso la nuova sede del Circolo Gramsci è stata inaugurata il 22 aprile con un dibattito sull’antifascismo, tenuto dai compagni dell’Anpi di Catania. Quest’anno ho proposto di invitare al tavolo dei relatori il Compagno Nunzio Di Francesco. Cosi il 23 aprile abbiamo organizzato l’incontro dal tema “La Resistenza raccontata dal partigiano Nunzio di Francesco” (le foto sono presenti su Fb), dove il sottoscritto introduceva il tema per poi passare la parola alla testimonianza di Nunzio. Ricordo ancora quando siamo andati a prenderlo: Io, il Compagno Vincenzo Fasano e il Compagno Strano. Gli altri aspettarono in macchina, io salì a casa sua per chiamarlo. Mi fece entrare, si ricordava dell’incontro organizzato qualche anno prima all’Amari. Mi fece vedere il suo studio (proprio dove avremmo dovuto fare l’intervista) con tutte le targhe a memoria dell’impegno da partigiano, con i quadri, i libri, i ricordi. Una casa vecchia ed accogliente quella del compagno Di Francesco a Linguaglossa. Arrivati in macchina iniziò a parlare a raffica, a piu non posso. Memoria lucidissima, ci parlò subito del suo impegno da dirigente sindacale e degli incontri che organizzava nelle scuole, dell’attualità politica, di come alcuni dirigenti si erano snaturati (faceva i nomi dei vari Veltroni, D’Alema che si erano allontanati dalla ragioni del popolo…) e di quanto lontani fossero i tempi della politica che aveva vissuto lui. Non c’era spazio per parlare del passato, almeno in quel momento. Commentava tutte le notizie più recenti, ancora voleva dire la sua e non essere relegato a “mera memoria storica”. Ricordo che lo accompagnammo, prima della riunione, da una sua amica di Riposto per poi passarlo a prendere all’ora convenuta. Lo stesso giorno si inaugurò al circolo lo sportello legale. Subito dopo la mia introduzione saliva in cattedra Nunzio DI Francesco. Contento nel vedere i giovani ed i meno giovani (ricordo mio nonno 80 enne che gli stringeva la mano, quasi commosso, facendogli i complimenti) orgoglioso della presenza dei professori (era contento e me lo manifestò che a seguire la conferenza ci fossero il professore Daniele ed il professore Consoli, esortandoli poi ad intervenire al dibattito), Di Francesco ha tenuto una vera e propria lectio magistralis di oltre due ore sulla difesa della Costituzione, sulla necessità della resistenza nel XXI secolo, sull’importanza della memoria storica contro ogni revisionismo. Parlava Nunzio di quando, ancora giovane, era salito in Piemonte, dei suoi incontri, delle donne che lo avevano aiutato, della prigionia, dell’incontro con Barbato, del campo di Mauthausen dove aveva incontrato “il suo Dante” il professore Carmelo Salanitro (morto nel campo di sterminio), dei giovinetti dai capelli biondi massacrati dai tedeschi per puro divertimento. Non dimenticava niente, non tralasciava i dettagli. Voleva tramandare Nunzio tutto ciò che era possibile. Rimasi esterefatto della resistenza fisica di questo 87 enne che ancora alle 21:00 di quel 23 aprile continuava inarrestabile a raccontare le atrocità del nazifascismo e successivamente a sollecitare il dibattito per poi risponderepunto per punto ad ogni domanda. Finita la conferenza Nunzio si è fermato al Circolo per la cena, prima che lo riaccompagnassimo a casa.
 
Cosi Di Francesco ricorderà quella giornata nella sua relazione mandata all’ANED e all’ANPI
 
22/04/2011 : Riposto ( Catania), presso il Circolo Culturale “ A. Gramsci”, un qualificato incontro con studenti, docenti e molti cittadini di Giarre e Riposto. Qualificate sono le interviste dei partecipanti. Vengono acquistati molte copie de “ Il Costo della Libertà”. A tarda notte viene offerta la cena della cucina collocata al Circolo. Dopo riaccompagnato a Linguaglossa.
 
Ho avuto modo di leggere il suo libro “Il costo della libertà” e di apprezzarne lo stile essenziale, diretto e pungente. L’ultima volta che gli chiamai mi disse di mettermi in contatto con una Professoressa di Avola perché aveva una copia di un altro suo volume difficilmente reperibile (che adesso non ricordo) e avrebbe potuto spedirmelo.
 
Poi dovevamo fare la famosa intervista video che, purtroppo, non si potrà piu fare.Resta il vivissimo ricordo di un grande uomo, un combattente per la libertà, un sincero democratico che ha dato la vita per un mondo diverso, migliore e che ho avuto il piacere e l’onore di conoscere.
 
Nella dedica mi ha scritto “La memoria è conoscenza, la conoscenza è libertà. Ad Andrea per dare un futuro alla memoria”.
 
Grazie partigiano Athos, Ora e Sempre RESISTENZA!
 
Andrea Pavone
 

Resistenze.org     
Sostieni una voce comunista. Sostieni Resistenze.org.
Fai una donazione o iscriviti al Centro di Cultura e Documentazione Popolare.

Support a communist voice. Support Resistenze.org.
Make a donation or join Centro di Cultura e Documentazione Popolare.