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da La voce del G.A.MA.DI.
su casarrubea.wordpress.com/2010/10/31/pio-xii-sotto-il-cielo-nero-di-roma/
 
Pio XII: Sotto il cielo (nero) di Roma
 
di Giuseppe Casarrubea e Mario J. Cereghino
 
31/10/2010
 
Ogni chiesa ha i suoi chierichetti. Assistono il prete durante la messa, portano il secchiello dell’acqua benedetta e i santini per i fedeli. O, meglio ancora, per gli infedeli. Se ne trovano a tutte le età, anche se sono per lo più ragazzi allevati nelle parrocchie con corsi per catecumeni. Si distinguono perché hanno un contegno, uno stile comunicativo, che lo stesso esercizio del chierichetto obbliga ad avere. Toni persuasivi, quasi da confessori, voce bassa e sicurezza per le proprie verità. Sono espressioni, direbbe Foucault, del potere che deforma e rende gli uomini a sua immagine e somiglianza.
 
Un esempio di chierichetto in una messa televisiva solenne è il solito Bruno Vespa con il suo “Porta a Porta”. Imperversa da tempi immemorabili su Rai Uno tutte le sere tra il lunedì e il giovedì, in seconda serata. Come le febbri malariche endemiche che si presentavano a intermittenza e che gli antichi, non sapendo come definire, chiamavano terzane maligne e quartane.
 
Giovedì 28 ottobre, il tema era il film in due parti “Sotto il cielo di Roma” che andrà in onda, appunto nella parrocchia di Rai Uno, domenica 31 ottobre e lunedì 1° novembre, in prima serata.
 
I conteggi l’hanno fatta da padrone tra il surreale e l’osceno. Va’ be’, dicevano i sacerdoti della sacra audience televisiva, saranno pure stati deportati mille ebrei romani tra il 16 e il 18 ottobre 1943, finiti qualche giorno dopo nelle camere a gas del campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau. Ma, diciamocelo, il principe romano Eugenio Pacelli, passato alla storia come papa Pio XII, in fondo ne ha salvati più di quattromila in conventi e monasteri, nei mesi dell’occupazione tedesca.
 
Bisognava vederli Paolo Mieli, presidente della Rcs libri, e l’inossidabile Bruno, inforcare gli occhialini da vista per spiegare al popolo numeri e statistiche. Certo, il buon Pacelli ha fatto opera di carità, non c’è dubbio. Se n’è stato zitto zitto nelle sue stanze del palazzo apostolico in quei giorni tragici, mentre sotto le sue finestre scorrevano le fila interminabili di ebrei prelevati dalle loro case romane come animali e condotti ai vagoni ferroviari per avviarli verso la morte. E se Pio XII avesse alzato la voce, hanno aggiunto, altre migliaia di inermi cittadini sarebbero stati cacciati a calci e pugni dentro i carri bestiame della stazione Tiburtina. Non vi è dubbio.
 
Bella storia ci raccontano Vespa, Mieli e gli altri ospiti presenti in studio. Bel servizio pubblico ci rende la Tv di Stato. Quasi che la disputa fosse sull’odio o l’amore che Pacelli provava nei confronti del popolo eletto. Una sciocchezza, questa dell’avversione atavica verso gli ebrei da parte del Vaticano, grande quanto il cupolone di San Pietro.
 
I documenti ci offrono scenari diversi. Sono carte che abbiamo raccolto negli ultimi tre anni negli archivi nazionali britannici di Kew Gardens, non lontano da Londra. E’ stato un lavoro metodico, di scavo tra le migliaia di rapporti del Foreign Office e del German Foreign Ministry (Ministero degli Esteri tedesco), sequestrati dalle truppe alleate a Berlino nel 1945 e copiati uno per uno a Londra e a Washington negli anni successivi. Un patrimonio di inestimabile valore costituito da milioni e milioni di documenti. Nel nostro Archivio di Partinico, in via Catania 3, ne conserviamo varie centinaia riguardanti, appunto, le attività di Pacelli nei primi anni del conflitto.
 
“Con la sconfitta della Russia, risulterebbe quanto meno inevitabile il forte indebolimento dell’influenza bolscevica nel mondo.” Così si esprime un membro della Curia romana dinanzi all’ambasciatore germanico presso la Santa Sede, il 24 giugno 1941. Sono passate appena quarantotto ore dall’attacco di Hitler contro l’Unione sovietica. “Si è temuto che il bolscevismo emergesse come potenza europea e che, anzi, rimanesse incolume a livello planetario fino alla fine del conflitto.” Peccato che il tentativo di indebolire il bolscevismo sia costatao la vita a trenta milioni di persone sul fronte orientale. E meno male che la Chiesa cattolica romana si manifesta come apostolica.
 
Ma la santa pietà non finisce qui. Il 12 luglio 1941, il ministero degli Esteri tedesco redige un corposo documento segreto intitolato “Rapporto sulle attività del Papa”. Le informazioni provengono da un “confidente attendibile” che, qualche settimana prima, ha appreso di un colloquio animato tra il rappresentante statunitense in Vaticano, Harold Tittman, e Pacelli. Tittman chiede al pontefice ragguagli sull’eccessiva tolleranza della Santa Sede nei confronti dei dittatori. Pacelli risponde piccato: “Gli Stati Uniti dovrebbero comprendere la posizione del Vaticano. Il conflitto russo-tedesco sta per cominciare. Il Vaticano farà di tutto per accelerarne lo scoppio e per convincere Hitler ad agire, con la promessa di un sostegno morale. La Germania dovrebbe sconfiggere la Russia, ma si indebolirebbe a tal punto che, nei suoi confronti, si potrebbe procedere [da parte degli Usa e della Gran Bretagna] in maniera totalmente diversa.”
 
In buona sostanza, il papa cerca di far credere a Tittman che l’appoggio del Vaticano a Hitler è una strategia sottile che ha un duplice scopo: la sconfitta dell’Urss, con il conseguente annientamento del bolscevismo, e l’inevitabile indebolimento della Germania nazista che, seppur vittoriosa, sarebbe costretta, obtorto collo, a trovare un accordo geopolitico con gli Usa e la Gran Bretagna. Un’idea, questa, abbastanza diffusa all’epoca. Anche negli Usa, se è vero che il futuro presidente americano John F. Kennedy lo scriveva nei suoi articoli.
 
Il 10 dicembre 1942 Picot, un funzionario del ministero degli Esteri tedesco, invia all’ambasciata presso la Santa Sede in Roma, una nota confidenziale. Vi si afferma che il rappresentante di Roosevelt in Vaticano, Myron Taylor, si è incontrato con il papa per discutere un eventuale negoziato di pace tra le potenze belligeranti. Pacelli se ne esce con una frase agghiacciante. I governi di Stati Uniti e Gran Bretagna, a suo parere, “non sarebbero in grado di opporsi sufficientemente alla pressione dei partiti comunisti. In maniera inevitabile, un’ulteriore espansione del bolscevismo in Inghilterra e in America, porterebbe il Vaticano ad avvicinarsi alle potenze dell’Asse, che diverrebbero un bastione contro il bolscevismo e con le quali la Chiesa potrebbe sicuramente stabilire un’intesa dopo la guerra.
 
Il 23 febbraio 1943, von Bargen, un diplomatico tedesco con sede a Bruxelles, invia a Berlino una nota segreta. Vi si legge di un colloquio avvenuto qualche settimana prima a Roma tra il cardinale francese Suchard e Pacelli. Secondo lo spionaggio nazista “il papa è turbato dai successi militari dei russi e dalla possibilità di un crollo della Germania, che aprirebbe la strada al bolscevismo in Europa. [...] Il papa è angosciato innanzitutto dalla minaccia bolscevica.
 
Meno di un mese dopo, un diplomatico tedesco presso la Santa Sede, Erdmannsdorff, riferisce a Berlino su un colloquio avvenuto ai primi di marzo tra Pacelli e il cardinale americano Spellman. A poco servono le rassicurazioni di quest’ultimo sul “pericolo bolscevico”, un prodotto della propaganda tedesca. Leggiamo: “Spellman, come già Myron Taylor, ha ricevuto da Roosevelt l’incarico primario di tranquillizzare il papa sul fatto che il governo sovietico non mira a bolscevizzare l’Europa. Tuttavia, gli ambienti vaticani più influenti ritengono, come in passato, che la Russia non ha rinunciato ai suoi piani di bolscevizzazione del mondo.”
 
In luglio, l’ambasciatore tedesco presso la Santa Sede, von Weiszaecker, riferisce a Berlino di aver illustrato al papa “l’impegno tedesco contro il bolscevismo”. E aggiunge: “Il colloquio, che è durato mezz’ora, è stato sostenuto dal papa in maniera apparentemente pacata. Ma il suo fervore spirituale si è infiammato quando è stata affrontata la questione della lotta contro il bolscevismo, riconoscendo che, su questo tema, gli interessi sono comuni.”
 
Il 3 settembre 1943, von Weiszaecker scrive: “Un vescovo della Curia mi ha confidato che secondo il papa, per il futuro della Chiesa cattolica è assolutamente necessario un Reich tedesco forte. E da una trascrizione attendibile di un colloquio sostenuto da un pubblicista politico italiano con il papa, apprendo che questi, ad una domanda sul popolo tedesco, ha così risposto: ‘E’ un grande popolo. Nella lotta contro il bolscevismo, ha versato il suo sangue non solo a beneficio dei suoi alleati, ma anche dei suoi attuali nemici. Non posso pensare che il fronte russo finisca per essere travolto’ [dall’Armata rossa].”
 
L’8 ottobre lo stesso ambasciatore tedesco annota che “l’aspetto più inequivocabile della politica estera vaticana è oggettivamente l’avversione al bolscevismo. [...] Come minimo, la Curia desidera che la Germania sia forte e unita, una barriera contro la Russia sovietica”. E continua: “Il papa è dell’opinione che per il momento non sia possibile intraprendere colloqui di pace. Su questo punto, ora, la politica papale non vede altro sostegno contro il bolscevismo che non sia quello tedesco.”
 
L’Office of Strategic Services statunitense, alla fine del 1943, redige un documento segreto sulla situazione nella Santa Sede al 13 dicembre 1943. Apprendiamo, così, che durante un colloquio con von Weiszaecker, Pacelli si è così espresso:
 
“Il papa si augura che i nazisti mantengano le posizioni militari sul fronte russo e spera che la pace arrivi il prima possibile. In caso contrario, il comunismo sarà l’unico vincitore in grado di emergere dalla devastazione bellica. Egli sogna l’unione delle antiche nazioni civilizzate dell’Occidente per isolare il bolscevismo a Oriente. così come fece papa Innocenzo XI, che unificò il continente [l’Europa] contro i musulmani e liberò Budapest e Vienna.”
 
In un rapporto inviato da Kaltenbrunner, responsabile della Sipo e dell’Sd, a von Ribbentrop, ministro degli Esteri germanico, il 16 dicembre 1943, leggiamo, tra l’altro, che “il papa ha infine affrontato il tema del pericolo bolscevico su scala mondiale, lasciando intendere che fino a questo momento soltanto il nazionalsocialismo ha rappresentato una roccaforte contro il bolscevismo”.
 
Ce n’è abbastanza per tirare una prima valutazione sulla politica di Pio XII nei confronti di ciò che accade sullo scacchiere internazionale nei primi anni del conflitto.
 
Il papa valuta le forze in campo e opera una scelta preferenziale tra quelle in grado di assicurare al cattolicesimo il predominio sul laicismo. Sono forze che nella sua schematizzazione ideologica si oppongono, in primis, al comunismo. Ma anche all’ateismo, al liberismo, al capitalismo, alla democrazia partecipativa a suffragio universale. Aspetti tutti che esplicitano le molteplici forme della contemporaneità, così come emergono lungo il corso della prima metà del Novecento e da cui si svilupperanno le strategie di consenso di Giovanni Paolo II e del suo ideologo Joseph Ratzinger.
 
Il tema del “silenzio” di Pio XII sull’Olocausto, ovvero del perché in sei anni di guerra Pacelli non denunciò mai apertamente la persecuzione e lo sterminio degli ebrei, è la diretta conseguenza di un’impostazione storiografica errata e, quindi, fuorviante. E’ un falso problema.
 
Poteva mai Pacelli condannare apertamente il nazismo, se egli vedeva in questo (a differenza del suo predecessore Pio XI) il regime che, per primo, avrebbe liberato l’Europa e il mondo dal comunismo sovietico? E cioè dalla creatura più bestiale e demoniaca che il Novecento avesse mai partorito?
 
Naturalmente, nella fiction televisiva, di tutto questo non c’è traccia alcuna. Ci troviamo di fronte, tanto per cambiare, alle solite forme della propaganda occulta di antica memoria. Per quanto si tratti di un prodotto ineccepibile sotto il profilo tecnico, l’impressione che se ne ricava, stando alle anticipazioni, è di un’opera, scusate la parola grossa, pavoliniana. E meno male che, secondo Fabrizio Del Noce, direttore di Rai Fiction, la Rai si è affidata a una “commissione di storici importante”. Chissà, allora, cosa sarebbe successo se la Tv che noi finanziamo ne avesse fatto a meno.
 
Dice bene Corrado Augias su “la Repubblica” del 15 ottobre scorso: “Lo scopo della fiction è tratteggiare al meglio una figura preparandola alla santità. Non è da sceneggiati come questo che si può pretendere una sia pur approssimativa verità storica.”
 
Giuseppe Casarrubea e Mario J. Cereghino
 
 

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