La radio – Un’invenzione antidiluviana ?
Di Bertolt Brecht
(1932)
Ricordo ancora in quali termini
sentii parlare per la prima volta della radio. I giornali pubblicavano notizie
ironiche sul vero e proprio radio-uragano che stava devastando l'America. Cionondimeno
si aveva l'impressione che non si trattasse soltanto di una moda ma di un
fenomeno veramente moderno.
Quando più tardi anche da noi si poté sentire la radio, questa impressione non
tardò molto a dileguarsi. Naturalmente in un primo momento ci si domandò
stupiti da dove venissero questi spettacoli fatti di suoni, ma poi questo
stupore cedette il posto a un altro: ci si stupì del genere di spettacoli che venivano dall'etere. Rappresentava
un enorme trionfo della tecnica il fatto che da quel momento si potessero
finalmente rendere accessibili a tutto il mondo un valzer viennese e una
ricetta di cucina. Per così dire da dietro le spalle.
Era qualcosa che faceva epoca, ma a che. serviva? Ricordo una vecchia storia in
cui qualcuno vantava davanti a un cinese la superiorità della civiltà
occidentale. Egli chiese: «Voi che cosa avete?» Gli risposero: «Ferrovie,
automobili, telefono». «Sono spiacente di dovervi dire, - replicò cortesemente
il cinese, - che queste cose noi le
abbiamo già dimenticate». Per quel che riguarda la radio, ho avuto subito la
terribile impressione che si trattasse di un congegno incredibilmente antico,
caduto a suo tempo in oblio in seguito al diluvio universale.
Da noi c'è la vecchia abitudine di andare a fondo di tutte le cose, anche delle
pozzanghere meno profonde, in mancanza di meglio. Consumiamo una quantità
enorme di cose di cui possiamo andare a fondo. E abbiamo pochissima gente
disposta, ove sia il caso, ad astenersene. Il fatto è che ci lasciamo
continuamente menare per il naso dalle possibilità.
Le città che ora vedete sorgere tutt'intorno senza dubbio sono sembrate
sorprendenti a una borghesia completamente esausta, logorata da fatti e
misfatti. Finché resteranno nelle mani di questa borghesia, esse continueranno
ad essere inabitabili. La borghesia le giudica esclusivamente sulla base delle
chances che esse spontaneamente le offrono. È questo il motivo per cui tutte le
cose e tutti i meccanismi in cui siano insite delle «possibilità» vengono
enormemente sopravvalutati. Dei risultati non si preoccupa nessuno. Ci si
occupa semplicemente delle possibilità. Nel caso della radio i risultati sono
vergognosi, le possibilità sono «illimitate». Quindi la radio è una «buona
cosa».
E’ una pessima cosa invece.
Se credessi che questa borghesia sopravviverà ancora cent'anni, sono sicuro che
per altri cent'anni continuerebbe a cianciare delle enormi «possibilità»
insite, per esempio, nella radio. Chi apprezza la radio, lo fa perché vede in
essa un oggetto per il quale si può inventare «qualcosa». Ed avrebbe certo
ragione nel momento stesso in cui si inventasse «qualcosa» per cui, se già non
ci fosse, si dovrebbe inventare la radio. In queste città l 'avvio a ogni tipo
di produzione artistica è dato da un uomo che va dall'artista per dirgli che
lui ha una sala. Dopo di che l'artista interrompe il lavoro che aveva
intrapreso per un'altra persona che gli aveva detto di avere un megafono. Il
mestiere dell'artista consiste infatti nel trovare qualcosa che serva a scusare
a posteriori l'avventatezza di cui si è dato prova fabbricando sala e megafono.
È un mestiere difficile e un tipo di produzione malsano.
Vorrei tanto che questa borghesia dopo l'invenzione della radio ne facesse
anche un' altra: un' invenzione che permettesse di fissare per tutti i secoli
avvenire ciò che è possibile trasmettere per radio. Le generazioni future
avrebbero così l'opportunità di assistere stupite al fenomeno di una cassetta
che, avendo reso possibile a tutto il globo di ascoltare ciò che aveva da dire,
ha contemporaneamente reso possibile a tutto il globo di vedere che non aveva
niente da dire. Un uomo che abbia qualcosa da dire e non trovi chi l'ascolta,
se la passa male. Ma ancor peggio se la passano gli ascoltatori che non trovano
nessuno che abbia qualcosa da dir loro.