www.resistenze.org - cultura e memoria resistenti - linguaggio e comunicazione - 25-03-18 - n. 667

Selfie

Luis Britto García | luisbrittogarcia.blogspot
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

17/03/2018

1 - Sfrutto un istante in cui non ho niente fare, per fare niente: mi faccio un selfie. Fotografia di qualcuno che si fotografa, specchio congelato, immagine dell'Io catturata per uso dello stesso; concrezione pietrificata di Narciso, il selfie imprime il fugace istante in cui non succede niente, perché un selfie centrato su qualcosa non è selfie, è volgare fotografia.

2 - Successive e false strategie di comunicazione mi portano inevitabilmente al selfie. La presenza dell'altro o davanti all'altro, che è compromettente, è stata sostituita dal telefono, che può essere ignorato o sospeso, e questo per la posta elettronica la cui risposta può essere posticipata od omessa e questo per i social network, che sono tutto meno che sociali perché mentono quando inviare un saluto, un'immagine, un pettegolezzo quasi sempre confezionato da assenti, è comunicare. Con il selfie culminano i sotterfugi per evitare il contatto con l'altro attraverso la possibilità di cancellarlo. Il selfie ammette solo la compagnia come accessorio all'immagine di sè: c'è lì un altro che esiste solo perché era insieme a me; non è un individuo, bensì un ambiente dell'io. Gli altri sono finiti.

3 - L'inchiesta Enjuve 2013 rivela che il passatempo preferito dai giovani venezuelani è la fotografia. Sicuramente questo risulta dal boom del telefono cellulare con la fotocamera, che facilita l'aberrazione del tempo, l'immagine dell'io preso da sé. Così il cellulare, strumento di intrusione con terzi, diventa un meccanismo di esclusione, un veicolo senza messaggi in cui si confondono mittente e destinatario. Cadiamo così nel buco nero del sistema contemporaneo di comunicazione: mentre questo suppone l'esistenza di un'emittente e un ricevitore, nel mondo dei selfie sono entrambi la stessa ed unica persona. Non c'è neanche la comunicazione di un strato profondo con la superficie o viceversa: il selfie è tutto superficie.

4 – Volevamo arrivare qui, non volevamo altro che comunicare escludendo gli altri, soppiantare gli altri con uno con il quale è impossibile comunicare. Premo il pulsante sulla fotocamera che scatta il selfie. Il selfie consente di ridurre il cosmo a un accessorio. Si potrebbe anche rinunciare all'immagine di sé, che non porta novità, dall'immagine della macchina fotografica stessa nell'atto di scattare un'immagine che non rivela nient'altro che l'immagine dell'immagine.

5 - Con il selfie cancello tutti i sotterfugi per non comunicare con l'altro, mediante il ricorso a cancellarlo. Nella selfie ammetto solo il terzo per la sua relazione con me; ogni individuo è ridotto ad oggetto o aggettivo o appendice dell'io. La tecnica ci offre già quella fotografia della voce, chiamata registrazione; potrebbe offrirci anche un'altro odore o il selfie tridimensionale del clone. Ma non cerco con il selfie l'intensificazione, bensì l'attenuazione: mi riduco ad immagine immobile, senza spessore, senza divenire: omettendo il contatto con quello che mi circonda, il selfie è il sé privo degli attributi dell'esistenza.

 6 - Pensiamo allora ad un mondo abitato da selfie che non devono rispondere perché non sollevano domande. Come le monadi di Leibniz, ognuna può ignorare le altre. Proprio come un selfie è preso da se stesso, niente può comunicare a nessuno se non che a se stessi, a cui si nega tutto ciò che non sia un istantaneo e superficiale. Quando finalmente avremo il selfie del mondo, sarà perfetto, perché sarà sparito.


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