www.resistenze.org - cultura e memoria resistenti - linguaggio e comunicazione - 17-11-19 - n. 729

Il golpe in Bolivia: cinque lezioni 

Atilio A. Boron | pagina12.com
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

15/11/2019

La tragedia boliviana insegna con eloquenza diverse lezioni che i nostri popoli e le forze sociali e politiche popolari devono imparare e incidere nelle loro coscienze per sempre. A seguire un breve elenco, a preludio di una descrizione più dettagliata in futuro.

Prima. Per quanto l'economia sia gestita in modo esemplare, come è stato per il governo di Evo, sia garantita la crescita, la redistribuzione, il flusso di investimenti e il miglioramento di tutti gli indicatori macro e microeconomici, la destra e l'imperialismo non accetteranno mai un governo che non si metta al servizio dei loro interessi.

Seconda. Si devono studiare i manuali pubblicati da varie agenzie statunitensi e dai loro portavoce mascherati da accademici o giornalisti, per riuscire a percepire in tempo i segnali dell'offensiva. Questi scritti sottolineano invariabilmente la necessità di distruggere la reputazione del leader popolare, quello che nel gergo specialistico si chiama assassinio del personaggio ("character assasination"), qualificandolo come ladro, corrotto, dittatore o ignorante. Questo è il compito affidato ai comunicatori sociali, autoproclamatisi "giornalisti indipendenti", che grazie al loro controllo quasi poliziesco dei media penetrano il cervello della popolazione con simili diffamazioni, accompagnate, nel caso specifico, da messaggi di odio rivolti contro i popoli originari e i poveri in generale.

Terza. Una volta ottenuto tutto ciò, arriva il turno della dirigenza politica e delle élite economiche che reclamano "un cambiamento" per porre fine alla "dittatura" di Evo che, come scritto pochi giorni fa dall'impresentabile Vargas Llosa, è un "demagogo che vuole perpetuarsi al potere". Lo immagino brindare a champagne a Madrid, guardando le immagini delle orde fasciste che saccheggiano, bruciano, incatenano giornalisti a un palo, rasano un sindaco donna, dipingendola di rosso e distruggendo gli atti delle ultime elezioni per adempiere al mandato di don Mario e liberare la Bolivia da un maligno demagogo.

Cito il suo caso perché è stato ed è l'immorale portabandiera di questo vile attacco, di questo tradimento senza limiti che crocifigge la leadership popolare, distrugge una democrazia e stabilisce il regno del terrore delle bande di sicari ingaggiati per spaventare un popolo degno che ha avuto l'audacia di voler essere libero.

Quarta. Entrano in scena le "forze di sicurezza". In questo caso stiamo parlando di istituzioni controllate da numerose agenzie, militari e civili, del governo degli Stati Uniti.

Questi le addestrano, le armano, fanno esercitazioni congiunte e le educano politicamente. Ho avuto occasione di constatarlo quando, su invito di Evo, ho inaugurato un corso sull' "Antimperialismo" per alti ufficiali delle tre armi. In quell'occasione fui sopraffatto dal grado di penetrazione delle più reazionarie parole d'ordine americane ereditate dall'epoca della Guerra Fredda e dall'indiscussa irritazione causata dal fatto che un indigeno fosse presidente del loro paese.

Queste "forze di sicurezza" si sono ritirate dalla scena e hanno lasciato il campo libero all'azione incontrollata delle orde fasciste, come quelle che hanno agito in Ucraina, in Libia, in Iraq, in Siria per rovesciare o cercare di farlo in quest'ultimo caso, leader sgradevoli all'impero - e così intimidire la popolazione, i militanti e le stesse figure di governo. Quindi si configura una nuova figura sociopolitica: il golpismo militare "per omissione", che permette alle bande reazionarie, reclutate e finanziate dalla destra, di imporre la loro legge. Una volta che regna il terrore e di fronte all'impotenza del governo, l'esito era inevitabile.

Quinta. La sicurezza e l'ordine pubblico non avrebbero mai dovuto essere affidati in Bolivia ad istituzioni come la polizia e l'esercito, colonizzate dall'imperialismo e dai suoi lacchè della destra autoctona. Quando fu lanciata l'offensiva contro Evo, si scelse una politica di pacificazione e di non risposta alle provocazioni dei fascisti. Ciò servì ad incoraggiarli e ad aumentare la posta in gioco: primo, esigere votazioni, poi, frode e nuove elezioni; poi subito elezioni, ma senza Evo (come in Brasile, senza Lula); successivamente dimissioni di Evo; infine, di fronte alla sua riluttanza ad accettare il ricatto, seminare il terrore con la complicità di poliziotti e militari e costringere Evo a dimettersi.

Da manuale, tutto da manuale. Impareremo queste lezioni?


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