www.resistenze.org - cultura e memoria resistenti - linguaggio e comunicazione - 20-06-23 - n. 870

L'informazione come prodotto di consumo

Jorge Majfud | rebelion.org
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

17/06/2023



Il paragone tra l'industria degli hamburger e quella dei libri si ricollega a quanto abbiamo esposto in precedenza: il mercato sfrutta debolezze ancestrali, come il premio neuronale per zuccheri e grassi (Coca-Cola e BigMac), in modo analogo il nostro cervello si collega facilmente a un evento violento, sia esso un incidente, una rissa al bar o un conflitto bellico. In questo senso, l'iper-commercializzazione della storia recente prosegue e radicalizza questa condizione.

La crescente violenza fascista nei "Paesi sviluppati" (dovuta essenzialmente alla loro perdita di potere nel controllo e nell'estrazione di ricchezza dai Paesi del Terzo mondo e alla loro crescente incapacità di esportare la violenza in guerre neocoloniali che uniscono e mascherano le loro contraddizioni interne) è stata rafforzata dal mercato della violenza mediatica. Alla fine del XX secolo, nella televisione statunitense il consumo di programmi e immagini violente rivolte ai bambini di età compresa tra un anno e la preadolescenza era aumentato considerevolmente, nonostante la Guerra fredda fosse finita quasi un decennio prima. Allo stesso tempo, questo stesso mercato stava creando un esercito di acquirenti adolescenti compulsivi.

Nel 1997, l'80% delle ragazze tra i 13 e i 17 anni ammetteva di "amare lo shopping" e di fare il 40% di visite in più al centro commerciale rispetto al resto della popolazione. Un anno dopo, una scuola superiore della Georgia ospitò un evento sponsorizzato dalla Coca Cola. Una studentessa, con lo spirito di ribellione che si addice alla sua età e soprattutto, al momento storico contrassegnato dal consumismo e dalle mega-corporazioni, decise di indossare una maglietta con il logo della Pepsi-Cola. Per questo, venne sospesa dalle autorità dell'istituto. Ciò che potrebbe sembrare assurdo a un estraneo, è stato confermato dai guru del mercato, che da allora mirano non solo a privatizzare la sicurezza sociale e altri servizi, ma anche il resto del sistema educativo che è ancora nelle mani degli Stati. Il politico conservatore, lobbista e capo della Christian Coalition of America (CCA), Ralph Reed, ha affermato con convinzione: "Abbiamo bisogno di una rivoluzione nell'istruzione, la stessa rivoluzione che abbiamo avuto nella televisione e nelle telecomunicazioni". Il mercato dell'attenzione ha capito perfettamente che era più facile catturare i nuovi consumatori e garantire un massiccio lavaggio ideologico sostituendo l'istruzione con l'intrattenimento.

Nel saggio "Ci sono alternative", pubblicato nel 1998, il filosofo Jünger Habermas è stato categorico: "Non credo che possiamo farci illusioni sul pubblico di una società in cui i mezzi di comunicazione commerciali danno l'esempio". Naturalmente, come dicevano la NBC e le lobby commerciali negli anni Trenta, tutte queste opinioni non commerciali sono irrealistiche, infantili, contrarie alla libertà e alla democrazia. Dopo tutto, Habermas, come il professor Einstein o il pioniere dell'informatica moderna Alan Turing e i filosofi o gli inventori degli ultimi secoli sono stati tutti poveri, irrealistici e falliti.

Oggi, negli Stati Uniti, esiste una rete televisiva pubblica, la PBS e una rete radiofonica, la NPR. Fino alla presidenza di Ronald Reagan, la maggior parte delle loro entrate proveniva dal governo federale, che nei decenni successivi si è ridotto a un misero 15 percento, nel continuo tentativo di renderle, se non private, almeno reti commerciali. Nonostante siano i maggiori produttori di contenuti culturali e giornalistici professionali del Paese, ogni anno devono elemosinare donazioni dal loro pubblico per integrare i loro bilanci in diminuzione, sempre sotto attacco da parte dei politici conservatori e delle aziende che li finanziano, che capiscono che l'esistenza di un media dipende dai suoi ascolti. D'altra parte, come ha osservato Robert McChesney, "l'ultima cosa che le reti commerciali vogliono è che la PBS e la NPR competano per la pubblicità, soprattutto tra il pubblico istruito e di classe medio-alta". Quando nel 1998 il governo francese ha limitato la pubblicità sulla televisione pubblica, TF1, la più grande rete commerciale del Paese, ne ha improvvisamente beneficiato.

Nel 1998, Leslie Moonves, presidente della CBS Television, ammise alla stampa che la decisione della rete di ridurre l'elenco dei programmi a quelli che non avrebbero offeso gli inserzionisti era "assolutamente comune". Nello stesso anno, i giornalisti Jane Akre e Steve Wilson della News Corp. TV in Florida, di proprietà del magnate Rupert Murdoch, furono licenziati per aver lavorato a un'inchiesta sulle pratiche della Monsanto. Uno dei dirigenti del network, senza un attimo di esitazione, spiegava così la logica della decisione: "Abbiamo pagato tre miliardi di dollari per queste stazioni televisive. Siamo noi a decidere cosa è una notizia e cosa no. Le notizie sono quelle che decidiamo noi".

Questa non è un'eccezione. Corporation giganti come Procter & Gamble, ad esempio, hanno agenzie che monitorano tutti i programmi televisivi in cui pubblicizzano i loro shampoo, dentifrici, detersivi, patatine e bibite, in modo da non farlo in programmi con contenuti troppo critici. Nel 2020, l'azienda aveva un fatturato di 75 miliardi di dollari, commercializzando un centinaio di marchi per miliardi di consumatori in 140 Paesi.

Quei gruppi sconfitti che sostenevano il mantenimento di almeno una percentuale di nuovi media destinati all'istruzione e alla cultura non commerciale, non solo hanno perso la battaglia nell'era della radio (negli anni '30) e in quella di un'altra novità creata e sviluppata con denaro pubblico e da università non commerciali, Internet (anch'essa privatizzata negli anni '90), ma, come se non bastasse, questi stessi megaconglomerati giornalistici sono penetrati nelle università, persino nelle scuole di giornalismo, con la presunzione di "conoscere la realtà", come se la "realtà" facesse parte di una natura esterna e non fosse una creazione di quello stesso mercato, di quella stessa ideologia degli affari.

Un'ideologia che è penetrata anche in altri settori, nelle facoltà e nelle scuole universitarie, trasformandole in fornitori di dipendenti su misura e obbedienti, trasformando gli studenti in clienti e i consumatori in maiali affamati - con tutto il rispetto per questi nobili e sensibili animaletti che vengono anch'essi sacrificati a milioni ogni anno.

(dal libro Moscas en la telaraña in pubblicazione nel 2024)


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