www.resistenze.org - cultura e memoria resistenti - linguaggio e comunicazione - 03-11-23 - n. 880

Lotta di classe o collaborazione: le parole per dirlo!

Partito rivoluzionario Comunisti | sitecommunistes.org
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

25/10/2023

Se l'avversario di classe costruisce un vocabolario che evita la lotta dal suo campo semantico, è perché le parole hanno un senso e sono cariche di un significato preciso. Non sono neutre, soprattutto nel campo della lotta di classe. A partire dalla stessa parola classe che, pur essendo ampiamente utilizzata per descrivere la struttura sociale, è sempre affiancata da un aggettivo che le conferisce un significato in termini di posizione assunta rispetto alla realtà della lotta di classe.

Così, quando è accompagnata dalla parola "media", descrive la classe media come gruppo sociale in termini di reddito, ma senza alcuna relazione con il posto che occupa nei rapporti di produzione capitalistici. Al contrario, quando è accompagnata da "operaia" o "lavoratrice", attribuisce una funzione e una posizione a questa classe operaia o lavoratrice nella produzione capitalistica e si riferisce a una divisione della società in classi: la classe in sé e anche al di là della coscienza di questa classe di essere una classe e di agire come tale - ciò che i sociologi chiamano la classe per sé stessa.

L'ideologia dominante, quella della classe capitalista dominante, ha fabbricato tutta una serie di espressioni volte a mascherare la realtà della natura antagonista e irriducibile del capitale e del lavoro e dello sfruttamento delimitante le due grandi classi sociali, quella che detiene i grandi mezzi di produzione e di scambio, la classe degli sfruttatori capitalisti e quella degli sfruttati, i proletari manuali e intellettuali che hanno solo la loro forza lavoro da vendere.

Quindi il loro rapporto o almeno quello dei rispettivi rappresentanti, lungi dall'essere in conflitto, dovrebbe essere regolato dal dialogo sociale. Il Trésor de la Langue Française (TLF) ci dice che dialogo significa: "Comunicazione, generalmente verbale, tra due persone o gruppi di persone". Non c'è nulla di molto impegnativo in questo e in ogni caso questo dialogo non è a priori il risultato di un conflitto. Fuori dalla lotta sociale. Il termine negoziazione, odiato dai padroni e dallo Stato, si riferisce alla risoluzione di un conflitto, come dice il TLF: negoziazione "una serie di colloqui per raggiungere un accordo, per concludere una questione privata o pubblica o per porre fine a una controversia".

Se deve esserci un dialogo sociale, tanto vale che avvenga tra le parti sociali! È così che l'ideologia dominante designa i rappresentanti dei padroni e dei lavoratori. Il TLF dà una definizione di rappresentante che è semplicemente folgorante alla luce della funzione che i padroni e le autorità attribuiscono a queste parti sociali: "Persona con cui si è associati nella presentazione di un numero allo spettacolo". Il dialogo sociale è quindi perfettamente compatibile con le parti sociali, ma totalmente incompatibile con la lotta di classe antagonista!

In un momento in cui lo Stato versa centinaia di miliardi per far sì che il tasso di profitto del capitale aumenti di nuovo e per favorirne l'accumulazione, ecco che spunta il concetto di condizionalità dell'aiuto che tutte le buone parti sociali, soprattutto quelle che rappresentano i lavoratori, devono brandire per esigere che questi famosi aiuti, che in realtà sono esclusivamente ricchezza prodotta dai lavoratori e dirottata attraverso lo Stato verso il capitale, siano giustificati.

Questa famosa condizionalità non è altro che l'accettazione del processo di estorsione del valore prodotto dal lavoro, con vaghe promesse di un po' di giustizia sociale per renderlo accettabile! Questo ci avvicina all'espressione, molto usata nel discorso sindacale e politico, di una diversa ripartizione della ricchezza. Questa nozione, che sa di cristianesimo sociale, implica che il capitale e il lavoro svolgano un ruolo equivalente nella creazione di valore e che il problema sociale sia quindi semplicemente il risultato di una cattiva o squilibrata distribuzione tra capitale e lavoro. In questo modo si trascura il fatto che i rapporti di produzione capitalistici sono rapporti di sfruttamento in cui il proprietario del capitale acquista o affitta la forza lavoro del lavoratore e ne dispone a suo piacimento per tutto il tempo per cui l'ha acquisita e che questa forza lavoro, come risultato del processo di sfruttamento, ha la virtù di produrre più valore del suo stesso valore. Quindi non c'è modo di condividerla!

Non lasciamoci quindi fuorviare dalle parole dei nostri avversari, usiamo il nostro vocabolario e diamogli il giusto contenuto di classe.


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