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- cultura e memoria resistenti - linguaggio e comunicazione - 07-10-24 - n. 910
Dove sono i cadaveri?
Armando B. Ginés | rebelion.org
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare
07/10/2024
Più di 40.000 palestinesi uccisi da Israele a Gaza e in Cisgiordania, a cui vanno aggiunti quelli in Libano. Secondo Lancet, la cifra delle cause dirette e indirette della furia sionista ammonta a quasi 190.000 morti.
Dopo le guerre in Iraq, dove sono morte un numero di persone comprese tra le 600.000 e il milione di individui, a causa dell'aggressione bellica degli Stati Uniti con il valido aiuto della NATO e dell'Unione Europea, i conflitti bellici sono stati raccontati come storie a fumetti. Ci sono solo le luci dei bombardamenti sullo sfondo scuro delle città devastate dal fuoco dei Paesi aggressori.
Sono poche le immagini di morte e devastazione e non già, come si suol dire, per non turbare la sensibilità dedi sguardi occidentali; al contrario, vengono omesse per ragioni politiche:
Ciò che non si vede non esiste
È vero che sono state pubblicate fotografie e video crudi e iperrealistici dei massacri jihadisti sul suolo occidentale: l'11 settembre negli Stati Uniti, l'11 marzo in Spagna, a Londra, a Parigi, ecc. e altri oltraggi fondamentalisti di Daesh o Stato Islamico. Se i morti sono occidentali e bianchi, i media non esitano a mostrarci immagini raccapriccianti di cadaveri mutilati e insanguinati, in modo che tutti vediamo la malvagità e la ferocia omicida degli altri, i nemici della civiltà bianca e neoliberale.
Dietro l'occultamento della tragedia degli altri (arabi o immigrati di carnagione più o meno scura) ci sono motivazioni ideologiche
Si vuole far credere che le guerre degli eserciti occidentali siano tecnicamente intelligenti, esteticamente pulite ed eticamente giuste. È vero che di tanto in tanto vengono alla luce alcuni danni collaterali, ma si tratta di fatti residuali che non mettono in discussione le versioni ufficiali della geopolitica delle potenze egemoni. In questo modo, la coscienza sociale degli occidentali non subisce danni morali significativi.
Come disse Bush Jr. dopo gli attentati alle Torri Gemelle di New York, andate avanti e continuate a fare shopping, cari compatrioti, il Pentagono è incaricato di mettere ordine nel mondo per salvare il perfetto e libero stile di vita dell'impero yankee.
Dove sono i corpi dei 30.000 migranti morti o dispersi nel Mediterraneo dal 2014 o dei 60.000 in tutto il mondo?
Probabilmente in fondo al mare o piuttosto nel vasto e tempestoso oceano dell'oblio. Dovrebbe esserci un quadro, ma non c'è. Sappiamo che il problema esiste, ma non lo vediamo, quindi non colpisce direttamente le nostre emozioni. E ciò che non si muove non tocca la nostra ragione o la nostra etica. Il circolo vizioso è praticamente inattaccabile.
L'assenza di immagini delle conseguenze drammatiche della guerra come quelle delle catastrofi umanitarie degli immigrati, ha due risvolti
Da un lato, non esistendo immagini, come abbiamo già detto, non viene richiesta la nostra attenzione e la nostra solidarietà attiva. Ma è proprio questa assenza visiva che fa leva sulle paure psicologiche propagandate dalle élite di tutto il mondo. Ciò che non si vede è una minaccia latente: cioè la perfidia degli arabi, tutti estremisti di Hezbollah e Hamas per decisione inappellabile della propaganda Israele/USA/NATO/UE, o la pericolosità intrinseca degli immigrati africani o sudamericani, la maggior parte dei quali potenziali criminali secondo il gergo di ultradestra delle potenze dominanti, che vengono a invaderci, a rubare le nostre usanze e a stuprare le nostre ragazze e donne.
Ciò che non si vede fa paura
Siamo quindi al buio: brancoliamo nella realtà e cerchiamo capri espiatori per placare le nostre povere coscienze di persone buone e illuminate.
Tuttavia, la domanda rimane senza risposta: Dove sono i cadaveri che permettono la ricchezza capitalista, predatoria e diseguale dell'Occidente?
Rebelión ha pubblicato questo articolo con il permesso dell'autore sotto una licenza Creative Commons, rispettando la sua libertà di pubblicarlo in altre fonti.
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