www.resistenze.org - cultura e memoria resistenti - poesia e letteratura - 15-11-21 - n. 807

Gli anni romani di Rafael Alberti

Higinio Polo | rebelion.org
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

13/11/2021



All'88 di Via Garibaldi a Roma, proprio accanto a Porta Settimiana, c'è un enorme palazzo, ora convertito in appartamenti. Alla porta d'ingresso, un marmo commemora Pio VI, "Pontefice Massimo", un papa contemporaneo della Rivoluzione Francese, e, dietro il grande cancello di legno verde, si apre un cortile di quel colore arancio sbiadito di Roma, con una piccola palma e aiuole lungo i muri.

Rafael Alberti visse al primo piano, dove ora si vedono le persiane verdi e dove, sembra, viva ancora un'amante dei suoi tempi romani. Si tratta di un palazzo a tre piani, con finestre a battente verdi: davanti al cancello, l'acciottolato irregolare che corre lungo tutta la facciata e i ripidi gradini che scendono verso l'asfaltata via Garibaldi che si arrampica fino alla cima del Gianicolo tra gli alberi dove filtra il sole di primavera. Non c'è nemmeno una targa per commemorare Alberti. Qui ricevette Fellini, e inviò lettere di risposta a Bergamín, suo amico di sempre. È Trastevere, nelle parole di Alberti, la "vera capitale di Roma", il quartiere "degli artigiani, dei muri rotti, dipinti con iscrizioni politiche o amorose", in quella città "segreta, statica, notturna e, improvvisamente, muta e solitaria".

Ha vissuto a Roma per quattordici anni, alcuni dei migliori anni della sua vita. Alberti saliva sul Gianicolo, si soffermava alla Farnesina di Peruzzi (che era la casa di Raffaello e Sebastiano del Piombo) dove, molti anni prima, aveva passeggiato con Valle-Inclán; si perdeva nel Palazzo Corsini sulla via Lungara a contemplare il Narciso di Caravaggio, o andava ad ascoltare la Fornarina nella sua casa sulla via di Santa Dorotea per incidere versi e dedicarli a Picasso; camminava lungo la via dei Riari per andare al suo piccolo studio di pittore accanto all'Orto Botanico; si sedeva a un tavolino del bar della Porta Settimiana, uno dei suoi posti preferiti, guardando in fondo a via Garibaldi il San Pietro in Montorio del Bramante; oppure andava nella piazza di Santa Maria in Trastevere, a pochi passi da casa sua. Lì, sulla terrazza del Caffè di Marzio (dove ora espongono con orgoglio sul muro una poesia e un disegno regalatogli dal poeta) si sedeva talvolta a mangiare. Poteva vedere la facciata della chiesa, il campanile romanico con l'orologio a numeri latini; le palme, la Vergine e le figure femminili nel mosaico che adorna la facciata, la campana che corona la torre, i dipinti sbiaditi del timpano, la terrazza sopra il portico della Fontana. Alberti deve aver guardato l'antica basilica di Trastevere, e gli oziosi seduti sui gradini della più antica fontana di Roma, i musicisti di strada e gli imbroglioni, il maestro con la fisarmonica.

Di quegli anni trasteverini María Teresa León scrisse: "Alla porta di questa nostra casa di Roma bussano persone che sono come sogni che ritornano". Erano vecchie conoscenze della Spagna repubblicana e giovani che erano nati sotto il fascismo. Qui hanno incontrato anche Guttuso, Corrado Cagli, Pasolini, Guido Strazza, Vittorini, Carrà, de Chirico, Quasimodo, Ungaretti, Gassman. Togliatti, che Alberti conosceva da prima della guerra, lo vide appena, perché morì a Yalta, un anno dopo l'arrivo del poeta.

* * *

Dalla Baia di Cadice, Alberti andò a Madrid nel 1917, come chi va a Mosca con la rivoluzione, su un treno "lento e sgangherato". Lì, all'età di poco più di vent'anni, visitò il Museo del Prado, anche se, nonostante il suo precoce interesse per la pittura, che non avrebbe mai abbandonato, decise in seguito di dedicarsi completamente alla letteratura. Nella Residencia de Estudiantes conobbe Lorca, Dalí, Bergamín, Salinas, Aleixandre e Buñuel, e nel 1924, nella sua radiosa giovinezza, vinse il Premio Nazionale di Letteratura, due anni dopo aver iniziato a pubblicare i suoi versi. L'omaggio a Góngora organizzato dall'Ateneo di Siviglia nel dicembre 1927 riunì i giovani poeti. Jorge Guillén, Rafael Alberti, Bergamín, García Lorca, Dámaso Alonso e Gerardo Diego arrivarono a Siviglia da Madrid, mentre Salinas e Aleixandre no, e Cernuda viveva nella capitale andalusa. Loro, insieme a Bacarisse, Chabás e altri, formarono quel gruppo vario e inaspettato che divenne noto come la Generazione del '27.

Partecipò alle proteste politiche degli ultimi anni della dittatura di Primo de Rivera, soffrì difficoltà finanziarie, sposò María Teresa León nel 1930 e iniziò a mettere in scena opere teatrali. Nel 1931, con la Repubblica, si unì al Partito Comunista di Spagna, una militanza che lo avrebbe accompagnato per tutta la vita. Alla fine del 1932 fece il suo primo viaggio in Unione Sovietica, in treno, da Berlino, e lì incontrò Boris Pasternak, che andò a trovare nella sua dacia nella foresta; anche Fyodor Gladkov, Alexander Bezimenski, il maresciallo Voroshilov, uno dei primi bolscevichi (di cui Alberti sottolinea nelle sue memorie che ballò con Maria Teresa Leon a casa di Gorky); e a Babel, a Lili Brik, compagna del defunto Maiakovsky; a Eisenstein, e a Malraux e Louis Aragon; a Elsa Triolet, al principe Dmitri Mirski, che in esilio aveva abbandonato le fila bianche per aderire al partito comunista inglese, e poi, al suo ritorno, al partito bolscevico. E anche Meyerhold. Più tardi, a Berlino, vide Piscator, Toller, Brecht. Fu un viaggio indimenticabile e inquietante per loro: quando Alberti e María Teresa León tornano a Berlino in primavera, Hitler ha preso il potere, e il poeta osserva le legioni di mendicanti sull'Unter den Linden, non sapendo ancora che la falce della morte era già stata messa in moto e che i nazisti avanzavano a passo spedito tra fiaccole e canti. Negli anni '30, con Hitler al governo tedesco, Alberti viaggiò per l'Europa grazie a una borsa di studio della Junta de Ampliación de Estudios di Madrid: attraversò Francia, Germania, Belgio e URSS. Era appassionato di teatro, come Lorca, che portò La Barraca in giro per la Spagna.

Nel 1934, Alberti e María Teresa León fondano la rivista Octubre, con Buñuel, Antonio Machado, Cernuda, Aragon, Éluard. Nell'ottobre di quell'anno, il poeta era di nuovo a Mosca, dove lo raggiunse la notizia della rivoluzione nelle Asturie, mentre la polizia del "bienio negro" faceva irruzione nella sua casa di Madrid: tornare in Spagna era avventato, e decise di andare in Italia, su una nave che navigava da Odessa a Napoli. Arriva poi a Roma, dove assiste a una manifestazione di sostenitori di Mussolini, e nota la scena di gruppi di fascisti che pisciano sulle pietre del Colosseo, come anticipazione di quelle insolite usanze urbane che poi ritrarrà a Roma, un pericolo per i viaggiatori. Più tardi, andò a Parigi, New York, L'Avana, Messico, in solidarietà con i minatori asturiani. In Messico ha incontrato Frida Kahlo, Diego Rivera, Siqueiros, Orozco. Nel 1937, con la guerra civile spagnola che infuriava in Spagna, Alberti e María Teresa León incontrarono anche Stalin a Mosca, in una stanza del Cremlino dove c'era "un tavolo molto lungo con cartelle e matite", impressionati dall'attenzione e dalla vicinanza del georgiano.

Nel 1934, il poeta aveva trascorso quindici giorni a Roma con Valle-Inclán, allora direttore dell'Accademia di Belle Arti spagnola, incarico affidatogli dal governo repubblicano dopo che l'autore di Divinas palabras aveva minacciato che, se non lo avessero aiutato con un lavoro, avrebbe chiesto l'elemosina davanti al Cibeles, a Madrid, con tutti i suoi figli. Alberti, seguendo Valle:

"Oigo tu voz de sátiro demente […]
y te sigo del Foro al Palatino,
del Gianicolo al Pincio, al Aventino
o a los jardines de la Farnesina."

L'insurrezione fascista del 1936 lo sorprese a Ibiza, dove dovette nascondersi nella foresta con María Teresa León e alcuni compagni fino a quando la flotta repubblicana recuperò l'isola, liberò i prigionieri, e Alberti divenne addirittura membro del governo provvisorio di Ibiza per tre giorni, prima di tornare a Denia sulla Almirante Miranda, e poi a Madrid per ritrovarsi con i suoi compagni comunisti e Dolores Ibárruri. Dirige la rivista El mono azul, e scrive, con l'emozione della resistenza all'assalto fascista alla capitale: "Madrid, che non si dica mai... che nel cuore della Spagna il sangue è diventato neve". Madrid, capitale della gloria.

La guerra civile cambia la sua vita, come quella di tutti, e vive l'episodio epocale del trasferimento del Museo del Prado a Valencia. María Teresa León fu incaricata da Largo Caballero di organizzare il trasferimento delle opere dal Prado: l'aviazione fascista aveva già bombardato il museo e le bombe erano cadute anche sulla sala di Velázquez. Non avevano materiali, quindi erano costretti a improvvisare, a chiedere aiuto ai compagni al fronte, ai lavoratori che fornivano legna, carta e utensili. Lo sforzo titanico iniziò il 7 dicembre 1936, in quella che sarebbe stata "la notte più lunga della nostra vita", come scriverà María Teresa León. Da questa vicenda nacque la sua opera Noche de guerra en el Museo del Prado, che Alberti pubblicò nel 1956. Recita sui fronti, promuove la solidarietà con la Spagna repubblicana, scrive, organizza e si unisce all'aviazione come soldato. Ma la Repubblica in aprile fu abbandonata da quasi tutti, anche se poteva contare sui volontari delle Brigate Internazionali e sugli aiuti sovietici.

La rivolta di Casado, il tradimento di coloro che lo seguirono, macchiarono di amarezza gli ultimi giorni della guerra civile. I primi giorni del marzo 1939 lo portarono alla sede del Marqués del Duero dell'Alleanza degli intellettuali antifascisti, vicino a Cibeles, nel palazzo di Heredia Spínola dove erano passati Hemingway, Dos Passos, Pablo Neruda, Luis Cernuda, César Vallejo, Robert Capa, León Felipe, Nicolás Guillén. Lì vedrà per l'ultima volta Miguel Hernández, vestito da soldato, che si rifiuta di andare in esilio. Poi vennero i giorni amari di Elda, e un volo straziante, quasi senza carburante, verso Orano, dove arrivò anche Dolores Ibárruri. E, più tardi, Parigi, dove lavorò alla stazione radio ad onde corte, Paris-Mondial, grazie a Picasso, lavorando dodici ore al giorno, mentre viveva con Neruda nella sua casa di Quai de l'Horloge, sulla Spire de la Cité, scrivendo, finalmente, ("la colomba si è sbagliata") dopo l'angoscia di aver perso la guerra. Quando arrivò la guerra di Hitler, con l'avanzata delle truppe naziste, la Francia divenne pericolosa, e Alberti lanciò una moneta: Messico o Argentina. Il 10 febbraio 1940, con due biglietti di terza classe, si imbarcarono nella stiva di una nave francese, la Mendoza, da Marsiglia a Buenos Aires, per iniziare gli anni argentini, un esilio americano che allora non potevano immaginare sarebbe durato quasi un quarto di secolo. Fu lì che Alberti scrisse Ballate e Canti del Paraná: non per niente María Teresa León spiegò che per loro "i luoghi hanno nomi di libri". La loro figlia è nata a Buenos Aires, e l'hanno chiamata Aitana dal nome di una catena montuosa di Alicante con pini e lecci: l'ultimo lembo di terra spagnola che hanno visto quando sono partiti per l'esilio.

Stabilitosi a Buenos Aires, Alberti gira il paese con le sue poesie, espone i suoi quadri, pubblica Buenos Aires en tinta china; parla con il geniale e sottile scrittore Ramón Gómez de la Serna, allora franchista in clandestinità; e con Juan Ramón Jiménez, León Felipe, che vengono a trovarlo; e con Manuel de Falla che visita nel suo oscuro rifugio di Alta Gracia, la piccola città cordovana in Argentina dove viveva anche Ernesto Guevara, un ragazzo destinato a rompere la notte americana. Lì, a Buenos Aires, Alberti e María Teresa León si congedano da Albert Camus, che confessa loro: "Quando voglio conoscere qualcuno, chiedo: con chi eri durante la guerra di Spagna?". Anche loro lasciano a volte l'Argentina; per andare a Berlino, per esempio, nel 1956, dove incontrano di nuovo Bertolt Brecht, pochi mesi prima della sua morte. E hanno viaggiato attraverso Cile, Venezuela, Uruguay, Cuba, Perù, Colombia. Tornarono a Mosca nel 1956 dall'Argentina, e nel 1958, per andare in Cina, la cui rivoluzione aveva cambiato il destino dell'Asia.

Alla fine di maggio del 1963, spinti dalla nostalgia del sole mediterraneo e dal ricordo dei suoi nonni italiani, Alberti e María Teresa León lasciarono l'Argentina dopo ventiquattro anni in Sud America. Arrivati a Milano, raggiunsero poi Roma, dove vissero per quattordici anni, e dove il poeta fu subito perseguitato dalla nostalgia argentina:

"Dejé por ti todo lo que era mío.
Dame tu, Roma, a cambio de mis penas,
Tanto como dejé para tenerte."

Abita, prima, in via Monserrato 20, accanto a piazza de Ricci, al terzo piano di Palazzo Podocatari; si innamora di via Giulia e di Campo de Fiori, dove sorride il "mare di verdure, pesci e scarpe", le strade allora piene di artigiani e di vita popolare, e dove si considera "parente di quei vecchi esuli spagnoli" che vi abitavano. In quella casa ha ricevuto Pasolini, Moravia, Ungaretti, Quasimodo, Carlo Levi, Fellini, Gassman, Guttuso. Scriveva i suoi versi e, sempre interessato alla pittura, si occupava anche di incisioni a piombo, xilografie, acqueforti, facendo libri, dipingendo, a volte per poco più di dieci persone, sempre sognando la Spagna.

In seguito, visse in via Garibaldi 88, a Trastevere, un "quartiere di ladri" del Pinturicchio, dove riuscì a comprare un appartamento grazie ai soldi ricevuti nel 1965 con il premio Lenin per la pace assegnatogli dall'Unione Sovietica: andò a Mosca a ritirarlo. Era anche sopraffatto da Roma, dalle moto, dalle macchine, dalle discariche, dall'urina: "Oh città, urinatorio dell'universo"; "Nuova spazzatura nel mio quartiere: merda", scriveva in Roma, peligro para caminantes.

"Cuando Roma es cloaca,
mazmorra, calabozo,
catacumba, cisterna,
albañal, inmundicias"

Trafigge l'oscurità del lungo esilio con i suoi versi, espone i suoi quadri, lotta con le sue incisioni, si impiglia nelle serigrafie, e vede l'autunno romano, osserva la comunione delle foglie cadenti con l'architettura dorata della città,

"Venus de otoño, pálida y perdida
sobre los pinos altos del Gianicolo."

Ascolta nel sonno le campane di Trastevere. E, rivolgendosi a La lozana andaluza, finisce per adattare il romanzo di Delicado in un prologo e tre atti; E in questa Roma, peligro para caminantes, che si riferisce a Juan de Timoneda, rimpiange di aver perso la Spagna e l'Argentina, e vede le trappole e i rischi della città, anche se poi riesce anche ad amarla, in questa Roma popolare che respira nel Trastevere e nel Campo de Fiori, e che ha lasciato il segno, che Alberti ricorda, di Michelangelo e Galileo, di Keats, di Cervantes e Giordano Bruno, della resistenza al fascismo, anche se a volte è avvolto dalla malinconia di chi, nonostante tutto, sa di essere uno straniero.

Dopo il minuscolo studio di via dei Riari a Trastevere, o l'attico di Vicolo del Bologna, utilizzato negli anni in cui il poeta era innamorato di Beatriz Amposta (una catalana che viveva a Roma e che, si dice, vi abiti ancora adesso, nell'appartamento di via Garibaldi, 88, mentre i suoi eredi continuano a contestare la sua eredità), Alberti allestì un altro studio ad Anticoli Corrado, un piccolo paese arroccato sui Monti Simbruini, oltre Tivoli, dove trascorse, secondo le sue stesse parole, i giorni più felici del suo interminabile esilio, fuggendo con Beatriz Amposta. Da lì, appollaiato sulla sua piccola terrazza con un ulivo, guardava la valle dell'Aniene, un affluente del Tevere, e scrisse Canciones del alto valle del Aniene.

Nella capitale italiana ha debuttato la sua Noche de guerra en el Museo del Prado, l'opera a cui Brecht voleva lavorare prima della sua morte improvvisa. Ha debuttato al Piccolo Teatro di Roma nel marzo 1973 con grande successo. Ma Alberti vide anche la libreria spagnola di Piazza Navona subire un attentato terroristico per aver esposto in vetrina le fotografie del poeta e dei suoi libri pubblicati: i fascisti italiani sapevano chi era e sapevano che era comunista. Nel 1975, Alberti è felice: partecipa a un omaggio a Dolores Ibárruri, che festeggia il suo ottantesimo compleanno, a Roma, pochi giorni dopo la morte del dittatore fascista. Il poeta non lo sa ancora, perché la situazione in Spagna è molto tesa e il regime, anche senza Franco, è restio a morire, ma gli anni romani di Alberti stanno per finire. Così, il 27 aprile 1977, lasciò l'Italia per tornare a Madrid dopo un interminabile esilio; tornò per sventolare le bandiere rosse della falce e del martello, per versare i suoi versi per la Spagna, per recuperare il tempo perduto in esilio, per camminare intorno alla baia di Cadice, per incontrare il suo marinaio a terra. Le elezioni stanno per aver luogo: Alberti ha accettato di essere candidato a deputato per Cadice, nelle liste del partito comunista. Al suo ritorno, raccoglie folle, si appella alla memoria dei giorni repubblicani, scopre la gioia di coloro che sognano una nuova Spagna, ma, invece di lunghi discorsi politici, lancia i suoi distici, consegna i suoi poemi, parlando come Rafael Alberti o Juan Panadero. Fu eletto alle Cortes con Dolores Ibárruri. Più tardi, si dimise dal suo posto, perché il poeta non era fatto per i parlamenti.

Ha accumulato onorificenze, il Premio Lenin per la pace, il Premio Cervantes, anche se non vi ha dato molta importanza, e ha saldato un vecchio debito con se stesso e con la memoria del poeta assassinato. Il 24 febbraio 1980, più di cinquant'anni dopo, Alberti entrò a Granada, in attesa di Federico García Lorca, che aveva incontrato alla Residencia de Estudiantes "un pomeriggio d'autunno" del 1922. L'aveva promesso a García Lorca prima dell'arrivo della repubblica, ma la storia ha investito se stessa e non è stato possibile.

"¡Qué lejos por mares, campos y montañas!
Ya otros soles miran mi cabeza cana.
Nunca fui a Granada."

Poi, all'alba di Granada, Alberti andò, da solo, a percorrere il sentiero dove i falangisti portarono Federico García Lorca per essere fucilato.

* * *

Alberti, che era nato con il XX secolo, muore quasi al punto di vedere il XXI, senza aver visto morire completamente l'arcigna Spagna di El adefesio, nonostante tanti cambiamenti. Gli stessi cambiamenti, anche se erano altri, che vedeva nell'Italia che stava abbandonando l'umile chiarezza e la geografia popolare dei suoi anni romani. Una delle ultime volte che tornò a Roma, notò che la città stava diventando sempre più scura, e gli sembrava di vedere Trastevere morire di notte. Tutto è davvero cambiato. Dove una volta passava una carrozzella diretta all'isolato di Vicolo del Mattonato, tra la gente che si sedeva nei portoni per prendere l'aria fresca, ora passano i turisti, mentre si insinua l'ombra inquieta della paura del futuro.

Alberti sedeva sulla terrazza di Porta Settimiana o a Santa Maria in Trastevere, o guardava fuori dalle finestre dei suoi ultimi giorni a Ora Marítima, nel Puerto de Santa María, mentre continuava a guardare con Robert Capa il corpo di Gerda Taro nel giardino d'inverno della villa del Marqués del Duero, ricordando le lettere inviategli dai vecchi miliziani della guerra civile spagnola, pensando a Vittorio Vidali, il comandante Carlos, o Buñuel, che morì lo stesso anno, e di Picasso, Lorca, Miguel Hernández, Dolores Ibárruri e María Teresa León, mentre Alberti, poeta, pittore e drammaturgo, camminava per le strade di Madrid e i villaggi dell'Andalusia, per i vicoli romani, guardando le colombe in Santa Maria in Trastevere, dove un russo suonava il violino, mentre Madrid, il frangiflutti di tutta la Spagna, la capitale della gloria, "sorrideva col piombo nelle budella"; camminando per via Alcalá con Bergamín, Neruda, Cernuda e Altolaguirre, parlando in un raduno nell'affollata arena di Madrid; leggendo poesie al fronte.


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