La strategia politico-militare
Il controverso patto
di non aggressione (non un’alleanza, come spesso surrettiziamente si dice) tra
l’Unione Sovietica e la Germania nazista, stipulato il 23 agosto 1939, che sorprese
ed indubbiamente disorientò i partiti comunisti e i movimenti antifascisti in
tutto il mondo (e che viene stigmatizzato dai nemici dell’URSS e dai trotzkisti
come un tipico esempio del cinismo di Stalin e come un puntello fornito dalla
patria del socialismo al nemico principale del proletariato e dei popoli
liberi), era in realtà la sola alternativa rimasta aperta per il governo
sovietico contro il rischio che, nell’isolamento dalle altre potenze
imperialiste e, sostanzialmente con il loro avallo, l’Unione Sovietica si
trovasse ad affrontare de sola l’offensiva nazista.
Il patto fu la prima mossa di una strategia volta a rimandare per un certo lasso di tempo l’attuazione di
una invasione considerata inevitabile
ed a creare una cintura di Stati cuscinetto che ne evitasse l’impatto diretto.
Le mosse successive della politica estera dell’URSS furono le seguenti:
1. Apertura di trattative con la Romania, dalla quale ottenne vantaggi
territoriali di grande importanza strategica; conclusione di patti di mutua
assistenza con la Lituania, l’Estonia e
la Lettonia (le quali, per
decisone dei loro popoli, nell’agosto del 1940, entrarono a far parte dell’Unione delle Repubbliche Sovietiche).
2. Vista l’inutilità di ogni tentativo di trattativa con il governo finlandese
(fortemente compromesso con il nazismo) al fine di ottenere la concessione in
affitto dell’isola di Hangö, punto strategico che avrebbe permesso l’attacco
immediato a Leningrado, in cambio dell’offerta di territori molto più estesi,
l’URSS dichiarò guerra alla Finlandia e la costrinse a cedere l’isola. Questo
atto di guerra contro un piccolo Stato attirò contro l’URSS accuse di
imperialismo, senza tener conto dell’appoggio politico e in armamenti dato da
Francia ed Inghilterra al governo della Finlandia perché non addivenisse ad un
accordo, pacifico e vantaggioso, con l’URSS.
Questi comportamenti da parte delle potenze imperialiste risalivano a molti
anni addietro, fino dal fallimento della Conferenza di Ginevra sul disarmo
(febbraio 1932 - ottobre 1933) - che si chiuse con il ritiro della Germania
dalla Società delle Nazioni - ed avevano un’unica radice: quella di considerare
il primo Stato socialista come il nemico principale che, con il pericolo del
“contagio” bolscevico, minacciava gli
interessi capitalisti largamente rappresentati anche in Germania.
Infatti, dal novembre 1924 all’agosto 1931 la Germania aveva ricevuto dalle
banche americane e da vari paesi europei, a cominciare dall’Inghilterra,
prestiti a lungo e breve termine per 25 miliardi e mezzo di marchi. Di essi il
7% a lungo termine erano statunitensi. La rinascita del potenziale
economico-militare della Germania alimentò le aspirazioni tedesche alla revanche, favorì l’ascesa del nazismo e la sua politica di militarizzazione
dell’industria. Allo sviluppo dell’industria bellica tedesca contribuirono la
Standard Oil, la Dupont de Nemour e la Chase National Bank, che avevano
rapporti strettissimi con le banche e con i consorzi dell’industria pesante
(Krupp) e del settore bellico della Germania.
Invano il governo dell’Unione Sovietica aveva, fino dalla nascita e
dall’espandersi dei regimi fascisti e nazisti in Europa, insistito sulla
politica della “sicurezza collettiva”(1). A partire dalla conferenza di Monaco (28 - 30
settembre 1938), a cui parteciparono Francia, Inghilterra ed i due regimi
fascisti, Germania e Italia, con l’esclusione della Cecoslovacchia, che era
parte in causa, nonché dell’URSS, risultò chiaro che le potenze imperialiste,
dando il loro consenso alla Germania per l’occupazione del territorio dei
Sudeti erano disposte a venire a patti con i fascismi europei, purché questi
volgessero le loro mire espansionistiche verso oriente e si preservassero i
loro interessi. Gli appetiti di Hitler non si limitarono alla proclamazione di
uno Stato slovacco satellite della Germania,
ma la Wehrmacht marciò su Praga il 15 marzo 1939 (2).
Nel marzo del 1939 i governi dell’Inghilterra e della Francia apersero
trattative con il governo sovietico per la conclusione di un patto tripartito
di mutua assistenza, ma ponendo condizioni inaccettabili. Il governo sovietico
fu costretto a respingere queste condizioni e propose che si cominciassero ad
esaminare i provvedimenti concreti di lotta contro le possibili aggressioni.
Nell’estate del 1939 giunsero a Mosca una missione militare inglese ed una
francese. Si poté ben presto constatare che esse erano formate da
rappresentanti di secondo piano e che non avevano alcuna facoltà di concludere
trattati ed accordi. Al fallimento dei negoziati contribuì notevolmente il
governo della Polonia, dominato da gruppi di militari accanitamente
antisovietici, che rifiutò l’aiuto militare dell’URSS. Durante questi
inconcludenti colloqui, il governo di Londra trattava segretamente con la
Germania hitleriana, arrivando a proporre un vero e proprio accordo sulla
spartizione del mondo.
Fu in questo quadro che maturò il patto sovietico-tedesco dell’agosto 1939, di
cui abbiamo parlato all’inizio.
L’invasione della Polonia, il 1° settembre dello stesso anno, provocò l’entrata
in guerra dell’Inghilterra e della Francia e dette inizio al secondo
conflitto mondiale. Tuttavia né
Francia, né Inghilterra portarono alcun aiuto al loro alleato. Il governo ed il
Comando supremo della Polonia fuggirono all’estero con la riserva aurea
nazionale. Malgrado isolati episodi di eroismo, l’esercito nazionale si
dissolse e, quando divenne evidente il pericolo che, con l’occupazione
dell’Ucraina e della Bielorussia, le armate naziste si sarebbero attestate ai
confini dell’URSS, le truppe sovietiche, nel settembre del 1939, entrarono in Polonia occupando, senza
incontrare resistenza alcuna, ma anzi con il consenso della popolazione che non
voleva finire sotto il tallone di Hitler, queste due regioni che avevano
appartenuto alla Russia e che le erano state strappate con la forza nel 1920(3).
Come è noto, il 10 maggio 1940 cominciò l’offensiva sul fronte occidentale
delle truppe naziste, che penetrarono nel Belgio, nell’Olanda e nel Lussemburgo
ed entrarono in Francia. Il 10 giugno cadde Parigi. Dopo la capitolazione della
Francia, tutta l’Europa, ad eccezione delle isole britanniche si trovò sotto il
potere di Hitler.
Fu allora che lo Stato Maggiore nazista dette il via all’ “operazione
Barbarossa”. Ai confini dell’URSS furono spiegate 190 divisioni tedesche,
dotate dei più moderni mezzi tecnici e che contavano sull’appoggio di 3900
aerei. Il 22 giugno 1941, senza alcun
ultimatum, né dichiarazione di guerra, le truppe naziste lanciarono contro
l’URSS tutta la potenzialità bellica di cui disponevano.
Se, come abbiamo visto, la strategia del governo sovietico in politica estera
aveva impedito l’isolamento dell’URSS e che si ripetesse la coalizione di tutti
gli Stati imperialisti verificatasi nel primo dopoguerra, se con il patto di
non aggressione con i nazisti si era guadagnata una pausa di respiro
considerevole, non altrettanto adeguata fu la preparazione militare di difesa,
rispetto alle strategie militari ed ai mezzi impiegati. L’errore di ritenere
che Hitler non avrebbe violato, senza alcun pretesto, il patto e di
sottovalutare gli evidenti preparativi delle armate naziste che premevano alle
frontiere colse impreparata l’Armata Rossa ed aumentò in maniera esponenziale le
perdite nel primo periodo dell’attacco e dell’invasione nemica. Innumerevoli
furono gli episodi di eroismo che, fino dai primi giorni, contrastarono il
passo al nemico e permisero all’esercito sovietico di riorganizzarsi, ma i
sovietici dovettero subire pesanti sconfitte per tutto il primo e secondo anno
di guerra. L’accerchiamento di Leningrado (che costò 600 mila morti per fame e
freddo), la caduta di Kiev, l’assedio di Mosca furono episodi tragici che
fecero temere a tutti i popoli che gemevano sotto il nuovo “ordine nazista” e
che vedevano nell’URSS l’ultimo bastione sicuro contro il nazi-fascismo, che
anch’esso sarebbe caduto. La riscossa cominciò con la storica e vittoriosa
resistenza di Stalingrado, con la disfatta dell’armata nazista assediante e con
la ripresa dell’iniziativa sovietica su tutti i fronti. Le sorti della guerra
si invertirono a sfavore dei nazisti nella battaglia di Kursk, nella quale i
sovietici riuscirono a fermare l’ultima grande offensiva lanciata da Hitler
nella primavera del 1943, molto prima che le
potenze alleate si decidessero ad aprire il fronte occidentale con lo
sbarco in Normandia (6 giugno 1944). Furono le truppe dell’Armata Rossa a
liberare i prigionieri sopravvissuti nei campi di annientamento dell’Europa
Orientale ed il 2 maggio la bandiera rossa con falce, martello e stella a
cinque punte sventolò sul Reichstag a Berlino.
Fin qui le ragioni politico- militari della vittoria sovietica sul nazismo.
Ma nessuna strategia militare avrebbe potuto conseguirla pagando un prezzo
tanto alto (4)
senza le ragioni politiche e sociali che animarono l’intero popolo sovietico a
lottare nelle file dell’Armata Rossa e nelle formazioni partigiane per la vita
e l’esistenza di una patria (la guerra fu chiamata Grande Guerra Patriottica)
che riconosceva come una società propria, conquistata e diretta – pur tra le
innumerevoli contraddizioni – da una classe operaia che aveva preso nelle sue
mani il proprio destino, da una popolazione contadina che aveva visto per la
prima volta appagata la sua fame di terra e che, attraverso le convulsioni
della lotta di classe nelle diverse fasi (della NEP, della lotta contro i
kulak), affrontava e sperimentava la grande rivoluzione del passaggio dalla
proprietà individuale alla proprietà collettiva e alla meccanizzazione delle
colture agricole.
La conquiste
economiche e sociali della Rivoluzione d’Ottobre.
Nell’industria
La produzione industriale
dell’URSS ebbe, nel giro di 26 anni, una crescita più rapida di quella degli
altri paesi industrializzati, crescita che aumentò dal 3,7 % nel 1929, all’11,5
% nel
1938, a circail 12% nel 1939. Con
questi risultati l’URSS si piazzò al 3° posto dei grandi paesi
industrializzati, dopo gli Stati Uniti e la Germania, superando la Gran Bretagna
e la Francia.
Nel corso dei due primi piani quinquennali si costruirono più di 2500 fabbriche
ed imprese, molte di esse, tra cui la fabbrica di trattori di Stalingrado ed il
complesso siderurgico di Magnitogorsk si potevano definire “giganti industriali”.
Con lo sviluppo dell’industria, l’URSS divenne quasi completamente indipendente
dall’estero. Le importazioni di materie prime (carbone, zinco, alluminio, ecc.)
e di macchinari cessarono completamente o diminuirono drasticamente. Di alcuni
prodotti si cominciò non solo la produzione, ma anche l’esportazione.
Uno dei risultati più importanti dell’economia pianificata socialista dell’URSS
fu il trasferimento del centro di gravità industriale verso est. Prima della
guerra del 1914 i 2/3 delle industrie russe erano concentrate tra San
Pietroburgo, Mosca e l’Ucraina; la Siberia, l’Asia Centrale e il Kasakstan, e
cioè il 76% del territorio russo non possedeva che il 6% dell’industria. Le
regioni di produzione delle materie prime erano a grandi distanze dalle industrie
di lavorazione, comportando altissimi costi di produzione dei prodotti finiti.
Ricerche geologiche sulle ricchezze naturali del paese scoprirono o permisero
di esplorare a fondo vasti giacimenti di materie prime, rendendo possibile lo
sfruttamento, in zone per il passato inesplorate, di grandi giacimenti di
carbone, di minerali di ferro, di riserve di petrolio, di rame, di zinco e di
piombo. Si sviluppò così, per portare un esempio, la seconda base carbonifera
dell’URSS, il bacino di Kuznietsk. Questa decentralizzazione comportava
necessariamente lo sviluppo dei trasporti, altro obiettivo fondamentale che si
era posto il primo piano quinquennale.
Un altro risultato fondamentale della politica di industrializzazione
consistette nel rinnovamento completo dell’apparato produttivo mediante lo
sviluppo dell’ elettrificazione, il cui utilizzo si quadruplicò nel corso dei
due primi piani quinquennali, e della meccanizzazione della produzione. Per
fare un esempio, la meccanizzazione della produzione del carbone raggiunse il
90%. Lo sviluppo della produzione di macchine utensili, e nella fattispecie
delle macchine tessili, portò con sé quello dell’industria del cotone. L’industria leggera veniva così incontro
alla domanda digeneri di consumo
per la popolazione, il cui livello di vita era migliorato. Infatti, dopo gli
anni del “comunismo di guerra”, i salari degli operai erano aumentati e la
durata della giornata lavorativa era stata ridotta a 7 ore giornaliere e a 6
per i lavori più pesanti.
Gli enormi investimenti per lo sviluppo dell’intero apparato produttivo, non
potendo basarsi sui prestiti esteri
delle banche internazionali, contavano invece, oltre che sulle imposte sui
redditi delle imprese statali ed in misura minore sulle imposte sui redditi
privati (molto basse per gli operai ed impiegati di Stato, più alte per gli
artigiani ed i liberi professionisti), su un’alta produttività e
sull’abbassamento dei costi di produzione. I lavoratori furono i veri
protagonisti dello sviluppo industriale appena descritto. Prima il movimento di
emulazione socialista, poi quello stakanovista (5) e delle brigate d’assalto.
Nella società borghese (dove vige la schiavitù del lavoro salariato per molti e
il privilegio del non lavoro per pochi)
il record di Stakanov viene dileggiato (dagli utopisti del “diritto
all’ozio”) e presentato come l’alienazione o la costrizione a cui erano
sottoposte le masse operaie sovietiche. In realtà i record di produttività
conseguiti dai lavoratori di avanguardia sovietici (soprattutto giovani) erano
l’effetto dell’entusiasmo di sperimentare per la prima volta nella storia i
cambiamenti dei rapporti di produzione basati sull’abolizione dello
sfruttamento dell’uomo sull’uomo e su una diversa concezione del lavoro. Gli stakanovisti
erano tutt’altro che animali da soma costretti a sopportare le più inumane
fatiche, al contrario erano i pionieri del passaggio dalla priorità della
tecnica alla priorità dei quadri tecnici, gli “uomini nuovi” provenienti dalla
classe operaia, che venivano formati nei complessi scolastici per studi medi e
superiori di ingegneria, chimica, scienze minerarie, ecc. Come diceva Stalin: “... Erano
prevalentemente operai ed operaie, giovani o di media età, colti e tecnicamente preparati (la sottolineatura
è nostra)... Essi sono immuni dal conservatorismo e dal tradizionalismo di
alcuni ingegneri, tecnici e dirigenti di aziende... Il movimento stakanovista
rappresenta l’avvenire della nostra industria, reca in sé il germe del futuro
slancio culturale e tecnico della classe operaia e ci apre la sola strada per
la quale possiamo raggiungere quegli alti indici produttivi indispensabili per
passare dal socialismo al comunismo ed eliminare il contrasto tra lavoro
intellettuale e lavoro manuale” (6).
A conclusione del secondo piano quinquennale, alla fine del 1937, l’industria
dell’URSS raggiungeva il 428% rispetto al livello produttivo del 1929 ed in
confronto all’anteguerra era più che quintuplicata.
Nell’agricoltura
Il passaggio dalla Nuova
Politica Economica (NEP) alla collettivizzazione ed alla lotta contro i kulak e
per l’abolizione del mercato capitalista che, nell’ambito della NEP aveva preso
piede, fu una lotta estremamente dura nella società ed all’interno del Partito
comunista.
Nel 1927 persisteva la parcellizzazione delle grandi aziende capitaliste
espropriate ed assegnate nel 1918 alle unità familiari di ex braccianti e
contadini poveri. Le aziende contadine piccole e piccolissime, specialmente
dell’area cerealicola, praticavano un’economia arretrata ed erano in grado di
fornire alle città solo poco più di 1/3 dei cereali che l’agricoltura poteva
vendere nel mercato dell’anteguerra. Questa crisi era accompagnata da quella
dell’allevamento del bestiame.
La soluzione in un’economia socialista non poteva essere che la meccanizzazione
e quindi la collettivizzazione dell’agricoltura, cioè il raggruppamento
graduale delle piccole e piccolissime aziende nella coltivazione in comune
della terra per mezzo di cooperative, avvalendosi di macchine agricole e dei
procedimenti scientifici delle colture intensive.
Nel 1929, l’anno che Stalin chiamò
della grande svolta , si
verificò l’ingresso nei kolchoz non più
di gruppi isolati di contadini, ma di villaggi e, a volte, di interi circondari.
Questo significava l’adesione dei contadini medi alle cooperative agricole di
produzione. Fu l’effetto del grande impulso alla produzione agricola realizzato
nei sovchoz (aziende agricole di Stato) e dello sviluppo delle Stazioni di
macchine agricole e di trattori che offrivano soluzioni fino ad allora
impensate per lo sfruttamento delle terre incolte, per le seminagioni e per i
raccolti meccanizzati di vaste aree, in particolare delle colture cerealicole.
Gli anni successivi, dal 1930 al 1934, videro il passaggio dalle limitazioni
imposte ai kulak alla loro eliminazione “in quanto classe”. Bisogna ricordare
che i kulak avevano contrastato in ogni modo il crescente movimento contadino
che si volgeva in favore della collettivizzazione, mediante sabotaggi, incendi
ed assassinii, macellando il proprio bestiame ed incitando i contadini a fare
altrettanto e ad entrare nudi
nei kolchoz. L’ostilità dei kulak era favorita, da un lato, dalle correnti di destra all’interno del Partito che
li sostenevano e, dall’altro lato, da tutta una serie di errori e forzature di sinistra, commessi da parte di
zelanti funzionari, i quali sostituirono il libero consenso con la costrizione,
affrettarono arbitrariamente i tempi scaglionati di collettivizzazione che
erano stati assegnati alle regioni e imposero la socializzazione integrale dei
beni degli aderenti alle cooperative. Questi gravi errori determinarono
arretramenti nella produzione e nella consegna dei prodotti allo Stato. Furono
corretti con l’adozione, nel febbraio del 1935, dello statuto dell’artel agricolo (cooperativa nella
quale erano collettivizzati soltanto i principali mezzi di produzione) e con la
conferma della concessione ai kolchoz di tutte le terre da essi coltivate in
godimento perpetuo.
Con il passaggio di tutta le terre del villaggio ai kolchoz, comprese quelle di
proprietà dei kulak, i contadini iniziarono ad espropriarli e a cacciarli dalle
terre. Fu una lotta di classe dal
basso, appoggiata dall’alto
da leggi drastiche che abolivano i diritti di proprietà e di sfruttamento di
mano d’opera da parte dei kulak.
Verso la fine del 1934 i kolchoz raggruppavano circa i ¾ delle aziende contadine dell’URSS e circa il
90% di tutta la superficie seminata. L’agricoltura impiegava 281.000 trattori e
32.000 mietitrebbia. Il piano della consegna del grano fu adempiuto tre mesi
prima che nel 1932.
Alla fine del secondo piano quinquennale, realizzato prima del termine
prestabilito, si verificò un’ascesa senza precedenti in tutti i settori della
produzione agricola. I kolchoz da soli (senza tener conto dei sovchoz) diedero
al paese più di 1.700 milioni di pud
di grano mercantile, ossia almeno 400 milioni di pud in più di quanto avessero messo sul mercato nel 1913 i grandi proprietari terrieri, i kulak ed i
contadini nel loro complesso.
Nell’istruzione
Con l’introduzione
dell’istruzione generale obbligatoria e con la costruzione di nuove scuole, non
solo fu sconfitto l’analfabetismo, ma il livello di cultura in tutta l’URSS si
elevò straordinariamente.
Il numero degli allievi delle scuole elementari passò da 8 milioni nel 1914 a
28 milioni nell’anno scolastico 1936-1937. Quello degli studenti degli istituti
d’istruzione superiore, da 112.000 nel 1914, a 542.000 nell’anno scolastico
1936- 1937.
Impressionanti anche i risultati nella formazione delle varie categorie
professionali degli intellettuali. I quadri intellettuali nel 1937 avevano
raggiunto la cifra complessiva di 9,6 milioni di persone. Diamo alcune cifre
riguardanti diverse categorie professionali nel 1937: 969.000 maestri (213.000
nel 1914); 132.000 medici (19.785 nel
1913); 250.000 ingegneri; 80.000 tra scienziati e professori; 150.000 artisti,
ecc. Il dato caratteristico era la loro composizione sociale. A differenza delle
società capitaliste, la maggioranza
della nuova classe intellettuale sovietica proveniva dalle file della classe
operaia e, per completare il quadro dello sforzo compiuto nel campo culturale e
dare solo un cenno delle conquiste delle donne in ogni campo politico e
sociale, argomento su cui speriamo di ritornare, ricordiamo soltanto che in
Unione Sovietica (sempre facendo riferimento al 1937) circa un uomo su dieci ed
una donna su dodici avevano frequentato una scuola secondaria o una scuola
secondaria superiore.
La politica
delle nazionalità
I fondamenti del patto
costitutivo dell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche (7) garantivano: la libera
adesione ed uguaglianza delle nazioni; il diritto ad un’esistenza statale
indipendente; l’uguaglianza giuridica dei membri dell’Unione; il diritto ad
uscire dall’Unione per decisione unilaterale.
Nel capitolo della Costituzione del 1936, riguardante gli organi del potere di
Stato dell’URSS, veniva stabilito che il Soviet Supremo dell’URSS (potere
legislativo) si componesse di due Camere: il Soviet dell’Unione e il Soviet
delle Nazionalità e che le due Camere avessero uguali diritti (8).
Siamo anche qui costretti, per ragioni di spazio, ad omettere la questione
importantissima della lotta ideologica che Stalin condusse contro due tendenze
opposte, ugualmente errate, presenti nel Partito: quella dello sciovinismo
grande-russo e quella dello sciovinismo nazionalista. Vi facciamo solo cenno
per far presente che sarebbe importantissimo studiare a fondo queste tendenze
per interpretare tutti i tentativi attuali – provenienti dall’esterno e
dall’interno – di frantumazione della Federazione Russa.
Le Repubbliche federate, le Repubbliche autonome e le regioni autonome (le tre
categorie di appartenenza all’Unione) godettero in pratica della loro piena
autonomia che consistette, come spesso giustamente si sottolinea, nel favorire,
da parte del governo centrale, lo sviluppo delle culture nazionali, ivi
comprese le lingue locali, ma
soprattutto nei grandi avanzamenti economici (investimenti industriali,
comunicazioni), culturali (scuole, università, biblioteche, ecc.) e sociali.
Il successo di questa politica fu dimostrato - con la verità inoppugnabile dei
fatti - dal fallimento del tentativo, da parte dell’invasore nazista, di
puntare sulle divisioni etniche. Diversamente a quanto si verificò in vari
Stati “democratici” europei, nell’URSS non ci furono governi collaborazionisti
alla Quisling o Pétain, né diserzioni di massa. Al contrario, i popoli di tutte
le nazionalità e le etnie, nella stragrande maggioranza, lottarono uniti contro
le forze armate nemiche, portatrici della teoria delle “razze inferiori”,
consapevoli che la vittoria del nazismo avrebbe significato non solo la perdita
dell’autonomia, ma la loro riduzione in schiavitù.
Per concludere, non possiamo non paragonare questa unità sostanziale, sia pure
raggiunta attraverso contraddizioni ed errori,
con l’attuale disegno eterodiretto dei nazional-separatisti, che ha il
suo culmine nella guerra in Cecenia, prova generale della totale
balcanizzazione della Federazione Russa. Questo disegno è parte della
strategia, già attuata con successo nei Balcani, in Afghanistan e che si
prospetta per l’Irak, che si inserisce nel quadro di una nuova spartizione del mondo
ad opera delle potenze imperialiste e degli USA in prima fila.
Infine, a proposito della Nato, è istruttivo paragonare la strategia
dell’Unione Sovietica alle soglie della seconda guerra mondiale, che conseguì
il fine di precostituire una cintura di Stati amici e neutrali, per
ammortizzare il primo impatto dell’assalto nazista, con l’acquiescenza
dimostrata da Putin al vertice Russia - Nato di Roma (vedi la dichiarazione del
CC del Partito Pansovietico dei Bolscevichi, pubblicata in questo stesso foglio).
Egli evidentemente preferisce correre il pericolo costituito
dall’accerchiamento di Stati membri della Nato, zelanti neofiti ed aspiranti
tali, che preme ai confini della Russia, foriero di ogni ricatto e al limite di
atti di guerra, in cambio di un ruolo, che la stessa dichiarazione definisce
giustamente “di vassallo”.
Adriana Chiaia
Note:
1) Il 26 giugno 1938 il Commissario agli Affari Esteri, Litinov, denunciò lo stato di
disgregazione della Società delle Nazioni: “Alcuni abbandonano la Società delle
Nazioni, altri vi rimangono formalmente, ma rifiutano arbitrariamente di
adempiere agli impegni presi.”
2) Nel presente articolo, per
motivi di spazio, non possiamo occuparci dell’estensione del conflitto
nell’Estremo Oriente (scatenamento della guerra del Giappone contro la Cina).
Anche di fronte dell’aggressione fascista in Oriente, i governi di
Londra e Parigi applicarono la “politica di Monaco”. Per preservare le sue
frontiere orientali, l’URSS firmò un patto di neutralità con il Giappone.
3) Gli imperialisti polacchi,
guidati dal maresciallo Pilsudski, perseguivano la restaurazione dello Stato
polacco nelle frontiere del 1772, che inglobavano un numero di abitanti non
polacchi maggiore di quello dei polacchi. A questo scopo la Polonia attaccò l’Unione
sovietica nel 1920 con il pieno appoggio delle potenze alleate. Malgrado
uscisse vittorioso dal conflitto, il governo dell’URSS dovette accettare, nelle
ingiuste trattative di pace, la cessione dell’Ucraina e della Bielorussia alla
Polonia imperialista.
4) 20 milioni di morti, la metà dei quali furono civili o prigionieri di
guerra, uccisi e torturati dai nazisti nei territori sovietici occupati. I
nazisti distrussero 1710 città, oltre 70 mila villaggi, 32 mila imprese
industriali, 98 mila kolchoz, 1876
sovchoz, fecero saltare 65 mila chilometri di linee ferroviarie e portarono via
16 mila locomotive e 428 mila vagoni.
5) movimento che prese il nome da Alessio
Stakanov, un perforatore di una miniera nel bacino del Donez, che in un solo
turno di lavoro produsse 102 tonnellate di carbone, superando di 14 volte la
norma corrente.
6) Stalin, Questioni del leninismo, p. 602 – 3.
Edizione italiana
7) Vedi rapporto al X Congresso Panrusso dei
Soviet, 26 dicembre 1922.
8) Stalin, Sul progetto di Costituzione dell’URSS,
( che contiene in appendice il testo definitivo approvato), Edizioni Rinascita,
Roma, 1951.
1 Il 26 giugno 1938 il Commissario agli Affari Esteri, Litinov, denunciò lo stato di disgregazione della Società delle Nazioni: “Alcuni abbandonano la Società delle Nazioni, altri vi rimangono formalmente, ma rifiutano arbitrariamente di adempiere agli impegni presi.”
2 Nel presente articolo, per motivi di spazio, non possiamo occuparci dell’estensione del conflitto nell’Estremo Oriente (scatenamento della guerra del Giappone contro la Cina). Anche di fronte dell’aggressione fascista in Oriente, i governi di Londra e Parigi applicarono la “politica di Monaco”. Per preservare le sue frontiere orientali, l’URSS firmò un patto di neutralità con il Giappone.
3 Gli imperialisti polacchi, guidati dal maresciallo Pilsudski, perseguivano la restaurazione dello Stato polacco nelle frontiere del 1772, che inglobavano un numero di abitanti non polacchi maggiore di quello dei polacchi. A questo scopo la Polonia attaccò l’Unione sovietica nel 1920 con il pieno appoggio delle potenze alleate. Malgrado uscisse vittorioso dal conflitto, il governo dell’URSS dovette accettare, nelle ingiuste trattative di pace, la cessione dell’Ucraina e della Bielorussia alla Polonia imperialista.
4 20 milioni di morti, la metà dei quali furono civili o prigionieri di guerra, uccisi e torturati dai nazisti nei territori sovietici occupati. I nazisti distrussero 1710 città, oltre 70 mila villaggi, 32 mila imprese industriali, 98 mila kolchoz, 1876 sovchoz, fecero saltare 65 mila chilometri di linee ferroviarie e portarono via 16 mila locomotive e 428 mila vagoni.
5movimento che prese il nome da Alessio Stakanov, un perforatore di una miniera nel bacino del Donez, che in un solo turno di lavoro produsse 102 tonnellate di carbone, superando di 14 volte la norma corrente.
6 Stalin, Questioni del leninismo, p. 602 – 3. Edizione italiana
7 Vedi rapporto al X Congresso Panrusso dei Soviet, 26 dicembre 1922.
8 Stalin, Sul progetto di Costituzione dell’URSS, ( che contiene in appendice il testo definitivo approvato), Edizioni Rinascita, Roma, 1951.