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- cultura e memoria resistenti - storia - 09-08-09 - n. 285
Hiroshima 6 agosto 1945: I perche’ di una strage
di Domenico Moro
Dove fanno il deserto lo chiamano pace
Tacito, Agricola
Il 6 agosto cade l’anniversario del primo bombardamento atomico della Storia. In un colpo solo 64 anni fa ad Hiroshima furono uccise 200mila persone. Il 9 agosto 1945 un’altra bomba fu sganciata su Nagasaki, provocando la morte di 80mila persone. Molti morirono tra atroci sofferenze e decine di migliaia continuarono a morire negli anni successivi a seguito delle lesioni riportate per l’esposizione alle radiazioni. Le conseguenze della scelta degli Stati Uniti di effettuare il bombardamento atomico hanno pesato e peseranno su di noi e sulle generazioni future per molto tempo. E pesano specialmente oggi, in una epoca di riarmo e di acutizzazione delle tensioni internazionali.
Per tale ragione, dobbiamo capire quali furono le ragioni di tale scelta, quale fu il senso di una scelta senza senso. Da sempre gli Usa hanno giustificato l’uso della bomba atomica con lo scopo di costringere alla resa un irriducibile Giappone, deciso a combattere fino all’ultimo uomo, e risparmiare così la vita di decine di migliaia di soldati americani. Fu veramente così? La ricerca storica ci dice che non fu così. Nella sua Storia della seconda guerra mondiale, quello che è forse il più importante storico militare (e non certo uno storico di sinistra o marxista), B. H. Liddell Hart, ci dice il contrario. Lo storico inglese cita le parole dell’allora premier britannico Churchill, uomo tutt’altro che restio a impiegare qualunque mezzo per raggiungere i suoi obiettivi, come provano i terribili bombardamenti britannici sulla Germania: “Sarebbe un errore supporre che il destino del Giappone sia stato segnato dalla bomba atomica. La sua sconfitta era certa prima che la prima bomba cadesse, e fu determinata dalla distruzione del suo potere marittimo. Questo solo aveva reso possibile conquistare basi nell’oceano dalle quali lanciare l’attacco finale e forzare il suo esercito metropolitano a capitolare senza colpo ferire. La sua flotta era stata distrutta.”
Infatti, da tempo il Giappone era sottoposto a imponenti bombardanti terroristici con l’uso di bombe al napalm che avevano distrutto diverse città giapponesi. A Tokio, il 9 marzo 1945, si registrarono 79mila morti nella più distruttrice singola azione della storia dei bombardamenti aerei, più di Dresda. I Giapponesi erano ormai decisi ad arrendersi. Tre settimane prima che la bomba fosse sganciata, alla conferenza di Potsdam, Stalin passò a Churchill un messaggio dell’ambasciatore giapponese a Mosca in cui si chiedeva la pace. Intanto, il governo Koiso era caduto ed era stato sostituito dal governo Suzuki, un esponente politico notoriamente favorevole alla pace. Fu lo stesso imperatore Hirohito a porre fine a qualunque residua esitazione giapponese, chiedendo ai suoi ministri di terminare le ostilità non appena possibile, e dando al negoziatore, principe Konoye, mandato di assicurare la pace ad ogni prezzo.
Asserire il rifiuto giapponese di una pace senza condizioni (cioè che non mettesse in discussione la figura dell’imperatore), come gli americani continuavano a richiedere (contro il parere di Stalin), è soltanto una foglia di fico dietro alla quale si nasconde la volontà statunitense di usare comunque la bomba. Del resto, dopo la fine della guerra né Hirohito né la carica di imperatore vennero toccati. Persino il capo di stato maggiore di Truman, ammiraglio Leahy, criticò l’inutilità militare della bomba: “L’uso di questa barbarica arma a Hiroshima e Nagasaki non fu di nessun aiuto nella nostra guerra contro il Giappone. I giapponesi erano già sconfitti e pronti ad arrendersi a causa del blocco marittimo e dei bombardamenti con armi convenzionali.”
Quale fu allora la ragione della volontà Usa di andare fino in fondo? Sentiamo ancora Liddell Hart: “Ma il presidente Truman e la maggioranza dei suoi principali consiglieri erano intenzionati ad usare la bomba per accelerare il collasso giapponese dal momento che Stalin stava per entrare in guerra contro il Giappone e garantirsi così una posizione vantaggiosa nell’Estremo Oriente.” Aggiungerei che l’uso della bomba non si limitava a considerazioni di ordine geostrategico relative all’area estremo orientale, ma mirava a mostrare, sulla pelle di qualche centinaio di migliaia di civili giapponesi, all’Urss (e anche agli altri alleati) le potenzialità distruttive senza uguali dell’arma di cui gli Usa, da soli, erano in possesso.
La ragione del massacro fu, dunque, la determinazione di affermare un nuovo ordine mondiale che ruotasse intorno agli Usa come nuova potenza imperialista egemone, invece che attorno alla Gran Bretagna e all’Europa come era stato fino allora. Gli Usa, dunque, non hanno neanche la giustificazione (ammesso e non concesso che l’impiego della bomba atomica sia giustificabile) di aver usato la bomba perché in procinto di essere sopraffatti dall’avversario o perché colpiti sanguinosamente nella loro popolazione, visto che il loro territorio che è stato l’unico tra quelli dei belligeranti a non essere investito dalla guerra, bensì per pura politica di potenza. La cosa, quindi, che lascia più interdetti è che l’unico Stato nella Storia che abbia usato la bomba atomica, e per le suddette ragioni, si erga come autorità morale nei confronti degli altri Stati, continuando a portare la guerra e la distruzione, chiamandola, diversamente dagli imperialisti romani, democrazia invece che pace.
Potenza della manipolazione mediatica: il trucco è dimostrare che il male, la forza, è necessaria per scongiurare un male maggiore. Si tratta di un meccanismo che gli Usa hanno sfruttato molte volte, anche in seguito, per giustificare uno sproporzionato uso della forza. L’ultimo esempio è quello dell’Iraq, un paese allo stremo delle forze, dopo un decennio di guerre e di embargo, e descritto pur tuttavia come una nuova Germania hitleriana in possesso, per di più, di pericolose armi di distruzione di massa, in effetti mai trovate. Oggi, mentre sulla testa dei civili afghani piovono bombe democratiche, è la volta dell’Iran essere messo sotto torchio perché starebbe preparando la bomba. Intanto gli Usa stipulano un accordo di assistenza nucleare con l’India, un paese che, oltre ad aver sviluppato un proprio arsenale atomico, non ha mai firmato il trattato di non proliferazione nucleare ed è perennemente in conflitto con il Pakistan, che, particolare non trascurabile, è un’altra potenza nucleare. Anche in questo caso quello che predomina nella strategia dei “portatori di democrazia” è la politica di potenza, visto che un’India più potente controbilancia la vera nuova bestia nera degli Usa, la Cina.