www.resistenze.org - cultura e memoria resistenti - storia - 28-10-09 - n. 292

Le origini della seconda guerra mondiale
 
Parte prima
 
di Puttini Spartaco
 
Nel corso del mese di settembre del 2009 si sono tenute le commemorazioni dello scoppio della seconda guerra mondiale. Settant’anni fa la terra tremava sotto le prime bombe che annunciavano il più grande conflitto e la più grande carneficina della storia. Inevitabilmente, oggi si è tornati con la mente a quei fatti e ci si è interrogati una volta di più sull’origine della tragedia. Così, mentre le colpe venivano distribuite con sufficienza ed un po’ all’ingrosso, la terra è tornata a tremare, stavolta sotto il peso degli spropositi.
 
Beninteso, le origini della seconda guerra mondiale hanno sempre appassionato molto ed hanno acceso il dibattito, sia all’interno della cerchia degli studiosi di storia che fuori, presso il grande pubblico ed a testimoniarlo basi considerare l’imponente elenco di pubblicazioni, scientifiche e non, che ne tratta. E’ pertanto inevitabile la presenza di un sacrosanto dibattito e di numerosi punti di vista. La questione è un’altra: trattandosi di un evento storico le origini della seconda guerra mondiale meriterebbero una trattazione improntata ad una lucida e spassionata disamina scientifica anziché ad una assertiva e piatta riproposizione di cliché basati su analogie e considerazioni superficiali che nulla hanno a che vedere con i fatti e che trovano il loro alimento soltanto in polemiche interessate a tutto fuorché alla storia.
 
Sono del parere che la storia vada lasciata agli storici e che sia dovere di questi ultimi svolgere la loro analisi e ricostruzione degli accadimenti secondo le metodologie proprie della disciplina e senza alcuna considerazione per i luoghi comuni o per gli schemi mentali che si sono andati affermando in virtù di un determinato clima politico, culturale ed ideologico, quale esso sia.
 
Anche durante questo anniversario non sono mancati sui giornali (di qualsiasi orientamento politico) i giudizi lapidari di chi ha ravvisato come causa scatenante della guerra lo “scellerato” patto Ribbentrop-Molotov dell’agosto 1939. Nella migliore delle ipotesi che in genere vengono avanzate il patto di non aggressione tra l’URSS e la Germania avrebbe dato ad Hitler quella sicurezza di cui andava in cerca per aggredire la Polonia senza incappare nel rischio di una guerra su due fronti (con gli anglo-francesi ad ovest e coi russi ad est). In riflessioni più ardite ci si è spinti (sempre più spesso) a vedere nel Patto Ribbentrop-Molotov il naturale connubio tra i due regimi “totalitari” per antonomasia che si sono ritrovati per sfidare l’ordine e la pace garantite coraggiosamente dalle così dette “democrazie” occidentali. Il Patto diviene per alcuni una vera e propria alleanza (sic!) per spartirsi le spoglie della “povera” Polonia (che nell’agiografia ufficiale viene sempre dipinta sul punto di essere martirizzata dai suoi ambiziosi e cupidi vicini) e forse anche qualcosa di più.
 
Queste affermazioni non sono affatto nuove, basti ricordare la commemorazione del 50° anniversario dello scoppio del conflitto, caduto nel 1989, o rifarsi ad una vasta pubblicistica precedente le cui tesi sono andate dilagando negli anni del revisionismo storico e del pensiero unico imperante. Purtroppo anche alcuni illustri storici hanno finito col riproporre determinate interpretazioni. Ma questo non basta per conferire autorevolezza alla disinvolta chiave di lettura con cui si cerca maldestramente di riscrivere la storia allo scopo, puramente ideologico, di incensare i regimi liberali dell’Occidente, di mettere sullo stesso banco del male assoluto il nazismo ed il comunismo (ormai accumulati dietro la fantasiosa etichetta di “totalitarismo”) e di alimentare un sentimento russofobo. La decisione dell’OSCE di considerare parimenti responsabili del conflitto Germania e Russia, proprio in virtù del Patto Ribbentrop-Molotov, non rappresenta solo un indebito sconfinamento in un campo che dovrebbe restare fuori dalle preoccupazioni dell’Organizzazione per la pace e la sicurezza in Europa ma ha anche sollevato le logiche (e legittime) reazioni indignate da parte dei russi (che in quel conflitto persero circa 24 milioni di vite umane e che sopportarono il maggior peso della guerra). Quella risoluzione rappresenta un altro sciagurato mattone nella costruzione di un nuovo muro per dividere l’Unione europea dalla Russia.
 
Queste intenzioni non sono utili alla ricostruzione storica degli avvenimenti di cui pretendono occuparsi. Nel mondo complesso delle relazioni internazionali del resto è noto che le ideologie contano fino ad un certo punto, le politiche delle Potenze rispondono a criteri più complessi. La politica dell’appeasement, cioè delle concessioni alle richieste di Hitler, non era del resto stata impostata dalle Potenze occidentali? E la Polonia non era essa stessa un regime autoritario basato su una cricca di militari? Bastano forse queste due semplici constatazioni per comprendere che la questione delle origini della seconda guerra mondiale e del ruolo e del significato che in quel contesto ebbe il Patto di non aggressione tra Germania ed Unione Sovietica possono essere comprese solo indagando lo sviluppo e le dinamiche delle relazioni che si stabiliscono tra le Potenze europee nel corso degli anni Trenta, le loro problematiche e le loro reciprocità. Perché il Patto Ribbentrop-Molotov non è stato sottoscritto nell’anno zero della storia dell’umanità. Cosa era successo prima?
 
- Le radici
 
Per onestà intellettuale occorre ammettere che le radici del nuovo conflitto che insanguinò l’Europa furono poste già nel momento in cui si spense la guerra mondiale precedente. I trattati di pace (da Versailles in poi) avevano creato nell’Europa centro-orientale vari contenziosi aperti e tutta l’area che corre dal Baltico al Mar Nero era disseminata di mine pronte a scoppiare. Gli stati successori degli ex imperi che un tempo avevano spadroneggiato nella regione erano entità estremamente fragili, che raccoglievano spesso entro il loro territorio popolazioni che dal punto di vista linguistico e culturale erano affini a popoli che vivevano oltre la frontiera. Questo fatto era aggravato dal dilagare di regimi autoritari e xenofobi in tutta la regione, cupidi di rivendicazioni ed incuranti dei diritti delle minoranze (che del resto erano spesso aizzate dai vicini ed utilizzate come potenziali teste di ponte per una loro eventuale espansione). L’Occidente ebbe gravi responsabilità in questo e non solamente perché disegnò un assetto così instabile per l’Europa ma anche perché contribuì attivamente a sostenere quei regimi (come avvenne in Polonia, ad esempio).
 
L’umiliazione inflitta alla Germania gettava il seme di un pericoloso revanscismo che non avrebbe tardato a sorgere. L’ascesa di Hitler segnò il momento culminante in cui una forza ambiziosamente revisionista nei confronti dei trattati di pace arrivò al potere a Berlino.
 
Chiunque abbia letto il “Mein Kampf” sa bene che Hitler espresse chiaramente i suoi progetti. La necessità dello spazio vitale, il Lebensraum, andava saziata alimentando con vigore la storica Drang nach Osten (spinta a oriente) verso l’Europa orientale e la Russia, una nazione che in quanto tale andava distrutta. Questo programma venne poi saldato con il collante ideologico della crociata contro il bolscevismo, uno slogan questo che alle orecchie degli ambienti di potere occidentali suonava come musica.
 
- La lunga crisi degli anni Trenta e l’URSS
 
Quando i bolscevichi presero il potere nel 1917 la Russia era un paese prostrato dai lunghi anni di guerra contro gli Imperi centrali. L’uscita di scena del paese dalla Grande guerra non portò tuttavia la pace. Contro il nuovo regime insorsero ben presto i sostenitori di quello deposto ed a questa guerra civile si sovrappose l’intervento diretto delle Grandi Potenze che miravano a stroncare sul nascere il nuovo potere sovietico. Alla fine di questo tormentato conflitto la Russia venne infine invasa dalla Polonia (1919-1921), vogliosa di approfittare dell’apparente debolezza dello Stato sovietico per strappargli l’Ucraina. Ma l’esercito polacco, che sulle prime era riuscito a giungere fino alle porte di Kiev, venne respinto dall’Armata Rossa fino a Varsavia. La guerra russo-polacca terminò con una situazione transitoria che lasciava tuttavia al regime polacco ampi territori ad est della linea Curzon, che avrebbe dovuto stabilire il confine tra i due paesi. Questo lungo ciclo di guerre lasciò indubbiamente il segno nella classe dirigente sovietica, cosciente di dover ricostruire un paese che si trovava sostanzialmente sotto assedio. La linea strategica scelta da Stalin fu quella di potenziare l’Unione Sovietica trasformandola in un grande paese industriale per consentirle di resistere all’assedio delle Potenze imperialiste. L’URSS si sentiva circondata da paesi ostili che avrebbero approfittato di ogni occasione propizia per regolare i conti con lei e con il messaggio rivoluzionario di cui era portabandiera. Per questo doveva prepararsi al peggio, anche a sostenere l’urto di un’aggressione armata che, nella peggiore delle ipotesi, sarebbe stata portata contro di lei da una grande coalizione di Potenze avversarie. Questo modo di leggere la situazione internazionale dell’epoca non deve però portare a credere che al Cremlino non si registrassero differenze nella valutazione della politica estera di questo o quel paese o che si percepisse il mondo capitalista come un indistinto. Molti fatti dimostrano che a guidare la politica sovietica in quegli anni non era un’astratta visione dottrinaria ma piuttosto un crudo realismo che mostrava di saper cogliere, tra numerose sfumature, le contraddizioni che eventualmente agitavano le relazioni tra le stesse Potenze imperialiste. Le contraddizioni inter-imperialistiche, come venivano chiamate a Mosca, meritavano un’attenzione particolare perché presentavano la possibilità di dividere i nemici dell’Unione Sovietica spezzando così l’assedio tessuto a suo danno e scongiurando l’ipotesi della grande coalizione. Del resto Lenin non aveva insegnato che dalla guerra tra le Potenza imperialiste scaturiva la rivoluzione? La stessa rivoluzione bolscevica non era forse nata nel contesto della prima guerra mondiale?
 
Ad un’analisi, pur frettolosa, dei passaggi che negli anni Trenta portarono ad un’aggravarsi della situazione in Europa appare con evidenza come l’Urss abbia colto immediatamente nella Germania nazista il pericolo principale che incombeva su di essa e su tutta l’Europa e come abbia cercato di manovrare da un lato per scongiurare una grande coalizione a suo danno e dall’altro per isolare l’ambizioso regime nazista.
 
Prova ne sia che quando la Germania annesse l’Austria il governo sovietico tentò un abboccamento persino con l’Italia fascista che, almeno secondo logica avrebbe dovuto mostrare serie preoccupazioni per l’affacciarsi della Germania sui Balcani, un’area considerata a Roma come di proprio esclusivo interesse.
 
Anche gli eventi successivi dimostrarono che nella gestione della politica estera del proprio paese Stalin ed i suoi collaboratori si mostrarono sempre inclini a basarsi sulla logica dei fatti e a scegliere su calcoli di puro realismo, con un’attenzione particolare ai rapporti di forza. Su questa base verranno effettuate anche le successive proposte sovietiche per arginare il pericolo nazista e verranno tirate le eventuali conclusioni dal rifiuto delle altre Potenze a formare un sistema di sicurezza collettiva per arginare il revanscismo tedesco.
 
- Il test spagnolo
 
Già con la guerra di Spagna si ebbe con forza il sentore che un altro conflitto europeo di vaste dimensioni si stesse avvicinando. A seguito della rivolta di Franco contro la repubblica spagnola e dell’aiuto dato da Germania e Italia al suo tentativo di prendere il potere si poneva con chiarezza all’orizzonte dell’equilibrio europeo quale fosse la sfida. Hitler cercava di compattare attorno al Terzo Reich un fronte di forze revisioniste ed insoddisfatte dell’equilibrio europeo che riuscisse ad isolare la Russia e la Francia (che nel corso dell’anno precedente avevano firmato un patto di mutua assistenza per la verità piuttosto vago). Mosca e Parigi sembravano allora le due capitali dove più forti si levavano le voci della resistenza al fascismo. Ma sarebbe apparso ben presto chiaro come la Francia, la cui opinione pubblica era spaccata a metà, avrebbe languito nella irresolutezza.
 
Il governo francese guidato dal socialista Blum, giunto al potere con una coalizione di Fronte popolare comprendente anche i comunisti, chiese alle Potenze di sottoscrivere un impegno di non intervento nella guerra civile spagnola, al fine di non allargare il conflitto. Il principio che aveva ispirato Blum a formulare questa proposta nasceva dalla buona intenzione di evitare l’internazionalizzazione della crisi spagnola. L’Urss vi aderì solo in via di principio. C’è chi ha visto in questo passaggio della diplomazia sovietica un segno di difficoltà decisionale ma sembra chiara l’intenzione di Mosca di riservarsi di aderire pienamente alla proposta francese solamente se anche la Germania, l’Italia e il Portogallo (che rappresentava il vero retroterra dei rivoltosi) avessero fatto lo stesso. In caso contrario il non intervento si sarebbe risolto con l’abbandono de facto della Spagna repubblicana agli aggressori. Ed è quello che puntualmente successe. In quell’occasione va ricordato che l’Unione Sovietica, se da un lato aderì al principio del non intervento, dall’altro dopo aver denunciato le ripetute violazioni di questo da parte degli italo-tedeschi passò a sostenere la Spagna inviando armi, medicine, viveri, attrezzature e quadri militari. Nell’autunno del 1936 la Russia era di fatto coinvolta nel conflitto, seppur indirettamente. Le potenze occidentali non risposero per la verità alle sollecitazioni del ministro degli esteri sovietico Litvinov. Nel momento più drammatico della tragedia spagnola la stessa Francia, guidata da un governo di sinistra, non fece nulla per offrire un aiuto indiretto al governo repubblicano. A Londra e a Parigi la paura del comunismo aveva prevalso sulla realpolitik. Ma era l’atteggiamento francese a preoccupare di più Mosca. Nonostante Francia e Russia avessero stabilito dei legami d’intesa, nel corso di tutta la crisi il governo francese aveva concertato le proprie mosse soprattutto con Londra ed a volte si era relazionato prima con Berlino e Roma che con Mosca. Un segno indubbiamente inquietante. Ancor più allarmante era però il fatto che i francesi accettassero senza batter ciglio l’inserimento della Spagna nell’orbita filo-tedesca: dal punto di vista geopolitica la Francia si trovava ormai circondata su tre fronti (Alpi, Reno e Pirenei), un pericolo mortale che qualsiasi governo francese nel corso dei secoli precedenti aveva sempre rifiutato a costo di scendere in guerra.
 
La vicenda spagnola forniva così alcuni inquietanti spunti di riflessione a Stalin ed alla diplomazia sovietica. In primo luogo segnava la costituzione di un fronte comune delle Potenze fasciste e revisioniste che si saldava attorno alla Germania nazista. Alla fine del 1936 il Patto Antikomintern tra Berlino e Roma (cui presto si aggiunse Tokio) costituiva una minaccia concreta per l’URSS e per l’equilibrio europeo. Era il fronte che i russi definivano degli “aggressori” ai quali avrebbero dovuto opporsi i sostenitori della pace. Purtroppo anche le osservazioni che la Spagna proiettava su questi ultimi (coi quali si designavano le Potenze occidentali sommate all’URSS) non erano incoraggianti. La radicata ostilità ideologica per il regime bolscevico, percepito dalle classi dirigenti anglo-francesi come un pericolo mortale ai loro interessi, faceva sì che queste mostrassero ascolto e benevolenza nei confronti di Hitler, offrendo così un vantaggio alle mire del fuhrer. Per quanto riguardava la Francia, il primo interlocutore dei russi, pareva poi che dopo la scomparsa del ministro degli esteri Barthou (ucciso a Marsiglia nel 1934 da sicari croati) Parigi avesse perso autonomia nella definizione della propria politica estera e stesse navigando a vista all’ombra delle vele britanniche. La sfiducia storica e crescente tra sovietici ed occidentali finiva così per trovare nuovo nutrimento, come del resto il timore dei russi di trovarsi isolati di fronte alla minaccia nazista. Ciononostante Mosca continuò a sostenere il principio che la pace era indivisibile e che andasse costituito un fronte comune tra Russia, Francia e Inghilterra (da allargare eventualmente ad altre nazioni senza alcun pregiudizio per il loro regime interno) al fine di fermare Hitler.
 
Se la Spagna aveva rappresentato un test, la successiva crisi cecoslovacca rappresentò un passaggio fondamentale nella lunga discesa verso gli inferi della guerra mondiale, un passaggio che avrebbe scosso profondamente la già relativa fiducia di Stalin sulla prospettiva di una collaborazione con gli occidentali.
 
- Il nodo cecoslovacco
 
All’indomani dell’annessione dell’Austria alla Germania apparve chiaro a tutti quale sarebbe stato il nuovo obiettivo di Hitler: la Cecoslovacchia. Bastava aprire una cartina geografica per rendersene conto; la Cecoslovacchia era ormai circondata dal Terzo Reich su tutto il suo versante occidentale, il quale si incuneava profondamente nel territorio tedesco. La Cecoslovacchia aveva inoltre all’interno dei suoi confini una minoranza tedesca nel territorio dei Sudeti, lungo la frontiera con la Germania. Nella sua suggestione pangermanista il fuhrer non si sarebbe certo lasciato sfuggire l’occasione di rivendicare il ricongiungimento di quei tedeschi al Reich che andava edificando.
 
Ma la Cecoslovacchia era anche un alleato della Francia e della Russia in base ai trattati di mutua assistenza stabiliti nel corso del 1935. Nel corso di quell’anno all’intesa tra Parigi e Praga (che impegnava i francesi a soccorre i cecoslovacchi, qualora questi fossero stati aggrediti) si era aggiunta quella tra l’URSS e la Francia (in chiara funzione anti-tedesca) e quella ceco-sovietica (in base alla quale i russi sarebbero intervenuti a difesa della Cecoslovacchia successivamente ai francesi).
 
Il paese che ora si trovava nel mirino dei nazisti era quindi un perno della sicurezza europea che Mosca e Parigi avevano cercato di abbozzare. Questo faceva della crisi cecoslovacca un avvenimento cruciale per la sorte della pace europea e per quella della possibile coalizione anti-hitleriana. Nota di colore: la Cecoslovacchia era anche l’unico paese dell’Europa centro-orientale ad essere retto da un sistema democratico rappresentativo e non da una dittatura. I sostenitori della tesi della dicotomia democrazia-totalitarismo dovrebbero chiedersi perché Praga fu abbandonata dalle potenze occidentali nel 1938 che invece si mostrarono più ferme nella difesa della dittatura militare polacca l’anno successivo.
 
La Cecoslovacchia era inoltre un paese relativamente bene armato, con una buona industria pesante e con delle valide fortificazioni lungo il confine con la Germania. Perderla avrebbe significato lasciare ad Hitler le fabbriche Skoda e favorire grandemente i suoi progetti di massiccio riarmo. Come notarono molti protagonisti dell’epoca la Cecoslovacchia rappresentava il punto di miglior resistenza all’espansione hitleriana, le Potenze ne avrebbero tratto le giuste conseguenze ed avrebbero prestato fede ai patti?
 
Le rivendicazioni dei Sudeti (dapprima di autonomia e poi di ricongiungimento alla Germania) rappresentarono l’ariete usato da Hitler per sfondare le difese del piccolo ma coriaceo vicino. I Sudeti giocarono indubbiamente il ruolo di quinte colonne del Terzo Reich all’interno dello stato cecoslovacco. L’appoggio di Berlino alle loro richieste e la sistematica istigazione ad alimentare le loro rimostranze internazionalizzò ben presto la crisi cecoslovacca.
 
Francia, Cecoslovacchia ed Unione Sovietica iniziarono un periodo di febbrili consultazioni per concertare il da farsi di fronte alla tempesta che si annunciava. Alle pressanti richieste di Praga e Parigi i sovietici risposero sempre che avrebbero rispettato i termini del trattato con tutti i mezzi a loro disposizione se anche la Francia avesse fatto lo stesso. Il sistema di sicurezza saldatosi attorno alla Cecoslovacchia era infatti tale per cui la protezione sovietica sarebbe scattata solo dopo che i francesi avessero prestato il loro concorso. Questi erano i termini del trattato, ed è opportuno ricordarlo. Certamente dietro tale meccanismo si poteva intravedere il timore dei sovietici di essere trascinati in un conflitto per essere poi piantati in asso ed essere abbandonati di fronte alla Germania. Era questo un sospetto tutt altro che peregrino a giudicare dalle voci che circolavano negli ambienti irriducibilmente anticomunisti e russofobi dell’Occidente.
 
Questo meccanismo scaricava sulle spalle della Francia gran parte delle responsabilità di menare la danza. Pur tenendo conto dei costi elevatissimi che la Francia aveva pagato nel corso della prima guerra mondiale va comunque fatto notare che all’epoca non erano certo i francesi i grandi appestati d’Europa contro cui era stato eretto un cordone sanitario e praticata una politica d’isolamento. Parigi aveva accettato i termini del trattato ed era conscia della posizione che ne derivava.
 
Un problema che a Parigi ci si poneva era rappresentato dal concorso che l’Urss poteva offrire in quanto alleato, sia sul piano della volontà come su quello della possibilità concreta di venire in aiuto della Cecoslovacchia. Era questa una questione che le forti correnti che in Francia erano ostili all’intesa con Mosca agitavano continuamente, sollevando infiniti dubbi. A dissiparli sarebbe forse bastato vedere senza alcun pregiudizio gli atteggiamenti sovietici nel corso della crisi (che come vedremo si distinguevano comunque in positivo rispetto alla confusa inerzia francese ed all’atteggiamento cedevole della Gran Bretagna). Ma occorre anche ricordare che qualora i politici francesi avessero voluto trovare delle conferme alle ferme intenzioni di Stalin sarebbe bastato cercarle presso i cechi o, addirittura, presso la propria ambasciata a Mosca.
 
Il 17 marzo Litvinov aveva già affermato la disponibilità sovietica a collaborare con altre Potenze per arginare l’aggressore. Il 23 aprile l’ambasciatore cecoslovacco a Mosca, Fierlinger, rese noto al suo governo che al Cremlino si era tenuta una riunione alla presenza di Stalin dove era stato deciso che l’Urss avrebbe intrapreso assieme a Cecoslovacchia e Francia tutte le misure necessarie a prestare soccorso a Praga; lo stato dell’Armata Rossa lo consentiva. La Russia aveva già avuto modo di fornire 40 aerei da combattimento al suo piccolo alleato. A Praga, riferiva Fierlinger ai russi, si era molto incoraggiati dall’atteggiamento dell’Urss e si attribuiva la massima importanza al coordinamento con gli alleati. Tuttavia l’ambasciatore notava con perspicacia che avrebbe avuto un gran peso l’atteggiamento inglese, specie sui francesi, e che non era detto che questo fosse incoraggiante. In effetti il 7 maggio Londra, che non gradiva essere trascinata in guerra a fianco dei bolscevichi russi, aveva già invitato Praga a fare concessioni!
 
Ciononostante Litvinov rincuorò il ministro degli esteri francese Bonnet sulla fermezza sovietica ed invitò i francesi ad iniziare colloqui diretti tra gli Stati maggiori per concordare eventuali misure militari. Questa proposta venne sposata anche dall’ambasciatore francese a Mosca Coulondre e venne ribadita dai russi più volte nel corso della crisi, ma cadde nel vuoto. Il 22 agosto Litvinov si espresse assai rudemente con l’ambasciatore tedesco dicendogli che in caso di attacco tedesco egli riteneva che la Francia avrebbe marciato, che l’Inghilterra, lo volesse o meno il premier Chamberlain, sarebbe stata trascinata a sua volta in guerra e che poteva star certo del fatto che anche l’Urss avrebbe rispettato i suoi obblighi nei confronti degli alleati. Come hanno ammesso anche studiosi non certo filo-sovietici nessun diplomatico occidentale parlò mai con questa fermezza ai tedeschi durante la crisi[1]. Non a caso il ministro degli esteri cecoslovacco, Krofta, espresse a più riprese i suoi calorosi ringraziamenti al plenipotenziario russo a Praga dicendosi convinto che l’URSS “intende seriamente e senza alcuna esitazione aiutare la Cecoslovacchia in caso di bisogno reale”[2] e che ciò aveva un effetto rassicurante in quelle ore difficili.
 
Quanto all’ambasciatore francese in Unione Sovietica, Robert Coulondre, basti leggere le sue memorie. Nonostante Coulondre fosse ostile al regime sovietico ed avesse qualche pregiudizio sugli slavi era convinto della necessità dell’intesa franco-russa. Era parimenti convinto della determinazione sovietica a difendere Praga. “Il governo sovietico non si limita alle manifestazioni puramente verbali: le sue aperture a Praga sembrano indicare al contrario che pensa ad una partecipazione effettiva alla difesa della Cecoslovacchia”[3]. Riporta la notizia che l’Urss ha fornito alla Cecoslovacchia 60 bombardieri che sono già arrivati in Slovacchia e scorge chiaramente nella Cecoslovacchia minacciata la pietra angolare dell’equilibrio europeo; egli ritiene che più ancora di una diretta aggressione alla Francia sarebbe proprio un attacco tedesco al paese centro-europeo a trascinare la Russia in guerra: “L’intervento della Polonia diviene, è vero, più dubbio, ma il peso della potenza russa e quello della potenza polacca non possono essere paragonati. Nei fatti la Cecoslovacchia mi pare come il solo paese sul quale possa convergere l’azione delle tre grandi nazioni pacifiche d’Europa [Russia, Francia e Inghilterra]. Solo la loro unione immediata e l’affermazione chiara della loro volontà di difendere al bisogno con le armi questo piccolo Stato offre ancora una chance di contenere Hitler”[4].
 
Per Coulondre se un conflitto fosse scoppiato a quel punto sarebbe stato il segno che nulla avrebbe potuto evitarlo, ma sarebbe scoppiato con il sistema d’alleanze più conveniente per la Francia. Si ritiene molto soddisfatto dell’atteggiamento di Litvinov ed affatto dubbioso che i russi giocheranno la partita fino in fondo senza tentennamenti. “Io resto, da parte mia, convinto che , se i sovietici avessero preso degli impegni militari precisi per la difesa della Cecoslovacchia, li avrebbero mantenuti perché era nel loro interesse”[5]. Disgraziatamente Parigi lasciò cadere tutte le proposte di concertare congiuntamente gli aspetti militari del sostegno franco-russo ai cechi. All’ambasciata francese di Mosca Coulondre non era il solo ad avere questa certezza, Payart aveva riferito a Parigi il 5 settembre 1938 che la Cecoslovacchia era uno dei “bastioni esterni dell’Unione Sovietica [e che] l’interesse sovietico a difenderla sembra essere la migliore garanzia della sincerità delle loro intenzioni”[6].
 
Questo per ciò che attiene alle intenzioni. Per quanto riguarda la possibilità concreta che i russi potessero offrire il loro concorso nella crisi del 1938 occorre valutare la questione degli armamenti. C’è stato chi ha sostenuto che negli ambienti occidentali prevalse la tesi dell’appeasement anche per una profonda sfiducia nelle capacità militari sovietiche. Anche questo punto di vista, all’epoca sicuramente radicato in certi ambienti, merita una minima constatazione. Pur ammettendo, infatti, che le purghe di quegli anni abbiano proiettato legittimi dubbi sulle potenzialità operative dell’Armata Rossa occorre ricordare che gli occidentali avevano sicuramente a loro disposizione numerosi renseignement sulle Forze Armate dell’URSS. L’attaché militare all’ambasciata francese a Mosca, Palasse, aveva offerto ai suoi superiori un quadro piuttosto esteso delle potenzialità dell’Armata Rossa. Dal rapporto era evidente che l’Urss negli ultimi anni aveva compiuto grandi sforzi per meccanizzare il suo esercito e per sviluppare l’aviazione, basandosi sulla poderosa industria pesante frutto dei piani quinquennali; il Cremlino si preparava cioè ad affrontare una guerra moderna. Il risultato degli studi di Palasse mostrava un esercito ben equipaggiato, con un milione trecentomila uomini sotto le armi ai quali potevano sommarsi un numero elevatissimo di riserve, largamente motorizzato, che disponeva già di almeno 4500 carri armati di cui alcuni da 40 tonnellate ed un’aviazione che veniva reputata una delle migliori al mondo, coi suoi 3500 aerei di prima linea. Il grosso punto di domanda consisteva nel settore delle comunicazioni e nei trasporti interni. Coulondre ci informa che per aver inviato questo rapporto Palasse subì una forte reprimenda dai suoi superiori, che lo invitarono a moderare il suo apprezzamento dell’esercito russo. Al ponderato giudizio che sarebbe servito agli interessi della Francia, a Parigi alcuni funzionari preferirono abbandonarsi alle loro cieche propensioni ideologiche. Il giudizio che veniva offerto dalle cancellerie occidentali sulla scarsa capacità dei sovietici di portare a termine operazioni offensive appare inoltre singolare tenuto conto che tutti, dai francesi in poi, avevano studiato l’ipotesi di una guerra puramente difensiva. Il che fa pensare che secondo i calcoli dei governi inglese e francese solo ai russi sarebbe dovuto spettare il compito di combattere, mentre i loro soldati sarebbero usciti dai fortini a tempo debito.
 
Che i francesi, invece, nutrissero serie preoccupazioni per lo stato deplorevole della loro preparazione militare, specie nell’aviazione, è noto. Resta da spiegare come mai rifiutarono, ancora prima che la crisi scoppiasse, una importante fornitura di aerei da caccia sovietici. Benché il ministero dell’Aeronautica avesse giudicato positivamente l’aereo dal punto di vista tecnico, l’offerta non venne accettata perché ritenuta “umiliante”(!)[7].
 
Era evidente che l’associazione coi sovietici indispettiva parecchi a Parigi, ad assoluto discapito degli interessi nazionali francesi.
 
Veniva sollevata infine un’altra presunta incertezza circa l’aiuto che l’URSS avrebbe potuto offrire.
 
Questa riguardava il fatto che la Russia non confinava né con la Cecoslovacchia, né con la Germania. Per prestare il suo aiuto l’Armata Rossa avrebbe dovuto transitare sul territorio della Polonia e/o della Romania, due paesi che non avevano buone relazioni con Mosca. I due paesi si opponevano al passaggio dei sovietici sul loro territorio. Varsavia era particolarmente categorica: il regime polacco stava già adocchiando la possibilità di convergere coi nazisti per ottenere la sua fetta della torta cecoslovacca. Per tanto Varsavia fece tutto il possibile per vanificare qualsiasi aiuto alla Cecoslovacchia. Il ministro degli Esteri romeno dell’epoca, Nicolai Petrescu Comnen, raccontò più tardi che a Bucarest circolava con insistenza la voce che la Polonia e la Germania avessero convenuto di spartirsi le spoglie della Cecoslovacchia già da tempo, dal 1934, quando i due paesi stabilirono un patto di buon vicinato e non aggressione. Fosse o meno vero risulta indicativo che i vertici della Romania (un paese che si trovava nella singolare posizione di essere alleato sia dei cecoslovacchi che dei polacchi) nutrirono tali dubbi. Che il regime militare polacco, guidato prima da Pilsudski e poi da Beck, nutrisse ambizioni espansionistiche a spese dei vicini e provasse una malcelata ammirazione per il regime nazista era ad ogni modo acclarato (prova ne sia che a Parigi si nutrivano seri dubbi sull’affidabilità della Polonia in quanto alleato e si propendeva a credere che Varsavia si stesse sempre più allineando con la politica dell’Asse).
 
Per tutta la crisi i polacchi si caricarono di pesanti responsabilità nel vanificare ogni aiuto a Praga. Come si vide più tardi la miopia del loro regime li avrebbe ben presto condotti alla catastrofe. Credo che due esempi possano bastare ad offrirne un’idea: Varsavia protestò ufficialmente coi romeni perché avevano permesso ai cechi di sorvolare il loro territorio per portare in patria gli aerei che avevano acquistato dall’Urss ed invitò responsabili militari di Bucarest a studiare congiuntamente come arrestare i russi qualora questi avessero tentato di aprirsi con la forza un varco verso Praga. Ma la Polonia non si limitò ad interferire nella politica romena per scongiurare l’ipotesi che Bucarest acconsentisse almeno ad accettare il sorvolo del proprio territorio da parte di aerei sovietici, ma mobilitò alla frontiera cecoslovacca e disse chiaramente ai francesi che in caso in cui Parigi si fosse trovata in guerra coi tedeschi a causa della Cecoslovacchia la Polonia si sarebbe riservata il diritto di non offrire il suo aiuto.
 
Come uscirne? Dapprima i sovietici chiesero ai francesi di utilizzare la loro influenza su Varsavia e Bucarest per strappare un assenso al loro transito. Ma Bonnet rispose che i due paesi si rifiutavano categoricamente. E’ probabile che questa risposta sollevò al Cremlino dei dubbi circa la determinazione di Parigi nella crisi: era davvero possibile che la Francia non riuscisse a farsi seguire dai suoi alleati? Successivamente, quando la crisi si surriscaldò, alla ennesima richiesta di Bonnet di conoscere le intenzioni sovietiche seguì la proposta sovietica di riunire la Società delle Nazioni per ottenere una votazione contro l’aggressione che avrebbe potuto spingere la Romania ad accettare, se non altro, il sorvolo degli aerei sovietici sul suo territorio per venire incontro al paese aggredito[8]. La Romania pareva meno categorica della Polonia anche in virtù dei suoi ottimi rapporti con Praga, anche se il clima politico all’interno del paese balcanico era bollente ed erano attivi molti elementi di estrema destra filo-tedeschi. Tuttavia Comnen aveva osservato in modo sibillino che se i russi avessero sorvolato il territorio romeno tenendosi ad alta quota difficilmente la mediocre contraerea romena sarebbe riuscita a fermarli. Ricorda nelle sue memorie lo stesso Comnen, che al momento in cui Litvnov formulava queste proposte ed iniziava ad avere fiducia, Bonnet pareva accarezzare già l’idea di offrire un plebiscito ai tedeschi dei Sudeti perché scegliessero il loro destino. Inutile dire che anche l’ipotesi di ricorrere alla SdN per fare pressioni sulla Romania cadde nel vuoto.
 
Parte seconda (prossima pubblicazione)
 


[1] S. Pons, Stalin e la guerra inevitabile 1936-1941; Torino: Einaudi, 1995, p. 211
[2] Alexandroski al Commissariato del Popolo agli Affari Esteri, 30 maggio 1938; in: Nouveau documents pour servir à l’histoire de Munich; Praga: Orbis, 1958, p. 40
[3] R. Coulondre, De Stalin à Hitler: souvenirs de deux ambassades 1936-1939 ; Paris: Hachette, p. 135
[4] Ibidem, p.138
[5] Ibidem p. 148
[6] M.J. Carley, 1939: l’alleanza che non si fece e l’origine della Seconda Guerra Mondiale; Napoli, La Città del Sole, 2009 p.98
[7] R.Coulondre, op. cit., p. 126-127
[8] In base al trattato della Società delle Nazioni i paesi membri avrebbero dovuto garantire il libero passaggio alle truppe dirette a sostenere il paese aggredito. Bucarest aveva già promesso a Praga che avrebbe rispettato questi obblighi. Si veda: R. Coulondre, op. cit., p. 136