www.resistenze.org - cultura e memoria resistenti - storia - 28-10-10 - n. 338

da Accademia delle Scienze dell'URSS, Storia universale vol. VIII, Teti Editore, Milano, 1975
 
Capitolo I
 
La rivoluzione d’Ottobre, svolta decisiva nella storia dell’umanità
 
Parte Prima - La Russia alla vigilia della rivoluzione socialista
Parte Seconda (2 di 3)
 
L’abbattimento del governo provvisorio. Il passaggio del potere ai soviet
 
L’INSURREZIONE ARMATA A PIETROGRADO
 
Nella notte del 24 ottobre (6 novembre) il governo provvisorio diede l’ordine di occupare lo Smolnyj e di sollevare i ponti sulla Neva per isolare i rioni operai dal centro. Nel frattempo vennero fatti affluire al palazzo d’Inverno nuovi reparti di junkers da Peterhof e Oranienbaum, i “battaglioni d’assalto” appositamente creati per la lotta contro la rivoluzione e il “battaglione della morte” femminile. Il 24 ottobre il comandante in capo del distretto militare di Pietrogrado, colonnello Polkovnikov, comandò di allontanare dai reggimenti e consegnare ai tribunali i commissari del Comitato militare rivoluzionario. Fu fatto divieto ai soldati di uscire dalle caserme. L’ordine diceva: “Tutti coloro che, nonostante l’ordine, interverranno con le armi per le strade, saranno deferiti al tribunale con l’accusa di ribellione armata”. La controrivoluzione passava all’attacco aperto, assumendosi con ciò la responsabilità di dare il via alla guerra civile.
 
La mattina del 24 ottobre un reparto di junkers fece irruzione nella tipografia dove venivano stampati i giornali bolscevichi “Pravda” (che usciva allora sotto la testata del “Raboči Putj”) e “Soldat”. Informato di queste mosse, il Comitato Centrale del partito bolscevico invitò il Comitato militare rivoluzionario a inviare forze rivoluzionarie, Guardie Rosse e soldati in assetto di guerra alla tipografia per cacciare gli junkers e proteggere la tipografia e le redazioni dei giornali bolscevichi. Su direttiva del Comitato Centrale, il comitato del partito bolscevico di Pietrogrado invitò le masse rivoluzionarie a passare all’attacco per “l’abbattimento immediato del governo e il passaggio del potere ai soviet dei deputati operai e dei soldati, sia al centro che nelle altre località”.
 
Il Comitato militare rivoluzionario diffuse fra i propri commissari e fra i comitati di reggimento un ordine scritto nel quale si diceva: “Il soviet di Pietrogrado è minacciato da un pericolo immediato: questa notte elementi controrivoluzionari hanno cercato di fare affluire dalla periferia a Pietrogrado gli junkers e i battaglioni d’assalto. I giornali ‘Soldat’ e ‘Raboči Putj’ sono stati chiusi. Si ordina ai reggimenti di prepararsi al combattimento. Aspettate ulteriori direttive. Qualunque indugio e turbamento saranno ritenuti un tradimento della rivoluzione”.
 
Le Guardie Rosse e i soldati rivoluzionari cacciarono gli junkers dalla tipografia dei giornali bolscevichi. Alle 11 del 24 ottobre uscì il “Raboči Putj”, con l’appello del partito bolscevico a insorgere per l’abbattimento del governo provvisorio e l’instaurazione del potere dei soviet. “Il potere deve passare nelle mani del soviet dei deputati operai, soldati e contadini. Al potere vi deve essere un nuovo governo eretto dai soviet, revocabile dai soviet, responsabile davanti ai soviet”, scriveva il giornale.
 
In poche ore si mise in movimento un’enorme massa di forze rivoluzionarie: Guardie Rosse, soldati e marinai, complessivamente più di 200 mila persone. Ogni unità rivoluzionaria ebbe assegnato dal Comitato militare rivoluzionario un obiettivo di combattimento: “Non posso ricordare senza stupore - scriveva più tardi Lunačarskij - questo lavoro sbalorditivo. Ritengo l’attività del Comitato militare rivoluzionario nei giorni dell’ottobre una di quelle manifestazioni dell’energia umana, che mostra quali incalcolabili riserve si nascondano in un cuore rivoluzionario e di che cosa questo sia capace quando sente la tonante voce della rivoluzione”.
 
In aiuto a Pietrogrado si mossero le navi da guerra della flotta del Baltico. Utilizzando la stazione radio dell’incrociatore “Aurora”, il Comitato militare rivoluzionario si rivolse a tutte le organizzazioni rivoluzionarie fuori Pietrogrado invitandole a mobilitare tutte le forze per impedire l’afflusso nella capitale dei convogli di soldati chiamati dal governo provvisorio. Le truppe del fronte e i reggimenti cosacchi, su cui il governo aveva fatto affidamento, furono tenuti lontano dalla capitale.
 
Il 24 ottobre il reparto ciclisti rifiuto di prestare servizio di difesa al palazzo d’Inverno. La guarnigione della fortezza di Pietro e Paolo si schierò dalla parte della rivoluzione. Già nelle prime ore di battaglia frontale si manifestò l’isolamento del governo. In un rapporto del comando del distretto militare di Pietrogrado, inviato al Quartier generale, si rilevava che “si è creata l’impressione che il governo provvisorio si trovi nella capitale di uno Stato nemico”.
 
Nella notte del 25 ottobre (7 novembre) Lenin giunge allo Smolnyj. L’insurrezione si sviluppava con successo. Le Guardie Rosse, i soldati rivoluzionari e i marinai avevano ripreso agli junkers i ponti sulla Neva e occupato la centrale telegrafica. Gli allievi ufficiali junkers occupavano ancora l’agenzia telegrafica, le stazioni ferroviarie, la centrale elettrica, la Banca di Stato e altri uffici e punti importanti.
 
Gli operai di Pietrogrado ebbero un ruolo decisivo nel garantire il successo della insurrezione; essi agivano di comune accordo con la guarnigione della capitale che li appoggiava. Nelle prime file della rivoluzione marciavano i marinai della flotta del Baltico.
 
Dopo aver occupato i rioni operai, i reparti rivoluzionari mossero verso il palazzo d’Inverno, trasformato in principale fortezza della controrivoluzione. Le Guardie Rosse, i marinai e i reggimenti rivoluzionari presero posizione come era state predisposto nel piano del Comitato militare rivoluzionario.
 
Kerenskij diede ordine di schiacciate l’insurrezione, di occupare lo Smolnyj, di distruggere il Comitato Centrale del partito bolscevico e il Comitato militare rivoluzionario e d’inviare immediatamente a Pietrogrado truppe dal fronte. Ma il meccanismo del vecchio potere statale era inceppato. L’attività del governo, del distretto militare di Pietrogrado, del Quartier generale era paralizzata.
 
L’insurrezione si sviluppò senza spargimento di sangue e con eccezionale rapidità. Il mattino del 25 ottobre (7 novembre) la capitale era di fatto sotto il controllo del Comitato militare rivoluzionario. Solo il palazzo d’Inverno, il comando supremo, il palazzo Mariinskij e pochi altri punti nel centro della città erano ancora nelle mani del governo. Kerenskij travestito da donna fuggì a Pskov, al Quartier generale del fronte settentrionale, su di un’automobile dell’ambasciata americana.
 
Alle 10 del mattino del 25 ottobre (7 novembre) il Comitato militare rivoluzionario pubblicò un appello di Lenin (“Ai cittadini di Russia”), che informava del corso vittorioso della rivoluzione socialista e dell’abbattimento del governo provvisorio. (V. I. Lenin: “            Ai cittadini di Russia”, Opere, vol. 26, pag. 222.). Questa grande notizia si diffuse per tutto lo sterminato paese. Nel pomeriggio del 25 ottobre Lenin parlò al plenum del soviet di Pietrogrado e annunciò: “La rivoluzione operaia e contadina, sulla cui necessità hanno sempre parlato i bolscevichi, si è compiuta”. (V. I. Lenin: “Rapporto sui compiti del potere sovietico”, Opere, vol. 26. pag. 223.)
 
Restava da occupare il palazzo d’Inverno, sede del governo provvisorio. La sera del 25 ottobre il palazzo fu completamente accerchiato. I migliori reparti rivoluzionari erano in prima linea. Per evitare spargimento di sangue il Comitato militare rivoluzionario intimò al governo provvisorio di capitolare entro 20 minuti, ma non avendo ricevuto risposta, si preparò all’assalto. Alle 21 e 40 una salvia dall’incrociatore “Aurora” diede il segnale dell’attacco. Gli junkers che difendevano il palazzo avevano eretto barricate, dalle quali sparavano, ma la loro resistenza fu presto infranta. Nella notte la demoralizzazione già serpeggiava fra i difensori. Per primo si arrese un plotone del battaglione femminile, seguito subito dopo da una parte degli junkers della Scuola allievi ufficiali del fronte settentrionale. I reparti rivoluzionari portarono allora la battaglia all’interno dell’edificio.
 
“Fu questo un momento eroico della rivoluzione, meraviglioso e indimenticabile - racconta Podvojskij -. Nel buio della notte, rischiarati da una tenue luce e avvolti nel fumo greve degli spari, da tutte le vie adiacenti, dagli angoli più vicini, come terribili, fuggenti ombre, correvano frotte di Guardie Rosse, di marinai, di soldati, inciampando, cadendo e subito rialzandosi, ma mai interrompendo, neanche per un secondo, la loro impetuosa, travolgente fiumana... Un attimo e le barricate, i loro difensori e coloro che le prendevano d’assalto si fondevano in una unica massa, scura, ribollente come un vulcano; nell’attimo susseguente il grido vittorioso echeggiava già dall’altra parse della barricata. La fiumana umana sommerge il cancello, le entrate, le scalinate del palazzo”.
 

A notte inoltrata i reparti rivoluzionari occuparono il palazzo d’Inverno. Alle 2.10 del 26 ottobre (8 novembre) i membri del governo provvisorio che si trovavano nel palazzo furono arrestati. Con la conquista del palazzo d’Inverno e l’arresto dei membri del governo provvisorio si concludeva vittoriosamente l’insurrezione armata a Pietrogrado. Essa rappresentò un significativo esempio di vittoria del popolo sulla borghesia senza spargimento di sangue; e il fatto fu rilevato da tutti i testimoni obiettivi di quegli avvenimenti. Il 25 ottobre (7 novembre) passò alla storia dell’umanità come il giorno della vittoria della grande Rivoluzione socialista d’Ottobre, che segnava l’inizio di una nova era, l’era del comunismo.

 
L’APERTURA DEL II CONGRESSO PANRUSSO DEI SOVIET. LA PROCLAMAZIONE DEL POTERE SOVIETICO
 
Il II congresso panrusso dei soviet, che esprimeva gli interessi del popolo lavoratore, rafforzò, con le sue decisioni, la vittoria dell’insurrezione armata. Il congresso iniziò i suoi lavori allo Smolnyj alle 22.45 del 25 ottobre (7 novembre). Erano rappresentati 402 soviet, più che nel I congresso del giugno 1917. La composizione del congresso rifletteva il rapporto delle forze di classe che si era creato nell’ottobre 1917. Su 673 delegati, 390 erano bolscevichi, 160 socialrivoluzionari (per la maggior parte socialrivoluzionari di sinistra), 72 menscevichi. I rimanenti rappresentavano piccole frazioni o erano delegati senza partito. 505 delegati avevano ricevuto dai loro elettori il mandato che esigeva il passaggio del potere ai soviet.
 
Nel mandato del soviet di Minsk, per esempio, si diceva: “Tutto il potere del paese deve appartenere soltanto ai soviet dei deputati operai, soldati e contadini. Nessun accordo con la grossa borghesia, nessuna partecipazione a un governo dei capitalisti”. Il mandato chiedeva di concludere una pace giusta e democratica, di liquidare la proprietà privata sulla terra e di dare subito, ancor prima dell’Assemblea costituente, la terra ai contadini. Un altro mandato, quello del soviet di Lugansk, rilevava: “L’unica via d’uscita dall’attuale situazione noi la vediamo nell’immediato passaggio del potere nelle mani dei soviet dei deputati operai, soldati e contadini”. Anche questo mandato esigeva una pace senza annessioni né riparazioni di guerra, sulla base dell’autodeterminazione dei popoli, lo scioglimento del pre-Parlamento, l’introduzione del controllo operaio sulla produzione.
 
I contadini del distretto di Gdov scrissero che il governo provvisorio si era dimostrato completamente incapace di accogliere la volontà popolare: “Noi - dichiaravano - da questo momento e mai più potremo avere fiducia in un potere irresponsabile davanti al popolo e chiediamo che il congresso panrusso... prenda il potere nelle sue mani, tanto nelle città quanto nelle campagne”.
 
Le masse popolari affidavano le loro migliori speranze al passaggio del potere ai soviet e lo dichiaravano apertamente nelle deliberazioni delle riunioni degli operai, dei soldati e dei contadini. Una risoluzione approvata nella provincia di Tambov diceva: “Siamo convinti che attorno ai soviet si organizzerà la democrazia rivoluzionaria, che metterà fine alla guerra fratricida, scatenata dalla borghesia mondiale. La terra sarà assegnata al popolo lavoratore, ai contadini-agricoltori senza riscatto”. Il menscevico F. I. Dan, a nome del Comitato Esecutivo Centrale uscente, aprì i lavori del II congresso panrusso dei soviet, ma subito la direzione del congresso passò ai bolscevichi, perché erano il gruppo più numeroso.
 
Nel nuovo presidium, formato sulla base della rappresentanza proporzionale, entrarono: Lenin, Antonov-Ovseenko, Kollontaj, Krylenko, Lunačarskij, Noghin e altri per i bolscevichi; Kamkov, Karelin, Spiridonova per i socialrivoluzionari di sinistra. I rappresentanti dei socialrivoluzionari di destra, dei menscevichi e del Bund rifiutarono la loro partecipazione, anzi ruppero subito con i bolscevichi, passando a difendere apertamente il governo provvisorio controrivoluzionario e definendo calunniosamente la Rivoluzione d’Ottobre un “putsch militare”. Abbandonarono il congresso e, unendosi ai cadetti, parteciparono alla creazione di un centro controrivoluzionario, il cosiddetto “Comitato per la salvezza della patria e della rivoluzione”. I delegati del congresso accompagnarono 1’uscita dei leaders opportunisti col grido di “ Disertori! Traditori! “.
 
La frazione bolscevica diede lettura di una risoluzione, nella quale si affermava che “la diserzione degli opportunisti non indebolisce i soviet ma li rafforza, in quanta ripulisce dalle scorie controrivoluzionarie la rivoluzione operaia e contadina”.
 
A notte inoltrata giunsero alla seduta del congresso i partecipanti all’assalto del palazzo d’Inverno, portando la notizia della sua caduta e dell’arresto dei membri del governo provvisorio. Subito dopo il congresso adottò il proclama di Lenin “Agli operai, ai soldati, ai contadini!”, in cui si diceva: “Forte della volontà dell’immensa maggioranza degli operai, dei soldati e dei contadini, forte della vittoriosa insurrezione compiuta a Pietrogrado dagli operai e dalla guarnigione il congresso prende il potere nelle sue mani”. (V. I. Lenin: “Agli operai, ai soldati e al contadini”, Opere, vol. 26, pag. 229.). Il documento proclamava inoltre il passaggio del potere locale ai soviet dei deputati operai, soldati e contadini, ai quali spettava garantire un ordine veramente rivoluzionario.
 
Il congresso proclamò poi la Russia repubblica dei soviet e il potere sovietico unico potere legale nel paese. Il proclama conteneva il programma d’azione del potere sovietico: la proposta di una pace democratica a tutti i popoli e un armistizio immediato su tutti i fronti; il passaggio gratuito delle grandi proprietà fondiarie, delle terre demaniali e dei monasteri ai comitati contadini; l’instaurazione del controllo operaio sulla produzione; la garanzia a tutte le nazioni che popolavano la Russia del diritto effettivo all’autodeterminazione; una completa democratizzazione dell’esercito.
 
Il congresso invitava i soldati a difendere la rivoluzione contro tutti gli attacchi dell’imperialismo, a essere vigilanti e fermi sino al momento in cui il nuovo governo sovietico non avesse concluso una pace democratica. La difesa dello Stato socialista dall’aggressione imperialistica diventava uno dei compiti principali del potere sovietico.
 
I DECRETI SULLA PACE E SULLA TERRA. LA FORMAZIONE DEL GOVERNO SOVIETICO
 

La sera del 26 ottobre (8 novembre) si tenne la seconda e ultima seduta del II congresso dei soviet. Fu decisa l’abolizione della pena di morte al fronte e la liberazione immediata dalle prigioni di tutti i soldati e ufficiali arrestati per attività rivoluzionarie. Negli appelli a tutti i soviet provinciali e distrettuali dei deputati operai, soldati e contadini e nel proclama ai cosacchi, il congresso chiamò le masse lavoratrici delle retrovie e del fronte a lottare attivamente per il potere sovietico, a formare il nuovo Stato e il nuovo regime sociale.

 
I rapporti di Lenin sulla pace e sulla guerra furono al centro dell’attenzione del congresso: “La questione della pace - disse Lenin nella sua relazione al congresso - è la questione urgente, la questione nevralgica dei nostri giorni. Se ne è motto parlato, scritto, e voi tutti, certamente, l’avete non poco discussa. Permettetemi perciò di passare alla lettura della dichiarazione, che dovrà pubblicare il governo da voi eletto”. (V. I. Lenin: “Relazione sulla pace”, Opere, vol. 26, pag. 231.). Lenin diede lettura del progetto di decreto sulla pace che lui stesso aveva redatto.
 
Uno dei partecipanti al congresso racconta: “...c’era un silenzio tale che sembrava nessuno respirasse. E poi, come se tutta la sala mandasse un sospiro di liberazione, proruppe un uragano di applausi, di grida di entusiasmo... Così il nostro congresso teneva fede, adottando questa storica decisione, alla volontà popolare. La Russia rivoluzionaria diventava l’alfiere della pace in tutto il mondo e chiamava i popoli a porre fine al sanguinoso orrore della guerra”.
 
Nel decreto sulla pace il governo sovietico proponeva a tutti i paesi belligeranti e ai loro governi d’iniziare immediatamente trattative per una pace giusta e democratica senza annessioni ne indennità. Si chiariva che per annessioni il governo sovietico intende, conformemente alla concezione giuridica della democrazia in generale e delle classi lavoratrici in particolare, qualsiasi annessione di un popolo piccolo o debole a uno Stato grande e potente, senza che quel popolo ne abbia espresso chiaramente, nettamente e volontariamente il consenso e il desiderio, indipendentemente dal momento in cui quest’annessione forzata e stata compiuta, indipendentemente anche dal grado di progresso o di arretratezza della nazione annessa forzatamente o forzatamente tenuta entro i confini di quello Stato, e infine indipendentemente dal fatto che questa nazione risieda in Europa o nei lontani paesi transoceanici”. Questa definizione dell’annessione ebbe un enorme significato internazionale, in particolare per i paesi coloniali e semicoloniali.
 
Il decreto sulla pace denunciava il carattere imperialistico della guerra, ne bollava i colpevoli e indicava le vie di uscita: “Continuare questa guerra per decidere come le nazioni potenti e ricche devono spartirsi le nazioni deboli da esse conquistate (il governo sovietico ritiene) sia il più grande delitto contro l’umanità e proclama solennemente la sua decisione di firmare subito le condizioni di una pace che metta fine a questa guerra in conformità delle condizioni sopraindicate, parimenti giuste per tutti i popoli senza eccezione”. (V. I. Lenin: “Relazione sulla pace”, Opere, vol. 26, pag. 232.) Si proponeva ai governi di tutti i paesi belligeranti di concludere immediatamente un armistizio per non meno di tre mesi, per un periodo di tempo cioè largamente sufficiente a condurre a termine le trattative di pace con la partecipazione dei rappresentanti di tutti i popoli e nazioni trascinati nella guerra o costretti a parteciparvi, e di convocare le assemblee dei rappresentanti popolari di tutti i paesi, investite di pieni poteri, per ratificare definitivamente le condizioni di pace.
 
Il decreto sulla pace prevedeva che il governo sovietico avrebbe proceduto alla pubblicazione integrale dei trattati segreti “confermati o conclusi dal governo dei proprietari fondiari e dei capitalisti, dal febbraio al 25 ottobre 1917”, e dichiarava incondizionatamente e immediatamente abrogato “tutto il contenuto di questi trattati”. Inoltre il governo sovietico procedeva a una completa rottura con la politica estera imperialistica del regime zarista, facendo però rilevare di non considerare affatto come un ultimatum le sue condizioni di pace e dichiarandosi pronto a esaminare eventuali condizioni avanzate dalle altre potenze. Questo documento non era indirizzato soltanto ai governi delle potenze belligeranti, ma specialmente ai popoli. Rivolgendosi in modo particolare agli operai dell’Inghilterra, della Francia e della Germania, il governo sovietico esprimeva la certezza che “essi avrebbero compreso i compiti che stanno ora davanti a loro per la liberazione dell’umanità dagli orrori della guerra e dalle sue conseguenze” e avrebbero aiutato lo Stato sovietico “a far trionfare la cause della pace”. (V. I. Lenin: “Relazione sulla pace”, Opere, vol. 26, pag. 232-234.)
 
I1 II congresso dei soviet approvò all’unanimità il decreto sulla pace, il primo decreto del potere sovietico. Cominciò così la lunga e tenace lotta del governo sovietico per la pace e la sicurezza dello Stato sovietico e dei popoli di tutto il mondo, per l’attuazione del principio leninista della coesistenza pacifica fra sistemi sociali diversi, per lo sviluppo di rapporti internazionali sulla base della parità dei diritti fra le nazioni sia piccole che grandi. Sottolineando l’aspirazione del potere sovietico a ottenere la pace con gli Stati capitalistici, Lenin disse: “Noi respingiamo tutte le clausole che concernono le rapine e le violenze, ma non possiamo respingere le clausole che stabiliscono condizioni di buon vicinato e accordi economici; le accetteremo con piacere”. (V. I. Lenin: “Relazione sulla pace. Discorso di chiusura”, Opere, vol. 26, pag. 237.)
 
Lenin dedicò il secondo rapporto alla questione della terra che, come la questione della pace, toccava gli interessi più profondi di masse di milioni di lavoratori. Il decreto sulla terra aboliva la proprietà fondiaria senza alcuna indennità. Le terre dei proprietari fondiari, demaniali, dei monasteri, della Chiesa, con tutte le loro scorte vive e morte, gli stabili delle masserie e tutte le loro suppellettili passavano a disposizione dei comitati agricoli mandamentali e dei soviet circondariali dei deputati contadini.
 
Il decreto stabiliva che “qualunque danno arrecato ai beni confiscati che da questo momento appartengono a tutto il popolo, è dichiarato grave delitto punibile dal tribunale rivoluazionario”. (V. I. Lenin; “Decreto sulla terra”, Opere, vol. 26. pag. 240) Erano esenti da confisca le terre dei contadini poveri e dei semplici cosacchi. Il decreto dichiarava abolito per sempre il diritto di proprietà privata sulla terra e la sua sostituzione con la proprietà statale di tutto il popolo. Era l’attuazione del principio fondamentale del programma agrario del partito bolscevico: la nazionalizzazione della terra. Erano proibiti la vendita, l’acquisto, l’affitto della terra e il lavoro salariato, e veniva introdotto il godimento ugualitario della terra, in base alla norma del lavoro o del consumo, con ripartizioni periodiche del fondo agrario.
 
A base del decreto fu posto il mandato dei contadini sulla terra, compilato dalla redazione delle “Izvestija” del soviet dei deputati contadini di tutta la Russia, in base ai 242 mandati locali dei lavoratori della terra. La richiesta d’introdurre il godimento egualitario della terra espressa dai mandati dei contadini era dettata dalla speranza di far cessare il processo di differenziazione nelle campagne: Lenin dimostrò che simili attese erano illusorie, poiché la differenziazione nelle campagne era il risultato obiettivo dello sviluppo dell’economia mercantile.
 
Tuttavia, sebbene il partito bolscevico fosse contrario al godimento egualitario della terra come mezzo di riorganizzazione sociale nelle campagne, ritenne necessario soddisfare il desiderio dei contadini: “… come governo democratico non potremmo trascurare una decisione delle masse popolari, anche se non fossimo d’accordo. All’atto pratico, con l’applicazione del decreto, con la sua attuazione nelle varie località, i contadini stessi comprenderanno dov’è la verità”. (V. I. Lenin: “Rapporto sulla questione della terra”, Opere, vol. 26, pag. 243.)
 
Il partito bolscevico indicava la via d’uscita dalla miseria e dalla rovina per tutti i contadini: la riorganizzazione socialista delle campagne. Anche il decreto sulla terra fu approvato all’unanimità dal congresso e divenne il punto di avvio della politica agraria del potere sovietico. I contadini, come risultato della riforma agraria, ricevettero gratuitamente più di 150 milioni di ettari di terra delle proprietà fondiarie, demaniali, dei monasteri eccetera. Il valore di tutto il fondo agrario concesso dal potere sovietico ai contadini era pari ad alcuni miliardi di rubli-oro. I contadini furono liberati dal pagamento annuo di enormi canoni d’affitto, dal debito con la Banca del fondo agrario contadino per la somma di circa 3 miliardi di rubli e da vari altri indebitamenti e ricevettero le scorte delle proprietà fondiarie per un valore di circa 300 milioni di rubli.
 
Il II congresso dei soviet nominò il governo operaio-contadino della repubblica russa: il Consiglio dei Commissari del Popolo. Lenin fu nominato capo del governo.
 
Nel Consiglio dei Commissari del Popolo entrarono solo i rappresentanti del partito bolscevico. I socialrivoluzionari di sinistra, non volendo rompere completamente con i loro compagni di destra, respinsero la proposta dei bolscevichi di entrare a far parte del governo. Nel decreto sulla formazione del governo sovietico era precisato che il congresso panrusso dei soviet dei deputati operai, contadini e soldati e il Comitato Esecutivo Centrale di tutta la Russia da questi eletto, avevano il diritto di controllare l’attività dei Commissari del Popolo e, se necessario, di sostituirli. Entrarono a far parte del Comitato Esecutivo Centrale di tutta la Russia 101 persone, di cui 62 bolscevichi, 29 socialrivoluzionari di sinistra, 6 socialdemocratici internazionalisti e 4 rappresentanti di altri partiti. Le decisioni del II congresso dei soviet riflettevano l’avvenimento storico-mondiale del passaggio del potere in Russia nelle mani del popolo, vero protagonista della storia.
 
(Continua)
 

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