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La lotta fra le tendenze rivoluzionaria e riformistica

Accademia delle Scienze dell'URSS | Storia universale vol. VII, Teti Editore, Milano, 1975

Capitolo XXIV - Il movimento operaio internazionale

I primi anni del XX secolo furono un periodo di svolta nella storia del movimento operaio inter­nazionale.

Con la rivoluzione russa del 1905, esso aveva dato inizio a un periodo di aperta lotta di classe, differenziata nelle formò, ma con una netta prevalenza della tendenza rivolu­zionaria.

"Generalmente parlando - scriveva Lenin nel 1908 - noi vediamo chiaramente l'enorme passo innanzi del socialismo internazionale, l'unione compatta delle armate di milioni di proletari in tutta una serie di scontri concreti col nemico e l'avvicinarsi della lotta decisiva con la borghesia, quella lotta che è stata molto meglio preparata da parte della classe operaia, che non all'epoca della Comune, ultima grande rivolta del proletariato". (V. I. Lenin: "Il materiale combustibile della politica mondiale".)

L'imperialismo e i nuovi avvenimenti nel movimento operaio internazionale

Alla fine del XIX secolo il movimento sociali­sta rappresentava, particolarmente in Europa, una grande forza.

Quando August Bebel af­fermo al congresso del partito di Erfurt (1891): "Io sono convinto che la realizzazione dei nostri scopi e così vicina che solo pochi dei presenti in questa sala non vedranno quel gior­no" egli esprimeva la profonda fiducia dei proletari europei nella vicinanza della vittoria.

L'accentuarsi delle contraddizioni sociali in coincidenza con il passaggio all'imperialismo favoriva in tutti i modi lo sviluppo delle ten­denze rivoluzionarie delle masse.

In Russia, all'inizio del 1900, maturava una situazione rivoluzionaria; in Germania l'incremento delle lotte di classe era accompagnato dall'ascesa generale del movimento degli scioperi e dall'evidente acutizzarsi della lotta elettorale; que­sti stessi fenomeni si osservavano in Francia, nell'Austria-Ungheria e in altri paesi; in Bel­gio e in Italia vi erano stati scioperi generali; il movimento operaio si rafforzava anche in Inghilterra.

Un'espressione di questi processi fu il raffor­zarsi della corrente rivoluzionaria nel movi­mento internazionale socialista.

La classe ope­raia russa aveva creato un partito di tipo nuo­vo, che si differenziava in linea di principio dagli altri della II Internazionale.

A capo di questo partito stava il geniale teorico e stratega della rivoluzione V. I. Lenin.

Nelle file della socialdemocrazia germanica si formò un'ala sinistra; in Francia i seguaci di Guesde conducevano una lotta risoluta con­tro la politica di collaborazione con la borghe­sia; nel Partito Operaio Socialdemocratico Bul­garo sorse negli anni 90 una corrente rivolu­zionaria guidata da D. Blagoev, che nel 1903, dopo la rottura con gli opportunisti, si raccolse in un partito socialista indipendente.

Le forze rivoluzionarie crescevano anche negli altri par­titi socialisti.

Contemporaneamente, però, si sviluppava an­che la corrente opportunista, che aveva roso dall'interno la II Internazionale.

L'influenza dell'ideologia borghese, di cui erano portatori rappresentanti dell'intellighenzia del tipo di Vollmar, Millerand e Turati, si rafforzò con i successi elettorali dei vari partiti socialisti dell'Occidente.

La base sociale principale dell'opportunismo fu l'aristocrazia operaia, dal cui ambiente uscirono i dirigenti dei sindacati, delle cooperative operaie, molti deputati so­cialdemocratici eccetera.

Il rafforzamento dell'opportunismo e del revi­sionismo era favorito dalla linea conciliante dei dirigenti dell'Internazionale (come Kaut­sky e altri), che si spostavano gradualmente sulle posizioni del centrismo.

Il centrismo (o meglio l'opportunismo mascherato) impediva la formazione e l'unione delle forze autentica­mente rivoluzionarie e favorendo la degenera­zione riformistica dell'Internazionale, diventa­va un pericolo assai grave.

Nei primi anni del XX secolo tutti questi processi non si erano ancora conclusi.

Così av­veniva che la maggior parte dei capi dell'Inter­nazionale e i rappresentanti del suo partito più grande (il tedesco) su molte questioni agivano d'ac­cordo con le sinistre, benché già da allora si manifestassero tra di essi non rare titubanze.

Il congresso di amsterdam della II internazionale

La lotta delle opposte tendenze nel movimento operaio internazionale si manifestò chiara­mente nei lavori del congresso della II Inter­nazionale tenutosi nel 1904 ad Amsterdam.

Il congresso ebbe luogo in una situazione di ascesa rivoluzionaria delle masse in molti paesi e mentre s'inasprivano ulteriormente gli anta­gonismi fra le grandi potenze: erano appena terminate la guerra ispano-americana e quella anglo-boera e già nell'Estremo Oriente si era scatenata la guerra russo-giapponese.

Alla po­litica imperialistica e alla propaganda sciovi­nista della classi dominanti si contrapponeva la solidarietà internazionale del proletariato.

Il suo simbolo fu l'amichevole stretta di mano che in occasione dell'aper­tu­ra del congresso di Amsterdam venne scambiata, fra gli applausi scroscianti dei partecipanti, tra i rappresen­tanti dei socialisti russi e di quelli giapponese, Plechanov e Katavama Sen.

Al centro dei lavori del congresso era la que­stione dei "principi internazionali della tattica socialista", cioè della posizione da assumere verso il revisionismo.

Bernstein ed i suoi com­pagni, sebbene alla fine degli anni 90 fossero stati decisamente ripudiati dalla maggioranza dei membri dei partiti socialisti dell'Oc­ci­dente, non avevano ceduto le armi; anzi avevano acquistato nuovi alleati fra i partiti francese, belga e italiano.

I seguaci e gli avversari del revisionismo si scontrarono violentemente an­che al congresso di Amsterdam: Janis, che difendeva la tattica riformistica della collabo­razione con i partiti borghesi, venne attaccato da Bebel e Guesde, che si schierarono per una decisa condanna del revisionismo.

La risoluzione approvata dal congresso riget­tò i tentativi dei revisionisti di rinunciare alla tattica dei socialisti fondata sulla lotta di classe e di "sostituire la conquista del potere poli­tico per mezzo della vittoria sopra i nostri av­versari con una politica di concessioni al si­stema esistente".

Tuttavia la risoluzione non poneva il compito di epurare il partito dai revisionisti.

Inoltre, nella questione dell'uni­ficazione dei partiti operai il congresso approvò una risoluzione che apriva la via ai tentativi di "conciliare" le forze rivoluzionarie con gli opportunisti, invitando alla creazione in tutti i paesi di partiti socialisti unitari, senza spe­cificare la condizione essenziale di tale unione: l'accettazione della teoria rivoluzionaria del marxismo.

Il congresso fece un certo passo innanzi con l'approvazione di una risoluzione sull'utilizzazione dello sciopero di massa, ben­ché lo sciopero venisse considerato come per il passato solo come un mezzo di difesa.

La rivoluzione russa del 1905 e la II internazionale

La rivoluzione nel 1905 fu una severa prova per la II Internazionale e per i suoi partiti.

In Russia questa prova fu sostenuta con onore dai marxisti rivoluzionari bolscevichi guidati da Lenin.

Già prima del 1905, e poi imme­diatamente dopo l'inizio della rivoluzione, Le­nin analizzava i suoi problemi di fondo, impo­stando in modo nuovo la questione dell'ege­monia del proletariato e quella dei suoi alleati; la questione del potere rivoluzionario e della trasformazione della rivoluzione borghese de­mocratica in rivoluzione socialista.

Nella lotta conseguente dei bolscevichi contro gli oppor­tunisti menscevichi si espresse nel modo più evidente la posizione dell'ala rivoluzionaria del movimento operaio internazionale.

Le eroiche lotte degli operai e delle masse popolari russe contro lo zarismo, fino a poco tempo prima ritenuto onnipotente, produssero un'enorme impressione sul proletariato euro­peo e specialmente sulle masse degli operai socialisti: "La rivoluzione russa - scriveva Clara Zetkin nel gennaio del 1906 - agisce in modo così vivo, risveglia e rafforza tanto la coscienza rivoluzionaria che persino i capi debbono acconsentire ad assumere un tono più deciso e a marciare in avanti un poco più ve­locemente, quegli stessi capi che vorrebbero trasformare i socialdemocratici in un mansue­to barboncino da salotto ... in un cagnolino che offre gentilmente la zampa a tutta la ca­naglia borghese...".

Sotto l'influsso della rivoluzione russa il con­gresso di Jena della socialdemocrazia approvò, sulla base della relazione di Bebel, una risolu­zione sulla possibilità di applicare lo sciopero politico di massa.

A Vienna le notizie dello sciopero generale dell'ottobre in Russia giun­sero mentre il congresso del partito esaminava la questione della tattica da adottare nella lotta per il diritto al suffragio universale, e la dire­zione del partito e dei sindacati dovette aderire alla richiesta dei delegati sulla preparazione di uno sciopero generale.

Tuttavia lo spostamento a sinistra della direzione della II Internazio­nale durò pochissimo, perché la maggior parte dei suoi dirigenti non seppe comprendere il significato storico universale della rivoluzione russa: "È possibile che dei paesi arretrati come la Russia possano dettarci la nostra tattica di partito?", disse uno dei membri dell'Uffi­cio Socialista Internazionale, il belga E. Ansele.

A questi dirigenti rimaneva incompren­sibile tutta la ricchezza e la molteplicità delle forme di lotta, che per la prima volta avevano trovato la loro applicazione in Russia (lo scio­pero politico di massa in unione con la rivolta armata, la creazione dei soviet dei deputati operai come organo del potere e la partecipa­zione dell'esercito alla lotta del proletariato).

Rinunciando ad imparare le lezioni dell'espe­rienza della rivoluzione russa, i dirigenti della II Internazionale dimostrarono la loro assolu­ta incapacità a guidare il movimento operaio internazionale.

Tutta la loro attenzione era, come nel passato, rivolta alle forme parla­mentari di lotta e persino lo sciopero politico di massa era ritenuto da essi un mezzo da applicarsi soprattutto nella lotta per il suffragio universale.

Le questioni della rivoluzione preoccupavano assai poco i più famosi teorici e pubblicisti della II Internazionale.

L'approssimarsi di lotte rivo­luzionarie decisive per il socia­lismo esigeva invece la crea­zione di un partito operaio di nuovo tipo, epurato dagli op­portunisti.

I bolscevichi per primi attuarono una decisa rot­tura con i partigiani della po­litica e dell'ideologia borghese nel movimento operaio.

Que­sto compito non era però im­portante per i partiti sociali­sti dell'Europa occidentale, nei quali, durante gli anni dell'at­tività pacifica e legale, erano entrati molti fiancheggiatori piccolo-borghesi, nemici della tattica rivoluzionaria marxista.

I dirigenti della II Internazionale non sostennero la lotta dei bolscevichi contro l'opportunismo in Russia e parteggia­rono apertamente per i menscevichi, avversan­do in ogni modo Lenin ed i bolscevichi.

La direzione della socialdemocrazia tedesca con alla testa Bebel cercava d'esercitare il ruolo di arbitro e di conciliare i menscevichi con i bolscevichi.

Kautsky invece andava ancora più oltre e voleva in sostanza la cessazione della lotta dei marxisti rivoluzionari russi contro gli opportunisti menscevichi.

Tentò anzi di create una piattaforma per la sua posizione centrista con ipocriti riferimenti sulla neces­sità di allontanare dalla direzione dei partiti i seguaci di una "eccessiva teorizzazione": in una lettera privata a V. Adler egli espri­meva la speranza che in Russia comparissero uomini che potessero sostituire i dirigenti di allora del partito (e questo con riferimento an­che a Lenin).

La politica del gruppo dirigente della II In­ternazionale e in primo luogo quella del suo partito-guida, il Partito Socialdemocratico Te­desco, non corrispondeva assolutamente al com­pito storico, posto alla classe operaia europea dalla rivoluzione russa del 1905.

Dopo la scon­fitta delle forze rivoluzionarie russe la mag­gior parte dei dirigenti della II Internazionale e dei rappresentanti dei suoi principali partiti imboccarono la via della destra.

IL PERICOLO DELLA GUERRA IMPERIALISTICA E LA POSIZIONE DELLA II INTERNAZIONALE. IL CONGRESSO DI STOCCARDA

La catena dei conflitti internazionali e il cre­scente pericolo di una guerra imperialistica ponevano dinnanzi al movimento socialista mondiale il problema del modo e dei mezzi con cui l'Internazionale si proponeva di op­porsi al pericolo di una conflagrazione mili­tare.

Durante l'esame di questa questione al congresso di Stoccarda (agosto 1907), dopo la prima crisi marocchina, furono presentate quat­tro proposte di risoluzioni: da Bebel, da Gue­sde, da Jaurès e da Vaillant.

La proposta di risoluzione di Bebel, che sostanzialmente coin­cideva con quella di Guesde, poneva giustamente la questione del rapporto del militari­smo col capitalismo, ma non indicava i compiti concreti del proletariato nella lotta contro la guerra. Secondo Lenin, essa era "dogmatica, unilaterale, morta" (V. I. Lenin: "Il congresso internazionale socialista a Stoccarda".) e permetteva una sua interpretazione in chiave opportunista.

In que­sto senso fu utilizzata dal socialdemocratico di destra von Vollmar, che sosteneva la rinuncia in linea di principio alla lotta antimilitaristica, basandosi sul fatto che la guerra era una con­seguenza inevitabile del capitalismo.

Una reazione alla posizione opportunistica della dele­gazione tedesca fu la risoluzione di Hervé.

Ma la sua proposta di rispondere a ogni guerra col rifiuto di presentarsi ai centri di mobilita­zione e chiamando il popolo alla rivolta si riduceva ad una fraseologia semi-anarchica.

Criticando Hervé, Lenin rilevava che nella so­cietà capitalistica sono possibili guerre rivolu­zionarie e guerre di liberazione, alle quali il proletariato deve prestare appoggio.

D'altro canto la scelta dei mezzi contro la guerra in­giusta e reazionaria dipende dalle condizioni concrete nelle quali la guerra ha inizio.

Ma in ogni circostanza il proletariato deve utilizzare la crisi generata dalla guerra per accelerare l'abbattimento della borghesia.

La risoluzione presentata da Jaurès e da Vail­lant invitava ad utilizzare qualsiasi mezzo nella lotta contro la guerra sino allo sciopero di massa.

Ma Jaurès, come pure Bebel, ricono­sceva la necessità della partecipazione del proletariato alla difesa della patria borghese nel caso in cui "essa fosse stata attaccata".

Que­sta clausola rappresentava un pericolo gravis­simo: già nel 1907 si erano formate due coali­zioni imperialistiche e maturava lo scontro ar­mato fra di esse.

La definizione di guerra difensiva lasciava aperta una scappatoia, che ven­ne utilizzata dopo qualche anno dai social-sciovinisti all'inizio della guerra mondiale, per giu­stificare il proprio tradimento al socialismo.

V. I. Lenin e Rosa Luxemburg, a nome della delegazione russa e polacca, presentarono emendamenti alla risoluzione Bebel, affermando che il militarismo è l'arma principale dell'oppressione di classe e proponendo di svol­gere una particolare attività antimilitaristica fra la gioventù.

Una particolare importanza ebbe la proposta di includere nella risoluzione l'affermazione che, qualora il proletariato non fosse riuscito ad evitare la guerra, i partiti ope­rai avrebbero dovuto utilizzare con tutti i mez­zi la crisi politica ed economica per risvegliare la coscienza politica delle masse popolari ed accelerare il crollo del dominio della classe capitalista.

Il congresso si trovò d'accordo con gli emen­damenti di Lenin e della Luxemburg e con­fermò la risoluzione già approvata al congresso di Bruxelles del 1891 sull'inammissibilità per la socialdemocrazia di votare per i crediti mi­litari.

Il congresso approvò, anche una risoluzione che rigettava la teoria opportunistica della "neu­tralità dei sindacati" e della "loro indipen­denza" dai partiti politici della classe operaia, ma essa, al pari di varie altre decisioni dell'In­ternazionale, venne tenacemente sabotata dai riformisti e di fatto non venne applicata.

La questione coloniale e la II internazionale

Le tendenze opportunistiche e rivoluzionarie si scontrarono anche nel dibattito sulla questione coloniale.

Fin dall'epoca della guerra anglo-­boera i "fabiani", tra cui Sidney Webb (in seguito uno dei leaders del partito laburista), avevano esordito col pamphlet "I fabiani e l'impero", nel quale pretendevano di provare che "le grandi potenze dovevano dominare nell'interesse della civiltà", dato che "tutti i piccoli Stati che ostacolano la civilizzazione internazionale devono scomparire".

Sulla base di questa premessa i "fabiani" appoggiavano l'imperialismo inglese.

In questo stesso periodo Bernstein e successi­vamente l'intero raggruppamento dei revisio­nisti germanici presero a giustificare aperta­mente le pretese coloniali della Germania.

Nel­le elezioni al Reichstag tedesco del gennaio 1907, indette dal governo con la parola d'or­dine sciovinista delle rappresaglie contro le tribù insorte in Africa, il partito socialdemo­cratico perse parecchi seggi al Parlamento, ma i leaders revisionisti, nonostante la sconfitta, insistettero per l'accettazione da parte del par­tito di un programma coloniale "pratico", che prevedesse l'attuazione di una politica "civilizzatrice" nelle colonie.

Quando re Leopoldo del Belgio rinunciò al possesso personale del Congo e lo trasformò in colonia belga, il parti­to operaio dovette risolvere il problema se vo­tare o meno a favore delle spese per la coloniz­zazione del Congo ad opera dello Stato.

Il leader del partito e del gruppo parlamentare so­cialista E. Vandervelde si espresse categorica­mente per il sì e minacciò di abbandonare il suo incarico in caso di rigetto della sua pro­posta.

Il congresso del partito votò contro la proposta Vandervelde, ma gli lasciò l'incarico di presidente del gruppo parlamen­tare, ed egli fece votare il suo gruppo per il bilancio coloniale, disobbedendo pubblicamen­te alla disciplina di partito.

Il conflitto nel Partito Operaio Belga e le ri­chieste dei revisionisti tedeschi trovarono con­ferma anche nella relazione al congresso di Stoccarda del socialista olandese H. H. van Kol, che si schierò per una "politica coloniale so­cialista e per il riconoscimento della necessità dell'esistenza delle colonie e dell'impiego delle loro risorse naturali. Il congresso - affermava nella sua risoluzione van Kol - non condanna in linea di principio e per sempre ogni politica coloniale, politica, che in regime socialista, può esercitare un'azione civilizzatri­ce".

Questa relazione, che Lenin considerò come un aperto cedimento in direzione della politica borghese e della sua concezione del mondo, e che giustificava le guerre coloniali e le loco crudeltà, fu sostenuta dalla maggioranza opportunistica della delegazione tedesca e ap­provata dalla commissione del congresso.

Fu invece rigettata con 127 voti contro 108 la parte introduttiva apertamente opportunistica della risoluzione.

A favore della sua accettazio­ne votarono le delegazioni della Germania, dell'Olanda, del Belgio, della Danimarca, della Svezia, dell'Austria e del Sudafrica, la mag­gioranza delle delegazioni della Gran Bretagna e della Francia e una minoranza della delega­zione italiana.

Con una critica decisa del revisionismo sul pro­blema coloniale intervenne a nome dei bolsce­vichi e dei socialisti di sinistra polacchi Julian Marchlewski, che contrappose agli opportuni­sti proposte di principio marxiste e rigettò la tesi della ineluttabilità per tutti i popoli della via di sviluppo capitalista.

Lo sciovinismo colonialista trovò espressione anche in occasione del dibattito sulla questione dell'immigrazione.

Parte dei socialisti america­ni, i delegati del Sudafrica e dell'Australia proposero di limitare l'immigrazione di operai di colore, in primo luogo di cinesi e giapponesi.

Il partito laburista australiano si era schierato in quegli stessi anni in difesa dell'idea di una "Australia bianca", approvando in un proprio congresso la tesi che il fine del partito era la conservazione dell'elemento australiano, ba­sata sulla purezza della razza bianca.

Il con­gresso di Stoccarda rigetto tutti questi tentati­vi di violare i fondamentali principi dell'in­ternazionalismo.

Tuttavia solo il fatto che proposte simili potessero essere avanzate testi­moniava il rafforzarsi di tendenze opportuni­stiche nel movimento operaio, legate allo svi­luppo dell'imperialismo.

Poco tempo dopo il congresso di Stoccarda i leaders opportunisti di destra e centristi della II Internazionale si posero sulla via della de­formazione e della diretta violazione delle sue decisioni.

L'ascesa delle tendenze rivoluzionarie. Il ruolo dei bolscevichi nel movimento operaio internazionale

L'inizio del secondo decennio del XX secolo fu caratterizzato da un ulteriore acutizzarsi della lotta di classe e dall'aggravarsi della crisi politica nei maggiori paesi capitalisti.

Nello stesso tempo si sviluppava fra i popoli colo­niali e semicoloniali il movimento di libera­zione nazionale contro l'oppressione imperiali­stica: aspri scontri di classe si ebbero in Fran­cia, in Inghilterra, in Germania, in Italia, in Spagna e negli Stati Uniti; nella Svezia, seb­bene la lotta di classe si presentasse esterior­mente in forme più pacifiche, nel 1909, in risposta alla minaccia di licenziamenti, scop­piò uno sciopero generale che si prolungò per circa un mese; allo sciopero politico di massa del 1913 in Belgio parteciparono circa 450 mila operai; gli avvenimenti in Catalogna e la "settimana rossa" in Italia, nel 1914, dimo­strarono come fosse forte lo spirito rivoluzio­nario della classe operaia.

In Russia la ripre­sa del movimento operaio era in continuo pro­gresso; particolarmente dopo "il bagno di san­gue" della Lena lasciava presagire una nuova rivoluzione.

Questo sviluppo rivoluzionario poneva ai par­titi socialisti il compito della preparazione pra­tica del proletariato a lotte di classe decisive.

Fra tutti i partiti della II Internazionale sol­tanto quello bolscevico era all'altezza di questo compito sia sul piano ideologico che su quello organizzativo.

Dopo aver rotto già nel 1903 con gli opportunisti menscevichi ed aver­li espulsi dalle file del partito nella conferenza di Praga del 1912, i bolscevichi riuscirono a conquistare alla loro linea politica la schiac­ciante maggioranza del proletariato organiz­zato della Russia, ottenendo una effettiva uni­tà del movimento operaio sulla base dei prin­cipi rivoluzionari marxisti.

Era questo un de­cisivo passo innanzi non soltanto per il movi­mento operaio russo ma anche per quello in­ternazionale.

Grande significato storico ebbe la lotta di Le­nin e dei bolscevichi contro i nuovi tentativi di revisione dei fondamenti teorici del marxi­smo.

Se negli ultimi decenni della vita di Marx e di Engels il pericolo principale per il mate­rialismo storico era stato non tanto l'ideali­smo aperto quanto il materialismo volgare di Dühring e compagni, all'inizio del XX secolo la situazione si era modificata: la filosofia bor­ghese aveva effettuato una decisa svolta a de­stra, tentando di utilizzare per abbattere il materialismo anche le concezioni fideistiche e i più moderni successi delle scienze naturali.

Le teorie filosofiche di moda di Mach e di Avena­rius trovarono sostenitori anche nei ranghi del movimento socialista, come fu il caso di F. Adler, Otto Bauer, A. A. Bogdanov e altri.

I dirigenti della II Internazionale e dei suoi mag­giori partiti si sforzavano di conservare la neutralità nella nuova battaglia del materiali­smo contro l'idealismo.

Soltanto i bolscevichi assunsero un atteggiamento intransigente nei confronti della revisione idealistica del marxi­smo e dell'introduzione nell'ambiente operaio di formò raffinate, e perciò particolarmente dannose, di concezioni del mondo idealistiche.

Nella sua opera "Materialismo ed empiriocri­ticismo" V. I. Lenin diede un colpo distrutti­vo non soltanto ai seguaci russi di Mach, ma anche ai loro maestri dell'Europa occidentale, scoprendo le radici ideologiche e sociali dell'idealismo e dando una profonda base filo­sofica al principio della partiticità nella filoso­fia.

Il materialismo dialettico fu elevato da Lenin con quest'opera a un nuovo livello.

L'attività di Lenin e dei bolscevichi rappre­sentò un modello di unione della teoria e della pratica rivoluzionaria.

Negli anni che seguirono la rivoluzione del 1905-1907 gli sforzi di Le­nin furono rivolti all'ulteriore sviluppo della strategia, della tattica e dell'organiz­zazione di un partito di nuovo tipo.

L'abile abbinamento dei mezzi di lotta legali ed illegali attuato dai bolscevichi, l'utilizzazione rivoluzionaria della tribuna della Duma, il flessibile impiego di tutte le passibilità di lavoro nelle masse eb­bero un'enorme importanza per i partiti di tutti i paesi.

Tra le questioni decisive che Le­nin continuò ad elaborare sulla base dell'espe­rienza rivoluzionaria vi è quella dell'alleanza del proletariato con i contadini, e quella delle radici economiche, del carattere e delle pro­spettive della lotta contadina contro i pro­prietari fondiari.

La dottrina del marxismo sul­la questione agraria venne arricchita dalle mo­ve opere di Lenin: "La questione agraria in Russia alla fine del XIX secolo" e "Il pro­gramma agrario della socialdemocrazia nella prima rivoluzione russa del 1905-1907".

I bolscevichi furono l'unico grande partito della II Internazionale che fin dal suo sorgere rimase su posizioni internazionaliste conseguen­ti, combattendo contro l'oppressione nazionale nell'impero russo e contro ogni specie di na­zionalismo, per l'unità d'azione e di organizza­zione della classe operaia di tutte le nazionalità.

Negli anni dal 1912 al 1914 Lenin dette una argomentata esposizione del programma bol­scevico sulla questione nazionale fondata sulla tesi del riconoscimento alle nazioni oppresse del diritto all'autodecisione fino alla separazio­ne statale.

I bolscevichi condussero una lotta decisiva contro i tentativi sempre più frequenti dei nazionalisti piccolo-borghesi russi di scin­dere il movimento operaio unitario russo con punti di vista nazionali.

Per mascherare que­ste tendenze i nazionalisti si servivano di un programma di "autonomia culturale naziona­le" proposto dai leaders del Partito Socialde­mocratico Austriaco.

Lenin sottolineò in que­sta circostanza che il marxismo è inconcilia­bile col nazionalismo, anche il più puro, il più giusto, il più raffinato e civilizzato.

"La completa parità di diritti delle nazionalità, il diritto all'autodeter­mina­zione, l'unione degli operai di tutte le nazionalità: questo è il pro­gramma nazionale che il marxismo insegna agli operai, ciò che insegna l'esperienza di tutto il mondo e l'esperienza della Russia". (V. I. Lenin: "Sul diritto delle nazionalità all'auto­decisione".)

La linea internazionalistica del partito dei bolscevichi permise al proletariato russo di conquistarsi la fiducia delle numerose nazionalità dell'impero zarista e di riunirle strettamente per la lotta contro i comuni nemici, lo zarismo e l'impe­rialismo.

I bolscevichi invitarono i proletari di tutti i paesi a una lotta intransigente contro la politica coloniale di conquista degli im­perialisti "propri" e stranieri.

La conferenza di Praga del partito bolscevico salutò la rivolu­zione cinese ed espresse la sua sdegnata protesta contro l'intervento armato dello zarismo russo e dell'imperialismo inglese in Persia.

Simpatizzando calorosamente con la lotta di liberazione dei popoli balcanici contro l'op­pressione turca, i bolscevichi nel contempo protestavano energicamente contro la trasfor­mazione del movimento nazionale nei Balcani in una pedina del gioco delle potenze imperia­liste.

Una politica giusta ed aderente ai principi fece del partito bolscevico, guidato da Lenin, l'ispi­ratore di tutti gli elementi rivoluzionari del movimento operaio internazionale: i gruppi e le correnti di sinistra guadagnarono terreno all'interno dei partiti socialisti e nei sindacati dell'Occidente; in Germania l'ala sinistra della socialdemocrazia, che era appoggiata a Berlino, Amburgo, Stoccarda e Brema dalla parte proletaria più avanzata del partito, sviluppò una lotta energica non solo contro il revi­sionismo e le tendenze social-imperialistiche, ma anche contro l'atteggiamento conciliativo e le titubanze opportunistiche della direzione del partito.

Già nel 1907 Rosa Luxemburg scriveva alla sua compagna di lotta Clara Zet­kin: "Le masse, e tanto più la massa del par­tito... saluteranno con entusiasmo un fresco soffio d'aria nella nostra tattica; ma su di esse gravano con tutta la loro pesantezza le vecchie autorità e ancora di più lo strato più elevato dei redattori, dei deputati e dei capi dei sin­dacati opportunisti. Il nostro compito attuale consiste in questo: contrapporsi con la più dura protesta all'arrugginimento di queste au­torità...".

Gli "stretti" bulgari - una delle migliori organizzazioni dell'ala marxista della II Inter­nazionale - si batterono risolutamente contro il riformismo e il nazionalismo dei socialisti "larghi", che predicavano una politica di blocco con i liberali borghesi.

Nel 1909 si verificò una scissione nel Partito Operaio Olandese: i rappresentanti della sua ala sinistra, i "tribunisti" (D. Wijinkoop, H. Gorter, A. Pannekoek e altri), che lottavano contro la politica opportunistica liberal-borghese della direzione del partito, guidata da Troelstra e van Kol, furono espulsi dal partito e fondarono il Partito Socialdemocratico dell'Olanda.

Una forte opposizione di sinistra si formò nei partiti dei paesi scandinavi, appoggiata dalle organizzazioni socialiste della gioventù.

Si rafforzo l'ala sinistra del partito socialista britannico, mentre in Scozia tra gli operai ed i minatori di Glasgow fu creato un gruppo pro­letario numericamente piccolo ma assai energi­co con alla testa McManus e Thomas Bell.

Ma i gruppi e le correnti di sinistra nei partiti socialisti dell'Occidente erano ancora troppo deboli per avere largo seguito fra le masse.

La grande maggioranza dei dirigenti delle si­nistre non era pienamente cosciente della nuo­va situazione storica che rendeva necessaria la rottura non soltanto ideologica ma anche or­ganizzativa con gli opportunisti e i centristi.

Essi inoltre cadevano in seri errori in molte importanti questioni della teoria e della tatti­ca marxista.

Persino autentici combattenti come Rosa Luxemburg non poterono assimilare completamente la teoria leninista della rivolu­zione a l'idea dell'egemonia del proletariato, che apriva nuove prospettive dinnanzi alla classe operaia di tutto il mondo.

L'errore di­pendeva da una sottovalutazione da parte delle sinistre della possibilità di unire attorno al pro­letariato le larghe masse degli oppressi e degli sfruttati, tra cui i contadini e i ceti medi dei paesi capitalisti; né meno errata era la posi­zione delle sinistre nella questione nazionale, poiché esse sottovalutavano la funzione dei movimenti nazionali e si allontanavano di con­seguenza dalle tesi marxiste sul diritto delle nazioni all'autodecisione.

Il partito bolscevico, pur criticando gli errori e l'incoerenza delle sinistre, compiva però tutti gli sforzi possibili per unire strettamente gli elementi più rivoluzionari del movimento ope­raio internazionale nella lotta contro l'oppor­tunismo aperto e contro il centrismo.

Le con­ferenze delle sinistre, organizzate da Lenin all'epoca dei congressi dell'Internazionale, a Stoc­carda e a Copenaghen, furono tappe importanti su questa via.

Lenin, che partecipava ai lavori dell'Ufficio Socialista internazionale, dette l'esempio di un giusto atteggiamento verso la risoluzione di complessi problemi tat­tici.

Così, ad esempio, egli si schierò contro la proposta settaria dei socialdemocratici in­glesi, dei seguaci di Guesde e degli "stretti" bulgari di rifiutare al partito laburista inglese, guidato dagli opportunisti, l'ingresso nella In­ternazionale, ritenendo necessaria la sua ade­sione, perché esso raggruppava larghe masse di operai.

Nello stesso tempo egli intervenne contro le tesi di Kautsky, che in una risolu­zione presentata rinunciava a criticare l'opportunismo dei laburisti; Lenin sostenne decisa­mente i "tribunisti" olandesi e richiese la loro ammissione nell'Inter­na­zionale, ma la sua proposta venne respinta dall'Ufficio Socialista Internazionale.

L'opportunismo ed il centrismo nella II internazionale

L'ala opportunistica della II Internazionale, che di anno in anno accresceva notevolmente la sua influenza, tendeva ormai a un accordo diretto con la borghesia imperialista.

I rifor­misti aperti invitavano esplicitamente alla cor­sa agli armamenti.

Il leader dei socialdemo­cratici inglesi H. M. Hyndman si schierò a favore degli armamenti navali dell'Inghilterra; il socialdemocratico tedesco Noske dichiarò nel 1907 al Reichstag che in caso di una guer­ra "difensiva" i socialdemocratici non sareb­bero stati da meno dei partiti borghesi e si sarebbero messi il fucile in ispalla: "noi desi­deriamo che la Germania sia per quanto pos­sibile meglio armata".

I revisionisti tedeschi, che si raggruppavano attorno alla rivista "So­zialistische Monatshefte" sostenevano esplici­tamente la conquista delle colonie.

Per la ve­rità gli sciovinisti più spinti furono espulsi da alcuni partiti socialdemocratici sotto la pressione dei membri di base, ma questi provvedi­menti toccarono soltanto pochi elementi.

I dirigenti della II Internazionale non aveva­no valutato giustamente la possibilità di una guerra europea.

Bebel più di una volta aveva dichiarato che egli non credeva nella possibi­lità di una guerra: "Da noi, in Germania, non si vuole in verità la guerra - scriveva egli nel dicembre del 1912 - mentre i discorsi sulla guerra sono soltanto un pretesto per le spese negli armamenti".

Uno dei più illustri marxisti francesi, P. Lafargue, a sua volta ri­teneva la guerra come improbabile, dato che essa, secondo la sua opinione, avrebbe portato nel giro di pochi mesi and. paralisi economica.

Kautsky affermava che la tendenza alla crea­zione dei trusts creava nel sistema capitalista le condizioni per una pace stabile.

Lenin criti­cò aspramente la tattica, difesa da Kautsky, della rinuncia alle azioni attive contro il mi­elitarismo. (V. I. Lenin: "Lettera a G. V. Plechanov del 17-11-1912.)

I dirigenti opportunisti della II Internazionale abbandonarono completamente la teoria di Marx sulla dittatura del proletariato e la necessità di distruggere la macchina statale bor­ghese.

Il partito socialdemocratico russo fu l'unico a porre nel suo programma questa esi­genza.

La tattica internazionale socialista stabilita nei congressi della II Internazionale non venne mai attuata: i socialisti francesi conclusero un accordo elettorale con i partiti borghesi; in Italia il partito socialista appoggiava il governo borghese; una collaborazione formale od effet­tiva con i partiti di sinistra borghesi si stabilì solidamente in Belgio, Olanda, Svezia, Dani­marca, Norvegia; nel 1913 quasi la metà del congresso del partito olandese votò per la par­tecipazione al governo; in Gran Bretagna il partito laburista continuò a dipendere dai li­berali (dei quaranta deputati laburisti eletti nel 1910, trentanove passarono con l'appog­gio dei liberali); la socialdemocrazia tedesca alle elezioni del 1912 fece blocco con il bor­ghese Partito Progressista Popolare; i gruppi parlamentari, composti in prevalenza da elementi piccolo-borghesi, si trasformarono in centri politici dirigenti dei partiti socialisti.

Quanto più la II Internazionale cresceva "in larghezza", tanto più nei suoi partiti e nei suoi sindacati assunsero importanza gli ele­menti staccati dalle masse, impreparati sul piano teorico e privi di entusiasmo per il so­cialismo: i deputati, i consiglieri comunali eccetera.

Bebel negli ultimi anni di vita affer­mò spesso che lo impressionava l'assenza agli alti livelli del partito "dello spirito di sacri­ficio": "Ho spesso l'impressione - diceva - che parte dei nostri capi abbia cessato di comprendere le sofferenze e le disgrazie della masse e che ne sia loro estraneo lo stato d'animo".

A parole il gruppo dirigente della II Interna­zionale continuava a rimanere sulle precedenti posizioni di principio; il revisionismo era stato rigettato sul piano teorico.

Ma di fatto i diri­genti dei partiti socialisti dell'Europa occiden­tale si erano spostati sulle posizioni del centri­smo.

Nel 1910 Kautsky intervenne aperta­mente contro l'ala sinistra, in particolare con­tro Rosa Luxemburg.

Le masse degli aderenti ai partiti e degli operai purtroppo continua­rono ad avere fiducia nell'Internazionale, seb­bene la politica centrista della direzione pri­vasse il grande organismo delle sue capacità di lotta.

I partiti della II Internazionale si trasfor­marono da partiti della rivoluzione socialista in partiti delle riforme sociali.

I congressi di Copenaghen e di Basilea

Nel 1910, al congresso ordinario della II In­ternazionale tenuto a Copenaghen, venne esa­minata nuovamente la questione del pericolo di guerra.

Il congresso confermò sull'argomen­to la risoluzione approvata a Stoccarda, ma nel complesso la risoluzione di Copenaghen segnava un regresso rispetto a Stoccarda.

La debolezza e l'incapacità di lotta della II In­ternazionale si manifestarono nel corso della crisi marocchina del 1911: alla proposta di convocazione di una seduta straordinaria allar­gata dell'Ufficio Socialista Internazionale per proporre al proletariato di tutti i paesi azioni coordinate, la direzione del Partito Socialde­mocratico Tedesco rispose con un rifiuto, mo­tivandolo con ili fatto che tali azioni e le agi­tazioni contro la guerra avrebbero potuto dan­neggiare la campagna pre-elettorale del partito.

Venne così meno la possibilità di un'azione internazionale del proletariato.

La posizione della direzione del partito venne sottoposta ad un'aspra critica da parte di Rosa Luxemburg.

La guerra balcanica e la minaccia di una guerra europea ad essa connessa consigliarono la con­vocazione di un congresso straordinario a Ba­silea nel novembre del 1912, che assunse il significato di una grandiosa dimostrazione per preparare il proletariato a contrastare la guerra.

I discorsi dei leaders dell'Internazionale, in particolare l'appassionato appello di Jaurès a conservare la pace, esercitarono una grande influenza sui più larghi strati dell'opinione pubblica.

Il congresso ricordò ai governi, nel suo mani­festo, che dopo la guerra franco-prussiana era seguita l'azione rivoluzionaria della Comune e che la guerra russo-giapponese aveva messo in moto le forze rivoluzionarie della Russia; esso invitò i popoli a lottare risolutamente con­tro la minaccia di guerra e se la guerra fosse scoppiata ad utilizzarla per avvicinare la vitto­ria del proletariato: "I governi ricordino bene che nell'attuale situazione dell'Europa e nell'attuale stato d'animo della classe ope­raia, essi non possono scatenare una guerra senza mettere in pericolo sé stessi... I proletari considerano come un crimine spararsi l'uno contro l'altro per l'aumento dei profitti dei capitalisti, per le ambizioni delle dinastie o per la gloria dei trattati segreti dei diploma­tici".

Ma dietro ai solenni e minacciosi avvenimenti, ai quali prestavano fede milioni di operai, non seguì da parte dei dirigenti della II Interna­zionale e della maggioranza dei suoi partiti nessuna forma di azione rivoluzionaria.

Soltan­to il partito bolscevico seguì fermamente in tutta la sua attività le decisioni dei congressi socialisti dirette contro la guerra.

Nell'appello al congresso di Basilea della II Internazionale i deputati bolscevichi della IV Duma scrive­vano: "La guerra ed i massacri di tutti i paesi esigono la pace a qualsiasi costo. E noi, operai russi, stendiamo fraternamente la mano agli operai di tutti gli altri paesi e ci uniamo con loro nella comune protesta contro la ver­gogna dei nostri giorni, la guerra!".


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