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- cultura e memoria resistenti - storia - 11-09-14 - n. 511
La preparazione diplomatica della prima guerra mondiale
Accademia delle Scienze dell'URSS | Storia universale vol. VII, Teti Editore, Milano, 1975
Capitolo XXV
Il passaggio dal capitalismo della libera concorrenza allo stadio imperialistico si caratterizzò anche con la formazione, nei circoli dirigenti dei maggiori paesi capitalistici, di piani che testimoniano delle loro illimitate pretese.
In Inghilterra, i piani per la creazione di "un più grande impero britannico" vagheggiavano di sottoporre all'influenza inglese tutto il resto del mondo.
In Germania, i magnati delle grandi concentrazioni bancarie e dell'industria, e tutti i circoli militaristi progettavano la creazione di una "grande Germania", oppure di una "grande Europa centrale", che, espandendosi sempre più, abbracciasse l'Austria-Ungheria, i Balcani, l'Asia minore, le regioni del Baltico, la Scandinavia, il Belgio, l'Olanda, una parte della Francia, con un grande impero coloniale tedesco in Africa, nel bacino dell'Oceano Pacifico e una sfera di larga influenza nel Sudamerica.
L'oligarchia finanziaria francese, rinfocolando all'interno del paese lo spirito revanscista, chiedeva il ritorno alla Francia dell'Alsazia-Lorena e inoltre mirava a occupare anche il bacino della Ruhr e ad allargare nel contempo l'impero coloniale, a spese dei possedimenti tedeschi in Africa.
La borghesia e i proprietari terrieri della Russia zarista volevano stabilire il loro dominio politico e militate sui Balcani, impossessarsi di Costantinopoli e degli stretti e includere nella loro sfera d'influenza tutta la Persia.
Essi poi, nonostante la sconfitta subita nella guerra russo-giapponese, non avevano abbandonato i loro piani relativi all'Estremo Oriente.
Le classi dirigenti dell'impero austro-ungarico, non accontentandosi della loro influenza economica e politica in Bulgaria e in Romania, aspiravano alla disfatta della Serbia, per trasformarla in uno Stato vassallo e rafforzare così la loro egemonia tanto nella zona orientale che in quella occidentale della penisola balcanica.
Gli imperialisti italiani, richiamandosi alle glorie dell'antica Roma, volevano, oltre a Trento e Trieste, l'Albania, e aspiravano a partecipare alla divisione dell'Asia minore, alla spartizione dei domini coloniali in Africa e a stabilire una egemonia italiana nel bacino del Mediterraneo.
Grandi piani di conquista furono preparati anche dai circoli imperialisti delle potenze non europee.
Già all'inizio del XX secolo un senatore americano aveva detto: "Dio... ci ha fatti degli abili organizzatori chiamati a mettere ordine nel mondo... Fra tutte le razze egli ha indicato gli americani per portare il mondo alla rinascita".
L'imperialismo americano tendeva in primo luogo a rafforzare la sua influenza predominante nell'emisfero occidentale e la sua penetrazione in Cina.
In Giappone i grandi gruppi capitalisti e militaristi vagheggiavano il dominio giapponese su tutta l'Asia orientale e la parte limitrofa dell'Oceano Pacifico.
I preparativi delle potenze imperialiste per realizzare tutti questi piani e i singoli tentativi di una loro pratica attuazione approfondirono le contraddizioni già esistenti e ne fecero sorgere delle nuove.
L'accordo anglo-francese del 1904. Il trattato russo-tedesco di Björkö
Il rafforzamento dell'espansione coloniale dell'imperialismo tedesco, l'acuirsi della lotta per il mercato mondiale e il crescente armamento navale tedesco acutizzarono principalmente l'antagonismo tra la Germania e l'Inghilterra, ma generarono anche profonde contraddizioni tra la Germania e la Francia, i cui circoli dirigenti erano già seriamente preoccupati per l'impiego di forze del loro alleato, la Russia zarista, in Estremo Oriente.
L'immediata conseguenza fu un avvicinamento tra la Francia e l'Inghilterra.
L'8 aprile 1904, subito dopo l'inizio della guerra russo-giapponese, l'Inghilterra e la Francia sottoscrissero un accordo, che dava mano libera all'Inghilterra in Egitto e alla Francia in Marocco.
Subito dopo iniziarono trattative segrete fra i quartier generali inglese e francese sulle questioni militari.
Nacque così l'"entente cordiale", l'intesa anglo-francese, che era stata a lungo ritenuta impossibile.
La Gran Bretagna, che nel 1902 si era legata con un'alleanza politico-militare con il Giappone, diretta fondamentalmente contro la Russia, si accordava ora con la Francia, in una alleanza diretta soprattutto contro la Germania.
Da parte sua, l'imperialismo tedesco contava di utilizzare la guerra russo-giapponese e l'indebolimento della Russia zarista per ottenere almeno tre scopi: imporre alla Russia un accordo commerciale sfavorevole che, nell'interesse degli junkers prussiani, rendesse difficoltosa l'esportazione sul mercato tedesco dei prodotti dell'agricoltura russa e garantisse gli interessi espansionistici del capitale tedesco in Russia; far saltare l'alleanza franco-russa e isolare in tal modo la Francia nel continente europeo; creare le condizioni più favorevoli per la penetrazione economica e politica tedesca nel Vicino Oriente, utilizzando la concessione per la costruzione della ferrovia di Bagdad, definitivamente approvata nel 1903.
La diplomazia tedesca inoltre si sforzava di attirare dalla sua parte la Russia zarista.
Nell'incontro avvenuto il 24 luglio 1905 a Björkö con Nicola II, l'imperatore Guglielmo II impose allo zar un trattato segreto di alleanza.
Venuti a conoscenza che Nicola II aveva firmato questo trattato, Vitte ed il ministro degli esteri Lamsdorff presero le più energiche misure affinché fosse annullata l'azione diplomatica dello zar, che metteva in crisi l'alleanza franco-russa.
"Il principale, se non l'unico, obiettivo di Guglielmo II è di metterci contro la Francia e uscire a nostre spese dallo stato di isolamento in cui si trova", così Lamsdorff definì il significato dell'incontro di Björkö.
Il trattato non entrò in vigore, ma la lotta tra le potenze imperialiste per attirare dalla loro parte la Russia zarista continuò, senza esclusioni di colpi, comprese le pressioni finanziarie.
L'esito di questa lotta avrà la sua piena definizione più tardi.
La crisi marocchina del 1905-1906
Alla fine del 1904 i finanzieri francesi, appoggiati da influenti uomini politici, imposero al sultano del Marocco un forte prestito, in cambio del controllo francese sulla polizia e sulle dogane nei principali porti e dell'invio d'istruttori francesi per l'esercito.
L'accettazione di queste condizioni avrebbe significato per il Marocco la perdita della indipendenza.
Gli imperialisti tedeschi, interessati essi pure al Marocco, decisero d'intervenire per far fallire i piani francesi.
Altro loro obiettivo era di mettere alla prova la stabilità dell'accordo anglofrancese e di dimostrare alla Francia che l'Inghilterra, in caso di crisi, non sarebbe andata in suo soccorso.
Il 31 marzo 1905 Guglielmo II, sbarcato nel porto marocchino di Tangeri, dichiarò pubblicamente e in modo provocatorio che la Germania non avrebbe permesso il dominio di una qualsiasi potenza in Marocco e si sarebbe opposta ad un simile tentativo.
Il governo tedesco dichiarò poi che si rifiutava di condurre trattative con il ministro degli esteri francese Delcasse, considerando la sua politica ostile alla Germania.
Le manovre della Germania provocarono l'immediata reazione dell'Inghilterra, che consigliò il primo ministro francese Ranvier di non cedere alla Germania nella questione del Marocco e di lasciare Delcasse al suo posto.
I circoli militari inglesi promisero alla Francia, in caso di attacco tedesco, di far sbarcare nel continente un esercito inglese di 100-115 mila uomini.
Basandosi su queste assicurazioni, sebbene non completamente ufficiali, del governo inglese, Delcasse propose, in una tempestosa riunione del gabinetto francese, di respingere la provocazione tedesca, ma il governo, considerando l'indebolimento del suo alleato militare, la Russia zarista, decise di cedere.
Nel giugno del 1905 Delcasse fu costretto a rassegnare le dimissioni e la Francia si dichiarò pronta a esaminare la questione del Marocco in una conferenza internazionale.
All'inizio del 1906 ad Algeciras, in Spagna, si aprì la conferenza sul Marocco, che mise in evidenza il nuovo schieramento di forze che era andato formandosi sull'arena internazionale.
La Francia ebbe dall'Inghilterra l'appoggio più deciso, a dimostrazione della saldezza dell' "intesa cordiale" anglo-francese.
Importante fu anche la posizione presa dalla Russia zarista.
Indebolita dalla guerra col Giappone e sull'orlo di un crac finanziario, essa aveva assolutamente bisogno di prestiti stranieri e, dopo alcune incertezze, nel momento decisivo della conferenza aiutò diplomaticamente la Francia, che concesse immediatamente allo zarismo un forte prestito per reprimere la rivoluzione.
Persino l'Italia durante la conferenza appoggiò la Francia e non il suo alleato, la Germania.
Essa infatti fin dal 1900, nonostante la sua partecipazione alla Triplice Alleanza, aveva sottoscritto con la Francia un accordo segreto sulla divisione delle sfere d'influenza nell'Africa settentrionale.
In cambio del riconoscimento degli interessi della Francia nel Marocco, l'Italia aveva ottenuto dalla Francia l'assicurazione che non avrebbe incontrato ostacoli da parte sua all'occupazione della Tripolitania, che faceva allora parte dell'impero ottomano.
Due anni dopo, nel 1902, l'Italia, aveva firmato con la Francia un nuovo accordo segreto di reciproca neutralità, dimostrando così il suo progressivo allontanamento dalla Triplice Alleanza.
La vittoria diplomatica della Francia ad Algeciras fu così assicurata.
La conferenza riconosceva formalmente l'eguaglianza degli interessi economici di tutte le "grandi potenze" nel Marocco, ma affidava alla Francia il mantenimento "dell'ordine interno" nel paese e il controllo sulla polizia marocchina.
L'imperialismo francese aveva via libera all'occupazione del Marocco.
L'accordo anglo-russo del 1907. La creazione della triplice intesa
In questo periodo i rapporti anglo-russi subirono un radicale mutamento.
L'imperialismo britannico, dopo avere indebolito con l'aiuto del Giappone le posizioni della Russia zarista nell'Estremo Oriente, cercava ora l'avvicinamento, vedendo nello zarismo un utile alleato per reprimere il movimento di liberazione nazionale in Oriente e, in caso di guerra, contro la Germania.
A sua volta la Russia zarista, sempre più dipendente dal capitale europeo, dopo la guerra russo-giapponese era incline a un accordo con la Gran Bretagna contro la Germania, sua antagonista.
In questo modo il calcolo della diplomazia tedesca che la guerra russo-giapponese avrebbe acutizzato le contraddizioni anglo-russe e che, facendo leva su di esse, la Germania avrebbe potuto portare avanti con successo la sua lotta per l'egemonia mondiale, non si avverò.
Durante le trattative anglo-russe fu raggiunto un compromesso sulle questioni coloniali in discussione e il relativo accordo fu firmato il 31 agosto 1907.
La Persia venne divisa in tre zone: la parte settentrionale cadeva sotto la sfera di influenza della Russia; quella meridionale diventava appannaggio dell'Inghilterra; la parte centrale rimaneva zona "neutrale", campo di "libera" competizione per entrambe le potenze.
L'Afghanistan diventava di fatto un protettorato inglese.
I due paesi s'impegnavano inoltre a non intervenire negli affari interni del Tibet.
La firma dell'accordo anglo-russo precedeva un accordo tra la Russia zarista ed il Giappone, in base al quale si stabilivano le reciproche sfere d'influenza nel nordest della Cina.
Con la firma dell'accordo anglo-russo del 1907 si completò la Triplice Intesa, un raggruppamento imperialistico diplomatico-militare della Gran Bretagna, Francia e Russia, contrapposto all'altro raggruppamento imperialistico della Triplice Alleanza, formato da Germania, Austria-Ungheria e Italia.
L'Europa si trovò così divisa in due blocchi militari contrapposti.
La crisi bosniaca
L'annessione della Bosnia e dell'Erzegovina all'impero austro-ungarico, nel 1908, aveva causato una seria crisi internazionale.
In base alle condizioni del trattato di Berlino del 1878, queste due regioni erano state occupate dalle truppe austro-ungheresi, ma, formalmente, facevano ancora parte dell'impero ottomano.
Dopo la rivoluzione dei "Giovani Turchi" i gruppi dirigenti austro-ungarici, temendo un ulteriore sviluppo del movimento rivoluzionario e di liberazione nazionale nei Balcani, ritennero giunto il momento per l'annessione definitiva della Bosnia e della Erzegovina.
A questo scopo, l'Austria-Ungheria entrò in trattative segrete con la Russia zarista per barattare il suo assenso all'annessione della Bosnia e della Erzegovina con la promessa di " comprensione" nella questione degli stretti.
Da parte sua il governo zarista, dopo la sfortunata guerra col Giappone e gli sconvolgimenti della rivoluzione del 1905-1907, cercava di ottenere in politica estera un qualche successo.
Nel settembre del 1908 ebbe luogo a Buchlau un incontro tra il ministro degli esteri russo Izvolzkij e i1 suo collega austriaco Aehrenthal e venne firmato un accordo segreto, in base al quale la Russia zarista acconsentiva all'annessione della Bosnia e della Erzegovina da parte dell'Austria-Ungheria, mentre questa s'impegnava a non opporsi all'apertura degli stretti alle navi da guerra russe.
La diplomazia zarista ottenne ben presto ugual impegno anche dalla Germania, sebbene in forma più generica e condizionato da precise "compensazioni".
Anche il governo italiano si mostrò pronto a sostenere la Russia zarista nella questione degli stretti, a condizione che la Russia fosse d'accordo sull'occupazione della Tripolitania da parte dell'Italia.
Tuttavia, la decisione sulla questione degli stretti nel senso desiderato dalla Russia non dipendeva tanto dall'Austria-Ungheria, dalla Germania e dell'Italia, quanto dall'Inghilterra e dalla Francia.
Per ottenere il loro appoggio, Izvolzkij si recò a Parigi e a Londra.
Ma il governo austro-ungarico non aspettò che la Russia si mettesse d'accordo con tutti i paesi interessati e dichiarò ufficialmente l'annessione della Bosnia e della Erzegovina (7 ottobre 1908).
Il nuovo atto arrecava un colpo alla rivoluzione dei "Giovani Turchi" e alle aspirazioni nazionali degli slavi meridionali, come pure ai disegni diplomatici della Russia zarista.
Turchia e Serbia sollevarono tempestose proteste; il governo zarista tentò di contestare la decisione unilaterale dell'Austria-Ungheria e chiese che la questione venisse discussa in una conferenza internazionale.
Izvolzkij sperava che Francia e Inghilterra avrebbero sostenuto la sua politica sulla questione degli stretti, ma ebbe a Parigi e a Londra un'amara delusione.
Il governo francese assunse una posizione ambigua, mentre il governo inglese negò decisamente il suo appoggio.
La Germania invece sostenne attivamente i1 suo alleato, l'Austria-Ungheria.
La crisi si protrasse per alcuni mesi.
Alla fine, il governo di Vienna, con l'aiuto della Germania, ottenne, nel febbraio del 1909, in cambio di un indennizzo finanziario, l'assenso della Turchia per l'annessione della Bosnia e della Erzegovina.
Essa allora concentrò truppe sul confine serbo, mentre il governo tedesco, nel marzo dello stesso anno, chiedeva in modo ultimativo alla Russia non solo di riconoscere l'annessione ma di ottenere anche l'assenso dalla Serbia.
Il governo zarista, assolutamente impreparato alla guerra, fu costretto ad accettare l'imposizione tedesca e a fare marcia indietro.
Izvolzkij dovette dare le dimissioni.
La crisi bosniaca causò un brusco aggravamento della situazione balcanica, acuendo in particolare i contrasti fra la Russia e la Serbia da una parte e l'Austria-Ungheria dall'altra.
Sebbene questa crisi avesse messo a nudo le crepe all'interno dell'Intesa, in misura ancora maggiore era venuta in luce la profondità dei dissensi fra i due maggiori raggruppamenti imperialistici; quello anglo-franco-russo e quello austro-tedesco.
La rivalità anglo-tedesca sui mari
La formazione della Triplice Intesa ed i falliti tentativi dell'imperialismo tedesco di farla naufragare erano la testimonianza dei profondi cambiamenti avvenuti nel sistema dei rapporti internazionali.
L'antagonismo tra le due massime potenze coloniali, l'Inghilterra e la Francia, che aveva raggiunto il momento culminante nella crisi di Fascioda del 1898, passò da questo momento in secondo piano.
I contrasti tra l'Inghilterra e la Russia nel Vicino Oriente (in particolare sulla questione degli stretti) e nella Persia, sebbene non fossero completamente superati, non giocavano più un ruolo decisivo.
In primo piano e con tutta la loro violenza, erano venute invece le contraddizioni imperialistiche tra l'Inghilterra e la Germania, generate dalla rivalità economica, politica e coloniale e rese più complesse dalla crescente corsa all'armamento navale.
La realizzazione da parte della Germania del programma di costruzioni navali, elaborato dall'ammiraglio Tirpitz, allarmò seriamente i circoli dirigenti inglesi.
In risposta all'aspirazione della Germania a modificare a suo vantaggio il rapporto di forza sui mari, l'Inghilterra passò alla costruzione di grosse corazzate di nuovo tipo, le "dreadnoughts", che avevano una notevole superiorità come armamento e come velocità.
Nel 1905 l'Inghilterra possedeva 65 navi da battaglia e di linea di tipo tradizionale contro le 26 della Germania.
Con il varo delle "dreadnoughts" l'Inghilterra pensava di fare un balzo notevole nello sviluppo della sua potenza navale e militare e di costringere così la Germania a riconoscere l'inutilità dei suoi sforzi per incrinare l'egemonia inglese sui mari.
Ma la Germania passò anch'essa alla costruzione di "dreadnoughts" e nel 1908 aveva 9 navi di questo tipo contro le 12 costruite dall'Inghilterra.
In tal modo il rapporto di forze nel campo dell'armamento navale cominciò a modificarsi a favore Germania, sebbene l'Inghilterra conservasse ancora la superiorità.
Il governo inglese tentò di accordarsi con la Germania per limitare gli armamenti navali, alla condizione che si riconoscesse la superiorità di fatto dell'Inghilterra sui mari.
Il tema fu trattato alla conferenza internazionale per la riduzione degli armamenti, convocata all'Aja nel 1907, e in seguito, nel 1908, nel corso dei colloqui tra Edoardo VII e Guglielmo II.
In entrambi i casi il governo tedesco respinse decisamente la proposta inglese, dimostrando la propria intransigenza e il desiderio di continuare la corsa agli armamenti navali.
Il governo inglese decise allora di rispondere alla costruzione di ogni grossa nave da guerra in Germania con la costruzione di due navi dello stesso tipo.
Da parte loro, i circoli dirigenti tedeschi intensificarono la campagna antinglese, accusando l'Inghilterra di condurre una politica di "accerchiamento del-la Germania".
La campagna era un pretesto per giustificare l'aumento degli armamenti in mare e in terra.
La seconda crisi marocchina del 1911
Nel 1911 l'imperialismo tedesco tentò di nuovo di mettere in crisi l'Intesa anglo-francese intervenendo, come sei anni prima, negli avvenimenti del Marocco, dove il capitale francese metteva gradatamente le mani sulle ricchezze del paese, soppiantando il suo concorrente tedesco.
Nella primavera del 1911 la regione della capitale del Marocco, Fez, fu teatro di una grande rivolta popolare.
I soldati francesi, con la scusa di "pacificare il paese", occuparono Fez.
Il governo tedesco, spinto dagli interessi d'influenti gruppi del capitale finanziario (e specie dal gruppo dei fratelli Mannesmann, che aveva effettuato notevoli investimenti di capitali nel Marocco), diede inizio ad una rumorosa campagna di stampa, avanzando la richiesta di una spartizione del Marocco o di compensi in altre regioni; inoltre esso inviò improvvisamente nel porto marocchino di Agadir la cannoniera "Pantera".
I circoli dirigenti francesi considerarono il "salto della Pantera" una diretta minaccia di guerra.
Durante le trattative iniziatesi poco dopo tra la Francia e la Germania, entrambe le parti ebbero momenti d'irrigidimento e non di rado passarono alle minacce aperte.
La crisi marocchina inasprì anche i contrasti tra la Germania e l'Inghilterra.
Questa spingeva la Francia ad opporsi recisamente alle pretese tedesche: "In caso di guerra tra la Germania e la Francia - disse il ministro degli esteri della Gran Bretagna Edward Grey - l'Inghilterra sarà costretta a prendervi parte. Se poi in questa guerra fosse attirata la Russia, anche l'Austria ne sarebbe coinvolta... Si tratterebbe perciò, non di un duello tra la Francia e la Germania, ma di una guerra europea".
Tuttavia, la guerra europea per il momento non scoppiò.
La Russia zarista non era ancora in condizione di appoggiare attivamente la Francia.
Nella stessa Francia, del resto, i circoli più influenti, il cui portavoce era Joseph Caillaux, ritenevano necessario un accordo con la Germania.
D'altra parte, né l'Austria-Ungheria, né l'Italia, ognuna per suoi particolari motivi, erano propense ad appoggiare militarmente il loro alleato tedesco.
Perciò la ferma dichiarazione del governo inglese, fatta per bocca di Lloyd George il 21 luglio 1911, che l'Inghilterra era pronta ad accettare la sfida e a combattere a fianco della Francia, costrinse gli ispiratori della politica imperialistica tedesca a fare marcia indietro.
Nel novembre 1911 fu così raggiunto un accordo tra la Francia e la Germania: la Germania riconosceva senza riserve il protettorato francese su una buona parte del Marocco ed in compenso riceveva una piccola zona di scarsa importanza del Congo francese.
Anche la Spagna voleva partecipare alla spartizione del Marocco, ma essa si trovava nella condizione di partner minore dei grandi Stati imperialisti.
Un accordo franco-spagnolo del 1904 aveva attribuito alla Spagna una pieccola striscia tra Melilla e Ceuta.
Dopo la seconda crisi marocchina, Francia e Spagna sottoscrissero un accordo, che prevedeva la divisione definitiva del Marocco.
La Francia occupava un'area di 572 mila kmq.; la Spagna una di 28 mila kmq.
Su richiesta dell'Inghilterra, sulla costa del Marocco, di fronte allo stretto di Gibilterra, fu costituita la zona internazionale di Tangeri, con un'area di 380 kmq.
In sostanza però l'esito della seconda crisi marocchina non diminuì le contraddizioni imperialistiche.
All'inizio del 1912 il capo dello Stato Maggiore francese rilevò che dopo l'accordo sul Marocco nessuno era contento, né in Francia né in Germania, e che abbastanza presto "sarebbe potuta scoppiare la guerra".
Nei grandi Stati imperialistici s'intensificò la corsa agli armamenti terrestri e navali.
Più febbrile divenne l'attività diplomatica per il consolidamento dei blocchi militari che si erano stabiliti in Europa.
Sia l'Intesa che il blocco austro-germanico attribuivano notevole significato alla posizione che avrebbe assunto l'Italia nella sopraggiungente guerra europea.
La guerra italo-turca
La crisi marocchina creò le condizioni favorevoli alla realizzazione dei piani dell'imperialismo italiano relativamente a Tripoli e alla Cirenaica.
Queste province africane dell'impero ottomano già da tempo avevano attirato la attenzione del Banco di Roma, strettamente legato al Vaticano, e di altri influenti circoli finanziari e industriali italiani.
Nell'occupazione della Tripolitania e della Cirenaica gli imperialisti italiani vedevano il primo passo sulla via dello stabilimento del loro dominio nel bacino del Mediterraneo.
Essi inoltre intendevano utilizzare la questione della Tripolitania anche nell'interesse della loro politica interne, ritenendo che la guerra contro la Turchia avrebbe "unito gli italiani" ed avrebbe sostituito "la lotta di classe" con "la lotta delle nazioni".
Nessuna delle potenze europee si oppose ai piani dell'Italia: la Germania temeva che una sua opposizione all'occupazione della Tripolitania avrebbe portato l'Italia a rifiutare il rinnovo del trattato della Triplice Alleanza; l'Austria-Ungheria riteneva che l'impresa avrebbe distratto le mire italiane dall'Albania e da tutta la costa adriatica della penisola balcanica; la Francia sin dal 1902 si era impegnata, con un accordo segreto, a sostenere l'Italia nella questione di Tripoli; la Russia promise il medesimo appoggio in base a un accordo concluso nel 1909 a Racconigi, l'Inghilterra, infine, i cui rapporti con la Germania si guastavano sempre non voleva inimicarsi l'Italia.
In conclusione, come ebbe a dichiarare l'addetto militare russo in Italia, "si ebbe un fatto sorprendente; l'Italia mosse guerra alla Turchia con il consenso generale dell'Europa".
Il 28 settembre 1911, l'Italia inviò un ultimatum alla Turchia, con l'intimazione di lasciare Tripoli e la Cirenaica; avutone un rifiuto, essa diede il via alle operazioni militari.
Il comando italiano decise di assestare un colpo rapido e decisivo, nella speranza che la Turchia non potesse opporre una seria resistenza e capitolasse.
In effetti, l'esercito turco era molto debole e all'inizio della guerra le truppe italiane riuscirono ad occupare la città di Tripoli e altri centri minori lungo la costa.
In seguito però gli italiani incontrarono una forte resistenza da parte della locale popolazione araba e non poterono avanzare all'interno del paese.
La guerra si trascinò per le lunghe e per esercitare una pressione sulla Turchia, il governo italiano fece bombardare dal mare Beirut e i Dardanelli e occupare dalle sue truppe da sbarco le isole del Dodecaneso.
Gli appelli rivolti dalla Turchia alle grandi potenze, perché intervenissero a far opera di mediazione non approdarono a nulla.
Durante tutto il corso della guerra la Turchia si trovò isolata.
La crisi incipiente dei Balcani e l'acutizzarsi della lotta politica interna in Turchia costrinsero il governo turco a fare delle concessioni; il 15 ottobre 1912 fu sottoscritto un accordo segreto, divenuto pubblico tre giorni dopo, il 18 ottobre, in base al quale il sultano turco rinunciava a favore dell'Italia a tutti i suoi diritti su Tripoli e la Cirenaica.
In tal modo, l'Italia poté occupare Tripoli e la Cirenaica, trasformandole in una sua colonia, la Libia.
Nella guerra subirono gravi perdite gli arabi, che tuttavia continuarono per lunghi anni anche dopo la firma del trattato di pace ad opporre una tenace resistenza agli occupanti italiani.
La formazione dell' "Alleanza balcanica"
Dopo la crisi marocchina del 1911 e la guerra italo-turca del 1911-12, si produsse una nuova crisi nei Balcani, dove profondi contrasti sociali e nazionali s'intrecciavano con le rivalità delle grandi potenze.
Il movimento di liberazione nazionale dei popoli balcanici che ancora si trovavano sotto il dominio della Turchia (Macedonia, Albania, isole del Mar Egeo eccetera) era in continuo sviluppo.
Inoltre le contraddizioni di classe erano rese più complesse dai contrasti di carattere nazionale e religioso.
Ad esempio, in Macedonia, i turco-musulmani erano proprietari fondiari; gli slavo-cristiani erano contadini.
La lotta dei popoli balcanici per la libertà nazionale si fondeva con la lotta contro le sopravvivenze feudali e l'oscurantismo: "La creazione di Stati nazionali uniti nei Balcani, l'abbattimento del giogo dei signori feudali locali, la liberazione definitiva dei contadini da qualsiasi tipo di giogo nazionale e feudale, - scrisse Lenin - questo era il compito storico dei popoli balcanici". (V. I. Lenin: "La guerra dei Balcani e lo sciovinismo borghese".)
La parte più avanzata della classe operaia, comprendendo giustamente questi compiti storici, lottò per una soluzione conseguentemente democratica e rivoluzionaria della questione nazionale.
Tuttavia, nella definizione della politica estera degli Stati balcanici non furono gli interessi dei popoli a giocare un ruolo decisivo, ma le mire dinastiche delle monarchie, l'ingerenza delle grandi potenze imperialistiche e le brame di conquista delle borghesie nazionali dei singoli Stati.
Nella primavera del 1911 i governi di Serbia e Bulgaria ritennero che fosse giunto il momento opportuno per decidere definitivamente la questione della Macedonia e di altre regioni della Turchia europea.
Dopo lo scoppio della guerra italo-turca, la Serbia accelerò le trattative già da tempo iniziate con la Bulgaria per sottoscrivere un patto di alleanza militare, con la partecipazione segreta della diplomazia russa, interessata alla creazione di un blocco balcanico che potesse al momento opportuno essere indirizzato contro la Turchia e l'Austria-Ungheria.
Non essendo ancora preparata ad un grande conflitto, la Russia non voleva che Serbia e Bulgaria iniziassero una guerra prematura con la Turchia.
Le trattative serbo-bulgare si protrassero per quasi sei mesi per i forti contrasti sorti sulla suddivisione della Macedonia, che Serbia e Bulgaria volevano ognuna per sé.
Il 13 marzo 1912 le trattative terminarono con la firma di un trattato di alleanza: Bulgaria e Serbia si assumevano l'impegno dell'aiuto reciproco nel caso in cui una qualunque delle grandi potenze tentasse di annettersi anche temporaneamente una parte dei territori balcanici.
In tal modo la Serbia si garantiva l'appoggio della Bulgaria contro la politica aggressiva dell'Austria-Ungheria nei Balcani.
Una clausola segreta prevedeva un intervento armato della Serbia e della Bulgaria contro la Turchia.
Gli alleati si accordarono anche sulle condizioni della futura divisione della Macedonia, stralciando però una "zona contestata" il cui destino definitivo avrebbe dovuto essere definito dall'arbitrato dello zar russo.
Il 12 maggio 1912 Serbia e Bulgaria firmarono una convenzione militare, che precisava i contingenti di truppe che ogni .parte doveva fornire in caso di guerra contro la Turchia o l'Austria-Ungheria.
Poco dopo la Bulgaria firmava un trattato di alleanza con la Grecia, mentre la Serbia definiva un accordo verbale di alleanza col Montenegro.
Si formò così un'alleanza balcanica, i cui partecipanti avevano come obiettivo fondamentale la piena liquidazione del dominio turco nella penisola: "La debolezza delle classi democratiche negli attuali Stati balcanici, - rilevò Lenin - (un proletariato relativamente debole, contadini afflitti dall'oppressione, dall'analfabetismo, dal loro isolamento) ha ridotto un'alleanza economicamente e politicamente necessaria a un'alleanza di monarchie balcaniche". (V. I. Lenin: "Un nuovo capitolo nella storia mondiale".)
Durante l'estate e l'autunno 1912 i rapporti fra gli alleati balcanici e la Turchia raggiunsero il massimo della tensione.
Entrambe le parti si scambiavano note minacciose.
La Russia e l'Austria-Ungheria, a nome delle potenze europee, intervennero con una dichiarazione, affermando che non sarebbe stato permesso nessun mutamento delle status-quo nei Balcani.
Ma questo avvertimento non produsse nessun effetto.
L'inizio della prima guerra balcanica
L'8 ottobre 1912 il Montenegro iniziò la guerra contro la Turchia; il 17 ottobre entrarono in guerra Bulgaria e Serbia ed il giorno seguente la Grecia.
Già i primi scontri militari dimostrarono la superiorità degli alleati balcanici sulla Turchia.
Nel corso di alcune settimane essi ottennero significativi successi.
I soldati serbi occuparono la parte superiore della pianura di Vardar, il sangiaccato di Novi Pazar e la parte settentrionale dell'Albania; i greci occuparono Salonicco (precedendo di appena alcune ore i reparti bulgari); le truppe bulgare puntavano su Istanbul.
Nelle mani della Turchia restavano soltanto le fortezze di Adrianopoli, Giannina e Scutari.
Le vittorie degli alleati balcanici segnarono il crollo del dominio feudale turco nella penisola balcanica.
Il 3 novembre 1912 il governo turco si rivolse alle grandi potenze, perché intervenissero come mediatrici per la conclusione della pace.
All'inizio di dicembre fu firmata una tregua tra Turchia e Bulgaria, mentre ciascuna delle grandi potenze europee cercava di approfittare della nuova situazione per i propri interessi.
Ben presto si aprì a Londra una conferenza degli ambasciatori delle grandi potenze, contemporaneamente a trattative tra la Turchia e gli alleati balcanici per discutere le condizioni di un trattato di pace.
Le potenze imperialistiche esercitarono su queste trattative una diretta e crescente influenza nel tentativo di far valere i loro interessi.
Su molte questioni sorsero aspri dissensi; ad esempio, la richiesta della Serbia di ottenere un porto sull'Adriatico incontrò l'aperta ostilità dell'Austria-Ungheria, che, sostenuta dalla Germania, concentrò le sue truppe sul confine serbo.
La Russia approvò le pretese territoriali della Serbia, ma nel contempo raccomandò al governo serbo di evitare un conflitto aperto.
La Francia, in questa occasione, si mostrò più aggressiva contro l'Austria-Ungheria, nella speranza che, in caso di una grande guerra europea, fosse possibile utilizzare gli eserciti bulgaro e serbo contro il blocco austro-germanico.
Con questo obiettivo Poincaré sollecitò il governo zarista a sostenere più attivamente la Serbia contro l'Austria-Ungheria, e la Borsa di Parigi offrì al governo zarista un nuovo prestito esclusivamente destinato alle necessità belliche.
Da parte sua, l'Inghilterra alimentava ad arte i contrasti nella speranza di garantirsi il ruolo di arbitro.
Tuttavia le grandi potenze non si decisero a scatenare una guerra generale e la Serbia dovette rinunciare alle sue pretese territoriali sull'Adriatico e accontentarsi di uno sbocco commerciale con un porto franco in Albania.
La formazione dello stato albanese
Uno dei problemi centrali delle trattative londinesi era il destino dell'Albania.
Già nel 1908, dopo la rivoluzione dei "Giovani Turchi", il movimento di liberazione nazionale in Albania si era rafforzato al punto che, nella primavera del 1910, scoppiò nella parte settentrionale del paese un'insurrezione armata di massa, che nel 1911-12 si estese a tutta l'Albania.
L'inizio della guerra balcanica portò negli affari albanesi l'ingerenza degli alleati balcanici e delle grandi potenze.
In base ai piani originari degli alleati balcanici, si pensava di dividere l'Albania fra il Montenegro, la Serbia e la Grecia.
Contro la richiesta della Serbia di avere un libero accesso al mare Adriatico, l'Austria-Ungheria aveva di mira la creazione di un'Albania "indipendente", contando di poter poi stabilire su di essa una specie di protettorato.
Italia e Germania appoggiarono la proposta perché in base ai loro calcoli l'Albania doveva costituire una specie di barriera contro la crescente influenza della Russia nei Balcani.
La sconfitta della Turchia rinfocolò negli albanesi le speranze di ottenere l'indipendenza.
Nel novembre del 1912, in una riunione dei rappresentanti delle diverse organizzazioni albanesi dell'emigrazione a Bucarest fu presa la decisione di convocare un congresso generale albanese e di eleggere un governo nazionale provvisorio.
Il 28 novembre 1912 a Valona, in una riunione dei rappresentanti delle diverse regioni del paese e degli emigrati all'estero, fu proclamata l'indipendenza dell'Albania.
Una settimana dopo fu formato un governo provvisorio con a capo Ismail Kemal.
Le grandi potenze, tenendo conto dell'inflessibile volontà di lotta del popolo albanese, furono costrette ad accettare la creazione dello Stato albanese.
Tuttavia, tenendo in considerazione le mire dell'Austria-Ungheria, che aspirava ad allargare la sua influenza lungo la costa balcanica dell'Adriatico, e la richiesta della Serbia di avere uno sbocco sull'Adriatico, esse decisero di creare un'Albania autonoma sotto la sovranità del sultano e sotto il loro proprio controllo.
Scutari venne data all'Albania.
Il Montenegro, i cui soldati assediavano Scutari si rifiutò di lasciare la città.
La Russia intervenne in appoggio al Montenegro, l'Austria-Ungheria dell'Albania.
La Germania sostenne l'Austria-Ungheria, l'Inghilterra la Russia: la questione albanese, e in particolare la questione di Scutari provocò un conflitto internazionale che minacciava serie complicazioni.
Alla fine il Montenegro dovette cedere e ritirare i propri soldati da Scutari.
L'Albania diventò così uno Stato, ma non ottenne la piena indipendenza.
Le potenze straniere, innalzando al trono d'Albania il principe tedesco Guglielmo Wied, continuarono ad immischiarsi nelle sue questioni interne.
Il trattato di Londra del 1913
Nel corso delle trattative per la pace tenute nel 1913 a Londra si manifestarono profonde contraddizioni anche in altre questioni: la Bulgaria chiedeva un notevole allargamento dei confini in direzione della Tracia orientale; la Grecia, che aveva già occupato Salonicco, rivendicava anche le isole dell'Egeo e avanzava pretese sulla parte meridionale dell'Albania; la Serbia si annetté tutta la Macedonia, compresa la "zona contestata" e una parte già destinata alla Bulgaria, né voleva fare rinunce territoriali; la Bulgaria, dal canto suo, non intendeva rassegnarsi a perdere le regioni annesse alla Serbia né a Salonicco.
La situazione divenne ancor più complessa con il colpo di stato in Turchia, nel gennaio 1913, da parte di un combattivo gruppo di "Giovani Turchi", che portò con sé la riapertura delle operazioni belliche tra la Turchia a la Bulgaria.
Ma le truppe turche furono di nuovo sconfitte e il 30 maggio 1913, a Londra, sotto la pressione delle grandi potenze, venne firmato un trattato di pace tra i membri dell'Alleanza Balcanica e la Turchia, che lasciava sotto il dominio turco soltanto Istanbul e la vicina zona degli stretti, lungo la linea Enez-Midia, mentre il restante territorio della Turchia europea, a eccezione dell'Albania, eretta in Stato indipendente, passava ai membri dell'Alleanza Balcanica.
La questione dell'appartenenza delle isole dell'Egeo veniva delegata alla decisione delle grandi potenze.
Il trattato di pace di Londra anziché eliminare le contraddizioni tra le maggiori potenze imperialistiche e gli Stati balcanici, le rese più aspre: la guerra balcanica era terminata con un insuccesso per il blocco austro-tedesco; la Turchia, che i circoli dirigenti tedeschi consideravano un possibile alleato nella lotta contro la Russia, aveva subito una pesante sconfitta, mentre si era rafforzata notevolmente la Serbia, che costituiva l'oggetto principale delle mire imperialistiche austriache; inoltre l'esistenza stessa dell'Alleanza Balcanica significava un ulteriore indebolimento dell'influenza austro-tedesca nei Balcani e un rafforzamento delle posizioni delle potenze dell'Intesa.
In queste condizioni, le diplomazie austriaca e tedesca si posero il compito di smembrare l'alleanza degli Stati balcanici.
La seconda guerra balcanica
La Germania e l'Austria-Ungheria, sfruttando l'insoddisfazione della Bulgaria per le conquiste serbe in Macedonia e facendo leva sul loro protetto, lo zar Ferdinando I, aizzarono la Bulgaria contro gli altri membri dell'Alleanza Balcanica.
A loro volta, Serbia, Montenegro, Grecia e Romania firmarono un'alleanza militare segreta contro la Bulgaria.
I tentativi della Russia d'impedire lo scontro che stava maturando non furono coronati da successo.
Certa della sua superiorità militare, la Bulgaria, il 29 giugno 1913, apri improvvisamente le ostilità contro i suoi vecchi alleati.
Le truppe serbe, montenegrine e greche risposero all'attacco, subito seguite dalla Romania e dalla Turchia.
Ebbe inizio così la seconda guerra balcanica.
In breve tempo la Bulgaria fu sconfitta e chiese la pace.
Il 30 luglio 1913 a Bucarest si aprì la conferenza di pace e il 10 agosto la Bulgaria firmava un trattato di pace con Serbia, Grecia e Romania.
Il 29 settembre fu firmato il trattato di pace bulgaro-turco.
La Serbia otteneva quasi interamente la parte della Macedonia, annessa in precedenza dalla Bulgaria; alla Grecia andarono la Macedonia meridionale e la Tracia occidentale; alla Romania la Dobrugia meridionale; alla Turchia una parte della Tracia orientale con Adrianopoli.
La Bulgaria, dei territori ottenuti alla fine della prima guerra balcanica, conservò solamente alcune piccole zone della Macedonia e della Tracia occidentale; il confine turco-bulgaro fu spostato più ad occidente della linea Enez-Midia.
Gli imperialisti austro-tedeschi non mancarono di approfittare della divisioni tra l'Alleanza Balcanica: in Bulgaria essi favorirono le tendenze pro-tedesche e revansciste delle classi dirigenti; in Turchia il generale tedesco Liman von Sanders divenne comandante delle truppe turche di stanza nella capitale dell'impero, Istanbul.
Assieme alla costruzione della ferrovia di Bagdad, questa nomina significava il notevole rafforzamento delle posizioni dell'imperialismo tedesco nel Vicino Oriente.
Il governo zarista, vedendo minacciati i suoi interessi nei Balcani e in Turchia, particolarmente nella zona degli stretti del Mar Nero, intervenne con una decisa protesta contro la nomina di Liman von Sanders.
Il nuovo contrasto russo-tedesco si chiuse con un compromesso: il governo tedesco si disse d'accordo che Liman non fosse il comandante del corpo d'armata, ma solo ispettore dell'esercito.
La concessione era puramente formale e non sanava affatto il contrasto tra Germania e Russia.
La corsa agli armamenti. I piani strategico militari delle grandi potenze.
La corsa agli armamenti raggiunse all'inizio del 1914 dimensioni impressionanti.
La Germania, che si era categoricamente rifiutata di ridurre il suo programma per le forze di mare, in pari tempo aumentò febbrilmente anche le forze di terra.
Assieme al suo alleato, l'Austria-Ungheria, essa aveva ora a disposizione 8 milioni di soldati.
Nel campo delle potenze dell'Intesa gli effettivi militari erano ancora maggiori, ma l'esercito tedesco era migliore dal punto di vista tecnico che non gli eserciti francese e russo, mentre l'esercito inglese era allora poco consistente e non si poteva prendere in seria considerazione.
Inoltre lo Stato Maggiore tedesco poteva mobilitare le sue truppe assai più celermente che non i comandi russo e francese.
Anche i paesi dell'Intesa accrebbero rapidamente le loro forze armate: la Russia, grazie all'aiuto di nuovi prestiti francesi, costruì ferrovie strategiche in direzione del confine tedesco ed allargò i quadri dirigenti dell'esercito.
Tuttavia, il programma militare del governo zarista era ancora ben lontano dall'essere completato.
Anche la Francia adottò, nel 1913, la legge per il passaggio del periodo di ferma militare da due a tre anni, aumentando in tal modo i suoi effettivi militari del 50% rispetto al tempo di pace.
In complesso, i programmi bellici della Francia e della Russia prevedevano di eliminare nel giro di due o tre anni la superiorità tedesca negli armamenti.
In entrambi i campi gli Stati Maggiori svolgevano un intenso lavoro per il coordinamento dei piani di guerra: lo Stato Maggiore tedesco si manteneva in stretto contatto con quello austro-ungarico.
Nel 1912 Francia e Russia firmarono una convenzione segreta navale.
Un'altra convenzione militare e navale fu stipulata poco dopo tra la Francia e l'Inghilterra; queste due nazioni firmarono anche un accordo politico, in forza del quale l'Inghilterra di fatto predeterminava il suo intervento a fianco della Francia in caso di guerra con la Germania.
Nella primavera del 1914 iniziarono trattative segrete tra la Russia e l'Inghilterra per la firma di una convenzione militare e navale; esse però non giunsero a conclusione, perché il governo tedesco ne era venuto a conoscenza.
Il piano di guerra tedesco, che prevedeva una guerra di breve durata sui due fronti, occidentale e orientale, era stato elaborato da A. von Schlieffen, capo dello Stato Maggiore tedesco nel 1891-1905.
L'erede di Schlieffen, Helmuth von Moltke junior, apportò lievi modifiche a questo piano, conservando però l'idea fondamentale del suo predecessore: la massa d'urto principale, composta da cinque armate, avrebbe dovuto concentrarsi sull'ala destra e, attraverso il Belgio, abbattersi sulla Francia settentrionale e, se si fosse reso necessario, circondare Parigi.
L'obiettivo dell'operazione era di circondare e distruggere l'esercito francese.
Contro l'esercito russo erano previste all'inizio manovre difensive con forze limitate; in seguito, dopo la disfatta dell'esercito francese, i contingenti tedeschi dovevano essere trasferiti a oriente per schiacciare la Russia.
L'Austria-Ungheria aveva programmato una guerra su due fronti: contro la Russia e contro la Serbia ed il Montenegro, prendendo nel contempo in considerazione la necessità di presidiare il confine con l'Italia, alleata assai malsicura.
Il piano strategico francese fu elaborato sotto l'influenza di fattori estremamente contraddittori.
L'economia e l'industria bellica francese erano meno sviluppate di quelle tedesche, e l'esercito francese era inferiore anche numericamente a quello tedesco.
Perciò i piani del comando francese furono elaborati su di una base di attesa passiva.
Tuttavia gli umori revanscisti della borghesia francese costrinsero lo Stato Maggiore francese a prevedere azioni più attive nell'Alsazia e Lorena, mentre le informazioni ricevute sul piano tedesco di invasione attraverso il Belgio attirarono l'attenzione verso il settore settentrionale del futuro fronte.
Anche la Gran Bretagna voleva un'attiva difesa del Belgio.
Il piano francese, sotto queste contraddittorie influenze, contemplava lo schieramento di quattro armate disposte lungo tutto il fronte e di una armata in seconda linea.
Il corpo di spedizione inglese e l'esercito belga dovevano avere un ruolo secondario.
L'Inghilterra non era disposta ad una larga partecipazione nella guerra terrestre, nella speranza di scaricarne tutto il peso su Francia e Russia.
Il piano russo, obbedendo agli interessi politici e strategici dello zarismo, indirizzava lo sforzo principale in primo luogo contro l'Austria-Ungheria.
Si prevedeva perciò di schierare lungo il fronte austriaco quattro delle sei armate attive.
Ma la Russia, legata da obblighi derivanti dai trattati firmati con gli alleati, doveva contemporaneamente, in base alla convenzione militare russo-francese, concentrare lungo il confine tedesco un esercito di 800 mila uomini entro 15 giorni dalla mobilitazione per dare subito inizio alle ostilità contro la Germania.
I circoli dirigenti tedeschi tenendo conto che il rapporto di forze, inizialmente favorevole alla Germania, avrebbe potuto dopo un certo periodo di tempo modificarsi a favore dei suoi avversari, avanzarono l'idea di una guerra "preventiva".
Moltke, in un colloquio con il capo dello Stato Maggiore austriaco Conrad von Hötzendorf, dichiarò che qualunque rinvio avrebbe diminuito le speranze di successo.
La Germania spingeva apertamente l'Austria a un conflitto con la Serbia.
D'altra parte, gli imperialisti tedeschi vedevano nella guerra la via d'uscita dalla crisi politica, che stava maturando all'interno del paese.
Già alla fine del 1913 1'ambasciatore francese a Berlino J. Cambon, osservava che alcuni influenti circoli politici della Germania volevano la guerra partendo da considerazioni di carattere sociale, e miravano ad accentrare l'attenzione delle masse tedesche sugli avvenimenti di politica estera, ritenendoli gli unici capaci d'impedire lo sviluppo in senso democratico e socialista del movimento delle classi lavoratrici.
Vi erano poi altre circostanze che erano ritenute dalla Germania favorevoli alla realizzazione dei suoi piani di aggressione.
La rivalità fra Russia e Inghilterra nella Persia all'inizio del 1914 era entrata in una fase talmente acuta, che la revisione dell'accordo anglo-russo del 1907 dovette essere trattata ufficialmente dai due governi.
D'altra parte, all'inizio del 1914 si erano aperte le trattative anglo-tedesche sulla questione della ferrovia di Bagdad e sulla spartizione delle colonie portoghesi in Africa.
In realtà il governo inglese mirava con esse a trarre in inganno la Germania sulla posizione inglese nel conflitto europeo che stava maturando e a esercitare contemporaneamente una pressione sulla Russia zarista nella questione della Persia.
I circoli dirigenti tedeschi, valutando la situazione internazionale quale si presentava nell'estate del 1914, ritenevano che l'Inghilterra, nel caso fosse scoppiata la guerra in Europa, non sarebbe intervenuta, almeno per un certo periodo di tempo, a fianco della Russia e della Francia.
Gli imperialisti tedeschi e austriaci ritenevano che il rapporto di forze fosse in generale a loro favore.
A questa conclusione giunsero Guglielmo II e l'erede al trono austriaco arciduca Francesco Ferdinando, nel loro incontro a Konopište, a metà giugno del 1914.
Secondo Francesco Ferdinando non c'era ragione di temere la Russia zarista, poiché le difficoltà interne di quel paese erano troppo grandi per permettergli di condurre una politica estera aggressiva.
Con questa valutazione fu d'accordo anche l'imperatore tedesco, il quale consigliò agli austriaci di colpire duramente la Serbia per affermare definitivamente la loro influenza nei Balcani.
L'eccidio di Sarajevo
Da Konopište Francesco Ferdinando si recò al confine serbo, dove assistette alle manovre dell'esercito austro-ungarico.
Le manovre militari e l'arrivo del principe ereditario nella principale città della Bosnia, Sarajevo, furono interpretate in Serbia come una provocazione ed eccitarono lo spirito nazionalistico della gioventù serba.
Anche le organizzazioni segrete patriottico-militari grandi-serbe aumentarono la loro attività.
Il 28 giugno 1914 Francesco Ferdinando fu ucciso in una via di Sarajevo da un membro della società patriottico-militare serba "Crna Ruka" (Mano Nera), lo studente Gavrilo Princip.
A Berlino e a Vienna l'avvenimento di Sarajevo fu accolto come un pretesto per iniziare subito il conflitto: "Ora o mai più!".
Queste parole di Guglielmo II esprimevano le vere intenzioni dei circoli dirigenti dell'imperialismo tedesco; il 5 e 6 luglio, a Potsdam, si svolsero trattative tra i rappresentanti della Germania e dell'Austria-Ungheria.
Si era già deciso di cominciare la guerra; la diplomazia austriaca si preoccupava soltanto di avanzare alla Serbia richieste tali che venissero inevitabilmente respinte e di presentare l'ultimatum in modo che la responsabilità per lo scontro militare dovesse cadere sulla Serbia.
Mentre il governo austriaco si preparava a elaborare l'ultimatum, la diplomazia tedesca, attraverso i canali della stampa borghese, faceva pressione sull'opinione pubblica all'interno del prese e all'estero: era necessario, diceva una istruzione segreta del governo tedesco, che si nascondesse nel migliore dei modi tutto ciò che potesse ingenerare il sospetto che la Germania istigava gli austriaci alla guerra.
La diplomazia tedesca cercò di conoscere quale atteggiamento era intenzionata ad assumere l'Inghilterra.
Il 6 luglio, terminate le trattative a Potsdam, l'ambasciatore tedesco a Londra, comunicò in modo "strettamente confidenziale" al ministro degli interni inglese Grey che a Berlino ritenevano necessario approfittare della debolezza della Russia zarista e non fermare l'Austria-Ungheria.
La risposta inglese fu formulata in modo che si poteva prestare ad incoraggiare la Germania all'intervento; Grev ribadì infatti che la Russia era militarmente debole.
Nei colloqui che ebbe in seguito con l'ambasciatore russo, Grey gli fece capire invece che la Germania vedeva nella Russia il suo nemico principale, e cercò poi di dare 1'impressione che in caso di guerra l'Inghilterra avrebbe preso una posizione favorevole alla Russia.
La Francia e la Russia zarista consideravano la situazione internazionale dopo l'attentato di Sarajevo come la vigilia di una guerra europea.
Una visita del presidente francese Poincaré a Pietroburgo, avvenuta nel luglio 1914, diede la possibilità alla diplomazia russa e francese di accordarsi sul reciproco comportamento futuro.
Sul contenuto dei colloqui di Pietroburgo (20-23 luglio) il ben informato ambasciatore inglese in Russia, Buchanan, comunicò a Londra che era assolutamente chiaro che Francia e Russia avevano deciso di raccogliere il guanto, che era stato loro gettato.
L'ultimatum austriaco e l'inizio della guerra austro-serba
Il 23 luglio fu presentato a Belgrado l'ultimaturn austriaco: il governo serbo era accusato di manifesta tolleranza verso gli atti terroristici e di sostenere il movimento di rivolta contro l'Austria-Ungheria; le riparazioni chieste dal governo di Vienna significavano per la Serbia la perdita della propria sovranità.
La Germania spingeva il suo alleato a colpire nei Balcani, nella speranza di cogliere di sorpresa gli avversari.
"A Berlino - come comunicò il 25 luglio l'ambasciatore austriaco Szögyényi - ci consigliano d'intervenire immediatamente e nel modo più acconcio a mettere il mondo di fronte al fatto compiuto".
Il 24 luglio, prima che scadesse il termine dell'ultimatum austriaco alla Serbia, il governo zarista prese la decisione di mobilitare i quattro distretti militari di Kiev, Odessa, Mosca e Kazan e le flotte del Baltico e del Mar Nero.
Il 25 luglio fu introdotto in tutto il territorio della Russia lo stato prebellico.
Nello stesso giorno anche il governo francese prese una serie di provvedimenti militari.
La stampa borghese in Inghilterra affermava che il governo non si apprestava ad intervenire nel conflitto, ma in realtà gli imperialisti inglesi capirono sin dall'inizio che non vi poteva essere una localizzazione della guerra: "L'Inghilterra teme non tanto l'egemonia austriaca nei Balcani quanto l'egemonia mondiale della Germania", così l'ambasciatore russo a Londra Benckendorff definì l'atteggiamento dell'Inghilterra.
Il 25 luglio, prima ancora che la Serbia rispondesse all'ultimatum austriaco, uno dei massimi dirigenti della diplomazia britannica, Crowe, scrisse in un memorandum presentato al governo: "In questa lotta... nella quale la Germania cerca di ottenere l'affermazione della propria superiorità politica in Europa... i nostri interessi s'intrecciano con quelli della Francia e della Russia".
Tentando di coprire le proprie intenzioni, la diplomazia inglese intervenne inizialmente in funzione di mediatrice.
Ma le proposte avanzate per impedire la guerra servirono, come ebbe a dire Grey, soltanto a "tastare il polso alla Germania" e a far capire al popolo inglese che, nonostante l'azione in senso contrario del governo, la minaccia della guerra si stava avvicinando.
Il 25 luglio la Serbia rispose all'ultimatum austriaco, dicendosi disposta a regolare il conflitto.
Ma il governo austro-ungarico si proclamò insoddisfatto e dichiarò guerra alla Serbia.
Il 28 luglio sul confine austro-serbo ebbero inizio le operazioni militari.
Il giorno seguente, 29 luglio, a Berlino giunse la notizia, tramite l'ambasciatore a Londra, Lichnowsky, che il governo inglese aveva dichiarato in modo non equivocabile di essere pronto a scendere in guerra.
Gli avvenimenti si susseguirono in una linea di sviluppo, che era la meno desiderabile per i dirigenti tedeschi, irritandoli profondamente: "l'Inghilterra scopre le sue carte nel momento in cui le sembra che noi siamo stati cacciati in un vicolo cieco e ci troviamo in una situazione senza uscita", annotò sul telegramma di Lichnowsky Guglielmo II.
In questo periodo tutte le misure di mobilitazione della Germania erano quasi ultimate.
La sera del 30 luglio lo zar Nicola II approvò il decreto di mobilitazione generale in Russia.
Il decreto fu reso noto il 31 luglio e a mezzanotte il governo tedesco presentò alla Russia un ultimatum, perché sospendesse la mobilitazione.
Lo scontro militare tra le maggiori potenze europee era ormai inevitabile.
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