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La rivoluzione del 1918 e il proletariato tedesco nel 1919-1921

Accademia delle Scienza dell'URSS | Storia Universale, vol 8, cap V, Teti editore

* * * Parte prima * * *
* * * Parte seconda * * *

LE LOTTE DEL GENNAIO 1919 A BERLINO. L'UCCISIONE DI KARL LIEBKNECHT E DI ROSA LUXEMBURG

Dopo il fallimento della provocazione ordita dal governo il 23-24 dicembre 1918, la borghesia controrivoluzionaria accelerò la preparazione per un attacco decisivo all'avanguardia rivoluzionaria della classe operaia.
A Berlino vennero concentrati i cosiddetti "distaccamenti volontari".
Il 4 gennaio 1919 il capo della polizia di Berlino, il socialdemocratico indipendente Eichhorn, molto popolare tra gli operai, venne allontanato dalla carica e sostituito con il socialdemocratico di destra Ernst.
Questa nuova provocazione aveva lo scopo di spingere gli operai di Berlino a una manifestazione prematura.

La sera del 4 gennaio la riunione delle organizzazioni degli indipendenti e dei capi rivoluzionari operai di Berlino, con la partecipazione di rappresentanti del partito comunista (Karl Liebknecht e Wilhelm Pieck) stabilì di non permettere la sostituzione di Eichhorn e chiamò gli operai di Berlino a svolgere il 5 gennaio una dimostrazione.
In caso di necessità si sarebbe dovuta iniziare la lotta per rovesciare il governo.
Venne eletto un Comitato rivoluzionario d'azione, nel quale entrarono anche Karl Liebknecht e Wilhelm Pieck.

La stessa sera il Comitato Centrale del partito comunista approvò la decisione di appoggiare i capi operai rivoluzionari e di partecipare alla dimostrazione, pur considerando immatura l'azione per abbattere il governo, poiché il paese non era pronto.

Il 5 gennaio ebbe luogo una grandiosa manifestazione.
Il Comitato rivoluzionario, al quale partecipavano i rappresentanti del Partito Socialdemocratico Indipendente, rivolse agli operai l'appello a lottare per lo scioglimento dei reparti di Guardie Bianche, per l'armamento del proletariato e il ritorno in carica di Eichhorn.
Ma venne anche presentata la parola d'ordine, alla quale gli operai non erano ancora preparati: abbattimento del governo Ebert-Scheideman e assunzione del potere da parte degli operai.

Il giorno seguente scoppiò a Berlino lo sciopero generale, al quale presero parte mezzo milione di operai; il 7-8 gennaio, gli operai occuparono le stazioni, l'edificio della redazione e della tipografia del giornale "Vorwarts", ma poi rimasero senza ordini precisi.
I capi degli indipendenti, dopo averli chiamati a rovesciare il governo, ora trattavano con esso, dando alla controrivoluzione la possibilità di guadagnare tempo per concentrate forze armate.

Il Comitato Centrale del partito comunista decise, l'8 gennaio, di richiamare Liebknecht e Pieck dal comitato rivoluzionario.
La sera dello stesso giorno, dopo l'insuccesso delle trattative con Ebert, gli indipendenti, che facevano parte del comitato rivoluzionario, chiamarono nuovamente gli operai alle armi.
Ma erano solo parole vuote, perché nulla facevano per preparare l'insurrezione.
Il giovane partito comunista non aveva ancora la forza di attrarre al suo seguito larghe masse: la organizzazione berlinese del partito contava appena 300 persone.

I membri del governo erano in consultazione ininterrotta con i rappresentanti dei militari: durante una di queste riunioni Noske chiese che venissero prese decisioni energiche.
Qualcuno gli gridò: "Occupatevene voi". Noske rispose: "Beh, qualcuno deve pure fare il cane sanguinario. Io non temo le responsabilità".
L'appellativo di "cane sanguinario" non poteva essere meglio scelto per Noske, il carnefice della rivoluzione tedesca.

L'11 gennaio il governo, fatte affluire le truppe, cominciò una repressione feroce.
Contro gli operai e i soldati, asserragliati negli edifici del presidio di polizia e nella sede del giornale "Vorwarts", vennero usati pezzi di artiglieria e lanciagranate.
I prigionieri venivano ferocemente bastonati e molti vennero fucilati sul posto.
I comunisti furono dichiarati fuorilegge.
Nei quartieri operai agirono i distaccamenti "volontari" e la Guardia Bianca di Noske.

Il 13 gennaio la direzione centrale del Partito Socialdemocratico indipendente e i capi operai rivoluzionari dichiararono la fine dello sciopero.

Su decisione del Comitato Centrale del partito comunista, Karl Liebknecht e Rosa Luxemburg entrarono nella clandestinità, ma continuarono a redigere il giornale "Die rote Fahne".
Rosa Luxemburg scrisse l'articolo "L'ordine regna a Berlino", nel quale esaminava le cause della sconfitta del proletariato berlinese.
La campagna, che dava la maggiore percentuale di soldati - lamentava la Luxemburg - non è stata quasi toccata dalla rivoluzione.
L'immaturità politica delle masse dei soldati permette agli ufficiali di utilizzarli per obiettivi controrivoluzionari.

Molti centri rivoluzionari nella provincia, a esempio in Renania, nelle città litoranee, a Braunschweig, in Sassonia, nel Württemberg, sostenevano completamente il proletariato berlinese, ma tra essi non c'era "l'unita d'azione che avrebbe dato un'incomparabile efficacia e un grande peso alle azioni degli operai berlinesi".

Karl Liebknecht nel suo articolo "Nonostante tutto", scritto il 15 gennaio, sottolineava: "Sì, gli operai rivoluzionari di Berlino sono stati sconfitti, e gli Ebert-Scheidemann-Noske hanno vinto... ma ci sono sconfitte che equivalgono a vittorie e ci sono vittorie più fatali delle sconfitte... Sconfitti oggi, gli operai saranno domani vincitori, poiché la sconfitta e per loro una lezione".

Agenti dei militaristi controrivoluzionari riuscirono a scoprire l'appartamento dove erano nascosti Karl Liebknecht e Rosa Luxemburg.
La sera del 15 gennaio essi vennero catturati e portati al comando di divisione della Guardia di cavalleria.
Ambedue furono uccisi dagli ufficiali.
Gli assassini portarono il corpo di Karl Liebknecht all'obitorio, presentandolo come il "cadavere di uno sconosciuto", mentre il corpo di Rosa Luxemburg venne gettato in un canale (esso fu trovato solo il 31 maggio 1919).

In tutta la Germania si ebbe un'ondata di proteste contro l'assassinio dei grandi capi deila classe operaia tedesca.
I funerali di Karl Liebknecht (25 gennaio 1919) e di Rosa Luxemburg (13 giugno 1919) si trasformarono in grandi manifestazioni di molte migliaia di lavoratori.
L'atroce azione compiuta dalla controrivoluzione tedesca suscitò lo sdegno di tutto il proletariato internazionale.

LE ELEZIONI DELL'ASSEMBLEA NAZIONALE

Dopo avere sconfitto l'avanguardia rivoluzionaria della classe operaia, la reazione tedesca mirò, al proprio obiettivo immediato: garantirsi la vittoria nelle elezioni dell'Assemblea nazionale.
Le elezioni si svolsero il 19 gennaio 1919 in un clima di terrore.
Vi presero parte 30 milioni di elettori.
I socialdemocratici ottennero 11.500.000 voti e 165 mandati, gli indipendenti 2.300.000 voti e 22 mandati.
Complessivamente questi due partiti totalizzavano il 45,5% dei voti; ai partiti borghesi era andato il 54,5%.
Il partito comunista non partecipò alle elezioni.

L'Assemblea nazionale venne inaugurata il 6 febbraio a Weimar, una piccola città della Turingia.
Il giorno dell'apertura la direzione centrale dei Consigli degli operai e dei soldati stabilì di passare il potere ottenuto dal congresso pantedesco dei Consigli degli operai e dei soldati all'Assemblea nazionale.
In questo modo veniva decisa l'autoliquidazione dei Consigli.

L'11 febbraio l'Assemblea nazionale elesse Ebert presidente della repubblica e il 13 febbraio Scheidemann formò un governo composto da rappresentanti del partito socialdemocratico, del partito democratico e del partito cattolico.
I socialdemocratici di destra passavano così alla coalizione aperta con i partiti della borghesia.

CARATTERE, RISULTATI E SIGNIFICATO DELLA RIVOLUZIONE DI NOVEMBRE

La crisi dell'imperialismo tedesco, inaspritasi negli anni della guerra mondiale, aveva posto la classe operaia tedesca di fronte alla necessità di raggiungere gli obiettivi della rivoluzione democratico-borghese: distruggere il militarismo, fare un'epurazione dell'apparato statale, espropriare i beni degli junkers e dei criminali di guerra, rovesciare il regime monarchico e creare una repubblica tedesca unita: "In questa lotta - come si afferma nelle tesi del Comitato Centrale del Partito Socialista Unificato di Germania, pubblicate nel 1958 in occasione del 40° anniversario della rivoluzione di novembre - si trattava per la classe operaia di accumulare esperienza, di create il partito comunista e di stabilire l'alleanza con i contadini, per passare poi alla rivoluzione proletaria, che era oggettivamente al-l'ordine del giorno".

Le masse popolari si gettarono spontaneamente nel combattimento per l'attuazione di questi obiettivi, mentre le classi dominanti non disponevano di forze sufficienti per soffocare la rivoluzione.
In tal modo fu abbattuta la dinastia imperiale.
La classe operaia si presentò come la principale forza motrice.
I Consigli degli operai e dei soldati, formatisi in vari centri della Germania, godevano dell'appoggio delle larghe masse popolari.

La rivoluzione era favorita dalla situazione internazionale.
La Russia sovietica lottava con successo contro l'intervento straniero e la controrivoluzione interna.
Molti paesi d'Europa erano in una fase di ripresa rivoluzionaria.
Maturava la rivoluzione proletaria in Ungheria.

Tuttavia, nonostante che in Germania ancor prima della guerra si fossero create le premesse sociali ed economiche della rivoluzione socialista, la rivoluzione di novembre si fermò alla tappa democratico-borghese.
Ciò derivò innanzitutto dalla debolezza della classe operaia tedesca, dalla sua inesperienza politica, dalla mancanza di unità, dall'incapacità di conquistare le larghe masse popolari.

I Consigli tedeschi sorti sotto l'influenza della Rivoluzione d'Ottobre, ebbero una direzione opportunistica ed erano prigionieri delle illusioni parlamentaristiche.
L'insuccesso si deve pure alla immaturità politica delle masse dei soldati, rivoluzionari nei confronti del militarismo, della guerra e degli esponenti apertamente imperialisti, ma instabili e incerti nei confronti del socialismo.

Queste debolezze permisero ai capi opportunisti di confondere il popolo, d'indebolire le forze della rivoluzione e di dare un sostegno alla controrivoluzione.
Un partito proletario coerentemente rivoluzionario, capace di dirigere la lotta per la rivoluzione socialista, non esisteva allora in Germania.
Gli spartachisti non potevano assolvere a questo compito, tanto più che nel periodo decisivo della crisi rivoluzionaria essi non erano ancora organizzati come partito.

La classe operaia tedesca non poté realizzare la grande possibilità storica che le si era offerta nel novembre 1918: "... le forze dirigenti della borghesia tedesca e dell'Intesa - ha scritto Walter Ulbricht - avevano tratto la loro lezione dalla Rivoluzione d'Ottobre e avevano fatto di tutto per servirsi della socialdemocrazia tedesca per dividere la classe operaia, arrestare lo sviluppo della rivoluzione e schiacciare l'avanguardia della classe operaia. L'opportunismo socialdemocratico non permise nemmeno di portare fino in fondo la rivoluzione democratico-borghese".

Il movimento rivoluzionario più vasto che si sia avuto in Germania dopo la guerra dei contadini del XVI secolo si ridusse a una rivoluzione democratico-borghese, attuata in notevole misura con mezzi e metodi proletari.
Il suo corso confermò l'importante tesi leninista che la rivoluzione socialista può vincere solo sotto la direzione di un partito proletario-marxista di tipo nuovo.

Pur tuttavia la lotta rivoluzionaria della classe operaia tedesca non fu inutile.
Essa assicurò al popolo tedesco sostanziali conquiste di carattere democratico-borghese: venne rovesciata la monarchia, furono deposti il kaiser, ventidue re, duchi e principi, entrarono in vigore la legge della giornata lavorativa di otto ore, il suffragio universale (esteso anche alle donne), il diritto di organizzazione, di libertà di parola e di riunione eccetera.

Nello stesso tempo il proletariato tedesco acquisì una grande esperienza politica.
Dopo la rivoluzione di novembre cominciò una nova tappa nella lotta della classe operaia tedesca per i propri interessi.

2. Le lotte rivoluzionarie del proletariato tedesco nel febbraio-maggio 1919

LA LOTTA RIVOLUZIONARIA A BREMA E NELLA RUHR. LE LOTTE DI MARZO A BERLINO

Le battaglie rivoluzionarie del proletariato di Berlino ebbero ampie ripercussioni in molte zone della Germania.
Particolarmente aspra fu la lotta a Brema, dove l'organizzazione comunista, diretta da Johann Knief, aveva una notevole influenza.

Il 24 dicembre 1918 il Consiglio di Brema rifiutò di riconoscere la decisione del congresso pantedesco dei Consigli sulla cessione del potere all'Assemblea nazionale.
Il governo cercò di sciogliere il Consiglio con la forza ma non vi riuscì: i soldati vennero disarmati dagli operai.

Il 10 gennaio 1919 venne proclamata a Brema la repubblica socialista: si formò il Consiglio dei Commissari del Popolo, nel quale entrarono tre comunisti, tre socialdemocratici indipendenti e tre rappresentanti dei soldati.
Il Consiglio proclamò lo stato d'assedio, introdusse la censura sulla stampa borghese, chiese al governo Ebert-Scheidemann di dare le dimissioni, inviò un messaggio di saluto alla Russia sovietica, attuò riforme democratiche, elevò i sussidi ai disoccupati e approvò nuovi tariffari, che prevedevano l'aumento dei salari ad alcune categorie di operai e di impiegati.

L'11 gennaio sorse la repubblica dei Consigli anche a Cuxhaven.
Dopo avere soffocato la manifestazione di gennaio degli operai berlinesi, Noske diede ordine ai distaccamenti "volontari" di liquidate le repubbliche dei Consigli a Brema e a Cuxhaven.

Gli operai di Brema chiesero aiuto a quelli di Amburgo, ma i socialdemocratici di destra del Consiglio di Amburgo sabotarono l'organizzazione degli aiuti.
Un contingente armato comandato da Emit Thalmann (che allora aderiva al Partito Socialdemocratico Indipendente) si recò da Amburgo a Brema a piedi perché i socialdemocratici, che dirigevano lo sciopero dei ferrovieri, si rifiutarono di trasportarlo, affermando che sarebbe stato un atto di "crumiraggio".

Il distaccamento di Thalmann non poté giungere in tempo a Brema e la divisione di Guardie Bianche, diretta da Gerstenberg, riuscì a spezzare, il 4 febbraio 1919, la resistenza degli operai di Brema.
Successivamente venne sconfitto anche il proletariato rivoluzionario di Cuxhaven.

Il governo inviò distaccamenti di Guardie Bianche anche nella Ruhr, dove erano sempre più frequenti i casi di agitazioni organizzate degli operai contro gli imprenditori.
Gli operai dichiararono allora lo sciopero generale, che continuò per più di quattro settimane, con la partecipazione di circa mezzo milione di persone.

I socialdemocratici, nel tentativo di ingannare le masse operaie, affermavano che la socializzazione si sarebbe fatta, mentre la Assemblea nazionale approvava la "Legge sulla socializzazione dell'industria carbonifera" che tuttavia non toccava il problema della proprietà delle miniere, ma dichiarava solo la intenzione d'instaurare "un'influenza economico-sociale nel campo dello smercio della produzione".

Nello stesso tempo il governo proclamò lo stato d'assedio nella Ruhr e s'abbandonò a repressioni.
La lotta del proletariato della Ruhr per l'espropriazione delle miniere non ebbe successo.

Agitazioni rivoluzionarie ebbero luogo anche in altre città: nel febbraio 1919 venne affermato il potere dei Consigli ad Augusta e ad Aschaffenburg; per alcuni giorni resistette la repubblica dei Consigli a Braunschweig.

A Berlino la situazione s'inasprì di nuovo. Gli operai di molte aziende sollecitavano uno sciopero generale di solidarietà con il proletariato della Ruhr e della Germania centrale e il riconoscimento dei Consigli, la liberazione dei prigionieri politici, lo scioglimento dei reparti controrivoluzionari "volontari", il ripristino dei rapporti diplomatici con la Russia sovietica.

Per impedire lo sciopero generale a Berlino, il governo compì alcune manovre diversive: ordine di arrestare gli ufficiali accusati dell'assassinio di Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht e promise di socializzare l'industria mineraria.
La direzione del partito socialdemocratico dichiarò che avrebbe convocato in data vicina il II congresso pantedesco dei Consigli.

Tuttavia il 3 marzo 1919 il Consiglio di Berlino, sotto la pressione degli operai, approvò la decisione dello sciopero generale.
Lo stesso giorno Noske proclamava lo stato d'assedio della capitale.
Nelle strade della città cominciarono gli scontri tra gli operai e la polizia.

Il 5 marzo la lotta sfociò in insurrezione armata.
Gli operai scesero in combattimento contro le truppe regolarti ed eressero barricate. Tuttavia il governo aveva un'enorme superiorità di forze e gli insorti furono sconfitti.

Durante le battaglie di marzo a Berlino furono uccisi 1.200 operai.
Dopo avere domato l'insurrezione, Noske diede ordine di fucilare chiunque fosse stato trovato in possesso di armi.
Un'ondata di assassinii si abbatté sull'intero paese.

Fra gli assassinati vi fu anche l'instancabile organizzatore spartachista Leo Jogiches, che, dopo la morte di Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht, aveva assunto la direzione del partito comunista.

LA LOTTA PER IL POTERE DEI CONSIGLI IN BAVIERA

Grandi lotte rivoluzionarie si svilupparono in Baviera.
Nel novembre 1918, dopo l'abbattimento della monarchia, era stato formato in Baviera un governo repubblicano capeggiato dal socialdemocratico indipendente Kurt Eisner, sostenuto attivamente dai socialdemocratici di destra.
Questo governo non andò oltre modestissime riforme democratiche ed ebbe di fatto un carattere borghese.
Nonostante ciò, esso non godeva della fiducia della borghesia.

Quando la controrivoluzione passe all'offensiva a Berlino, a Brema, nella Ruhr e nelle altre località della Germania, la borghesia bavarese, incoraggiata dai successi di Noske, chiese con insistenza che le repressioni fossero estese anche agli operai della Baviera e, considerando Eisner un ostacolo, esigette la formazione di un nuovo governo.
Il 21 febbraio il monarchico conte Arco-Valley uccise Kurt Eisner.

Il nuovo governo, diretto dal socialdemocratico di destra Hoffmann, intendeva perseguire in Baviera la politica controrivoluzionaria di Ebert e Scheidemann, ma non aveva forze sufficienti a tale scopo.
Dopo l'uccisione di Eisner molti operai uscirono dal partito socialdemocratico ed entrarono nel Partito Socialdemocratico Indipendente; si accrebbe anche la popolarità del partito comunista.

A Monaco, Norimberga e in altre città della Baviera s'intensificò il movimento per la creazione della repubblica dei Consigli.
In questa situazione una parte dei socialdemocratici di destra facenti parte del governo Hoffmann avanzò la provocatoria proposta di creare un governo dei Consigli, sperando di mantenerne la direzione e di organizzare sotto la sua copertura le forze armate della controrivoluzione, ma i dirigenti dell'organizzazione comunista di Monaco, con alla testa Eugen Leviné, si rifiutarono di parteciparvi e smascherarono di fronte alla classe operaia le trame dei socialdemocratici di destra.

Gli indipendenti invece accettarono la provocazione e decisero di agire senza i comunisti.
Il 7 aprile 1919 essi dichiararono la Baviera repubblica sovietica e formarono un governo "sovietico", capeggiato da Ernst Toller, ma il carattere del potere di fatto non mutò.
Gli operai non consideravano sovietico un governo senza i comunisti.
Ma il governo Toller era inaccettabile anche per i controrivoluzionari.
I capi socialdemocratici di destra, convinti dell'insuccesso della loro macchinazione, fuggirono da Monaco e dichiararono che il governo "legittimo" era quello di Hoffmann.

La controrivoluzione cominciò a raccogliere le forze per sconfiggere il proletariato di Monaco, ma il governo Toller non intraprese alcuna misura per controbatterla e si lasciò trascinare dagli avvenimenti.
Il 13 aprile scoppiò a Monaco una sommossa controrivoluzionaria.
Dopo aver. arrestato i membri del governo Toller, i controrivoluzionari cercarono di colpire il partito comunista, ma i distaccamenti operai, al comando di Rudolf Egelhofer, sconfissero i rivoltosi.

LA REPUBBLICA SOVIETICA DI BAVIERA

La sera del 13 aprile i comitati di fabbrica e i Consigli dei soldati di Monaco dichiararono sciolto il governo Toller e concessero i pieni poteri a un comitato d'azione, la cui direzione era assunta dai comunisti con alla testa Eugen Levine, che dava vita a una vera repubblica sovietica.

I comunisti comprendevano che le condizioni per instaurare il potere dei Consigli non erano ancora mature perché molti operai seguivano i socialdemocratici indipendenti e l'influenza dei socialdemocratici di destra non era spezzata; inoltre in tutta la Germania era iniziato un riflusso del movimento rivoluzionario e per di più l'organizzazione comunista di Monaco era debole.
Tuttavia essi ritennero loro preciso dovere dirigere le masse operaie rivoluzionarie, che chiedevano la creazione e la difesa di una repubblica sovietica.

Il governo popolare introdusse il controllo operaio nelle aziende, si accinse alla nazionalizzazione delle banche, confiscò le riserve alimentari per distribuirle agli operai, formò una commissione straordinaria per la lotta contro la controrivoluzione, creò la Guardia Rossa e l'Esercito Rosso, armando 30.000 operai.

In risposta a un saluto inviato alla Russia sovietica, Lenin poneva ai comunisti di Baviera una serie d'importanti questioni, sostanzialmente un programma di misure immediate che dovevano essere attuate dal potere sovietico in Baviera: armare gli operai e disarmare la borghesia, distribuire indumenti e altri oggetti di largo consumo agli operai, ai braccianti a ai contadini poveri, espropriare le fabbriche e altre proprietà dei capitalisti, le aziende agricole capitaliste, annullare le ipoteche e il pagamento delle rendite, a favore dei contadini poveri, insegnare agli operai come amministrare lo Stato, ottenere uno sviluppo dell'iniziativa autonoma dei Consigli degli operai, dei braccianti e dei contadini poveri eccetera. (V- I. Lenin: "Saluto alla repubblica dei Consigli bavarese" Opere, vol. 29, pagg. 295-296.)

La situazione della repubblica sovietica di Baviera era assai difficile.
Il governo di coalizione tedesco, capeggiato da Scheidemann, inviò un esercito di 60.000 uomini in aiuto ad Hoffmann.
A nord di Monaco, nella zona di Dachau, incominciarono i combattimenti tra l'Esercito Rosso e i distaccamenti di Guardie Bianche.

L'Esercito Rosso ottenne varie vittorie, ma in un momento critico gli indipendenti tradirono: il 26 aprile Ernst Toller, al quale i comunisti avevano affidato il comando di una delle zone del fronte, abbandonò il suo posto di battaglia e ritornò a Monaco, dove, con l'aiuto di un gruppo di indipendenti che volevano la conciliazione con la reazione, condusse una campagna calunniosa contro i comunisti, costringendoli il 27 aprile a uscire dal governo.

Un altro indipendente, sostituto di Toller, diede l'ordine di ritirata e aprì così il fronte al nemico.
Il 1° maggio le truppe controrivoluzionarie entravano a Monaco.
L'Esercito Rosso, diretto da Rudolf Egelhofer, oppose un'accanita resistenza, contendendo al nemico ogni via della città.
Ma le forze erano diseguali.
Il 5 maggio i combattimenti in città cessarono.

A Monaco e dintorni si scatenò il terrore bianco.
Sotto la direzione di Hoffmann e di Noske vennero compiute feroci repressioni.
Furono uccisi molti operai, fu proibito il partito comunista, 6.000 persone furono gettate in carcere.
Il 5 giugno, per sentenza di un tribunale militare, veniva fucilato nel cortile delle carceri Eugen Levine.
Le sue ultime parole furono: "Evviva la rivoluzione mondiale! ".

IL SIGNIFICATO DELLE BATTAGLIE RIVOLUZIONARIE DELLA PRIMA METÀ DEL 1919

Le battaglie rivoluzionarie condotte dal proletariato tedesco nella prima metà del 1919 ebbero un carattere difensivo, essendo una risposta alle provocazioni del governo. A queste battaglie parteciparono non le larghe masse del popolo, ma solo l'avanguardia del proletariato di Berlino, Brema, Amburgo, Monaco, della Ruhr e di altri centri industriali, che dovettero sopportare tutto il peso della controrivoluzione, per difendere la classe operaia e le sue conquiste.

L'avanguardia proletaria venne sconfitta. Contro di essa si batteva una borghesia esperta, forte, aiutata dai capi del partito socialdemocratico, diretti responsabili della divisione della classe operaia e del suo indebolimento.
Il proletariato non disponeva di una sufficiente esperienza, non aveva ancora un forte partito rivoluzionario marxista-leninista.
Il Partito Comunista Tedesco, che si era appena costituito, era duramente perseguitato e costretto alla clandestinità, mentre i suoi capi venivano uccisi.

Nonostante ciò, le agitazioni rivoluzionarie della prima meta del 1919 furono una grande impresa del proletariato tedesco.
Esse fecero saltare i piani reazionari dei militaristi e dei monarchici, non permisero la liquidazione totale delle conquiste della rivoluzione di novembre.
In certe località (Brema, Cuxhaven, Monaco eccetera) venne alzata la bandiera della lotta per il passaggio dalla rivoluzione democratico-borghese alla rivoluzione socialista.

Le eroiche battaglie dei proletari tedeschi aiutarono il movimento operaio internazionale, impegnarono decine di migliaia di soldati che la reazione tedesca e mondiale voleva gettare contro la Russia sovietica e l'Ungheria dei Consigli ed esercitarono anche una profonda influenza sul movimento rivoluzionario di altri paesi d'Europa, contribuendo a indebolire l'imperialismo mondiale.

Il proletariato tedesco, diretto dal giovane partito comunista, scrisse nella storia delle tradizioni rivoluzionarie della Germania una pagina gloriosa, mostrò esempi di abnegazione che servirono a educare nuove generazioni di comunisti.

3. La Germania nei primi anni della repubblica di Weimar (1919-1921)

LA COSTITUZIONE DI WEIMAR

L'Assemblea nazionale che si riunì a Weimar doveva sancire nella costituzione repubblicana il regime borghese con quelle modifiche che apparivano consigliabili dopo la rivoluzione di novembre.
In sostanza si trattava di superficiali trasformazioni democratico-borghesi nella sfera della struttura dello Stato, conseguenti all'indebolimento del ruolo politico degli junkers e all'accresciuta importanza della borghesia industriale e finanziaria.
Il blocco dei socialdemocratici e dei partiti borghesi al potere riteneva proprio compito la difesa degli ordinamenti capitalisti, e la creazione di una diga contro il movimento proletario rivoluzionario.
Questi furono gli obiettivi perseguiti dalla maggioranza dell'Assemblea nazionale.

Il governo di coalizione incoraggiò l'attività demagogica dei deputati che facevano risonanti dichiarazioni sulla libertà e la democrazia.
Questi discorsi e le abbondanti promesse di migliorare la condizione delle masse lavoratrici alimentarono la fiducia della piccola borghesia e dei contadini verso i circoli dirigenti.

Vennero artificiosamente sfruttati anche i sentimenti patriottici del popolo, che protestava in quel periodo contro le gravi e umilianti condizioni del trattato di pace imposte dalla conferenza di Parigi.
La sfrenata propaganda sciovinista, svolta dai partiti governativi contro la firma del trattato di pace, distoglieva le masse popolari dalla lotta rivoluzionaria.

Nella seduta dell'Assemblea nazionale del 12 maggio Scheidemann dichiarò ipocritamente: "Si paralizzi la mano che firmerà un tale trattato".
L'Assemblea respinse le condizioni di pace e nel paese venne proclamata "una settimana di lutto nazionale".

Il presidente Ebert, Scheidemann e altri membri del governo marciarono alla testa di una dimostrazione di protesta contro il trattato.
Ma tutto ciò serviva a un solo scopo: ottenere una sfaldamento del movimento rivoluzionario.
Quando tale obiettivo venne raggiunto, il governo di coalizione del socialdemocratico Bauer, subentrato a Scheidemann, firmò il 28 giugno 1919 il trattato di Versailles, e il 9 luglio l'Assemblea nazionale lo ratificò.

In Germania l'unico partito politico, che smascherò il vero carattere del trattato di Versailles, fu il partito comunista, affermando che esso era il risultato di un compromesso tra gli imperialisti tedeschi e quelli degli Stati Uniti, dell'Inghilterra, della Francia e che era stato concluso nell'interesse della controrivoluzione, per asservire i lavoratori tedeschi ai capitalisti "nazionali" e stranieri.

Subito dopo la firma del trattato di pace la Assemblea nazionale portò a termine la stesura della costituzione, che fu approvata il 31 luglio 1919 ed entrò in vigore l'11 agosto.

Rispetto agli ordinamenti imperiali la nuova costituzione rappresentò un passo in avanti, poiché concedeva alla classe operaia la possibilità di sviluppare la lotta per i propri interessi, riconosceva le libertà democratico-borghesi (di parola, di riunione, di associazione, il diritto di voto uguale, diretto e segreto, la uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge, la responsabilità del governo di fronte al Parlamento eccetera).

Ma una serie di articoli limitavano la possibilità di espressione della volontà popolare.
Il presidente della repubblica, eletto per sette anni a suffragio universale, nominava il cancelliere del Reich e i ministri, era il comandante supremo di tutte le forze armate del paese, poteva a sua discrezione sciogliere il Reichstag, indire nuove elezioni e proclamare lo stato di emergenza nel paese, impiegare le forze armate e sospendere l'esercizio delle libertà democratiche e dei diritti costituzionali.

La costituzione garantiva l'inviolabilità della proprietà privata.
Era conservata la suddivisione della Germania in stati-territori autonomi, a vantaggio della reazione e delle posizioni di privilegio della Prussia.
Oltre al Reichstag e al Landtag dei territori venne istituito il Reichsrat (Consiglio di stato, composto dai rappresentanti dei governi dei territori), che limitava i diritti del Reichstag.

Nel suo insieme la costituzione di Weimar istituzionalizzava il dominio della borghesia e dei proprietari terrieri.
Il regime repubblicano e il suffragio universale non ledevano il loro dominio.

La differenza dai tempi del kaiser stava nel fatto che il blocco degli junkers e della borghesia, che governava allora il paese, era dominato dagli junkers, mentre nella Germania di Weimar (come venne chiamata la Germania dopo l'approvazione della costituzione) il ruolo dirigente apparteneva ai magnati dell'industria e della finanza.

IL PUTSCH DI KAPP

Dopo la firma del trattato di Versailles la borghesia tedesca, che conservava le sue posizioni all'interno del paese e otteneva dallo Stato indennizzi per la perdita di capitali all'estero, cominciò a rafforzare le proprie organizzazioni.

Nell'aprile 1919 l' "Unione centrale degli industriali tedeschi" si fuse con la "Unione degli industriali" e, assieme alla "Associazione delle unioni tedesche dei datori di lavoro", diresse da dietro le quinte la politica del governo.
L' "Associazione delle unioni tedesche dei datori di lavoro" si occupava principalmente della lotta contro le organizzazioni della classe operaia, dei problemi del salario, della giornata lavorativa eccetera, mentre l' "Unione industriale tedesca" si occupava dei problemi generali di economia e di politica.
Le due organizzazioni erano dirette da Krupp, Stinnes, Hugenberg e da altri magnati del capitale monopolistico.

Alla fine 1919-inizio 1920 la borghesia inasprì l'attacco ai diritti democratici della classe operaia: il 13 gennaio 1920 venne emanata una legge sui Consigli di fabbrica, che di fatto vietava gli scioperi.
Inoltre le organizzazioni armate controrivoluzionarie, reclutando ufficiali, contadini ricchi, studenti, elementi declassati, condussero una sfrenata propaganda sciovinista e antidemocratica.
In particolare s'intensificò l'attività dell'organizzazione nazionalistica reazionaria "Elmi d'acciaio", sorta nel novembre 1918.

I circoli dirigenti rafforzarono anche l'esercito: all'inizio del 1920 le forze armate tedesche, nonostante le norme del trattato di Versailles, contavano 400.000 uomini senza le associazioni "volontarie".
Una parte dell'esercito tedesco, in accordo con l'Intesa, si trovava ancora nei paesi baltici, dove serviva a reprimere il movimento rivoluzionario e per atti di aggressione contro la Russia sovietica.

Volendo instaurare una dittatura militare, un gruppo di generali (Ludendorff, Lüttwitz), prepararono una congiura per abbattere il governo, restaurare la monarchia e abrogare la costituzione di Weimar.
Appoggiandosi ad alcuni circoli della borghesia e degli junkers, essi puntavano alla conquista del potere per ottenere una revisione delle clausole militari del trattato di Versailles.
Capo del nuovo governo avrebbe dovuto diventare il latifondista Kapp.

In gran segreto i congiurati fecero affluire a Berlino distaccamenti di "volontari".
Il 10 marzo 1920 il generale Lüttwitz presentò al governo la richiesta di sciogliere 1'Assemblea nazionale e di eleggere un nuovo presidente.
Ebert e Noske respinsero la richiesta dei ribelli ma non presero alcuna misura contro di loro.
Nella notte del 13 marzo la "brigata" Ehrhardt entrava a Berlino.
Il presidente e il governo fuggirono a Stoccarda.
All'ordine di Ebert di mandate le forze armate contro i rivoltosi, il generale von Seeckt, capo del dipartimento del Ministero della Difesa, dichiarò che "la Reichswehr non spara sulla Reichswehr".

Il 13 marzo Kapp si proclamava cancelliere del Reich.
Nel proclama pubblicato lo stesso giorno, egli esponeva il proprio programma di ripristino dei privilegi degli junkers e dei militaristi e dichiarava che gli scioperi sarebbero stati schiacciati senza pietà.

I leaders della socialdemocrazia erano contrari alla dittatura di Kapp, poiché ritenevano che la restaurazione della monarchia avrebbe inasprito la situazione politica del paese, ma in realtà rimasero passivi.
Contro i rivoltosi entrarono in azione gli operai, diretti dai comunisti e dai militanti socialdemocratici.

Il 13 marzo scoppiò uno sciopero generale, che si estese rapidamente a quasi tutto il paese.
In molte località gli operai cominciarono ad armarsi.
A Chemnitz presero le armi 3.000 persone.
A Lipsia e ad Halle si combatté per alcuni giorni.
In quasi tutte le città della Turingia si giunse a combattimenti sulle barricate.
Scontri si ebbero a Kiel e ad Amburgo.
In Renania e in Vestfalia si formò l'Esercito Rosso; decine di migliaia di combattenti attaccarono i distaccamenti dei ribelli.
Nel Meclemburgo parteciparono attivamente alla lotta i contadini salariati, che procurarono armi per sé e per gli operai delle città, asportandole dai depositi dei grandi proprietari terrieri.

Così si formò un fronte unico della classe operaia contro il colpo di stato reazionario.
Lo sciopero generale e l'insurrezione armata degli operai fecero fallire il "putsch".
La dittatura di Kapp venne liquidata e lo stesso Kapp fuggì in Svezia.
Subito dopo la sconfitta della rivolta il dirigente dei sindacati riformisti, Legien, dichiarava: "Nessun governo può resistere in Germania 24 ore contro la volontà degli operai".

Tuttavia le manovre dei riformisti tendevano a impedire che la classe operaia potesse realizzare le proprie aspirazioni.
Il 17 marzo il governo ritornò da Stoccarda a Berlino e dichiarò la cessazione dello sciopero.
Esso promise di punire i colpevoli della rivolta, di sciogliere le unità militari controrivoluzionarie, di permettere la formazione di reparti locali di difesa operaia, di "passare rapidamente alla socializzazione dei settori dell'economia già maturi allo scopo" eccetera.
Erano false promesse, perché poco dopo lo stesso governo inviò i "volontari" contro gli operai della Renania e della Vestfalia, dimostrando di temere più il proletariato in armi che non i ribelli monarchici.

Scheidemann valutava così la situazione creatasi con l'azione degli operai contro il putsch "di Kapp": "Esisteva allora il pericolo che sotto il peso di questa pressione su tutta la linea si disperdesse non solo il potere della forza militare a Berlino, condannato ovunque, ma la stessa Reichswehr, e che al suo posto sorgesse una specie di esercito popolare repubblicano. con la conseguenza che le armi sarebbero state esclusivamente nelle mani del proletariato ".

Gli operai armati della Renania e della Vestfalia sconfissero le squadre "volontarie".
Allora il governo rinnovò le sue promesse, ma nel frattempo inviò nella Ruhr ventimila soldati della Reichswehr.
Nel corso di sanguinose battaglie gli operai furono sconfitti.
I ribelli rimasero impuniti, le promesse del governo non furono mantenute, i reparti "volontani" reazionari non vennero sciolti.

L'ULTERIORE CONSOLIDAMENTO DELLE POSIZIONI DELLA BORGHESIA TEDESCA

La sconfitta nella Ruhr indebolì la classe operaia.
La borghesia ne approfittò e, godendo dell'appoggio della direzione del partito socialdemocratico, intensificò l'attacco al livello di vita dei lavoratori.

La politica d'inflazione perseguita dal governo contribuì ad aumentare il volume delle esportazioni.
I profitti degli esportatori tedeschi crebbero smisuratamente.
Le società per azioni ingrossarono i loro capitali mentre le masse popolari dovevano compiere grandi sacrifici: la vendita dei generi alimentari alla popolazione fu ridotta, i prezzi dei beni di largo consumo aumentarono.

Il paese cadde in preda alle forze più reazionarie: "Due decine di migliaia di ufficiali di professione dell'esercito degli Hohenzollern - si affermava nel manifesto del II congresso dell'Internazionale comunista - costituiscono, soprattutto dopo la rivolta Kapp-Luttwitz, un forte nucleo controrivoluzionario... Questa organizzazione centralizzata di terroristi del vecchio regime è completata dai reparti di partigiani 'bianchi' delle tenute agrarie degli junkers".

Le forze reazionarie tedesche godevano dell'appoggio morale e materiale degli imperialisti degli altri paesi e in primo luogo degli Stati Uniti: il 30 aprile 1919 l'Ufficio Federale delle Riserve decise di concedere un prestito alla Germania.

Nello stesso anno il consorzio "Standard Oil" riallacciò i suoi antichi legami con la Germania, impadronendosi di una parte notevole del mercato petrolifero tedesco. Ai trusts americani erano strettamente legati esponenti politici borghesi e capitalisti tedeschi, quali Stresemann, Cuno, Rathenau e altri. Nel 1920 il "re delle ferrovie" americane, Harriman, concluse un accordo con la compagnia marittima amburghese "Hapag". Sorsero diversi gruppi bancari misti tedesco-americani.

Alcune banche americane concessero finanziamenti ai maggiori trusts tedeschi, tra i quali la "Compagnia Generale di Elettricità".
I capitalisti americani contribuirono al riarmo della Germania e alla lotta della grande borghesia tedesca contro la classe operaia.
Verso la metà del 1920 la borghesia tedesca si era talmente rafforzata che non aveva più bisogno di mascherare la sua politica con l'aiuto dei socialdemocratici di destra, tanto più che le posizioni di questi ultimi si erano indebolite.

Nelle elezioni del Reichstag, che si svolsero nel giugno 1920, il numero dei voti ottenuti dal partito socialdemocratico si era ridotto della meta (5,6 milioni di voti) rispetto alle elezioni del 1919, mentre era aumentato di oltre il doppio il numero dei voti dati al Partito Socialdemocratico Indipendente (5 milioni di voti).

Il partito comunista, che partecipava per la prima volta alle elezioni, ottenne poco più di 400.000 voti.
I militaristi tedeschi decisero di porre fine alla coalizione e di formare un governo senza i socialdemocratici.
Il 25 giugno 1920 uno dei capi del Partito del Centro, Fehrenbach, formò un governo con la partecipazione dei rappresentanti del Partito Popolare Tedesco e del partito democratico, e con l'appoggio dei nazionalisti.

LA SITUAZIONE NEL PARTITO COMUNISTA

Dopo l'assassinio di Karl Liebknecht e di Rosa Luxemburg la direzione del partito comunista fu assunta da Jogiches, ma il 10 marzo 1919 egli veniva arrestato e ucciso in carcere con un colpo alla nuca.
Pur essendo nell'illegalità, il partito continuò a crescere di numero, a rafforzarsi ideologicamente e a condurre un'energica lotta contro i socialdemocratici.

In questo periodo ruppe con il Partito Socialdemocratico Indipendente e aderì al partito comunista la veterana del movimento operaio Clara Zetkin, compagna di lotta di Karl Liebknecht e di Rosa Luxemburg.
Essa si era appena rimessa da una lunga e grave malattia.
Alla conferenza clandestina, apertasi il 29 marzo a Francoforte sul Meno, Clara Zetkin venne eletta nel Comitato Centrale.

Nell'ottobre 1919 si riunì clandestinamente a Heidelberg il congresso del partito, con la partecipazione di 46 delegati in rappresentanza di 106.000 membri.
Il congresso riconobbe che il boicottaggio delle elezioni dell'Assemblea costituente era stato un errore e approvò la decisione di far partecipare il partito alle prossime elezioni parlamentari.
Alcuni delegati di tendenza settaria non accettarono questa decisione e sostennero anche che i comunisti non dovevano lavorare nei sindacati riformisti.

Nel febbraio 1920 i fautori di questa opposizione "di sinistra" furono esclusi dal partito.
Due mesi dopo essi formarono il cosiddetto Partito Comunista Operaio, ma la maggioranza dei suoi aderenti rientrò successivamente nel partito comunista, mentre il Partito Comunista Operaio si ridusse a una piccola organizzazione settaria, che per alcuni anni lottò contro il partito comunista tedesco e l'Internazionale comunista.

Nell'estate 1920, sotto la direzione del partito comunista, si sviluppò la lotta degli operai tedeschi per far cessare l'appoggio del governo tedesco ai controrivoluzionari polacchi.
A Ludwigshafen, a Mannheim, nel posto di Danzica, nelle stazioni ferroviarie di Berlino, Erfurt, Chemnitz, Stoccarda, Stettino, gli operai si rifiutarono di scaricare e fermarono i trasporti di armi e di vettovagliamenti destinati alla Polonia reazionaria dei borghesi e dei proprietari terrieri.

Il Partito Comunista Tedesco ricevette un grande aiuto dal partito comunista russo e in particolare da Lenin.
Negli scritti: "Lettera agli operai d'Europa e d'America" del gennaio 1919, "Saluto ai comunisti italiani, francesi e tedeschi", "Lettera al Comitato Centrale del Partito Comunista di Germania sulla scissione" dell'ottobre 1919 e "Lettera agli operai tedeschi c francesi" del settembre 1920, Lenin diede preziosi consigli su importanti questioni riguardanti l'attività del partito.
Una grande importanza per i comunisti tedeschi ebbe l'opera di Lenin "L'estremismo, malattia infantile del comunismo".
Aumentando l'influenza dei comunisti si approfondì la crisi del Partito Socialdemocratico Indipendente di Germania.

Molti operai. che avevano aderito agli indipendenti per protesta contro il tradimento dei dirigenti socialdemocratici, avevano trovato anche in questo partito l'opportunismo, l'ipocrisia e il cedimento.
Gli operai coscienti non volevano condividere le responsabilità dei traditori.

Si confermò la tesi formulata da Lenin nell'ottobre 1919 che gli "indipendenti sembrano un partito unico; in realtà la massa dei membri del loro partito non è solidale con i capi sulla questione principale, essenziale, vitale". (V. I. Lenin: " Saluto ai comunisti italiani, francesi e tedeschi", Opere, vol. 30, pag. 43.)

Nell'ottobre 1920 al congresso del Partito Socialdemocratico Indipendente ad Halle venne approvata con 236 voti contro 156 la adesione all'Internazionale comunista.
Nel dicembre 1920 si tenne il congresso unitario dei comunisti e dell'ala rivoluzionaria degli indipendenti, che approvò la risoluzione sulla liquidazione del Partito Socialdemocratico Indipendente e sulla creazione del Partito Comunista Unificato di Germania.
Nel partito comunista entrò anche il dirigente degli operai rivoluzionari amburghesi Ernst Thalmann, che aveva avuto un ruolo importante nell'organizzazione dell'ala sinistra del Partito Socialdemocratico Indipendente e nella fusione di quest'ala con il partito comunista.

Per effetto dell'unificazione i membri del partito salirono da 100.000 a 300.000.
Durante le elezioni del Landtag prussiano, nel febbraio 1921, esso ottenne più di un 1.200.000 voti.
Gli indipendenti di destra, capeggiati da Kautsky, Hilferding, Bernstein, conservarono alla loro organizzazione il nome di Partito Socialdemocratico Indipendente, ma esso non visse a lungo e nell'autunno 1922 si fuse con il partito socialdemocratico.

LE BATTAGLIE DEL MARZO 1921

L'intensificata attività politica del proletariato allarmò la borghesia e i circoli dirigenti decisero di assestare un nuovo colpo all'organizzazione operaia: il 18 marzo 1921, per ordine del primo presidente della provincia prussiana della Sassonia, il socialdemocratico Horsing, imponenti forze di polizia e di truppe vennero concentrate nelle zone operaie della Germania centrale.

Ebbero inizio provocazioni, perquisizioni, persecuzioni e arresti.
In risposta gli operai del circondario industriale di Mansfeld, diretti dai comunisti, dichiararono uno sciopero di protesta.
Lo sciopero si estese a tutta la Germania centrale e in varie località si trasformò in lotta armata contro la polizia.

Nel circondario di Mansfeld si formarono reparti partigiani diretti da Max Helz, un dirigente assai popolare della lotta armata contro il "putsch" di Kapp nel 1920.
I partigiani infersero colpi su colpi alla polizia e all'esercito.
Il movimento di solidarietà con il proletariato della Germania centrale si estese a Berlino, Amburgo e in altre zone.
Ma la direzione della socialdemocrazia e dei sindacati fece di tutto per frenare il movimento e il proletariato della Germania centrale venne sconfitto.
Le lotte di marzo erano state imposte agli operai dalla borghesia.

Ancora una volta alla lotta partecipò la sola avanguardia della classe operaia, costretta a iniziare la battaglia prima dell'intervento delle larghe masse popolari.
Il partito comunista si batté nelle prime file e conquistò una grande autorità tra le masse.
Come indicò in una sua risoluzione l'Internazionale comunista, il Partito Comunista Tedesco dimostrò che cosa sia un partito del proletariato rivoluzionario.
Ma nello stesso tempo nella risoluzione dell'Internazionale comunista si affermava che il partito aveva commesso vari errori, il più grave dei quali era stato di non avere sufficientemente sottolineato il carattere difensivo della lotta.

L'errore del partito comunista venne sfruttato dal traditore Paul Levi.
Dopo la tragica fine di Jogiches, egli era giunto alla direzione del partito e, contro le decisioni del Comintern, ne aveva trascurato il consolidamento.
Nel febbraio 1921 era uscito dal Comitato Centrale formando una propria frazione. Erano appena terminate le battaglie di marzo, quando Levi pubblicò un opuscolo dal titolo "La nostra via contro il putschismo", in cui si affermava che alle lotte di marzo avevano partecipato "elementi declassati", e che il partito si era posto sulla via del "putschismo e delle avventure".

Il Comitato Centrale del Partito Comunista Tedesco espulse, nell'aprile 1921, Paul Levi dal partito: "Se qualcuno dopo una lotta alla quale hanno partecipato centinaia di migliaia di lavoratori si pronuncia contro questa lotta e si comporta come Levi, - affermò Lenin - costui deve essere escluso dal partito. Ciò è stato fatto". (V. I. Lenin: "III congresso dell'Internazionale comunista. Discorso sulla tattica dell'Internazionale comunista". Opera, vol. 32)

Nell'agosto 1921 il congresso del partito, tenutosi a Jena, riconobbe giusta la critica degli errori del partito formulata dall'Internazionale comunista e approvò una risoluzione sul rafforzamento dell'attività nei sindacati.

In una lettera ai comunisti tedeschi Lenin scrisse in quei giorni sui compiti che stavano di fronte al partito: "Non perdere il sangue freddo e la tenacia; correggere sistematicamente gli errori del passato; conquistare incessantemente la maggioranza tra le masse operaie sia nei sindacati che fuori di essi; costruire con pazienza un forte e intelligente partito comunista, capace di dirigere effettivamente le masse in tutti e in ognuno degli avvenimenti; elaborare una strategia che sia al livello della migliore strategia internazionale della borghesia più 'istruita' (esperienza accumulata da secoli, in generale, ' esperienza russa ', in particolare...)". (V. I. Lenin: "Lettera ai comunisti tedeschi", Opere, vol. 32)

Nonostante la sua vittoria, la borghesia tedesca non era ancora riuscita a consolidare la sua posizione economica e politica.
La Germania presto si sarebbe trovata ancora dinanzi a una nuova crisi rivoluzionaria.


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