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- cultura e memoria resistenti - storia - 07-12-18 - n. 694
Il crollo dell'impero Austro-Ungarico - La Repubblica ungherese dei consigli
Accademia delle Scienza dell'URSS | Storia Universale, vol 8, cap VI, Teti editore
* * * Parte prima * * *
La guerra mondiale e la Rivoluzione d'Ottobre approfondirono e inasprirono i contrasti sociali e nazionali in Austria-Ungheria. Sotto i colpi della rivoluzione l'impero degli Asburgo si sfaldava. Sulle sue rovine sorgevano stati borghesi indipendenti, e in Ungheria, anche se per un breve periodo, s'instaurò la dittatura del proletariato e si formò una repubblica sovietica.
1. La rivoluzione democratico-borghese in Austria-Ungheria e la formazione degli stati nazionali
Durante la guerra mondiale l'oppressione nazionale nell'Austria-Ungheria si era intensificata.
Il governo imperiale aveva liquidato completamente perfino le piccole garanzie costituzionali ottenute in precedenza dai popoli oppressi.
I Parlamenti di molti territori (Landtag, Seim) vennero chiusi, le organizzazioni nazionali furono represse.
L'oppressione nazionale si univa al duro sfruttamento delle masse lavoratrici da parte dei capitalisti e dei proprietari terrieri.
Con l'acuirsi di questi contrasti e sotto l'influenza della Rivoluzione d'Ottobre, che rafforzò in gran misura le aspirazioni rivoluzionarie e nazionali dei popoli dell'Austria-Ungheria, si venne creando nel paese una situazione apertamente rivoluzionaria.
L'AUSTRIA-UNGHERIA ALLA FINE DELLA GUERRA MONDIALE
La forza motrice della lotta di liberazione nazionale in Austria-Ungheria fu costituita dai lavoratori, guidati dalla classe operaia.
Al movimento nazionale partecipò anche la borghesia delle nazioni oppresse, ma essa non era affatto omogenea e la sua attività si ridusse ad alcuni gruppi e fu di grado diverso: la grande borghesia, strettamente legata ai monopoli austriaci e ungheresi e al mercato imperialista, non manifestò interesse alla liquidazione della monarchia austro-ungarica e non andò oltre le richieste della concessione dei diritti politici e di pari possibilità con la borghesia austriaca; spaventata dall'attività rivoluzionaria delle masse lavoratrici, essa cercò di ottenere un compromesso con la monarchia; la media borghesia e, soprattutto, la piccola borghesia opposero una resistenza più decisa alla politica di grande potenza dell'imperialismo austro-ungarico, e in alcuni momenti della lotta di liberazione nazionale si mossero assieme alle masse lavoratrici.
I contadini chiedevano la liquidazione del regime feudale e della grande proprietà terriera.
Poiché i maggiori proprietari terrieri erano austriaci e ungheresi, mentre la massa dei contadini era composta dalle nazionalità oppresse, la lotta dei contadini per la terra si intrecciò alla lotta nazionale.
In Austria e in Ungheria ebbero grande ampiezza le agitazioni dei contadini poveri contro i proprietari e i contadini ricchi, che sfruttavano il proletariato agricolo e speculavano sul grano.
Il proletariato operaio si mosse per la liquidazione della monarchia, la democratizzazione del paese, la creazione di Stati nazionali indipendenti.
L'ala rivoluzionaria della socialdemocrazia avanzò anche obiettivi di lotta per la rivoluzione socialista e per la liquidazione delle basi stesse del capitalismo.
La guerra aveva gettato il paese nel caos del dissesto economico.
L'agricoltura era in decadenza.
La popolazione maschile attiva era al fronte e vi era scarsa mano d'opera.
Le aree seminate si erano notevolmente ridotte.
Le continue requisizioni di grano, di foraggio e di bestiame completarono l'immiserimento delle campagne.
Sebbene i viveri non bastassero neppure per 1e esigenze interne, una parte di essi veniva esportata in Germania.
Nel gennaio 1918 nelle grandi città le razioni di pane erano di 100 grammi al giorno per persona adulta, e nel giugno vennero ulteriormente ridotte; nelle piccole città non esisteva neppure il rifornimento razionato del pane.
Soffrivano la fame anche i soldati.
La popolazione lavoratrice mancava di calzature, vestiario, sapone, petrolio e di altri beni di prima necessità.
La fame provocava agitazioni, dimostrazioni, assalti ai negozi e ai depositi alimentari.
Il salario degli operai e degli impiegati era molto al di sotto dei prezzi, in continuo aumento.
Nelle miniere "Alpinen Montangesellschaft" nella Stiria il salario nominate dal 1913 al 1918 era raddoppiato, ma i prezzi dei prodotti alimentari nello stesso periodo erano cresciuti di 10 volte.
Nel frattempo pero i proprietari di queste miniere avevano ottenuto per il 1916-1917 dividendi nella misura del 38% del capitale investito, mentre prima della guerra il dividendo medio annuo non superava il 7%.
Alla caccia del profitto, la borghesia cercava d'inasprire maggiormente lo sfruttamento del proletariato.
L'insufficienza di mano d'opera veniva compensata dall'ulteriore intensificazione del lavoro.
La maggioranza delle fabbriche lavorava per l'esercito e faceva l'orario prolungato fino a 12 ore al giorno.
Un numero notevole di fabbriche dipendeva direttamente dall'amministrazione militare.
A Vienna e nella Bassa Austria le aziende militarizzate verso la fine della guerra impiegavano ben 300.000 operai.
Molte di queste aziende si trovavano anche in altre zone industriali del paese.
Gli operai in esse occupati erano considerati mobilitati, la più piccola infrazione veniva punita in base alla legge di guerra, ed essi non avevano diritto né allo sciopero né a lasciare il lavoro.
Il capitale monopolistico si servì della militarizzazione dell'economia per sottomettere ulteriormente l'apparato statale alla propria influenza e per assorbire le piccole e medie aziende nelle grandi.
L'oligarchia finanziaria e industriale aveva creato un proprio centro unico: l' "Unione imperiale dell'industria austriaca", nella quale dominavano i magnati dell'industria pesante.
Con la fusione delle piccole aziende si formò, un unico cartello anche nell'industria tessile.
L'ACUIRSI DELLA CRISI RIVOLUZIONARIA
Gli antagonismi di classe durante la guerra giunsero al massimo della tensione.
Dopo lo sciopero politico generale del gennaio 1918 e l'insurrezione di febbraio dei marinai della flotta da guerra a Cattaro, il movimento rivoluzionario in Austria-Ungheria fece rapidi progressi.
Il 18 giugno, a seguito della decisione del governo di ridurre la razione del pane, scoppiò nuovamente in Austria lo sciopero generale, che acquistò ben presto carattere politico.
Gli operai chiedevano la fine della guerra e l'immediata conclusione della pace senza annessioni né riparazioni.
Agli operai austriaci si unirono i metallurgici di Budapest, che chiedevano la smilitarizzazione delle aziende.
La polizia sparò contro gli scioperanti, causando un'ondata di scioperi di solidarietà proletaria nell'intera Ungheria.
A Budapest si formò un Consiglio di deputati operai, il primo della storia ungherese.
Sorsero nuovamente i Consigli a Vienna e in altre città industriali dell'Austria.
Il 22 giugno nella conferenza dei Consigli operai della Bassa Austria, convocato a St. Polten, erano presenti 28 Consigli locali.
Tuttavia molti Consigli operai si trovavano sotto l'influenza dei riformisti e su appello dei capi del partito socialdemocratico, dopo modeste concessioni da parte del governo (aumenti salariali), gli operai misero fine alla sciopero generale.
Tuttavia la situazione politica interna dell'impero asburgico rimaneva critica.
Alla fine di giugno, dopo il fallimento dell'offensiva a sud di Trento, che costa all'Austria-Ungheria oltre centomila soldati tra morti, feriti e prigionieri, i circoli dirigenti caddero nel più profondo sconforto.
Il governo Seidler fu costretto a dare le dimissioni.
Il nuovo capo del governo, Hussarek, non era meno reazionario di Seidler, ma condusse una politica più duttile.
Egli invitò i capi del partito socialdemocratico a entrare nel ministero, e poiché questi, temendo di smascherarsi di fronte alle masse, declinarono l'invito, tentò di costituire un gabinetto di coalizione con i rappresentanti dei partiti borghesi dei popoli oppressi (cechi, slavi meridionali, ucraini e altri).
Ma anche questa politica non ebbe successo: gli esponenti borghesi dei partiti nazionali, comprendendo che la disfatta dell'impero era inevitabile, rifiutarono di entrare nel governo.
A metà settembre le truppe dell'Intesa aprirono il fronte dei Balcani.
Il 29 settembre capitolò la Bulgaria, aprendo agli eserciti dell'Intesa la via dell'offensiva dal sud contro la Austria-Ungheria.
In ottobre le truppe italiane ruppero il fronte sul Piave, minacciando l'Austria-Ungheria da sud-ovest.
Si avvicinava anche la disfatta militare della Germania, nella cui potenza avevano creduto tanto ciecamente i circoli dirigenti austro-ungarici.
Una situazione assai difficile si creò per gli imperialisti austro-ungarici anche nelle zone occupate dell'Ucraina sovietica.
Il popolo ucraino si levò in armi per la propria liberazione.
I soldati dell'esercito austro-ungarico, sotto l'influenza delle idee rivoluzionarie, si rifiutavano di combattere contro i partigiani e l'Armata Rossa, fraternizzavano con essi e si ammutinavano.
Di fronte alla minaccia del totale disfacimento dell'esercito, il comando austriaco face evacuare in tutta fretta le proprie truppe dall'Ucraina.
Ma ritornando a casa, i soldati portavano con sé la verità sulla rivoluzione sovietica e sulle sue conquiste e alimentavano così i fermenti rivoluzionari nella stessa Austria-Ungheria.
Da metà ottobre cominciarono a sorgere nell'esercito austro-ungarico i Consigli dei soldati.
I soldati animati da un maggiore slancio rivoluzionario appartenevano alle nazionalità slave e alle altre nazionalità oppresse.
Essi abbandonavano il servizio militare, gettavano le armi e se ne andavano a casa.
In agosto avevano disertato dall'esercito austro-ungarico 100.000 soldati; in ottobre la cifra era salita a 250.000.
Molti lasciavano l'esercito portando con sé le armi e costituivano nelle montagne e nelle foreste della Transilvania, della Croazia, della Boemia e della Carnia reparti armati che combattevano contro le truppe governative.
Nella sola Croazia da settembre a ottobre si contarono 50.000 disertori armati, i cosiddetti "verdi", che con le armi in pugno affrontavano l'esercito governativo.
Tra di essi vi erano molti ex-prigionieri ritornati dalla Russia sovietica, testimoni diretti e perfino partecipi della Rivoluzione d'Ottobre.
Si estese anche il movimento contadino, specie nelle terre delle nazionalità oppresse: in Dalmazia, in Istria e sul litorale croato i contadini si rifiutavano di eseguire gli obblighi verso i proprietari terrieri e di pagare le tasse; in Bosnia e in Erzegovina i contadini, che vivevano ancora in condizioni semifeudali, attaccavano gli organi amministrativi locali austriaci, distruggevano le liste dei debiti, si rifiutavano di lavorare per i grandi proprietari: a Moravac, Debeljača, Vološinovo, Zrenjanin, Novi Sadie in altre località della Voivodina, i contadini si ripartirono la terra dei proprietari e presero il potere nelle proprie mani, creando assemblee popolari.
Forte fu pure il movimento contadino in Galizia, Slovacchia, Bucovina, dove la lotta per la terra si fuse con quella di liberazione nazionale: in vari distretti della Carnia, della Croazia e della Slovacchia, compresa la città di Vukovar e i suoi dintorni, i contadini insorti e i "verdi" cacciarono i proprietari, la gendarmeria e l'amministrazione austro-ungarica.
LA RIVOLUZIONE DEMOCRATICO-BORGHESE
Il 14 ottobre 1918 venne proclamato in Boemia lo sciopero generale politico.
Iniziato dagli operai di Praga in segno di protesta contro la disposizione del governo austriaco di trasferire dalla Boemia in Austria le riserve di carbone e di prodotti alimentari, lo sciopero assunse un'importanza decisiva per la costituzione dello Stato cecoslovacco.
Nei numerosi comizi, che si svolsero in Boemia e in Slovacchia, furono approvate risoluzioni sulla necessità di abbattere la monarchia degli Asburgo e di proclamare la repubblica cecoslovacca indipendente.
In sostanza questo fu l'inizio della rivoluzione nazionale democratico-borghese.
L'imperatore Carlo, nel tentativo di conservare il potere in Boemia, emanò il 16 ottobre un manifesto sulla ristrutturazione dell'Austria in una unione di Stati nazionali e sulla concessione ai cechi e agli altri popoli della autonomia nazionale.
Ma il pieno sviluppo dell'ascesa del movimento di liberazione nazionale la promessa di parziali riforme non poteva più soddisfare nessuno.
Il 17 ottobre la proposta venne respinta dai deputati cechi del Reichsrat.
Il 28 ottobre il Comitato nazionale di Praga, diretto dai partiti borghesi e dai proprietari fondiari cechi, proclamò lo Stato cecoslovacco indipendente e assunse i pieni poteri.
Due giorni dopo il Consiglio nazionale slovacco, riunito nella città di Turčiansky Sv. Martin, approvò una dichiarazione sull'ingresso della Slovacchia nello Stato cecoslovacco unito.
Tutte le leggi imperiali e i decreti del Parlamento ceco restavano in vigore nel territorio della Cecoslovacchia fino all'approvazione di nuove leggi; le vecchie istituzioni statali dovevano funzionare fino all'insediamento della nuova amministrazione.
Il Comitato nazionale di Praga, integrato con i rappresentanti degli organi dirigenti dei partiti politici, si proclamò Assemblea nazionale provvisoria.
Il 14 novembre 1918 essa proclamò la repubblica cecoslovacca, elesse il presidente e formò un governo di coalizione.
A presidente della repubblica fu eletto uno dei dirigenti dell'emigrazione borghese ceca, Tomáš Masaryk; capo del governo divenne il leader del partito nazional-democratico Karel Kramář.
Tutti i posti dirigenti del nuovo Stato furono occupati dalla borghesia e dai proprietari terrieri, anche se il ruolo principale nella conquista della repubblica era stato svolto dalla classe operaia.
Nelle terre slave meridionali i partiti borghesi di Croazia e Slovenia convocarono a Zagabria, ai primi di ottobre del 1918, l'Assemblea nazionale composta dai membri della ex-Skupština.
L'Assemblea si dichiarò organo rappresentativo di tutti gli slavi meridionali dell'Austria-Ungheria e nei primi tempi non ruppe con la monarchia degli Asburgo.
Ma ben presto la sua posizione cambiò.
Alla fine di ottobre si ebbero agitazioni rivoluzionarie a Rijeka (Fiume), Pola, e presso varie unità militari acquartierate in Dalmazia, Istria, Croazia e Carnia.
Nei reparti militari si formarono comitati rivoluzionari e in alcune zone della Voivodina e della Slovenia furono proclamate perfino piccole "repubbliche sovietiche".
Per scongiurare la presa del potere da parte dei lavoratori, l'Assemblea popolare di Zagabria proclamò, il 29 ottobre, la separazione di tutte le province slave meridionali dall'Austria-Ungheria e la creazione di uno Stato autonomo degli sloveni, croati e serbi.
Il governo imperiale perse il controllo anche sulle altre terre abitate da popoli oppressi.
In Bucovina vennero creati, in seguito a una insurrezione popolare, nuovi organi di potere e fu liquidato il potere austro-ungarico.
Il 3 novembre l'Assemblea popolare, convocata a Czernowitz, approvò l'unificazione della Bucovina settentrionale all'Ucraina sovietica.
In Galizia il 1° novembre venne proclamata la repubblica popolare dell'Ucraina occidentale.
Nonostante un forte movimento per l'unificazione all'Ucraina sovietica, i nazionalisti borghesi ucraini, che avevano preso il potere a Leopoli, riuscirono a impedire l'unificazione.
Il 28 ottobre si separarono dall'Austria-Ungheria le terre polacche: la "Commissione di liquidazione" creata a Cracovia dai borghesi e dai proprietari fondiari assunse il potere.
Nella notte del 31 ottobre iniziò la rivoluzione in Ungheria.
Gli operai e i soldati insorti occuparono i punti pia importanti di Budapest (i ponti, la posta, il telegrafo, l'arsenale, il comando militate), e chiesero la proclamazione della repubblica ungherese indipendente.
Si formò un governo di coalizione, capeggiato da Mihály Károlyi.
Il 16 novembre il potere degli Asburgo venne ufficialmente abbattuto e l'Ungheria fu dichiarata repubblica.
Il crollo dell'impero influenzò anche il movimento rivoluzionario nella stessa Austria.
I partiti borghesi tentarono, in accordo con i capi del partito socialdemocratico, di arrestare lo sviluppo della rivoluzione.
Nei primi giorni di ottobre essi si accordarono sulla creazione di un blocco parlamentare per formare organi provvisori di potere.
Il 21 ottobre i deputati del Parlamento austriaco si proclamavano Assemblea nazionale provvisoria.
Il partito socialdemocratico si affrettò a dichiarare che con tale atto "era compiuto il primo passo verso la formazione dello Stato popolare tedesco-austriaco", benché l'Assemblea nazionale non avesse neppure posto il problema della liquidazione della monarchia degli Asburgo.
Il 27 ottobre Hussarek venne sostituito da Lammasch, che teneva da tempo rapporti con i rappresentanti delle potenze dell'Intesa ed era perciò considerato il più adatto a condurre trattative per l'armistizio.
Ma le masse popolari non s'accontentarono di questi mutamenti di vertice.
Il 30 ottobre venne proclamato a Vienna lo sciopero generale.
Si formò spontaneamente una dimostrazione di molte migliaia di persone a favore della repubblica.
La forza principale della manifestazione fu costituita dagli operai.
I circoli dirigenti, per guadagnare tempo e calmare gli operai, formarono un governo di coalizione con i rappresentanti dei partiti borghesi e del partito socialdemocratico.
A cancelliere venne nominate uno dei capi della socialdemocrazia austriaca, Karl Renner.
Ministro degli affari esteri divenne Victor Adler, che morì due settimane dopo e fu sostituito da Otto Bauer.
Il nuovo governo iniziò trattative con l'Intesa, firmando il 3 novembre l'armistizio, che di fatto significava la capitolazione totale.
Le speranze dei circoli dirigenti austriaci che la conclusione dell'armistizio con l'Intesa avrebbe consentito di salvare la monarchia degli Asburgo non si avverarono.
Sotto la pressione del movimento rivoluzionario, l'Assemblea nazionale dovette proclamare il 12 novembre la repubblica austriaca.
Ma il vecchio apparato statale fu quasi interamente conservato.
Non vennero abrogate neppure molte leggi in vigore durante la monarchia austro-ungarica.
Alla fine di ottobre e all'inizio di novembre si ebbe in Austria una ripresa dell'attività dei Consigli operai; nuovi ne sorsero in diverse località.
Tuttavia la direzione venne assunta dai socialdemocratici di destra, che seppero distogliere gli operai austriaci dalla lotta per il potere ed evitare l'azione armata dei proletariato.
Con l'aiuto della socialdemocrazia il governo creò all'inizio di novembre le proprie forze armate: al posto dell'esercito smobilitato, nel quale vi erano forti tendenze rivoluzionarie, vennero formati reparti con volontari delle città, la cosiddetta "Volkswehr" (esercito popolare) sotto il comando di ufficiali reazionari.
Ma nei primi mesi di esistenza la Volkswehr non fu ancora uno strumento della reazione.
Tra i soldati vi erano molti operai di spirito rivoluzionario, influenzati dai comunisti.
Il 41° battaglione della Volkswehr assume il nome di Guardia Rossa.
Membro del Consiglio dei soldati di questo battaglione fu il comunista Leo Rotziegel.
Dalla fine di novembre presidente del Consiglio nella Guardia Rossa divenne Egon Erwin Kisch, che fu in seguito un noto scrittore rivoluzionario.
La controrivoluzione si affrettò a opporre alla Guardia Rossa diverse organizzazioni militari reazionarie quali la "Bürgerwehr" e reparti di ufficiali.
Nella lotta controrivoluzionaria la borghesia ebbe l'appoggio della Chiesa cattolica, che godeva di grande influenza specialmente tra i contadini del Tirolo, del Salisburghese e della Carinzia.
Il 3 novembre 1918 venne fondato in Austria, primo fra tutti gli altri paesi dell'Europa occidentale, il partito comunista.
Esso aveva allora pochi aderenti e non godeva di un'estesa influenza tra le masse, ma in seguito si trasformò nell'avanguardia rivoluzionaria della classe operaia austriaca.
IL SIGNIFICATO STORICO DEL CROLLO DELL'IMPERO AUSTRO-UNGARICO
Con l'abbattimento della monarchia asburgica cadeva uno dei più vecchi imperi, con il suo imputridito regime burocratico, con i suoi residui feudali, con la sua secolare arretratezza e inerzia, ed era liquidata una grande forza reazionaria che per lunge tempo aveva avuto una enorme influenza sulla vita politica dell'Europa.
Sulle rovine dell'impero sorsero nuovi Stati indipendenti: l'Austria, l'Ungheria, la Cecoslovacchia, la Iugoslavia; la popolazione polacca sottomessa agli Asburgo ebbe la possibilità di unificarsi in un solo Stato assieme ai suoi connazionali; la Transilvania, la cui popolazione era formata in prevalenza di romeni, si unì alla Romania; le zone del litorale settentrionale dell'Adriatico, abitate da italiani, si unirono all'Italia; gli ucraini delle province orientali dell'Austria si liberarono dal giogo della monarchia austriaca e lottarono per l'unificazione con l'Ucraina sovietica.
Tuttavia in conseguenza del compromesso attuato dagli imperialisti gli interessi nazionali dei popoli liberati dal giogo austro-ungarico furono in molti casi calpestati: alla Polonia venne data l'intera Galizia, compresa la sua parte orientale (Ucraina occidentale); alla Cecoslovacchia l'Ucraina transcarpatica; alla Romania toccò non solo la Bucovina meridionale abitata da romeni, ma anche quella settentrionale, nonostante la decisione della sua Assemblea popolare per l'unificazione con l'Ucraina sovietica; alcune zone abitate da slavi furono date all'Italia.
Nei nuovi Stati nazionali i frutti della vittoria delle masse popolari vennero raccolti dalle classi possidenti (principalmente dalla grande borghesia), che riuscirono con l'aiuto dei capi opportunisti della socialdemocrazia e con l'appoggio delle potenze dell'Intesa, a instaurare il proprio potere.
La classe operaia non rinunciò alla lotta.
La ascesa rivoluzionaria nei paesi dell'Europa centrale e sud-orientale continuò.
In Ungheria e in Slovacchia si ebbero, nel 1919, rivoluzioni proletarie.
( continua... )
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