www.resistenze.org - cultura e memoria resistenti - storia - 25-06-23 - n. 871

Imparare dalle barricate: Marx, Engels e l'Insurrezione di Giugno del 1848

Katherine Connelly | counterfire.org
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

23/06/2023

A 175 anni dall'insurrezione del giugno 1848, Katherine Connelly esamina ciò che i rivoluzionari della classe operaia parigina insegnarono a Marx ed Engels.



Se Marx ed Engels hanno scritto assai di più di capitalismo che di rivoluzione, è semplicemente perché purtroppo ebbero molte più occasioni di osservare il primo che la seconda. Erano contrari all'idea, comune all'epoca, secondo cui il compito del rivoluzionario era definire un piano che le masse avrebbero poi dovuto seguire. Quando scrivevano di rivoluzioni, lo facevano in primo luogo per appoggiare le rivoluzioni che erano concretamente in corso, e per apprendere da esse.

L'Insurrezione di Giugno dei lavoratori parigini, che fu brutalmente repressa dopo soli quattro giorni, fu la prima rivoluzione operaia che Marx ed Engels ebbero modo di seguire da vicino. L'Insurrezione di Giugno indicò loro quanto una rivoluzione operaia sarebbe stata diversa da qualunque esperienza precedente, sino a che punto si sarebbe spinta la classe capitalista (compresi i suoi elementi più progressisti) per fermarla e quale fosse la vera natura della società che tale classe lottava per difendere.

Il 1848, l'anno delle rivoluzioni

All'inizio del 1848, Karl Marx e Friedrich Engels avevano appena terminato di scrivere la loro opera più celebre, oggi conosciuta con il nome di Manifesto Comunista, quando una serie di rivoluzioni scosse l'intero continente europeo. Non si trattava di rivoluzioni comuniste, bensì di rivoluzioni che aspiravano a riforme liberali contro le vecchie autocrazie europee.

Ciononostante, Marx ed Engels si lanciarono nel movimento rivoluzionario, collocandosi all'estrema sinistra della lotta democratica a Colonia. Il 1° giugno 1848 iniziarono a pubblicare un giornale diretto da Marx, la Neue Rheinische Zeitung, con il sottotitolo «organo della democrazia».

Marx ed Engels capirono che quanto più la classe borghese (o capitalista) fosse riuscita a ottenere progressi, tanto più si sarebbero create le condizioni per una lotta anti-capitalista della classe operaia. Ciò che non colsero, tuttavia, fu quanto rapidamente sarebbero emerse queste tensioni di classe.

Parigi, la città rivoluzionaria

Era a Parigi che le tensioni tra borghesi e operai erano più intense. Nel febbraio 1848 una rivoluzione scoppiata in città rovesciò l'ultimo sovrano francese e lo rimpiazzò con la Seconda Repubblica. La maggioranza del nuovo governo si accontentò di riciclare gli slogan e i simboli della grande Rivoluzione Francese del 1789, proclamando libertà, uguaglianza e fraternità e sventolando il tricolore.

Durante gli anni Trenta e Quaranta dell'Ottocento, tuttavia, le idee e le organizzazioni socialiste e comuniste avevano conosciuto una proliferazione, determinata dall'espansione della classe operaia cittadina. Questi gruppi aspiravano a conquistare l'emancipazione della classe operaia, il che significava andare ben oltre le tradizioni del 1789. Nel 1848 la Francia si trovava nel pieno di una depressione economica con alti tassi di disoccupazione. Durante la rivoluzione di febbraio, lavoratori armati chiesero che il nuovo governo si impegnasse a garantire il «diritto al lavoro» e in particolare il benessere della classe operaia.

Queste richieste furono accolte soltanto a malincuore. Il governo istituì gli ateliers nationaux, i laboratori nazionali destinati ai disoccupati, che tuttavia offrivano soltanto impieghi sporadici, umili, malpagati e monotoni, che gli artigiani qualificati senza lavoro di Parigi trovavano inadeguati.

Il 22 giugno il governo chiuse gli ateliers nationaux, informando i lavoratori che vi si erano iscritti che avrebbero dovuto arruolarsi nell'esercito o essere deportati da Parigi per lavorare altrove.

Quella sera stessa i lavoratori iniziarono a erigere le barricate. Era iniziata l'Insurrezione di Giugno.

L'appoggio

Sin dal momento in cui ricevettero notizia dell'insurrezione, Marx ed Engels appoggiarono i rivoluzionari. Si trattò di una presa di posizione isolata: a differenza delle ondate rivoluzionarie precedenti, l'Insurrezione di Giugno trovò ben pochi fautori di spicco. In seguito a questa presa di posizione, la Neue Rheinische Zeitung perse tutti gli altri azionisti.

Quando l'anno seguente, con la vittoria della controrivoluzione, il giornale chiuse i battenti, Marx, in un gesto di sfida, fece stampare l'ultimo numero interamente in inchiostro rosso. Queste parole scritte in rosso definirono l'Insurrezione di Giugno «l'essenza del nostro giornale»

La «brutta rivoluzione»

Marx ed Engels ebbero modo di ricevere informazioni su quanto stava accadendo a Parigi da due loro giornalisti che si trovavano in Francia: Sebastian Seiler, che lavorava come stenografo presso l'Assemblea Nazionale francese, e Hermann Ewerbeck, un medico che curava i rivoluzionari feriti e riferiva ciò che gli dicevano.

Nel Manifesto Comunista, Marx ed Engels scrivono: «Il proletariato, ceto infimo dell'attuale società, non si può sollevare, non può elevarsi, senza far saltare in aria l'intera costruzione dei ceti che formano la società ufficiale».

Descrivevano qui il modo in cui la rivoluzione operaia avrebbe reso necessaria una totale rottura con la vecchia società. L'Insurrezione di Giugno dimostrò che avevano ragione. Come riferì loro Ewerbeck, essa fu assai più silenziosa rispetto alla rivoluzione di febbraio: in giugno, i combattenti sulle barricate non intonavano canti sul 1789.

Fu per questo che Marx definì la rivoluzione di febbraio la «bella» rivoluzione, in cui le divisioni di classe della società erano state negate e offuscate dalla retorica universalista della fraternità. Quella di giugno, per contro, era «la rivoluzione brutta, la rivoluzione ripugnante», proprio perché rendeva queste divisioni di classe drammaticamente visibili. Il nuovo governo francese dichiarò guerra agli operai sulle barricate, facendo intervenire l'esercito.

A capo delle forze armate fu posto il generale Eugène Cavaignac, governatore generale coloniale dell'Algeria francese. Engels osservò che Cavaignac affrontava i lavoratori parigini come se si trattasse di sudditi coloniali in rivolta. Non fu fatta alcuna distinzione tra combattenti e civili. Cavaignac ordinò di aprire il fuoco con cannoni e artiglieria su quartieri operai densamente popolati.

Una svolta

Marx ed Engels riconobbero che l'Insurrezione di Giugno aveva segnato un punto di svolta nelle rivoluzioni del Quarantotto. La crescente coscienza della classe operaia smascherò le vere priorità della borghesia, che si dimostrò disposta a rinunciare alle proprie conquiste democratiche pur di non concedere nulla agli operai. Nel secondo giorno dell'insurrezione il governo si auto-sciolse, conferendo poteri dittatoriali nel territorio francese al governatore generale dell'Algeria.

Dopo l'Insurrezione di Giugno divenne illegale pronunciare la frase «Viva la repubblica democratica e sociale». Tre anni dopo, Luigi Napoleone Bonaparte (il nipote del celebre imperatore francese) assunse poteri dittatoriali e si proclamò imperatore, mettendo fine alla Repubblica in quanto tale.

L'Insurrezione di Giugno dimostrò a Marx e ad Engels che la borghesia non era più quella forza rivoluzionaria che era stata poche generazioni prima. Era iniziata l'era delle rivoluzioni operaie.

Violenza e controrivoluzione

Marx ed Engels sottolinearono le proporzioni della violenza utilizzata contro gli insorti di giugno - una violenza che provava sino a che punto era disposta a spingersi una borghesia spaventata pur di salvaguardare il proprio potere.

La violenza della borghesia era proporzionale alla sua paura. Nel 1871, quando gli operai parigini conquistarono il potere e governarono la città (la Comune di Parigi) per 72 giorni, il governo francese (allora incarnato dalla Terza Repubblica) massacrò i lavoratori secondo modalità analoghe a quelle dell'Insurrezione di Giugno - ma su scala molto più ampia e per ben sette giorni, destinati a essere ricordati come «la settimana di sangue».

Gli articoli in cui Marx ed Engels descrivono come la Repubblica e in seguito il regime populista di Luigi Napoleone utilizzarono forze militari e paramilitari reclutate tra i settori più atomizzati e degradati dei poveri urbani sono stati interpretati come un'anticipazione delle analisi del fascismo novecentesco.

Nel 1919, dopo una fallita insurrezione operaia, la rivoluzionaria Rosa Luxemburg scrisse il suo ultimo articolo, poche ore prima di essere assassinata dai Freikorps («corpi franchi») proto-fascisti. Si intitolava «L'ordine regna a Berlino». Era un riferimento a un articolo di Marx dedicato all'Insurrezione di Giugno, in cui egli ricordava come il governo francese, come altri regimi repressivi, compiva stragi in nome dell'«ordine».

Si trattava di un'osservazione solo in parte sarcastica. Marx, come in seguito Luxemburg, intendevano anche evidenziare come l'ordine sociale borghese fosse basato sulla violenza e sulla sottomissione. Per questo dedicarono le loro intere esistenze al suo rovesciamento.


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