L'attuale edizione dell'Enciclopedia Britannica (la quindicesima) è comparsa nel 1974. La sua struttura ha suscitato qualche lieve controversia, in quanto è suddivisa in una «Micropedia» di dieci volumi contenenti brevi articoli di consultazione e in una «Macropedia» di diciannove volumi contenenti discussioni approfondite di temi importanti. I contenuti, ovviamente, sono tutt'altro che scontati. Tuttavia, la rinascita intellettuale dei tardi anni Sessanta e dei primi anni Settanta, che aveva sfidato il pedestre dogmatismo anticomunista dei tardi anni Quaranta e degli anni Cinquanta, ha effettivamente esercitato qualche influenza su importanti articoli dell'edizione del 1974 dedicati a numerosi argomenti.
Un esempio interessante è l'articolo di 26 pagine della Macropedia intitolato «Colonialismo (c. 1450-c. 1970)». La prima parte, redatta da Charles E. Nowell, Professore Emerito di Storia all'Università di Urbana (Illinois) e autore di The Great Discoveries and the First Colonial Empires, giunge fino al Trattato di Parigi del 1763, che sancì il predominio mondiale dell'impero britannico. La seconda parte, molto più lunga, che ripercorre e analizza le fasi successive dell'ascesa e della caduta del colonialismo fino al 1973, è opera di Harry Magdoff ed è riprodotta come saggio introduttivo nel suo libroImperialism: From the Colonial Age to the Present (Monthly Review Press). Nel suo insieme, l'articolo dà vita a una mirabile fusione di fatti e analisi, che offre uno strumento straordinariamente utile per molteplici fini di consultazione e formazione.
Nel preparare il mio corso sulla «Letteratura del Terzo Mondo» mi sono ritrovato spesso a consultare la sezione redatta da Magdoff, che sintetizza in modo lucido e conciso la storia moderna del colonialismo. Un giorno, più o meno un anno fa, mi trovavo in una biblioteca locale a svolgere alcune ricerche per un articolo. Per verificare il mio schema cronologico, ho consultato casualmente l'articolo sul colonialismo. Qualcosa non tornava. La memoria mi stava facendo uno scherzo? Dov'era finita la discussione dedicata al neocolonialismo? E non ricordavo affatto che Harry Magdoff avesse scritto una tirata anti-sovietica che indicava quale principale conseguenza della rivoluzione russa la restaurazione dell'impero coloniale zarista...
È bastata un'occhiata più attenta per risolvere almeno in parte il mistero. L'Enciclopedia Britannica della biblioteca era stata stampata nel 1979, e la sezione di Magdoff si interrompeva nel 1914; il periodo compreso tra la prima guerra mondiale e i nostri giorni era ora trattato da Richard Webster, un docente di Berkeley specializzato in storia dell'Italia moderna. Il che ha suscitato ulteriori interrogativi: che cosa aveva portato alla decisione di tagliare l'analisi di Magdoff degli eventi successivi al 1914? Perché era stato fatto questo? E quali differenze di contenuti vi erano tra l'articolo originale di Magdoff e quello sostitutivo di Webster?
Ho rivolto le prime due domande all'Enciclopedia Britannica, in una lettera. Ed ecco la risposta, riprodotta integralmente:
Caro Professor Franklin,
La presente in risposta alla sua lettera del 19 ottobre. A metà degli anni Settanta l'articolo in questione era ormai in parte obsoleto; il titolo stesso, «Colonialismo (c. 1450-c. 1970)», lo indicava come datato. Verso la fine del 1976, al professor Webster è stato chiesto di riscrivere la parte finale dell'articolo, destinata a essere pubblicata nell'edizione del 1978 della Britannica.
Indubbiamente hanno pesato altre considerazioni oltre all'obsolescenza. L'articolo era stato criticato dalla stampa per la sua faziosità. Una delle obiezioni evidenziava la totale assenza di informazioni sul colonialismo sovietico.
L'articolo è stato successivamente riesaminato dai nostri consulenti e giudicato non all'altezza degli standard di obiettività della Britannica; per questa ragione è stato commissionato a un nuovo autore.
Questa lettera la dice lunga.
Ho pensato che un raffronto dettagliato tra i due articoli potesse funzionare come una sorta analisi di laboratorio di questi famosi «standard di obiettività della Britannica», utile per comprendere il contenuto ideologico di questa prestigiosissima opera di consultazione anglo-americana. Ciò che ho rilevato è un esempio lampante delle differenze cruciali tra i due principali metodi di analisi storica che si contendono il primato nel mondo odierno.
L'articolo di Magdoff permette di comprendere la storia generale del colonialismo moderno. Vi troviamo i conflitti tra le potenze coloniali per la spartizione del mondo che conducono alla prima guerra mondiale, che a sua volta contribuisce a far scoppiare la rivoluzione russa e a stimolare i movimenti di liberazione nazionale. Viene quindi ripercorsa la complessa interazione tra la rivoluzione socialista e la lotta anticoloniale attraverso il secondo conflitto mondiale, sino ai principali campi di battaglia dei primi anni Settanta. Nel periodo postbellico della decolonizzazione vediamo perché il colonialismo puro e semplice venga rimpiazzato dal neocolonialismo, in cui al ruolo dei vecchi imperi europei subentra quello degli Stati Uniti, che impongono la loro egemonia economica mediante una rete mondiale di basi militari, e la cui lotta contro i movimenti di liberazione nazionale si fonde con la loro crociata anticomunista. Questo processo viene messo a fuoco con particolare acutezza da eventi quali il rovesciamento da parte degli Stati Uniti dei governi dell'Iran (1953) e del Guatemala (1954), lo sbarco dei marines USA in Libano (1958) e nella Repubblica Dominicana (1965) e, in modo particolarmente lampante, la guerra americana in Indocina.
L'analisi di Webster si inquadra in una presunta «obiettività» liberale. In altre parole, si presenta come empirica, con una struttura empirica che in superficie non evidenzia alcuna teoria organizzativa fondamentale. Tipicamente, le cause degli eventi vengono semplicemente elencate, senza alcun legame apparente tra le tre o quattro voci di ciascun elenco - mentre quando Magdoff utilizza degli elenchi, lo fa per evidenziare le interrelazioni tra le forze o gli eventi elencati. Appena al disotto della superficie, tuttavia, è agevole discernere un filo conduttore formato da messaggi antisovietici e anticomunisti che nell'insieme definiscono gli scopi principali dell'articolo di Webster. Gli Stati Uniti vengono così presentati non come potenza neocoloniale, bensì principalmente come potenza in lotta contro il colonialismo, sia europeo sia sovietico. Anzi, la forma principale di «colonialismo», dal 1917 fino ai nostri giorni, sembra ora essere quello dell'Unione Sovietica. A un'analisi attenta appare evidente che Webster in realtà ha riscritto l'articolo di Magdoff, lasciando al loro posto molti dei fatti principali ma liquidando l'analisi, eliminando quasi tutti i riferimenti al colonialismo e al neocolonialismo USA e inserendo abilmente le sue tesi anticomuniste, a malapena dissimulate.
Cruciale in questa metodologia, e tipica dell'«obiettività» liberale, è la pretesa che non vi sia metodologia alcuna - è come se i fatti venissero semplicemente registrati e messi in fila in una sorta di vuoto ideologico. Per esempio, Magdoff riconosce esplicitamente che il neocolonialismo, sia come termine sia come concetto, sia «fortemente controverso», convenzionalmente rigettato negli Stati Uniti e in Europa occidentale e prontamente adottato e discusso nel mondo ex-coloniale. Webster, invece, fa piazza pulita di questo termine critico e del relativo concetto omettendoli completamente dalla sua discussione.
Gli aggiornamenti introdotti nell'articolo di Webster sono ben pochi, nonostante fosse proprio questa la motivazione dichiarata della riscrittura dell'articolo. E anche qui, le differenze tra le due versioni della storia sono alquanto vistose. Per esempio, Magdoff si era soffermato sulle «forze di guerriglia nazionaliste» che «combattono attivamente da lungo tempo per la liberazione» nelle colonie portoghesi in Africa, osservando che «per contrastare queste attività rivoluzionarie, il Portogallo, le cui risorse militari sono potenziate dalla sua appartenenza all'Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico [NATO], ha inviato grossi contingenti militari nelle sue colonie». Webster, scrivendo dopo che queste forze africane hanno conquistato l'indipendenza, si limita a menzionare la loro lotta nei seguenti termini: «Il Portogallo si trovò impelagato in una serie di guerre coloniali». Dopo di che, attribuisce l'indipendenza della Guinea-Bissau, del Mozambico e dell'Angola non a iniziative delle popolazioni di queste nazioni, bensì esclusivamente a eventi verificatisi in Portogallo: «Nel 1974 le forze armate rovesciarono i successori di Salazar, e nell'instabile situazione politica venutasi a creare apparve chiaro che il Portogallo avrebbe reciso i suoi legami con l'Africa».
Per mettere più chiaramente in luce le differenze ideologiche e metodologiche, concentriamoci su due eventi cruciali, uno all'inizio e l'altro alla fine del periodo in esame: la rivoluzione russa e la guerra del Vietnam.
Magdoff esamina la rivoluzione russa nel contesto dell'ascesa dei movimenti indipendentisti innescata dalla prima guerra mondiale:
Un altro importante stimolo alla nuova ondata di nazionalismo legato al conflitto fu la rivoluzione russa del 1917, che colpì l'immaginazione delle masse coloniali, specie in Asia, in quanto dimostrò alla gente comune che poteva ribellarsi e occuparsi dei propri affari nonostante la contrarietà delle potenze imperialiste. Grande importanza ebbe inoltre il fatto che l'Unione Sovietica si dichiarò anti-imperialista, rinunciò ai privilegi imperialisti e aprì gli archivi zaristi rivelando i risvolti segreti delle trattative imperialiste. Nel Manifesto di Karakhan al Popolo Cinese (1919), i bolscevichi si offrirono di restituire i territori tolti alla Cina dal regime zarista, di porre fine alla rivendicazione delle riparazioni per la Rivolta dei Boxer del 1900 e di rinunciare ai diritti di extraterritorialità.
Magdoff dà semmai l'impressione di sottovalutare l'importanza di questi elementi, o più probabilmente si limita ad alludere a eventi che non ha modo di discutere più a fondo per mancanza di spazio. Il lettore ben informato, o che desidera indagare più a fondo, coglierà comunque i suoi riferimenti all'invasione dell'Unione Sovietica da parte delle potenze imperialiste (compresi Giappone e Stati Uniti, oltre all'Inghilterra e alle potenze europee occidentali), al Movimento del 4 Maggio in Cina e alla vittoriosa rivoluzione comunista in Mongolia, per non parlare del lancio dei movimenti di liberazione nazionale in Indocina, guidato da Ho Chi Minh.
Webster ignora tutto questo, occupandosi della rivoluzione russa in un paragrafo intitolato «Gli Stati Uniti e l'Unione Sovietica». Con una spuria pretesa di equilibrio, il paragrafo in questione esordisce evidenziando che gli Stati Uniti «non acquisirono nuove colonie» dopo l'acquisto delle Isole Vergini nel 1917. Webster prosegue spiegando che la vecchia politica di instaurazione di «protettorati» statunitensi in America Latina fu «abbandonata sotto Hoover e Roosevelt, in particolare nel contesto della Politica di Buon Vicinato del secondo». Subito dopo arriva il suo giudizio sulla rivoluzione russa:
Il nuovo regime sovietico russo riuscì, dopo anni di guerre civili ed estere, a riconquistare i possedimenti asiatici del suo predecessore zarista. Il Caucaso fu riconquistato passo dopo passo tra il 1919 e il 1921; dopo che le aree montuose e l'Azerbaijan furono riportate sotto controllo sovietico, l'Armenia fu spartita tra Russia e Turchia. Dopo di che la Georgia, una repubblica parlamentare indipendente, fu sopraffatta dall'Armata Rossa. Il Turkestan russo fu sottomesso entro il 1922, e i khanati di Khiva e Bukhara furono soppressi. Nel 1922 anche la Mongolia Esterna era ormai saldamente legata allo Stato sovietico. Ciononostante, il governo rivoluzionario russo era ideologicamente ostile al colonialismo, specie laddove non aveva interessi coloniali che fosse interessato a difendere.
Ed ecco come la bacchetta magica dell'«obiettività» liberale trasforma l'invasione dell'Unione Sovietica da parte delle potenze coloniali in un'invasione coloniale condotta dalla Russia ai danni del resto dell'Unione Sovietica, per non parlare della sua alleata Mongolia...
Le distorsioni che Webster opera sulla storia della lotta vietnamita sono altrettanto radicali e altrettanto fuorvianti. Da qui si possono trarre alcuni insegnamenti preziosi riguardo al contenuto nascosto della forma - a come cioè principi organizzativi apparentemente neutrali possano plasmare il significato. Magdoff affronta la lotta del Vietnam per il socialismo e per l'indipendenza nazionale nel contesto dei movimenti rivoluzionari asiatici, consentendo in tal modo al lettore di comprendere le relazioni dialettiche tra forze ed eventi. Webster invece tratta la rivoluzione asiatica facendola a pezzetti, suddivisi (quasi come colonie) in paragrafi organizzati dal punto di vista delle potenze coloniali: «La decolonizzazione britannica, 1945-56»; «Le guerre nei territori francesi d'Oltremare, 1945-56»; «La decolonizzazione britannica dopo il 1956»; «La decolonizzazione olandese, belga e portoghese» e via dicendo. Così, la lotta vietnamita viene derubricata a semplice episodio della storia della decolonizzazione francese. La rivoluzione cinese viene ulteriormente ridimensionata a evento rilevante soltanto in relazione alla sconfitta subita dalla Francia in Vietnam. E in tal modo diviene possibile omettere completamente il ruolo degli Stati Uniti in Vietnam, che non è menzionato nemmeno una volta in tutto l'articolo!
Prima di fare ulteriori commenti, vorrei sottoporre all'analisi del lettore la trattazione completa della lotta vietnamita da parte dei due autori (lascio al lettore il compito di indovinare le rispettive identità):
Gli sviluppi del nazionalismo nel resto dell'Asia furono dominati dalla rivoluzione e dalla guerra. Con l'instaurazione della Repubblica Popolare Cinese nel 1949, dopo molti anni di guerra civile e di guerra contro l'invasione giapponese, tutte le vestigia dell'imperialismo furono cancellate dal Paese, a eccezione della colonia britannica di Hong Kong, della colonia portoghese di Macao e della sfera di influenza degli Stati Uniti a Taiwan. I Paesi Bassi, con l'aiuto di truppe britanniche, tentarono di rioccupare l'Indonesia alla partenza dei giapponesi, ma non riuscirono a farlo nonostante i quattro anni di guerra contro la Repubblica di Indonesia, che divenne pienamente indipendente nel 1949. Anche i francesi fallirono nel tentativo di riconquistare l'Indocina. La guerra contro i giapponesi aveva dato vita a un forte esercito nazionale e a un movimento di liberazione indocinese, che oltre che all'indipendenza aspirava a fondamentali cambiamenti sociali ed economici. Dopo nove anni di intenso conflitto su larga scala, l'esercito francese, massicciamente sostenuto sul piano economico e morale da parte degli Stati Uniti, subì una pesante sconfitta, in particolare nella battaglia di Dien Bien Phu. Nel 1954, a una conferenza internazionale di pace tenuta a Ginevra, fu raggiunto un accordo per il riconoscimento dell'indipendenza di Laos, Cambogia e Vietnam. In Vietnam fu tracciata una linea di demarcazione militare più o meno in corrispondenza del 17° parallelo allo scopo di facilitare la tregua e di preparare il terreno per elezioni da tenersi sotto la supervisione di una commissione internazionale, che avrebbero sancito l'unificazione della zona Nord e della zona Sud. Il Vietnam del Sud, dove l'influenza degli USA divenne preponderante, decise di non procedere alle elezioni per l'unificazione fissate per il luglio 1956 dagli Accordi di Ginevra. A questa decisione fecero seguito una rivolta nel Vietnam del Sud, il sostegno militare USA al governo sudvietnamita e massicci attacchi aerei contro il Vietnam del Nord, finché nel 1973 fu raggiunto un cessate-il-fuoco.
Le guerre nei territori francesi d'Oltremare, 1945-56. La formazione della Quarta Repubblica Francese determinò un formale decentramento del dominio coloniale, e la storia francese nei quindici anni dopo la fine della seconda guerra mondiale fu caratterizzata da cicli di rivolte e repressioni. Il primo epicentro del conflitto coloniale fu l'Indocina, dove il vuoto di potere creato dalla smobilitazione del Giappone dopo l'occupazione del periodo bellico offrì un'opportunità irripetibile ai comunisti del Viet Minh. Quando nel 1946 l'esercito francese tentò di rioccupare la colonia, i comunisti, proclamata una repubblica, ricorsero alle strategie politiche e militari di Mao Tse-tung per logorare e infine per sconfiggere la Francia. Ogni possibilità di mantenere un'amministrazione semi-coloniale in Indocina venne meno quando i comunisti vinsero la guerra civile in Cina (1949). Infine, nel 1954, quando i francesi affrontarono gli eserciti comunisti in una battaglia campale a Dien Bien Phu, i comunisti trionfarono con l'aiuto dei nuovi cannoni pesanti forniti dai cinesi. La Quarta Repubblica lasciò l'Indocina ai sensi degli Accordi di Ginevra (1954), che istituirono due regimi indipendenti.(*)
Si potrebbe pensare che la grottesca deformazione della storia operata qui da Webster sia dovuta a semplice ignoranza, se non fosse per il fatto che sta chiaramente riscrivendo l'articolo di Magdoff. Vale inoltre la pena di notare che la trattazione di Magdoff prosegue sino al 1973, mentre l'«aggiornamento» di Webster si interrompe con la sua falsa presentazione degli eventi del 1954.
Le implicazioni di una sfacciata riscrittura della storia come questa, attuata verso la fine degli anni Settanta, sono decisamente funeste. Gli eventi degli anni Sessanta e dei primi anni Settanta avevano fatto aprire gli occhi a decine di milioni di persone negli Stati Uniti. Ormai da diversi anni è in atto un enorme assalto contro questa consapevolezza, caratterizzato da tentativi alquanto riusciti di conquistare il totale controllo dei media, dell'editoria e della scuola. Parte integrante di questa offensiva è la riscrittura della storia allo scopo di adattarla agli interessi del neocolonialismo, che assume costantemente nuove forme e nuovi travestimenti. E uno di questi travestimenti è proprio il mantello della falsa «obiettività» utilizzato per nascondere quel sapere vitale che abbiamo conquistato e che dobbiamo rivendicare.
Note:
*) Per la cronaca, vale la pena di rammentare che l'Articolo 6 della Dichiarazione Finale della Conferenza di Ginevra del 21 luglio 1954 dichiara quanto segue: «La Conferenza riconosce che l'obiettivo essenziale dell'accordo in relazione al Vietnam è regolare le questioni militari in vista della fine delle ostilità e che la linea di demarcazione militare è provvisoria e non va in alcun modo interpretata come un confine politico o territoriale».
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