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6 operai uccisi dalla polizia a Modena il 9 gennaio 1950. Come è avvenuto l'eccidio

Gianni Rodari | L'Unità, 10 gennaio 1950
Trascrizione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

09/01/1950

[Img] Modena, 9 gennaio. Le forze di polizia hanno ucciso stamane o Modena 6 lavoratori nel corso di un selvaggio carosello che per tre ore, fra le 10 e le 13, ha trasformato in un campo dl battaglia le strade e la zona intorno alle Fonderie Riunite, durante lo svolgimento di una manifestazione di protesta contro l'industriale Orsi.

Numerosi altri lavoratori giacciono nelle corsie dell'0spedale civile, feriti da pallottole al petto, alla testa ed alle gambe; tre di essi versano in condizioni gravissime, tanto che i medici si sono riservata la prognosi e si teme per la loro vita. Si contano a decine i feriti leggeri ed i contusi ed è pure elevato, per quanto al momento incontrollato, il numero degli operai fermati ed arrestati.

Ecco i nomi dei morti che Modena iscrive oggi accanto ai nomi dei 1300 partigiani della città e della provincia caduti durante la guerra di Liberazione e consegnati alla storia del movimento operaio italiano:
Arturo Chiappelli, di Modena; Roberto Rovatti, di Modena; Angelo Appiani, di Modena; Arturo Malagoli, di Modena; Nello Garagni di Castelfranco; Renzo Bersani, di Modena.
I nomi dei feriti più gravi sono: Vittorio Bigarelli, ferito al ventre, prognosi riservata; Ezio Codeluppi, di Villanova S. Pancrazio, ferito al viso e alla spalla, prognosi riservata; Romildo Fieni, da S. Antonio Sozzigalli, ferito alla coscia; Savio Bossoli di Sant'Agnese, ferito alla coscia sinistra; Tonino Muzzioli da Mulini Nuovi, ferito alla spalla; Adelmo Dotti da Sant'Agnese, ferito alla spalla; anche numerose donne sono più o meno gravemente contuse.

Le pallottole hanno lacerato i corpi dei morti e dei feriti, producendo fori del diametro di 3 o 4 centimetri, quali non vengono prodotti dalle pallotto­le normali. Qualcuno ha perciò avanzato l'ipotesi che siano state usate pallottole esplosive.

Il Consiglio delle Leghe ha or­dinato la continuazione sino alle 18 di domani dello sciopero generale che s'era iniziato stamane alle 10 a Modena e pro­vincia per protesta contro la serrata delle Fonderie Riunite. Alle 10, appunto, tutte le fabbriche della provincia, hanno sospeso il lavoro. I negozi han­no abbassato le saracinesche. tutti, senza una sola eccezione, in quanto in tutti gli strati della popolazione s'era diffusa la con­vinzione delle buone ragioni de­gli operai.

Un lungo viale, intitolato al patriota modenese Ciro Menotti, porta dal centro della città elle Fonderie Riunite. E' stato que­sto viale il teatro principale delle tristi gesta della polizia, la quale aveva disposto molti sbarramenti a 100 metri circa a destra e a sinistra dell'ingresso della fabbrica. Quando gli ope­rai sono giunti presso uno di questi sbarramenti, sono stati accolti dal lancio di bombe la­crimogene, senza alcun preav­viso.

I lavoratori stavano dirigen­dosi verso la fabbrica per ma­nifestare la loro volontà di lot­tare per la totale ripresa del lavoro.

Transitava in quel momento un diretto proveniente da Mi­lano e la massa dei manifestanti era divisa in due dal treno. Spentosi appena il fragore del­le ruote sui binari, echeggia­vano i primi colpi di arma da fuoco. Un lavoratore, Arturo Cìnappelli, era aggrappato ai cancelli delle Fonderie; tanto è bastato perchè gli agenti gli sparassero addosso mirando al viso. Il Chiappelli colpito al ventre, cadeva sul dorso. I com­pagni lo raccoglievano rapidamente trasportandolo indietro; uno studente di medicina gli afferrava il polso; «Non c'è più nulla da fare».

Purtroppo egli non doveva essere che il primo di una tra­gica serie. Infatti, dal terrazzo che sovrasta l'edificio di ingres­so delle Fonderie due fucili mitragliatori, ciascuno servito da 4 o 5 carabinieri vomitava­no piombo sui lavoratori incro­ciando il tiro dall'alto con quel­lo degli agenti che facevano fuoco dal portone. Altri tre lavoratori Rovatti, Appiani, Malagoli, restavano sul terreno senta vita. I feriti si accascia­vano al suolo mentre numerosi operai sfidavano il fuoco per raccoglierli e trasportarli al si­curo.

Due plotoni di carabinieri e due della Celere, intanto, pren­devano alle spalle altri grup­pi di lavoratori che si erano diretti verso il cancello po­steriore delle Fonderie. Il vice questore di Modena, Giuliano, dirigeva personalmente, contro questi operai, una carica che si concludeva con il bilancio di tre feriti e di numerosi contusi.

Dall'alto di una camionetta un funzionario indicava agli agenti i lavoratori da colpire e da inseguire; «Caricate questi, caricate quelli...».

Forze di polizia erano state concentrate fin dalle prime ore del mattino in città; altre ac­correvano a Modena, durante l'incidente, da Bologna, Ferra­ra, Reggio. Comunque i lavora­tori, messi al riparo I morti ed i feriti, restarono dinanzi alla fabbrica. Modena ha dato spes­so esempio di disciplina e di slancio combattivo a tutto il proletariato italiano. L'Italia sa­peva che a Modena c'è un pro­letariato eroico, ma stamane quest'eroismo è rifulso come non mal.

Intanto i parlamentari mode­nesi on. Armando Ricci, on. Cremaschi, on. Gina fiorellini e il sen. Pucci, dopo molte in­sistenze, erano riusciti a farsi ricevere dal prefetto, al quale avevano chiesto che la polizia cessasse il fuoco.

«L'avete voluto voi - rispon­deva il prefetto ai quattro par­lamentari. - E' stato un ope­raio a sparare per primo».

Il prefetto forniva cosi, per­sonalmente, la prima versione ufficiale dell'incidente; la soli­ta, assurda storia che viene ri­petuta ogni volta che si vuol giustificare agli occhi della pub­blica opinione il comportamen­to della polizia durante una manifestazione operaia. Altre affermazioni del prefetto ben diversamente minacciose: «O fate sgomberare entro un quarto d'ora o succederà un massacro».

Verso le 12,30 l'accordo era concluso. La polizia avrebbe cessato il fuoco e gli operai si sarebbero allontanati dalle Fonderie; per il pomeriggio sareb­be poi stato organizzato un co­mizio di protesta. Mentre le di­scussioni si prolungavano, un quinto morto si aggiungeva ai precedenti; Ennio Garagnani, preso di mira mentre attraver­sava la strada da un tenente del carabinieri, che col suo mitra sparava a ventaglio» decedeva sul colpo. La Celere continua­va i caroselli e le cariche; a gruppi di tre o quattro, gli agenti circondavano i cittadini e li percuotevano rabbiosamente col calcio dei moschetti, non badando a differenza di sesso, compiendo arresti e fermi in­discriminati.

Alle 13 la violenta aggressio­ne aveva termine. Gli operai si allontanavano dalle Fonderie per tornare a riunirsi due ore dopo, con una grande folla dì cittadini, in Piazza Roma, dove l'on. Cremaschi e l'on. Borellini esprimevano tutta la loro indignazione per il barbaro eccidio, d'una gravita senza precedenti.

Modena ha vissuto oggi una gloriosa, tremenda giornata.

Centinaia di cittadini hanno visto i carabinieri e gli agenti inginocchiati per meglio pren­dere di mira, ma dietro a loro hanno veduto l'industriale Orsi, cui risale la responsabilità del tragico avvenimento, hanno vi­sto il volto delle autorità che da più anni svolgono in questa provincia una politica dr provo­cazione e di arbitrii. Due ra­gazze si sono ricordate di quan­to avevano udito dire alcuni giorni fa da un agente della Celere, mentre conversavano sulla preparazione della Befana dell'Udi per i bimbi: «La Befana - avrebbe esclamato il Ce­lerino - l'avrete voi il 9 gen­naio!».

Parole simili possono non significar nulla, ma possono si­gnificare qualche cosa di molto preciso; cioè la fredda premeditazione del massacro. Le recen­ti rivelazioni d'un giornalista inglese pubblicate da «l'Unità» alcuni giorni or sono sui mezzi coi quali la Celere si prepara alle dimostrazioni operaie, sono abbastanza eloquenti in propo­sito.

Alle 19 il sindaco di Modena, compagno Corassori, convo­cava nel suo ufficio i parla­mentari modenesi, i rappresen­tanti di tutti i partiti politici, di tutte le organizzazioni sin­dacali, di tutte le associazioni cittadine per un esame dei fatti.

Intanto, in una corsia del­l'ospedale, anche Enzo Bersani decedeva a causa delle gravi ferite riportate.

A tarda sera il numero dei feriti superava la cinquantina.

Nel tragico carosello è stato spiegato uno schieramento dì forza pubblica eccezionale. Tra le altre forze di polizia sono stati impiegati il battaglione mobile dei carabinieri di Bolo­gna con 13 autoblindo, i reparti corazzati di Cesena oltre a rin­forzi fatti affluire da Ferrara, da Parma, da Forlì e da Reg­gia Emilia.

Le salme dei 6 caduti sono ora composte nella sala mor­tuaria dell'Ospedale civile.

Modena e tutta Italia si pre­parano a render loro un omag­gio commosso e solenne. Nel lo­ro nome gli operai modenesi continueranno a lottare contro gli arbitrii padronali per la normalizzaozione dei rapporti di la­voro. In loro nome tutta Mo­dena lotterà per il ritorno del­la legalità repubblicana nella città e nella provincia da trop­po tempo teatro dei luttuosi esperimenti di Scelba.


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