Esattamente 50 [57...] anni fa, il 21 agosto 1968, le truppe di quattro Stati del Trattato di Varsavia attraversarono il confine con la Repubblica Socialista Cecoslovacca (ČSSR). Tra questi vi erano l'Unione Sovietica, la Polonia, l'Ungheria e la Bulgaria.
Cosa è successo prima, per giustificare il fatto che quattro governi socialisti decidessero di inviare truppe in un altro paese socialista?
Per la propaganda anticomunista borghese, il caso è chiaro e non si perde occasione per sfruttare gli eventi del 1968 in ČSSR per l'agitazione generale contro il socialismo: secondo quel tipo di propaganda, nella cosiddetta "Primavera di Praga" del 1968, un gruppo di riformatori comunisti aveva cercato di creare un "socialismo dal volto umano". Di conseguenza, i governanti del socialismo "disumano" e "dittatoriale" dell'Unione Sovietica si sono sentiti minacciati e hanno inviato il loro esercito per mantenere il loro dominio e impedire qualsiasi altro "modello" di socialismo. Il popolo disarmato si sarebbe opposto ai carri armati sovietici per difendere il nuovo modello di socialismo della ČSSR. È un fuoco d'artificio di ipocrisia: coloro che altrimenti condannano senza appello il socialismo scoprono improvvisamente le loro simpatie per il "socialismo dal volto umano". Mentre il massacro di Parigi, in cui la polizia francese uccise diverse centinaia di manifestanti nel Paese a noi confinante il 17 ottobre 1961, rimane in gran parte sconosciuto, ogni anno i giornali sono pieni di storie sulla "Primavera di Praga". Mentre i 70 anni di occupazione della Palestina non preoccupano la stampa borghese, il breve dispiegamento di truppe del Patto di Varsavia viene pubblicizzato come simbolo dell'"occupazione" in generale. Tutte queste rappresentazioni hanno in comune il fatto di lavorare con le emozioni e le immagini, ma non con i fatti e le argomentazioni. Non vogliono parlare di ciò che è realmente accaduto nella ČSSR nel 1968 e del perché è accaduto, vogliono dipingere il socialismo come un potere oscuro che può essere mantenuto solo con la forza delle armi contro la sua stessa popolazione.
Anche la Linke e varie organizzazioni trotskiste stanno suonando la stessa musica: la leader del partito anticomunista della Linke Katja Kipping ha tenuto a lungo una rivista chiamata "Primavera di Praga". Dal punto di vista del contenuto, è diretto principalmente contro il socialismo reale: "lo stalinismo, l'avanguardismo gretto e il filisteismo in divisa non sono compatibili con la Primavera di Praga", si legge nella sua descrizione. Anche i trotskisti della SAV (ndt: Alternativa Socialista) e di Marx21 presentano la "Primavera di Praga" come l'alba verso un socialismo rinnovato, migliore, perché non "burocratico". Sebbene questo risveglio sia stato poi purtroppo stroncato dai "carri armati russi", secondo Marx21, "la memoria positiva delle lotte del 1968 e del 1989 (!) è comunque rimasta". (Marx21 2018 ; Intervista con Mirek Voslon).
Il MLPD (ndt: Partito Marxista-Leninista di Germania, una formazione maoista) non valuta gli eventi in modo molto diverso: "la natura sanguinosa e aggressiva del social-imperialismo divenne evidente al mondo intero durante l'invasione e l'occupazione della Cecoslovacchia nell'agosto del 1968", scrive il fondatore del MLPD e autorità teorica di lunga data del partito Willi Dickhut (Dickhut 1988, p. 245).
Lo sviluppo della controrivoluzione nella ČSSR
La dichiarazione di Marx21 traccia giustamente un parallelo tra il 1968 e il 1989: in entrambi i momenti, le forze antisocialiste e filocapitaliste si sono mobilitate in Cecoslovacchia per prendere il potere e distruggere il socialismo. Nel 1989, sono riuscite a fare ciò che non erano riuscite a fare nel 1968.
I protagonisti del tentativo di rovesciamento controrivoluzionario nascosero solo parzialmente le loro intenzioni nel processo. Mentre in generale sfoggiavano l'ingannevole slogan del "socialismo dal volto umano" per ingannare il loro vasto seguito di massa nelle strade, in altre occasioni parlavano chiaro. Ciò vale in particolare per il vice primo ministro della Cecoslovacchia e, in una certa misura, il principale teorico economico della "Primavera di Praga", Ota Šik: in un'intervista al quotidiano ceco "Mladá Fronta" del 2 agosto 1990, ammise liberamente: "anche per alcuni comunisti riformisti, l'idea stessa di introdurre la proprietà privata era un peccato mortale. Quindi, anche la Terza Via era un inganno. Già allora ero convinto che l'unica soluzione per noi fosse il mercato capitalista a tutti gli effetti" (cit. Bilak 2006, p. 272).
Ma già nell'ottobre 1967 Šik dichiarò in un'intervista alla rivista "Osteuropa": "Ripristinare le condizioni di mercato è il nostro obiettivo e faremo passi in questa direzione. (...) Stiamo cercando di mettere le aziende sotto pressione attraverso la concorrenza (...)". Il 10.12.1968 disse in TV: "Vogliamo veri imprenditori e un mercato libero". "Gli investitori stranieri possono partecipare ai profitti. Dobbiamo pensare in modo pragmatico". Quando gli fu chiesto se riconosceva il movente del profitto, rispose affermativamente (citato in Bading/Martini 1977, p. 32; Opperskalski 2008).
Ma Šik non è stato l'unico. Il presidente della Banca di Stato della ČSSR, Eugen Löbl, tenne una conferenza a Bonn nel luglio 1968, "affermando che la ČSSR non avrebbe mai dovuto abbandonare il sistema dell'economia di mercato e che la 'socializzazione della proprietà privata' era solo una delle tante dimensioni, non meno dei cambiamenti del management o simili, e non era affatto un rimedio che, secondo Marx, avrebbe curato tutto". Il presidente dell'Unione degli scrittori cecoslovacchi e uno dei più importanti "riformatori" era il professor Goldstücker. In un'intervista alla Radio bavarese, rispose alla domanda sul ritorno a "certe forme" di proprietà privata dei mezzi di produzione: "Siamo all'inizio di un grande processo, non breve, e vorremmo che tutto non si cristallizzasse immediatamente in questo processo. Vorremmo che questo processo si svolgesse fino ai limiti delle sue possibilità, vorremmo tenere la fine aperta il più a lungo possibile" (tutto citato da Bading/Martini 1977, p. 32). In seguito Goldstücker divenne ancora più esplicito. Nel 1990 o 1991 avrebbe confessato: "Per noi Dubček e la sua gente erano solo una soluzione provvisoria, perché creare direttamente un ordine di base libero e democratico - senza queste deviazioni - sembrava troppo rischioso. Ma questo era il nostro obiettivo, fin dall'inizio" (cit. da Kukuk 2008). Non c'è bisogno di spiegare ulteriormente che il "libero ordine democratico di base" non significava altro che una "democrazia" borghese-capitalista basata sul modello dell'Europa occidentale.
Le memorie del comunista slovacco Vasiľ Biľak, che riconobbe il carattere controrivoluzionario del "processo di riforma" e vi si oppose, fanno luce sugli eventi: nel corso del 1968, le forze anticomuniste nel Partito Comunista di Cecoslovacchia osarono chiedere sempre più apertamente lo smantellamento del sistema socialista in nome della "democratizzazione". Il presidente del Parlamento Josef Smrkovský chiese al Comitato centrale di porre fine alla protezione del potere statale socialista contro i suoi nemici, legalizzando incondizionatamente tutte le organizzazioni politiche. Zdeněk Mlynář, anch'egli uno dei più importanti ideologi della "Primavera di Praga", chiese di separare il socialismo dal sistema politico, citando come modello la "democrazia" borghese occidentale. I "riformatori" diffusero così l'idea illusoria che potesse esistere il "socialismo" senza il potere della classe operaia (Bilak 2006, p. 54). Mlynář lavorava da anni in questa direzione: l'obiettivo era trasformare gradualmente lo Stato socialista in una democrazia borghese-occidentale, estromettendo così il partito comunista dal potere e distruggendo la capacità del socialismo di difendersi dalla controrivoluzione (Kukuk 2018). Il Segretario generale del Partito Alexander Dubček dichiarò apertamente nel Comitato centrale di maggio che il suo obiettivo era lo smantellamento graduale dello Stato: "Non possiamo permettere che la struttura di potere politico che abbiamo venga distrutta prima di averla gradualmente e ponderatamente sostituita con una nuova" (ibidem, p. 85). Poi, a luglio, nel CC si discusse del ritiro dal Patto di Varsavia e del fatto che la NATO sarebbe stata invitata a intervenire se gli ex alleati della comunità di Stati socialisti avessero cercato di impedirlo. Fu annunciata una repressione contro le forze del partito che si opponevano a questi piani (ibid., p. 110). I media erano ampiamente controllati dalle forze anticomuniste: solo i "riformisti" e gli anticomunisti dichiarati poterono far sentire la propria voce nei media, i difensori del socialismo no (ibid., p. 75). L'8 agosto, il quotidiano Literární Listy pubblicò un articolo che paragonava le politiche del Patto di Varsavia a quelle di Hitler. Il giornale Reportér pubblicò un altro articolo in cui si chiedeva apertamente la "liquidazione del potere assoluto di una casta burocratica" (ibid., p. 142). La radio, nel frattempo, iniziò a chiedere apertamente il linciaggio dei comunisti. Alla forca venivano appese bambole con i nomi dei funzionari del partito che si opponevano alla controrivoluzione (ibid., p. 159). Ciò minacciava di ripetere gli eventi del 1956 in Ungheria, quando comunisti e funzionari statali furono linciati dalla controrivoluzione in strada. Un testo di un gruppo controrivoluzionario diceva: "La legge che adotteremo deve vietare ogni attività comunista in Cecoslovacchia. Vieteremo l'attività del KPČ (Partito Comunista di Cecoslovacchia) e scioglieremo il KPČ" (citato in Opperskalski 2008).
A questo punto, tuttavia, le forze controrivoluzionarie tendevano già ad avere la maggioranza nel Presidium e nel Comitato centrale del partito, oltre che nel governo e nel parlamento. Secondo Biľak, a luglio non c'era più un solo organo dello Stato in grado di combattere la controrivoluzione. Molti comunisti dell'apparato e della base del partito furono molto turbati dagli sviluppi, soprattutto nella parte slovacca del Paese, molti comunisti e sostenitori del socialismo non iscritti al partito, così come settori dell'esercito e della polizia, annunciarono che avrebbero intrapreso la resistenza armata contro la controrivoluzione se fosse stato necessario. Nell'estate del 1968, la Cecoslovacchia era sull'orlo della guerra civile (Bilak 2006, p. 111 ss.): in seguito anche il Dipartimento di Stato americano valutò: "che l'azione sovietica era avvenuta perché il Partito comunista cecoslovacco aveva perso il controllo del Paese" (citato in ibid., p. 214).
La strategia dell'imperialismo contro il socialismo
Tutto questo non si è sviluppato nel vuoto. L'imperialismo statunitense ha perseguito per molti anni una strategia di infiltrazione nella comunità degli Stati socialisti, dopo aver capito che una reazione militare contro il socialismo non sarebbe stata possibile per il momento. Una componente essenziale di questa strategia era la promozione attiva del revisionismo nei partiti comunisti. Lo stratega reazionario statunitense Zbigniew Brzeziński la metteva così: "Sia moralmente che politicamente, la nostra politica dovrebbe combinare la costante richiesta di indipendenza nazionale con lo sforzo di trasformare pacificamente i governi comunisti sostenuti dai sovietici in una sorta di socialdemocrazie di tipo occidentale che sarebbero strettamente legate allo sviluppo socio-economico di tutta l'Europa". A loro avviso, gli Stati Uniti dovrebbero innanzitutto promuovere la "diversità" politica e le aspirazioni di "indipendenza" dall'Unione Sovietica come passo per indebolire il campo socialista, al fine di creare una "cintura neutrale di Stati" intorno all'Unione Sovietica. "Infine, la politica americana deve liberarsi completamente dell'impressione di sostenere il ripristino di un sistema economico di tipo occidentale nell'Europa orientale" (Brzeziński/Griffith 1961, p. 644).
Il 14 giugno 1968, Brzeziński tenne una conferenza a Praga su invito del Ministro degli Esteri cecoslovacco Hajek (!!), durante la quale parlò molto apertamente: "La nostra opinione è che oggi, 20 anni dopo la conclusione della guerra, le strutture politiche che c'erano prima stanno uscendo di nuovo allo scoperto. (...) Ribadisco che noi a New York siamo molto contenti di ciò che sta accadendo qui e pensiamo che sia positivo proprio per il fatto che fondamentalmente i vecchi valori si stanno realizzando qui in una nuova forma" (citato in Opperskalski 2008). Per strutture politiche preesistenti, lo stratega statunitense intendeva ovviamente il ritorno del regime capitalista in Cecoslovacchia.
Secondo Biľak, lo sviluppo controrivoluzionario fu guidato direttamente dagli Stati Uniti. Riferisce che la moglie di Dubček lo contattò alla fine di luglio preoccupata perché il marito stava collaborando con i controrivoluzionari: aveva sentito František Kriegel, uno dei leader più a destra della "Primavera di Praga", parlare con l'ambasciatore statunitense e ricevere da lui istruzioni. Come riportarono il Sunday Times e il Washington Post nell'agosto 1968, la CIA e il Servizio di Intelligence Federale della Germania Occidentale svolse un ruolo centrale nella costruzione di gruppi di opposizione in Cecoslovacchia dal febbraio 1968, con l'aiuto di agenti appositamente addestrati. Fu addirittura creata un'organizzazione armata paramilitare composta da 40.000 membri, che aveva allestito campi segreti con armi, attrezzature e macchine da stampa in tutto il Paese (cit. in Kukuk 2018). In questo modo, le forze controrivoluzionarie furono preparate per il colpo di Stato e la guerra civile.
Il veicolo centrale di questo rovesciamento controrivoluzionario, secondo le strategie statunitensi, doveva essere la socialdemocrazia. Günter Nenning, segretario dell'"Internazionale socialista" socialdemocratica negli anni Sessanta, scrisse all'epoca: "Il comunismo ha un futuro. Il suo futuro si chiama socialdemocrazia" (citato in Kukuk 2008). La trasformazione dei partiti comunisti in partiti socialdemocratici era quindi un obiettivo dichiarato.
L'ex presidente dell'Ufficio federale per la protezione della Costituzione della Germania occidentale, Günther Nollau, ricorda nelle sue memorie: "Il KPD era stato messo al bando nel 1956. Nello stesso anno si era svolto il XX Congresso del Partito del PCUS, nella cui riunione segreta Krusciov aveva attaccato ferocemente Stalin, screditando così il suo sistema. I comunisti intelligenti hanno discusso a quel tempo su quale strada si dovesse intraprendere. Era giusto mantenere lo stalinismo ortodosso o unirsi alla socialdemocrazia riformista nella sfera capitalista? Nei servizi segreti della Germania Ovest si era discusso animatamente su come stimolare queste discussioni e utilizzarle per i nostri scopi difensivi. Siamo giunti alla conclusione che una pubblicità aperta alla socialdemocrazia avrebbe reso più facile per i comunisti fedeli a Mosca etichettare ogni nuova idea come 'socialdemocratica' e rifiutarla. A uno di loro venne l'idea di propagandare una 'Terza Via', un sentiero stretto che per essere percorso richiedeva la capacità di stare in equilibrio tra il comunismo ortodosso e la socialdemocrazia riformista". I servizi segreti fondarono quindi un giornale chiamato "Terza Via", che criticava sia lo "stalinismo", cioè i Paesi socialisti, sia, per non destare sospetti, il capitalismo della Repubblica Federale Tedesca (Nollau 1979, p. 226 e seguenti). Il cosiddetto "comunismo riformatore" o "socialismo dal volto umano" in Cecoslovacchia rappresentava proprio questa "terza via". In realtà, naturalmente, la "terza" via non è mai stata altro che la "prima", cioè il ritorno al capitalismo.
Nella ČSSR, a giugno si formò un "Comitato centrale del Partito socialdemocratico" provvisorio. I socialdemocratici pretendevano ora di partecipare al potere e facevano apertamente propaganda per il loro nuovo partito. La formazione del nuovo partito fu accolta con favore dai media (Opperskalski 2008; Bilak 2006, p. 61).
L'atteggiamento dei paesi socialisti
Gli altri Paesi socialisti richiamarono ripetutamente l'attenzione dei dirigenti del partito cecoslovacco sull'enorme pericolo in cui si trovava il socialismo della ČSSR. In occasione di un vertice tenutosi a marzo, i leader dei vari Paesi discussero ampiamente il problema e sollecitarono l'adozione di misure contro la controrivoluzione. Lo stesso si è ripetuto durante una visita di Dubček a Mosca in maggio. Tuttavia, la leadership praghese non prese nessuna misura e la maggioranza continuò a fare il tifo per la controrivoluzione. Il 15 luglio, l'Unione Sovietica, la Polonia, l'Ungheria, la Bulgaria e la DDR si riunirono a Varsavia per discutere gli sviluppi della ČSSR: quest'ultima fu invitata, ma non volle partecipare. I dirigenti del partito presenti firmarono una lettera congiunta al CC del PCČ in cui espressero ancora una volta la loro profonda preoccupazione e chiesero urgentemente contromisure contro la controrivoluzione: "Non vedete questo pericolo, compagni? Potete rimanere passivi in questa situazione, limitandovi a dichiarazioni e assicurazioni di fedeltà al socialismo e agli obblighi dell'alleanza, senza compiere passi concreti? Non vedete che la controrivoluzione sta strappando una posizione dopo l'altra, che il partito sta perdendo il controllo sul corso degli eventi e si sta ritirando sempre di più di fronte alla pressione delle forze anticomuniste?", si leggeva nella lettera.
Non si poteva "accettare che forze ostili spingessero il vostro Paese fuori dalla strada del socialismo e creassero il pericolo di una separazione della Cecoslovacchia dalla comunità socialista. Non sono più affari solo vostri. Questi sono gli affari comuni di tutti i partiti comunisti e operai e di tutti gli Stati uniti dall'alleanza, dalla cooperazione e dall'amicizia".
E infine: "Siamo convinti che si sia creata una situazione in cui la minaccia alle fondamenta del socialismo in Cecoslovacchia mette in pericolo gli interessi vitali comuni degli altri Paesi socialisti. I popoli dei nostri Paesi non ci perdonerebbero mai un atteggiamento indifferente e noncurante di fronte a un tale pericolo" (Lettera della Conferenza di Varsavia a Praga, 15 luglio 1968). Con questo annunciarono che non sarebbero rimasti semplicemente a guardare il ritorno della ČSSR al capitalismo.
Anche molti comuni comunisti e cittadini dei Paesi socialisti vicini hanno condiviso le preoccupazioni dei loro leader di partito e dei loro governi. Nella DDR, il 19 luglio il quotidiano Neues Deutschland ha pubblicato numerose lettere in cui si esprimeva il proprio accordo con la lettera aperta della Conferenza del Vertice di Varsavia. Una sezione sindacale di Berlino, ad esempio, scrisse: "L'attuale sviluppo nella ČSSR ci preoccupa molto, perché rappresenta una minaccia non solo per le fondamenta del socialismo in Cecoslovacchia, ma anche per gli interessi vitali comuni degli altri Paesi socialisti". Un segretario di partito di una cooperativa di produzione agricola ha scritto: "Abbiamo considerato ogni successo dei braccianti nella ČSSR come un nostro successo (...). Pertanto, non possiamo e non permetteremo all'imperialismo di toccare questa conquista e di staccare un pezzo di questa comunità." (Neues Deutschland 19.7.1968).
Tutti questi appelli, basati su una sincera preoccupazione, furono gettati al vento dalla maggioranza opportunista di destra della direzione del partito, così come gli avvertimenti delle forze marxiste del PCČ intorno a Gustáv Husák, Alois Indra e Vasiľ Biľak. Infine, alcuni Stati del Trattato di Varsavia decisero per l'intervento armato, come ultima risorsa per prevenire la controrivoluzione: il 21 agosto le truppe attraversarono il confine cecoslovacco per ristabilire l'ordine. I "riformatori" si comportarono in modo tutt'altro che pacifico: circa 100 cittadini della ČSSR e 58 soldati dei Paesi socialisti morirono negli scontri (Bilak 2006, p. 168). Questo rapporto numerico dimostra da solo che, contrariamente alla propaganda anticomunista, non si trattava della brutale repressione di proteste pacifiche da parte dell'esercito, ma di scontri con forze armate antisocialiste.
L'intervento militare non pose immediatamente fine all'opera della controrivoluzione, poiché non mirava a rovesciare il governo, ma solo a mettere sotto controllo le dinamiche anticomuniste. Tuttavia, diede alle forze marxiste del PCČ lo spazio necessario per mobilitare le proprie forze e riportare il Paese sulla strada del socialismo. Nell'aprile 1969 ottennero un'importante vittoria: il segretario generale opportunista Alexander Dubček fu rimosso dal suo incarico e sostituito da Gustáv Husák.
Conclusioni
Qualsiasi esame ragionevolmente imparziale dei fatti deve concludere che la cosiddetta "Primavera di Praga" fu una vera e propria controrivoluzione che fu impedita solo dall'intervento degli Stati del Patto di Varsavia. Da un punto di vista comunista, questo intervento era quindi senza alternative e corretto: si trattava di un atto legittimo di autodifesa contro le strategie antisocialiste degli imperialisti occidentali e la controrivoluzione interna, ma anche di un atto di internazionalismo proletario. 58 Soldati di altri Paesi hanno pagato con la loro vita perché i cechi e gli slovacchi vivessero sotto il socialismo per altri 20 anni: l'alternativa sarebbe stata che la ČSSR sarebbe tornata al capitalismo e le conquiste della classe operaia sarebbero state in gran parte distrutte. Sarebbe stata aperta un'enorme breccia nel sistema di difesa degli Stati socialisti e sarebbe stata solo una questione di tempo prima che la NATO penetrasse in questa breccia - perché il fatto che quest'ultima non avesse intenzione di mantenere nessuna delle promesse sulla "neutralità" dei Paesi dell'Europa dell'Est è chiaro fin dagli anni '90. La "Primavera di Praga" è stata quindi un gioco estremamente pericoloso da parte dei "riformatori" controrivoluzionari, che avrebbe potuto aumentare in modo massiccio le tensioni tra la NATO e il Trattato di Varsavia e portare il mondo sull'orlo della guerra nucleare.
Allo stesso tempo, gli eventi furono anche tragici per almeno due aspetti: fu tragico che molti cecoslovacchi, pur essendo in qualche modo diffusamente favorevoli al socialismo, si radunarono sotto lo slogan del "socialismo dal volto umano" e si lasciarono così imbrigliare dal carro delle forze pro-capitaliste per smantellare il socialismo. Il PCČ non era riuscito a conquistare queste persone in modo permanente per il sistema socialista realmente esistente, così che i problemi sociali reali divennero rapidamente un motivo per voltare le spalle all'intero sistema. Tuttavia, il "socialismo dal volto umano" è sempre stato uno slogan anticomunista nel suo nucleo, perché si basava su un'immagine massicciamente distorta del socialismo esistente, permeata dalla propaganda borghese - era implicitamente diffamato come "disumano", il che non rendeva giustizia alla complessa realtà della costruzione socialista né era in alcun modo una critica costruttiva dei difetti e delle carenze del sistema socialista. Un'analisi più attenta del concetto di questo "socialismo" sulla base delle dichiarazioni dei suoi rappresentanti rivela poi anche di cosa si trattava in realtà: al massimo un capitalismo regolato dallo stato sociale, senza potere della classe operaia e senza la guida del partito comunista.
Molti dei manifestanti erano certamente ancora convinti di lottare per un socialismo migliore, mentre le forze autoritarie avevano da tempo impostato il percorso in una direzione completamente diversa - alcuni di loro hanno pagato le loro illusioni con la vita. Molti di loro non capivano nemmeno perché gli alleati dovessero intervenire, come dimostrano i numerosi episodi di discussioni furiose tra soldati e cittadini.
In secondo luogo, la tragedia del 1968 risiede anche nel fatto che, sebbene il socialismo fosse stato salvato per il momento grazie all'intervento militare, il tempo guadagnato non fu stato utilizzato per risolvere i problemi esistenti. In particolare, il revisionismo, la penetrazione dell'ideologia borghese nei partiti comunisti, fu combattuto solo nelle sue manifestazioni più aperte, ma non in modo sostanziale. La diffusione delle posizioni revisioniste nei partiti comunisti dopo la Seconda guerra mondiale e soprattutto dopo il XX Congresso del PC dell'Unione Sovietica del 1956 aveva solo preparato ideologicamente la controrivoluzione nella ČSSR. Tuttavia, questo processo non si è fermato nel 1968, ma ha subito una battuta d'arresto solo in un Paese: idee che assomigliano al "socialismo dal volto umano" continuavano ad essere presenti in alcuni partiti comunisti. Pertanto, gli sviluppi nella ČSSR nel 1968 furono un modello abbastanza accurato di ciò che sarebbe accaduto due decenni dopo nell'Unione Sovietica e altrove. Anche lì le forze filocapitaliste sono apparse inizialmente con lo slogan di un "rinnovamento" del socialismo, addirittura di un "ritorno a Lenin". Tuttavia, questo non ha mai significato un approfondimento del carattere socialista dei rapporti di produzione, ma piuttosto il loro indebolimento e la loro eventuale abolizione.
Infine, anche la discussione sull'intervento nella ČSSR fu un bivio per tutti i partiti comunisti. Quelli tra loro in cui le posizioni opportuniste di destra avevano già preso piede con maggior forza condannarono l'intervento. Questo è comprensibile; dopo tutto, era diretto contro le conseguenze della socialdemocratizzazione dei partiti comunisti, in cui essi stessi erano coinvolti: questo vale soprattutto per il PC italiano e francese. Tuttavia, il PC cinese e il Partito del Lavoro d'Albania, che avevano rotto con l'Unione Sovietica all'inizio degli anni Sessanta e consideravano la sua leadership come revisionista, non si comportarono meglio. L'Albania approfittò dell'intervento per uscire definitivamente dal Trattato di Varsavia e invitò seriamente la popolazione alla resistenza armata. Il PC cinese definì la soppressione della controrivoluzione un "atto spudorato" e mise l'Unione Sovietica sullo stesso piano degli USA (Spiegel 26.8.1968). Entrambi i partiti hanno così dimostrato che l'impostazione della loro critica all'opportunismo della leadership sovietica era essa stessa opportunista e faceva il gioco dell'imperialismo. All'epoca, proprio come il MLPD e altri gruppi di oggi, partivano dalla visione non scientifica e non marxista che il capitalismo fosse già stato restaurato come "capitalismo di Stato" nell'Unione Sovietica e nei Paesi socialisti dell'Europa orientale. In questo modo non potevano più riconoscere il carattere controrivoluzionario degli sviluppi in ČSSR, poiché dal loro punto di vista non c'era più alcun socialismo da difendere. Tuttavia, tali idee non hanno mai avuto molto a che fare con la realtà.
Il compito dei comunisti oggi è quello di contrastare la falsificazione borghese e opportunista della storia riguardo alla cosiddetta "Primavera di Praga" e di insistere sulla verità storica: nel 1968, una grande vittoria della controrivoluzione e dell'imperialismo occidentale era imminente nella ČSSR e solo l'intervento dei Paesi socialisti l'ha impedita - con tutte le conseguenze disastrose che avrebbe avuto per la classe operaia cecoslovacca ed europea.
Bibliografia
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Kukuk, Klaus 2008: Democratizzazione o controrivoluzione? "Primavera di Praga": contesto, contesti, effetti a lungo termine, online: http://www.dkp-online.de/uz/4034/s1501.htm; http://www.dkp-online.de/uz/4035/s1501.htm (ndt: link irreperibili, purtroppo)
Kukuk, Klaus 2018: Una scelta non piacevole, junge Welt, 20.8.2018.
Marx21 2018: Il risveglio del 1968. La Primavera di Praga, online: https://www.marx21.de/aufbruch-1968-der-prager-fruehling/ ;
"Neues Deutschland" del 19.7.1968.
Nollau, Günter 1979: L'ufficio. 50 anni di testimonianza storica, Wilhelm Goldmann Verlag, Monaco.
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