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Un incontro ad Harlem: Malcolm X, Fidel Castro e la lotta per Palestina

Manolo De Los Santos * | struggle-la-lucha.org
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

19-25/09/2025

Nel settembre 1960, nel cuore dell'America nera, l'Hotel Theresa di Harlem fu palcoscenico di uno degli incontri epocali nel mondo.



Quando Malcolm X e Fidel Castro si incontrarono lì 65 anni fa, Harlem stessa fremette di fervore rivoluzionario. L'incontro avrebbe lasciato un segno indelebile non solo a New York City ma in tutto il mondo, diventando un momento di svolta che contribuì a plasmare la coscienza di generazioni di combattenti per la libertà e accelerò il ritmo della lotta per la liberazione negli Stati Uniti e in tutto il mondo.

L'incontro tra Fidel e Malcolm X all'Hotel Theresa non fu una semplice occasione per scattare qualche foto, ma un potente simbolo di un'era di rivoluzioni e lotte di liberazione nazionale cristallizzata nell'abbraccio tra due giovani rivoluzionari che affrontavano l'ira dell'impero statunitense e lanciavano un potente messaggio contro l'egemonia degli Stati Uniti e l'oppressione razziale.

Questo evento, nato dalle circostanze e dall'audacia, continua ad avere una profonda rilevanza oggi, in particolare nel contesto dei dibattiti globali sull'autodeterminazione e della lotta in corso per la liberazione della Palestina. Come la rivoluzione cubana del 1960, che incarnava i sogni e le aspirazioni dei popoli oppressi di tutto il mondo, la causa palestinese e il popolo di Gaza oggi rappresentano una bussola per coloro che cercano di cambiare il mondo. Lo spirito di resistenza incrollabile di Gaza è diventato un potente simbolo per una nuova generazione di attivisti che lottano per la liberazione in tutto il mondo.

L'ostilità degli Stati Uniti e l'accoglienza di Harlem

La visita di Fidel a New York per la 15a sessione dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite fu accolta con ostilità dall'establishment statunitense. Quando Fidel e la delegazione cubana furono inizialmente prenotati allo Shelburne Hotel in centro, la direzione chiese un cospicuo deposito in contanti di 20.000 dollari per "danni" e il Dipartimento di Stato americano limitò i loro spostamenti. Si trattò di un chiaro attacco politico, parte della più ampia campagna statunitense per isolare la giovane rivoluzione cubana, mentre i sabotaggi e gli attacchi terroristici della CIA sull'isola cominciavano a intensificarsi.

Fu in questo momento di tensione diplomatica che intervenne un gruppo di leader neri, tra cui Malcolm X. Invitarono Fidel e la delegazione cubana a trasferirsi all'Hotel Theresa, un faro della vita culturale e politica afroamericana ad Harlem. Fidel accettò, trasformando un insulto diplomatico in una potente dichiarazione politica contro il tentativo dell'amministrazione Eisenhower di zittirlo. Trasferendosi ad Harlem, Fidel avrebbe creato un grattacapo a Washington, mettendo intenzionalmente in evidenza l'ipocrisia di una nazione che si proclamava paladina della democrazia e della libertà all'estero, mentre i suoi cittadini neri subivano una segregazione e un'oppressione sistematiche in patria.

L'atmosfera ad Harlem era elettrizzante. Migliaia di persone, sfidando la pioggia, si radunarono fuori dall'Hotel Theresa per acclamare il leader rivoluzionario, a testimonianza del sostegno popolare degli afroamericani alla lotta di Cuba contro l'imperialismo statunitense. Come scrisse in seguito Malcolm X nella sua autobiografia, Fidel "realizzò un colpo psicologico sul Dipartimento di Stato americano che volendolo confinare a Manhattan, finì per agevolare la permanenza nella zona nord di Harlem, facendo grande impressione tra i neri".

Rosemari Mealy, nella sua opera Fidel & Malcolm X: Memories of a Meeting, sottolinea il profondo significato di questa mossa. Lei osserva che l'incontro simboleggiava "il rispetto che entrambi gli uomini esprimevano l'uno verso l'altro" e la loro lotta comune per l'autodeterminazione e la liberazione nazionale. Tra le migliaia di persone che si erano radunate fuori dall'hotel, "cominciò a diffondersi l'idea che Castro era venuto perché aveva scoperto, come avevano sperimentato la maggior parte dei neri, il modo orrendo in cui venivano trattati gli emarginati". Fidel era visto come un rivoluzionario che aveva "mandato al diavolo l'America bianca", come scrisse un giornale nero dell'epoca. Questo potente sentimento risuonò profondamente all'interno della comunità.

Incontro antimperialista nel cuore di Harlem

L'incontro all'Hotel Theresa fu un momento cruciale nella storia dell'internazionalismo e della solidarietà antimperialista. Dimostrò una chiara comprensione del fatto che la lotta contro l'oppressione razziale e per i diritti umani negli Stati Uniti era indissolubilmente legata alla lotta contro il colonialismo e l'imperialismo all'estero. Questo è un tema centrale esplorato da studiosi come Rosemari Mealy nel suo lavoro, che raccoglie testimonianze e riflessioni di prima mano, sottolineando come l'incontro simboleggiasse un'era di decolonizzazione e di lotte per i diritti umani tra i popoli neri e del Terzo Mondo a livello globale. Si trattò di un forte rifiuto della narrativa della Guerra Fredda che cercava di dipingere questi movimenti come isolati e illegittimi.

L'incontro mise a nudo l'ipocrisia delle affermazioni degli Stati Uniti di essere un faro di libertà, mentre i propri cittadini neri subivano una segregazione e una violenza sistematiche, non solo nel sud degli Stati Uniti sotto le leggi Jim Crow, ma anche nei centri urbani del nord. La decisione di Fidel di trasferirsi ad Harlem e i suoi successivi incontri con leader mondiali come Jawaharlal Nehru dell'India e Gamal Abdel Nasser dell'Egitto nella sua "nuova sede" lo trasformarono in una figura globale. Come scrive Simon Hall in Ten Days in Harlem, le azioni di Fidel hanno messo in evidenza che "la macchia della segregazione era viva e vegeta nel nord urbano". L'immagine dell'Hotel Theresa, una struttura di proprietà di neri, che fungeva da centro nevralgico per i leader mondiali che sfidavano il potere degli Stati Uniti, era una manifestazione tangibile dell'ascesa del progetto di sovranità e indipendenza del Terzo Mondo in fase di realizzazione.

Il 24 settembre, l'atmosfera nella stanza di Fidel all'Hotel Theresa era elettrica, una piccola stanza brulicante dell'energia di una giovane rivoluzione. Era affollata di guerriglieri cubani, giovani che erano scesi dalle montagne della Sierra Maestra meno di due anni prima. A 34 anni, Fidel stesso era un turbine: la sua famosa barba e la sua divisa verde oliva irradiavano un'energia irrequieta. La stanza, ingombra di bozze del suo imminente discorso alle Nazioni Unite e di telegrammi sparsi, fungeva da quartier generale improvvisato. Di fronte a lui sedeva Malcolm X, 35 anni, che, con un abito elegante e una presenza altrettanto autorevole, incarnava il movimento di liberazione dei neri sempre più militante negli Stati Uniti. L'incontro fu uno scambio profondo, anche se breve, tra due uomini che riconoscevano l'uno nell'altro lo specchio delle loro lotte, una lotta condivisa per ciò che Fidel avrebbe poi definito, due giorni dopo, nel suo storico discorso di quattro ore alle Nazioni Unite, "la piena dignità umana" di tutti i popoli oppressi. Solo pochi giornalisti neri furono ammessi all'interno, dove Fidel, parlando in inglese, espresse la sua ammirazione per la resilienza degli afroamericani. "Ammiro questo", disse. "La vostra gente vive qui e deve affrontare questa propaganda continuamente, eppure capisce. Questo è molto interessante". La risposta di Malcolm X fu succinta e potente: "Siamo venti milioni e capiamo sempre". Mentre lasciava l'hotel, di fronte a una folla di giornalisti ostili che gli chiedevano della sua simpatia per i cubani, Malcolm X rispose con tono di sfida: "Per favore, non diteci chi dovrebbero essere i nostri amici e chi i nostri nemici".

Sebbene Fidel e Malcolm X non si sarebbero mai più incontrati di persona, le loro vite si intrecciarono grazie al loro comune impegno per l'internazionalismo. Pochi anni dopo il loro storico incontro, Malcolm X si recò a Gaza, dove incontrò la neonata Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP) e scrisse il suo potente saggio Zionist Logic (La logica sionista), descrivendo il sionismo come "una nuova forma di colonialismo". Questa solidarietà rispecchiava quella della rivoluzione cubana; anche precedenti delegazioni cubane, tra cui si annoverarono Raúl Castro e Che Guevara, avevano visitato Gaza, e Cuba sarebbe diventata uno dei primi paesi a riconoscere sia l'OLP che lo Stato palestinese.

Da Harlem alla Palestina

L'eco dell'incontro del 1960 risuona con forza nell'imminente 80° Assemblea Generale delle Nazioni Unite. I principi fondamentali che hanno definito l'incontro tra Fidel e Malcolm X, l'autodeterminazione, l'antimperialismo e la piena dignità dei popoli oppressi, sono oggi oggetto di intense controversie. Ciò è particolarmente evidente nel genocidio in corso in Palestina, dove da quasi due anni Israele, con il sostegno incondizionato degli Stati Uniti, cerca di sterminare il popolo palestinese a Gaza attraverso una brutale campagna di guerra senza fine, assedio e carestia provocata dall'uomo.

Oggi la lotta dei palestinesi rispecchia il blocco oppressivo e l'assedio genocida che Cuba ha subito per decenni. Mentre la lotta di Cuba contro il blocco e le sanzioni degli Stati Uniti è stata una lunga guerra di logoramento, caratterizzata da un calcolato oscuramento dal ciclo delle notizie, l'esperienza palestinese è stata quella di una carneficina costante e viscerale. I media statunitensi e occidentali delegittimano costantemente la realtà di entrambi i popoli, ma questi differiscono nella loro immediatezza e brutalità. La solidarietà che Malcolm X ha mostrato a Cuba, vedendo in Fidel uno spirito affine nella lotta contro il potente impero statunitense, è lo stesso spirito che anima oggi i movimenti filopalestinesi. Proprio come Fidel e Malcolm X hanno riconosciuto la loro causa comune, una nuova generazione di attivisti in tutto il mondo sta collegando sempre più la lotta palestinese ai propri movimenti anticolonialisti, antirazzisti e di liberazione. In tutti i continenti, la bandiera palestinese e la kefiah sono diventate parte integrante della lotta per l'autodeterminazione. Milioni di giovani in tutto il mondo sfidano oggi il dominio dell'egemonia statunitense e riportano al centro del dibattito il diritto umano fondamentale di tutti i popoli oppressi di vivere liberi dall'imperialismo attraverso la lente della lotta palestinese.

Le dinamiche dell'incontro del 1960 si riflettono nei dibattiti attuali alle Nazioni Unite. Il governo degli Stati Uniti continua a usare il proprio potere per soffocare l'opposizione e punire coloro che contestano la sua agenda di politica estera, in particolare per quanto riguarda la Palestina. La decisione senza precedenti presa il 29 agosto 2025 dal Segretario di Stato Marco Rubio di negare i visti all'intera delegazione palestinese ne è un chiaro esempio. In una dichiarazione, Rubio ha chiarito che gli Stati Uniti useranno la loro autorità in materia di visti per promuovere la loro agenda politica, affermando: "È nell'interesse della nostra sicurezza nazionale ritenere l'OLP e l'Autorità Palestinese responsabili del mancato rispetto dei loro impegni e di aver compromesso le prospettive di pace".

Questo atto di isolamento diplomatico, molto simile al trattamento riservato a Fidel nel 1960, è volto a delegittimare la causa palestinese e a impedirle di continuare a guadagnare terreno sulla scena mondiale. Nonostante le contraddizioni sollevate dal ruolo dell'Autorità Palestinese come unico rappresentante del popolo palestinese alle Nazioni Unite, è importante riconoscere che si tratta di un tentativo di mettere a tacere un popolo la cui stessa esistenza è sotto assedio. Tuttavia, la questione più scottante è che la risposta della comunità internazionale al genocidio in corso a Gaza deve andare oltre le semplici espressioni di solidarietà. Sebbene diversi paesi europei e alleati degli Stati Uniti siano pronti a riconoscere formalmente lo Stato palestinese, questo gesto da solo non sarà sufficiente a porre fine al genocidio e alla carestia provocata. L'ONU deve andare oltre il riconoscimento simbolico e intraprendere azioni concrete. Come minimo, ciò deve includere sanzioni contro Israele e uno sforzo concertato per porre fine al blocco di Gaza. Inoltre, sulla base del diritto internazionale e delle accuse di crimini di guerra e crimini contro l'umanità, la presenza di Netanyahu o di qualsiasi rappresentante israeliano all'Assemblea Generale delle Nazioni Unite dovrebbe essere respinta. Come può l'ONU ospitare in modo credibile individui che sono stati ritenuti responsabili di aver progettato e eseguito atrocità di massa?

La lotta per la Palestina oggi, simile alla lotta di Cuba contro il blocco, è una lotta per l'autodeterminazione. Le lezioni dell'incontro tra Fidel e Malcolm X sono chiare: la solidarietà tra i movimenti è un'arma potente contro l'imperialismo. Sessantacinque anni dopo, traiamo ancora ispirazione da quell'incontro breve ma monumentale ad Harlem, imparando che la solidarietà non è un semplice gesto, ma uno strumento vitale nella lotta per la liberazione.

*) Manolo De Los Santos è Direttore esecutivo di The People's Forum e ricercatore al Tricontinental: Institute for Social Research. I suoi scritti appaiono con regolarità su Monthly Review, Peoples Dispatch, CounterPunch, La Jornada, e altri media progressisiti. Di recente ha curato Viviremos: Venezuela vs. Hybrid War (LeftWord, 2020), Comrade of the Revolution: Selected Speeches of Fidel Castro (LeftWord, 2021), and Our Own Path to Socialism: Selected Speeches of Hugo Chávez (LeftWord, 2023).


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