www.resistenze.org - pensiero resistente - dibattito teorico - 17-12-12 - n. 434

Per la ricostruzione di un sindacato di classe in Italia
 
Dario Ortolano, Coordinatore della Direzione Nazionale di CSP-PC
 
dicembre 2012
 
Le premesse teoriche
 
La lotta dei comunisti per un orientamento di classe delle organizzazioni sindacali è nata insieme al nostro movimento, cioè alla metà del secolo XIX, ma ha assunto toni particolarmente caratterizzanti e specifici di lotta politica e teorica contro le correnti riformiste ed opportuniste insite nel movimento operaio, all'inizio del XX secolo, in particolare con lo sviluppo del pensiero di Lenin.
 
Sul finire del secolo XIX, la teoria marxista si rafforza, ma le grandi organizzazioni politiche socialdemocratiche sono principalmente impegnate nella lotta parlamentare e nelle rivendicazioni di carattere economico. Si assiste al risveglio politico del movimento operaio mediante gli scioperi, ma l'eclettismo teorico ed organizzativo domina nelle componenti politiche organizzate.
 
Il "Che fare" di Lenin appare in questo contesto ed è l'opera essenziale per combattere e sconfiggere il revisionismo politico ed ideologico che prendeva piede in tutta Europa dopo la pubblicazione, nel 1899, dell'opera di E. Bernstein "I principi del socialismo".
 
Lenin accusa il bernsteinismo di predicare la teoria dell'attenuazione degli antagonismi sociali e l'insensatezza della idea della rivoluzione e della dittatura del proletariato, riducendo il movimento operaio e la lotta di classe ad un gretto rivendicazionismo economico ed alla richiesta di piccole riforme graduali.
 
In questo contesto, Lenin afferma che "… senza teoria rivoluzionaria non vi può essere movimento rivoluzionario.." e che "… solo un partito guidato da una teoria d'avanguardia può adempiere la funzione di combattente di avanguardia …" ricordando le osservazioni di F. Engels del 1874 in base a cui "… il socialismo, da quando è diventato una scienza, va trattato come una scienza, cioè va studiato."
 
Lenin polemizza nel "Che fare ?" con le accuse della rivista "Raboceie Dielo" verso il giornale "Iskra", di sottovalutare l'importanza dell'elemento spontaneo dello sviluppo delle lotte operaie e sviluppa il tema del rapporto fra coscienza e spontaneità delle lotte.
 
Lenin afferma che "La storia di tutti i paesi attesta che la classe operaia, con le sue sole forze, è in grado di elaborare soltanto una coscienza tradunionista, cioè la convinzione della necessità di unirsi in sindacati, di condurre la lotta contro i padroni e di reclamare dal governo questa o quella legge necessarie agli operai". "Una ideologia indipendente,elaborata dalle stesse masse operaie nel corso del loro movimento, non può nascere spontaneamente dalle lotte, ma portata soltanto da una avanguardia cosciente che la elabora e se ne fa portatrice. Così è nata l'ideologia socialista."
 
Infatti, i comunisti dirigono la lotta della classe operaia non soltanto per ottenere condizioni vantaggiose di vendita della forza-lavoro, ma anche per abbattere il regime sociale che costringe i nullatenenti a vendersi ai ricchi. Perciò, i comunisti non soltanto non possono limitarsi alla lotta economica, ma devono occuparsi attivamente dell'educazione politica della classe operaia e dello sviluppo della sua coscienza politica, promuovendo l'agitazione e la propaganda a proposito di ogni manifestazione concreta della oppressione politica e sociale di classe.
 
La lotta per le riforme, per miglioramenti economici è, quindi, solo il punto di partenza di una più ampia lotta per la libertà ed il socialismo. Perciò, la coscienza politica di classe può essere portata all'operaio solo dall'esterno della lotta economica e dall'esterno della sfera dei rapporti fra operai e padroni.
 
I sindacati,all'inizio dello sviluppo del capitalismo, sono fattori di organizzazione e di avanzamento della condizione sociale della classe operaia, in quanto permettono il passaggio dalla condizione di dispersione ed impotenza in cui si trovano gli operai alle prime forme di unità di classe. In tutti i paesi del mondo, il proletariato si è sviluppato per mezzo dei sindacati ed attraverso l'azione reciproca tra i sindacati ed il partito della classe operaia e dei lavoratori.
 
Lenin, nella sua opera "L'estremismo, malattia infantile del comunismo" del 1920 afferma che "Bisogna saper sopportare qualsiasi sacrificio, superare grandi ostacoli, per svolgere una propaganda ed una agitazione sistematiche, tenaci, costanti e pazienti proprio nelle istituzioni, nelle società, nelle leghe, anche le più reazionarie, dovunque si trovino le masse proletarie o semiproletarie. I sindacati e le cooperative operaie sono le organizzazioni dove si trovano le masse."
 
Nella stessa direzione,si sviluppa il pensiero di Antonio Gramsci che, sulla base dell'esempio della rivoluzione sovietica, compie alcune riflessioni sia relativamente alla tattica sindacale dei comunisti nel condurre l'opposizione al capitalismo, sia relativamente al ruolo dei consigli di fabbrica nella crescita della coscienza proletaria che nella definizione delle nuove istituzioni dello Stato Socialista.
 
In un articolo del giugno 1920 sull' "Ordine Nuovo" egli afferma: "I comunisti, costituendosi in gruppi organizzati permanentemente nei sindacati e nelle fabbriche, devono trasmettere in essi le concezioni, le tesi e la tattica della III Internazionale, devono influenzare la disciplina sindacale determinandone i fini, devono influenzare le deliberazioni dei consigli di fabbrica e far diventare coscienza ed organizzazione rivoluzionarie gli impulsi alla ribellione che scaturiscono dalla condizione operaia determinata dal capitalismo."
 
Inoltre, in un editoriale su "L'Ordine Nuovo" dell'ottobre 1919, intitolato "Sindacati e Consigli" egli afferma che "... la Confederazione Generale del Lavoro attraversa una crisi costituzionale. Gli operai sentono che il complesso della loro organizzazione è diventato un enorme apparato che ha finito per ubbidire a leggi proprie ed estranee alla massa che ha acquistato coscienza della sua missione storica di classe rivoluzionaria. La dittatura proletaria può incarnarsi in un tipo di organizzazione specifica della attività propria dei produttori e non dei salariati,schiavi del capitale. Il Consiglio di fabbrica è la prima cellula di questa organizzazione, poiché nel Consiglio tutte le branche del lavoro sono rappresentate proporzionalmente al contributo che ogni mestiere ed ogni branca di lavoro da alla definizione del bene finale che la fabbrica produce per la collettività. Perciò, il Consiglio realizza l'unità della classe lavoratrice, da alle masse una coesione ed una forma dello stesso tipo che esse assumono nella organizzazione della società e da agli operai la diretta responsabilità della produzione, conducendoli a migliorare il loro lavoro, instaurando una disciplina cosciente e volontaria, con la creazione di una psicologia del produttore, creatore della storia. Per queste ragioni, il Consiglio di fabbrica può diventare l'impalcatura fondamentale dello Stato proletario."
 
Tuttavia, in Europa, le vicende politiche non dispiegarono le concrete possibilità di sperimentare un tale progetto e, con l'avvento del fascismo e la messa fuori legge di ogni organizzazione sociale e politica del proletariato, diventò necessario, per lunghi anni, lavorare clandestinamente dentro le organizzazioni sociali e sindacali del regime.
 
Con la sconfitta del fascismo, si ricostituì la Confederazione Generale Italiana del lavoro, che rappresenterà, tuttavia, una breve parentesi della storia del movimento sindacale italiano, poiché, con l'inizio della guerra fredda, anche il sindacato ne subirà gli effetti con la scissione di Cisl e Uil come sindacati gialli e filo padronali. La Cgil stessa subirà l'influenza del dilagare nel Pci, dopo il 1956, del riformismo e del revisionismo, che caratterizzerà negativamente, dal dopoguerra ad oggi, tutta la storia del movimento operaio italiano, europeo e mondiale.
 
Il nostro progetto politico
 
Oggi, la classe operaia ed i lavoratori italiani vivono una situazione di debolezza politica e frammentazione sindacale. Noi, lavoriamo per ricostruire il Partito Comunista che operi, immediatamente, per ristabilire l'unità della classe operaia e per creare, attorno ad essa, un blocco sociale di forze che raggruppi lavoratori della città e della campagna, giovani e donne del mondo del precariato, lavoratori della cultura e della scienza, strati di piccola borghesia, piccoli imprenditori, piccoli commercianti ed artigiani, auto-impiegati, oppressi dal capitale monopolistico e proletarizzati dalla crisi.
 
Questo blocco sociale, organizzato in un Fronte Unitario dei Lavoratori, deve diventare, sotto la guida del Partito, il soggetto della rivoluzione proletaria in Italia, con la finalità di abbattere il capitalismo, strappare il potere politico alla borghesia, instaurare la dittatura proletaria come più alta ed estesa forma di democrazia che l'umanità possa conoscere, sulla base della quale avviare la costruzione del socialismo-comunismo.
 
Il Fronte Unitario dei Lavoratori, dovrà essere articolato per luoghi di lavoro e territorialmente ed avrà il compito di sviluppare la lotta rivoluzionaria di massa. Il Fronte esprimerà i propri organi dirigenti, Consigli o Assemblee, a tutti i livelli verticali, fino a quello nazionale, costituendo così l'embrione ed il modello del futuro potere statuale.
 
L'esperienza del PAME in Grecia
 
Per costruire un nuovo sindacalismo di classe, nella prospettiva ora indicata, noi attingiamo alle esperienze più significative ed avanzate del movimento comunista ed operaio attuale, soprattutto in Europa.
 
In questo contesto, ci pare particolarmente significativa e per noi fonte di apprendimento l'esperienza del Partito Comunista di Grecia e del Fronte sindacale di classe denominato PAME (Fronte militante di tutti i lavoratori ) da esso promosso.
 
Infatti, in Grecia, si svolge, da tempo, una lotta di classe molto dura ed intensa. Si sono svolti e si svolgono attualmente numerosi scioperi generali e settoriali, scioperi nelle aziende, decine di manifestazioni, presidi di edifici pubblici e privati.
 
Queste lotte si svolgono in un clima d'intenso anticomunismo da parte dei partiti borghesi e dei mezzi di comunicazione, di intimidazione padronale e degli apparati dello stato borghese.
Queste lotte, vedono alla loro testa i militanti del KKE e del PAME, il movimento di classe che raggruppa centinaia di sindacati, comitati di lotta nelle imprese e sindacalisti.
 
Si insiste sul lavoro nelle fabbriche, nelle aziende, nei quartieri, dando la priorità all'unificazione del movimento operaio e dei suoi alleati, lavoratori autonomi, contadini poveri per cambiare i rapporti di forza.
 
Ultimamente, infatti, ci sono stati importanti passi avanti nell'azione congiunta del PAME con i gruppi militanti di contadini, piccoli imprenditori, giovani e donne, nello sforzo di consolidare un blocco di alleanze sociali.
Ciò ha portato alla creazione di centinaia di comitati popolari che svolgono una significativa azione nei quartieri, nelle città e nei paesi sui problemi delle famiglie.
 
La situazione politica e sociale greca è anche caratterizzata da un intenso scontro con le forze del sindacalismo che in Italia definiremmo oggi concertativo, che, in Grecia, a volte con la copertura di una fraseologia radicaleggiante, nei fatti praticano la collaborazione di classe con i padroni.
 
Da questa esperienza emerge il fatto che la cosa più importante è l'orientamento delle lotte che si deve basare su di una linea antimonopolista e su obiettivi che rafforzino l'unità di classe e l'alleanza con i settori popolari per concentrare il massimo delle forze possibili per rovesciare il sistema dello sfruttamento e creare il potere operaio e popolare.
 
Indicazioni operative di lavoro
 
Quali devono essere i compiti principali nella attuale situazione sociale ed economica italiana, da parte dei nostri compagni che militano in diversi sindacati?
 
Intanto, partendo dallo sforzo politico ed organizzativo da compiersi in ciascuna realtà di lavoro in cui ci troviamo ad operare, di creare la più ampia unità d'azione di lavoratori nella organizzazione di scioperi e mobilitazioni sociali, partendo da contenuti di resistenza sociale a difesa degli interessi vitali dei lavoratori stessi (salario, condizioni di lavoro, libertà sindacali) che oggi sono attaccati e messi in discussione dalle politiche padronali e governative. Questo vuol dire che, a prescindere dalla appartenenza sindacale di ciascun lavoratore, bisogna lavorare, come comunisti, ad unire il maggior numero di lavoratori su obiettivi giusti.
 
Dobbiamo, poi, avere attenzione nel corso della mobilitazione, ma anche semplicemente nei rapporti quotidiani con i lavoratori, colleghi di lavoro, ad esporre con chiarezza e semplicità le cause e le responsabilità della sofferenza che i lavoratori provano sulla loro pelle, svelando i nessi di causa-effetto che legano le politiche dell'Unione Europea e dei governi del nostro Paese agli interessi della classe padronale nel fare pagare ai lavoratori stessi il costo della crisi.
 
Una particolare attenzione andrà posta, inoltre, al fatto che ogni mobilitazione, ogni sciopero, che Lenin definiva - la scuola di guerra degli operai contro i padroni - lasci un patrimonio di esperienza e di organizzazione consolidato fra i protagonisti della lotta, tale da poter ripartire, per iniziative successive con un più consolidato patrimonio di consapevolezza, di coscienza politica e capacità organizzativa.
 
Dovrà, poi, essere nostra particolare cura, come militanti comunisti, la creazione di più solidi rapporti con altri settori di lavoratori e di opinione pubblica in generale, per estendere la conoscenza, la simpatia e popolarità della lotta stessa, ampliandone così la capacità egemonica, anche con la scelta delle più appropriate forme di lotta e tecniche di comunicazione dei suoi contenuti.
 
Se tutto ciò riusciremo a fare, allora, avremo gli elementi per creare più stabili rapporti fra diversi settori dei lavoratori, anche in una dimensione territoriale che permetta di dotarsi di stabili strutture organizzative per dare ad un movimento di lotta sempre più ampie dimensioni di alleanze sociali e territoriali, ponendo così le condizioni per eleggere forme di rappresentanza e di direzione politica quali Consigli di luogo di lavoro e territoriali in grado di guidare la lotta aziendale, settoriale e territoriale verso sbocchi positivi, che consolidino e moltiplichino il livello di coscienza popolare.
 
Naturalmente, queste, sono solo alcune indicazioni molto generali, che ciascuno di noi potrà applicare con creatività e duttilità nelle varie situazioni in cui si trova ad operare. Da tutto ciò ne deriva, dunque, per il Partito, il compito di saper dare ad ogni militante nel mondo del lavoro il necessario supporto con materiale specifico di propaganda ed agitazione volto a divulgare fra i lavoratori i contenuti delle nostre proposte di lotta e le forme di lotta con cui sostenere le stesse, al fine di permettere ai nostri militanti di esserne protagonisti, divenendo così, agli occhi dei propri compagni di lavoro, avanguardie reali.
 
Siamo, ovviamente, all'inizio di un tale lavoro che richiede da parte di tutti noi un grande impegno individuale e collettivo.
 
Solo se sapremo muovere i primi passi in tale direzione, usciremo da una dimensione politico-organizzativa che vede i nostri militanti discutere di politica in generale nelle sedi di Partito, senza riuscire a far tesoro di tale discussione nella propria militanza quotidiana sul luogo di lavoro che è, invece, il campo decisivo di verifica della nostra proposta politica.
 

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