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Eurocomunismo o capitolazione degli ideali?

Catarina Casanova* | odiario.info
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

05/05/2016

Se non si vuole parlare a scherno del buon senso comune e la storia, è chiaro che è impossibile parlare di «democrazia pura» finché esistono differenti classi; si può parlare unicamente di democrazia di classe. (Sia detto tra parentesi: «democrazia pura» è non solo un'espressione insipiente, che attesta incomprensione sia della lotta di classe che dell'essenza dello Stato, ma è anche tre volte vuota di senso; perché nella società comunista la democrazia, rigenerandosi, trasformandosi in un abito, si estinguerà, ma non sarà mai «democrazia» pura).
«Democrazia pura» è la frase menzognera del liberale che vuol trarre in inganno gli operai. La storia conosce la democrazia borghese, che prese il posto del feudalismo, e la democrazia proletaria che prende il posto di quella borghese.

(Lenin, 1918, in "La rivoluzione proletaria e il rinnegato Kautsky", Opere scelte, volume II, Edizioni in lingue estere, Mosca 1948)

Così nella rivoluzione del 1917, quando la questione del significato e della funzione dello Stato si pose in tutta la sua ampiezza, si pose praticamente come un problema di azione immediata, e, per di più, di azione di massa, tutti i socialisti-rivoluzionari e i menscevichi caddero subito e appieno nella teoria piccolo-borghese della «conciliazione» delle classi «per opera dello Stato». Innumerevoli risoluzioni e articoli di uomini politici di quei due partiti sono profondamente impregnati di questa teoria piccolo-borghese e filistea della «conciliazione». Che lo Stato sia l'organo di dominio di una classe determinata, che non può essere conciliata col suo antipode (la classe che è al polo opposto), la democrazia piccolo-borghese non sarà mai in grado di capirlo. L'atteggiamento dei nostri socialisti-rivoluzionari e dei nostri menscevichi verso lo Stato è una delle prove più evidenti che essi non sono affatto dei socialisti (ciò che noi, bolscevichi, abbiamo sempre dimostrato), ma dei democratici piccolo-borghesi che usano una fraseologia quasi-socialista.
(Lenin, 1917, in "Stato e rivoluzione", Opere scelte, volume II, Edizioni in lingue estere, Mosca 1948)

Nel dicembre 1968, nella cittadina di Champigny, il Partito Comunista Francese (PCF) formalizza un programma (manifesto di Champigny) secondo cui il socialismo risulta essere un sistema derivante spontaneamente dalla democrazia borghese, come risultato di successive e continue riforme.

Il testo ammette che esiste una sorta di continuum tra questi due tipi di sistema: di riforma in riforma, sempre che la correlazione di forze sia favorevole al lavoro, i lavoratori e la classe operaia avanzeranno verso il socialismo.

Avverrà che, sostengono i "comunisti" francesi, progressivamente e gradualmente ci si lascerà alle spalle la dittatura del capitale. Si passerà dal sistema capitalistico a quello socialista con azioni di massa che semplicemente andranno a "limitare progressivamente e sistematicamente le imprese monopoliste nell'economia nazionale, a indebolire il capitalismo monopolistico di Stato nei suoi mezzi economici e finanziari", finché i monopoli si vedranno obbligati - per non entrare in contrasto con la volontà popolare - a "cedere le loro posizioni", aprendo così la "via del socialismo". Essi sostengono che "isolando la grande borghesia, basandosi sulla collaborazione politica dei partiti democratici" i lavoratori giungeranno al sistema socialista. E i "comunisti" francesi fondano tutto questo costrutto "teorico" sulla tesi che la democrazia è un valore universale, facendo tabula rasa di tutti gli insegnamenti marxisti-leninisti su cosa sia la democrazia nella realtà.

Il manifesto di Champigny conclude così sulla possibilità di una resa della borghesia senza combattere e senza ricorrere alla forza. Non sarà necessaria alcuna rivoluzione. Pacificamente, il capitalismo si trasformerà in socialismo per l'azione di massa dei "partiti democratici" all'interno del quadro legale.

Ma allora qual è la natura di classe delle strutture politiche che dovrebbero garantire il dominio della classe operaia e dei lavoratori che prima invece assicuravano la difesa degli interessi del capitale?

Il manifesto di Champigny passa come un bulldozer sopra la natura di classe dello Stato, come se la democrazia non fosse sempre la forma di esercizio del potere di una classe dominante su quella dominata.

D'altra parte, il documento tenta di rassicurare i comunisti affinché si uniscano a questa capitolazione sostenendo - senza alcuna vergogna - che il PCF continuerà ad essere "marxista-leninista" e continuerà ad essere un partito "rivoluzionario" di tipo nuovo. Al di là di questo messaggio mistificatorio, la verità è che questo partito, per difendere il ruolo di avanguardia, il ruolo del partito, "senza sostituire gli organi dello Stato, le istituzioni rappresentative e le amministrazioni", "tracciando a ogni passo le prospettive di sviluppo socialista nei differenti settori della vita economica, sociale, politica e culturale", nega proprio il ruolo di avanguardia. L'avanguardia indica con precisione la via della rivoluzione, educa e organizza i lavoratori a farla. Una forza politica che si limita a indicare "prospettive di sviluppo" non è una avanguardia: è, nella migliore delle ipotesi, un distaccamento di qualità della democrazia borghese.

Nel decennio successivo assisteremo al trapianto di questa indigenza ideologica nella stragrande maggioranza dei partiti comunisti d'Europa: il PCF, in collaborazione con il Partito Comunista Italiano (PCI) e il Partito Comunista Spagnolo (PCE), difende apertamente ciò che sarà noto come eurocomunismo. Gli allora segretari generali di questi partiti (Marchais, Santiago Carrillo e Berlinguer) abbandoneranno le posizioni marxiste-leniniste, i loro partiti cesseranno di essere rivoluzionari e sosterranno addirittura l'abbandono della prospettiva rivoluzionaria per la trasformazione della società, dimissionando il ruolo d'avanguardia della classe operaia.

Con la sconfitta del campo socialista dei cosiddetti paesi dell'est, questi partiti cessano di esistere come partiti comunisti perdendo gran parte della loro influenza di massa (ed elettorale). Pur ostentando ancora la dizione di "comunista" nei loro nomi, i discorsi e le pratiche sono quelli dei traditori di classe.

Questi partiti hanno proseguito lungo la strada del revisionismo: rinunciando alla concezione marxista dello Stato come dittatura della borghesia; tradendo la visione leninista di un partito di tipo nuovo; con il PCF giunto al punto di difendere la "economia sociale di mercato", nel quadro della sua partecipazione (caratteristica comune ai dei due restanti partiti euro-comunisti) a quell'organizzazione spiccatamente riformista che è il Partito della Sinistra Europea - alla cui presidenza siede peraltro Pierre Laurent, il segretario generale del PCF.

Da molto questi partiti non sono più comunisti, anche se solo nel 2013 il PCF ha abbandonato la simbologia comune ai partiti comunisti (la falce e martello). Comunque per il PCE, che ha votato i tagli salariali in Andalusia e per Rifondazione Comunista, che nel 2014 ha fatto campagna elettorale per "Un'altra Europa con Tsipras", sono molto lontani i tempi in cui, armi alla mano, combattevano le dittature fasciste di Mussolini e Franco. Il PCF, che alla fine della 2° Guerra mondiale era conosciuto come il "Partito dei fucilati" (non solo per aver lottato contro il nazifascismo, ma anche contro il governo collaborazionista di Vichy), si è trasformato indegnamente in un partito della capitolazione al servizio la borghesia. Diventa quindi necessario capire come si è giunti fino a qui.

*) Professoressa associata dell'Università di Lisbona


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