"Capitalismo neoliberista" è il termine usato per descrivere la fase del capitalismo in cui le restrizioni sui flussi a livello globale di merci e di capitali, inclusi i capitali finanziari, sono state sostanzialmente rimosse. Poiché tale rimozione avviene sotto la pressione del capitale finanziario che circola globalmente (a livello internazionale), il capitalismo neoliberista è caratterizzato dall'egemonia del capitale finanziario internazionale, con il quale i grandi capitali di determinati paesi si integrano e che garantisce che un insieme comune di politiche "neoliberiste" siano perseguite da tutti i paesi del mondo.
L'emergere di tale capitale finanziario internazionale è di per sé il risultato del processo di centralizzazione del capitale, che ha portato in passato, come Lenin aveva argomentato, il capitale finanziario o una aggregazione di banche e capitale industriale sotto il controllo di un'oligarchia finanziaria, in una posizione di egemonia all'interno di ciascun paese avanzato; la centralizzazione del capitale tuttavia, ha proceduto più profondamente che ai tempi di Lenin, creando questa nuova entità chiamata capitale finanziario internazionale e ponendola in posizione egemonica.
Una volta che un'economia è stata risucchiata nel vortice dei flussi finanziari globalizzati, il suo Stato, volente o nolente, deve piegarsi ai capricci del capitale finanziario internazionale e perseguire politiche a esso favorevoli. Questo fatto ha una serie di implicazioni, implicazioni che costituiscono le caratteristiche salienti del capitalismo neoliberista.
In primo luogo, il capitalismo neoliberista è contrassegnato, a differenza del capitalismo nel passato, dalla ri-localizzazione da parte del capitale metropolitano delle attività produttive per il mercato mondiale dal mondo avanzato al mondo sottosviluppato, approfittando dei salari bassi prevalenti in quest'ultimo.
In secondo luogo, altera il carattere dello Stato in tutto il mondo, in modo che lo Stato, invece di collocarsi apparentemente al di sopra delle classi e difendere gli interessi di tutti, anche delle classi oppresse, nonostante il perseguimento dello sviluppo capitalistico, diventa più apertamente e direttamente collegato agli interessi dell'oligarchia finanziario-corporativa che a sua volta è collegata al capitale finanziario internazionale. Ciò significa tra l'altro il ritiro del sostegno statale dalla piccola produzione tradizionale e dall'agricoltura contadina, e quindi la ripresadi un processo di accumulazione primitiva di capitale che ricorda la precedente era coloniale.
Terzo, l'intervento dello Stato nella "gestione della domanda" che era stato il segno distintivo del capitalismo post-bellico durante la cosiddetta "Età dell'oro", ma che era sempre stato avversato dalla finanza in quanto minava la legittimità sociale della classe capitalista, in particolare della classe finanziaria, viene scongiurato sotto la pressione della finanza globalizzata. Tutti gli Stati hanno approvato una legislazione sulla "responsabilità fiscale" per garantire che gli sforzi dello Stato per aumentare l'occupazione e l'attività economica assumano la forma di incentivi al capitale piuttosto che una spesa diretta. Ciò significa tuttavia che la crescita del sistema non può più essere stimolata dallo Stato (dal momento che i capitalisti si limitano a intascare tutti i sussidi e i trasferimenti che provengono come "incentivi" dallo Stato senza intraprendere ulteriori investimenti). La crescita dipende essenzialmente dalla formazione di "bolle" speculative (a parte la domanda di spesa finanziata a credito, tuttavia molto limitata).
Queste caratteristiche del capitalismo neoliberista hanno a loro volta importanti conseguenze. Da un lato, anche quando il sistema cresce, questa crescita è accompagnata da una polarizzazione delle disparità di reddito e di ricchezza all'interno dei paesi. I lavoratori nei paesi avanzati non sono in grado di ottenere aumenti salariali perché in un mondo con libera circolazione di capitali competono in effetti contro le enormi riserve di manodopera del terzo mondo. Nemmeno i lavoratori nei paesi in cui avviene l'esternalizzazione delle attività sono in grado di accrescere i loro stipendi, perché le riserve di manodopera in questi paesi, ben lungi dall'eusarirsi attraverso l'esternalizzazione, in realtà si ingrossano a causa della spoliazione dei piccoli produttori tradizionali e dei contadini. Quindi il salario reale tra paesi, sia sviluppati che sottosviluppati, non aumenta nel tempo anche se aumenta la produttività del lavoro. Questo esproprio dei contadini e dei piccoli produttori e la decimazione delle loro economie causano persino, nei paesi del terzo mondo, un aumento assoluto del livello di malnutrizione e di deprivazione materiale.
Tutto questo accade quando il capitalismo neoliberista sperimenta una crescita effettiva, ma d'altronde il neoliberismo non può sperimentare una crescita sostenuta. Il suo processo di crescita si blocca per il seguente motivo. La crescita più veloce della produttività del lavoro rispetto ai salari porta ovunque ad un aumento delle dimensioni del plusvalore nell'economia mondiale, che crea una tendenza alla sovrapproduzione (dal momento che il rapporto tra consumo e reddito è più stretto che tra stipendi e plusvalore); e l'unico fattore all'interno di un regime di capitalismo neoliberista che può controbilanciare questa tendenza, vale a dire i boom causati dalle bolle speculative, diventa inutilizzabile quando queste bolle scoppiano, come inevitabilmente accade.
La crisi derivante da questa fonte può essere protratta, dal momento che non è possibile creare nuove bolle. E quando si verificano tali crisi, le condizioni della popolazione che lavora diventano ancora più pietose di quanto non fosse stato durante la crescita. L'economia mondiale capitalista oggi è nel bel mezzo di una crisi così prolungata, senza una fine in vista. E anche se per caso ci sarà un po' di ripresa attraverso la formazione di una nuova bolla, questa ripresa sarà evanescente e durerà fino allo scoppio della nuova bolla.
È questa crisi prolungata in cui il capitalismo neoliberista è affondato che ha prodotto l'attuale ondata di fascismo in tutto il mondo. Dal momento che la globalizzazione del capitale e il processo associato di privatizzazione delle imprese pubbliche, indebolisce il movimento sindacale e in generale la forza d'urto immediata della classe operaia, in questi periodi tendono ad affermarsi movimenti fascisti basati sulla "supremazia" di qualcosa o qualcuno verso qualcos'altro o qualcun altro. Non hanno un programma per superare la crisi se non incolpare e vittimizzare "l'odiato altro" e indicare il "messia" che curerebbe miracolosamente la società di tutti i mali che lo affliggono.
Questi movimenti si rivolgono soprattutto alla piccola borghesia, ma in periodi di estrema debolezza del movimento proletario possono persino ottenere l'appoggio di alcuni segmenti di lavoratori. Ma questi movimenti sono invariabilmente messi insieme, promossi e sostenuti dall'oligarchia finanziario-aziendale per contrastare anche le potenziali sfide dei lavoratori alla loro egemonia. In effetti crescono in forza e si affacciano al centro della scena solo quando hanno ottenuto in certa misura il sostegno dell'oligarchia finanziario-aziendale. Questa alleanza tra i magnati e gli "avanguardisti" fascisti (per usare l'espressione di Kalecki) si trova attualmente a diversi stadi di formazione in diversi paesi del mondo. Ma questa minaccia di fascismo è incombente ovunque; e anche dove i fascisti non riescono ad arrivare al potere, per non dire degli Stati fascisti a pieno titolo, essi tuttavia con l'atmosfera velenosa che creano, nuociono gravemente alle basi di qualsiasi politica democratica.
Esiste tuttavia una differenza fondamentale tra il fascismo contemporaneo e il fascismo degli anni '30. Il capitale finanziario che aveva promosso il fascismo negli anni '30 aveva sede nella "nazione" impegnata in aspre rivalità inter-imperialistiche e fungeva da suo supporto ideologico. Il fascismo contemporaneo è emerso all'interno dell'egemonia del capitale finanziario internazionale e nell'attenuata rivalità inter-imperialista a causa proprio di questa egemonia (il capitale globalizzato non vuole che la circolazione sia ostacolata da un mondo frammentato dalle potenze rivali in diversi "territori economici") e non desidera sfidare questa egemonia. Il suo "nazionalismo" quindi non ha alcuna sostanza materiale.
Per lo stesso motivo, tuttavia, può fare ben poco per arginare la crisi del capitalismo neoliberista, anche se arriva al potere, ovunque lo faccia, promettendo di affrontare questa crisi. In Germania nel 1933 e in Giappone nel 1931, il fascismo aveva effettivamente affrontato la crisi a suo modo. Il riarmo aveva effettivamente sottratto queste economie dalla Depressione, quindi vi fu un breve periodo, prima che la guerra esigesse i suoi costi atroci, in cui il boom determinato dalla militarizzazione aveva allargato la base di appoggio dei fascisti. Ma nelle condizioni attuali, i governi fascisti possono fare ben poco per superare la crisi.
Per aumentare la domanda, tali governi, anche se si impegnano in maggiori spese militari, dovranno finanziare tali spese sia col deficit pubblico o tassando i capitalisti (dato che la spesa pubblica finanziata dalle tasse dei lavoratori, che comunque spendono i loro stipendi, non portano ad alcun aumento netto della domanda). Entrambi questi modi di finanziare la spesa pubblica sono un anatema per il capitale finanziario internazionale. Il fascismo contemporaneo è quindi singolarmente incapace di risolvere la crisi capitalista anche con metodi fascisti.
Il capitalismo neoliberista ha quindi raggiunto un cul-de-sac. I partiti tradizionali dell'establishment non vanno oltre il neoliberismo e sono profondamente implicati nelle politiche che hanno comunque generato la crisi. Molti di loro, come Hilary Clinton negli USA, non hanno nemmeno preso atto della crisi, ritenendo che l'economia si riprenda da sola anche nel quadro del neoliberismo. Le forze fasciste, d'altro canto, non hanno né un programma esplicito per superare la crisi, né alcun programma implicito che possa rappresentare una ricaduta della loro propensione allespese militari. Quindi né Trump, né Marine Le Pen, né l'UKIP, né alcuno degli altri elementi fascisti attualmente al centro dell'attenzione pubblica hanno un programma economico per superare la crisi.
Trump aveva parlato di protezionismo come via d'uscita dalla crisi per gli Stati Uniti, ma solo il protezionismo, senza l'allargamento del mercato nazionale attraverso una maggior spesa pubblica finanziata dal deficit o dalle tasse sui capitalisti, può generare maggiore occupazione solo se gli altri paesi non reagiscono. Se reagiscono, viene a crearsi una politica competitiva volta a ridurre sul lastrico il proprio vicino, che serve solo ad aggravare la crisi capitalista mondiale e ad aggravare la condizione di tutti i paesi. Quindi il protezionismo di Trump non aumenterà l'occupazione negli Stati Uniti in assenza di una politica fiscale espansiva.
Ma lungi dal perseguire una politica fiscale espansiva, Trump propone misure che avranno un effetto restrittivo. Dal momento che ha in programma di elargire concessioni fiscali alle imprese e bilanciarle con tagli alla spesa sociale di contrasto alla povertà del governo, ciò aggraverà solo la crisi negli Stati Uniti, perché queste misure riducono la domanda aggregata. (Le imprese, che risparmieranno delle imposte, metteranno da parte queste agevolazioni fiscali e non aumenteranno la domanda; nel contempo una minore spesa pubblica per il welfare ridurrà effettivamente la domanda).
All'interno del regime di egemonia del capitale finanziario globalizzato, quindi, non c'è soluzione alla crisi capitalista. L'unica soluzione possibile, che ogni singolo paese può tentare, è che il suo Stato svolga un ruolo attivo; e affinché ciò accada, lo Stato deve liberarsi del suo carattere di Stato neoliberista.
Può fare ciò solo se l'economia viene sottratta al vortice dei flussi di capitali globali, attraverso il controllo sui capitali e anche nella misura necessaria, i controlli commerciali; cioè, se l'economia si separa dalla globalizzazione. Dal momento che l'oligarchia finanziario-aziendale, che è essa stessa integrata con il capitale finanziario internazionale, non riuscirà a farlo, solo lo Stato con una base di classe alternativa sarà in grado di effettuare un tale cambiamento, uno Stato basato sul sostegno dei lavoratori. E quando i lavoratori porteranno un tale cambiamento, non si accontenteranno semplicemente del rilancio di un'economia capitalista, ma piuttosto procederanno a costruire un'economia del tutto alternativa, un'economia che realizzerà una transizione verso il socialismo. Quindi il vicolo cieco in cui si trova il capitalismo neoliberista può essere spezzato; ma una tale svolta porterà al superamento del capitalismo stesso.
Certo, aveva detto Lenin, non esiste una situazione assolutamente senza speranza per il capitalismo. Anche se il capitalismo non è in grado di uscire dal vicolo cieco, farà tutto il possibile per impedire ai lavoratori di organizzarsi al fine di realizzare i cambiamenti della situazione. Scatenerà ogni imbroglio noto al fascismo per questo fine. Farà ogni sforzo per spingere l'umanità verso la barbarie, per impedire che si muova verso il socialismo. L'esito finale ovviamente dipende dalla prassi. Lo scenario attuale apre la possibilità ai lavoratori di prendere l'iniziativa per uscire dalla crisi e allo stesso tempo difendere e approfondire i loro diritti democratici, in breve, per portare avanti il progetto della Rivoluzione d'Ottobre.
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