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"La futura umanità" 100 anni dalla Terza Internazionale.

Marco Rizzo | lariscossa.com

02/03/2019

Relazione di Marco Rizzo, segretario generale del Partito Comunista. Conferenza Internazionale Futura Umanità, Roma 2 marzo 2019.

1919-2019 Cento anni sono passati dalla nascita dell'Internazionale Comunista. I tempi della storia non sono i tempi della nostra vita ma è un periodo certamente breve, di cui dobbiamo tracciare un bilancio che oggi non può che essere dialettico. Se da un punto di vista statuale, politico ed organizzativo quelle idee sono passate attraverso la sconfitta dell'Urss e del campo socialista, dall'altro lasciano aperta, con la crisi del modello del capitalismo globalizzato, l'enorme potenzialità del Socialismo come una soluzione a questo crescente stato di crisi.

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Il 4 marzo 1919 il Congresso dell'Internazionale comunista, riunitasi per la prima a Mosca, approvò le Tesi redatte da Lenin.

Com'è ben noto la II Internazionale, l'Internazionale a cui Engels aveva dedicato tante sue energie negli ultimi anni della sua vita, era naufragata all'inizio della I Guerra Mondiale, quando la maggior parte dei partiti che la costituivano, contrariamente a quanto giurato solennemente fino a prima, fecero fronte comune con le proprie borghesie, facendo precipitare il Continente in un gigantesco massacro di proletari.

Lenin tra ottobre e novembre 1918 scrisse La rivoluzione proletaria e il rinnegato Kautsky, in cui dice che «l'opuscolo di Kautsky uscito recentemente, è uno degli esempi più lampanti del completo e ignominioso fallimento della II Internazionale.»

Dopo la vittoriosa rivoluzione dei soviet[1] fu messa all'ordine del giorno la riorganizzazione del movimento rivoluzionario e quindi si impose la necessità di convocare un congresso di quei partiti o organizzazioni che vedevano nell'esempio dell'Ottobre la strada da seguire nei propri paesi.

L'Ottobre 1917 in Russia fu un grande detonatore che consentì di ricostituire una nuova internazionale appunto detta "Terza" perché sostituiva definitivamente la Seconda, riprendendo il cammino di Marx e di Engels che, anche attraverso l'esperienza della Comune di Parigi, si distaccarono dall'eclettismo ideologico dell'anarchismo e del democraticismo.

Il 24 gennaio del 1919 fu rivolto un Invito a 39 organizzazioni operaie di tutto il mondo nel quale si precisavano 15 Affermazioni, che dovevano costituire la base per la nuova Internazionale comunista.

Naturalmente la sede del Congresso fu fissata a Mosca inizialmente per il 15 febbraio, ma le difficoltà per i delegati di raggiungere la capitale dei soviet non furono poche e quindi esso fu rimandato e si tenne dal 2 al 6 marzo. Vi parteciparono 35 delegati con diritto di voto, in rappresentanza di 19 partiti e organizzazioni, e 19 delegati, a titolo consultivo, in rappresentanza di 16 organizzazioni.

Lenin lesse le sue Tesi che furono approvate dal Congresso. Le tesi e il discorso di Lenin servirono come base per le decisioni della conferenza.

In queste Tesi espone con estrema chiarezza il punto di vista dei comunisti - già oggetto del suo pamphlet contro Kautsky - sulla differenza tra la democrazia borghese e la dittatura proletaria.

La chiarificazione si rese ancor più necessaria, non solo per i compiti che attendono i comunisti in una fase in cui il ciclo rivoluzionario è ancora aperto, ma soprattutto per contrastare i capi socialdemocratici, messi in allarme dal rafforzamento degli elementi internazionalisti, dalla nascita dei partiti comunisti e dallo sviluppo che stava assumendo il movimento per la costituzione della nuova Internazionale, avevano indetto una conferenza internazionale a Berna (Svizzera) dal 3 al 10 febbraio 1919 e decisero di ricostituire la II Internazionale.

Lenin precisa da subito:

«In primo luogo, l'argomento [della conferenza di Berna] fa uso di concetti astratti di "democrazia" e "dittatura", senza specificare qual è la classe in questione. Il porre il problema in questo modo, al di fuori o al di sopra del punto di vista di classe, come se fosse valido in quanto punto di vista dell'intera nazione, è una vera e propria irrisione della teoria fondamentale del socialismo, vale a dire della teoria della lotta di classe che, è vero, a parole è ancora accettata dai socialisti che sono passati al campo della borghesia, ma che a giudicare dalle loro azioni non è tenuta in nessun conto. Perché in nessun paese capitalista civile c'è "democrazia in astratto," c'è solo democrazia borghese, e la questione non è quella della "dittatura in astratto," ma della dittatura della classe oppressa, cioè del proletariato, sugli oppressori e sugli sfruttatori, cioè sulla borghesia, al fine di vincere la resistenza opposta dagli sfruttatori che cercano di mantenere il proprio dominio. [Tesi 2]

… l'attuale difesa della "democrazia borghese" in discorsi sulla "democrazia," e l'attuale protesta contro la dittatura del proletariato nello schiamazzo sulla "dittatura," sono un tradimento bell'e buono del socialismo, un passare oggettivamente al campo della borghesia, una negazione del diritto del proletariato alla propria rivoluzione politica, una difesa del riformismo borghese, e questo proprio nel momento storico in cui il riformismo borghese è andato in pezzi in tutto il mondo e in cui la guerra ha creato una situazione rivoluzionaria.» [Tesi 3]

… le idee formulate con estrema precisione scientifica da Marx ed Engels quando dissero che persino la repubblica borghese più democratica non è niente altro che lo strumento con cui la borghesia opprime la classe operaia, con cui un pugno di capitalisti domina le masse operaie. [Tesi 4]


Dopo aver richiamato l'esperienza della Comune di Parigi e la valutazione che ne fece Marx, Lenin passa a elencare quali sono le "libertà" borghesi e qual debba essere l'atteggiamento del proletariato verso di esse.

La "libertà di riunione" … Per conquistare un "uguaglianza effettiva, per fare della democrazia una realtà per i lavoratori, gli sfruttatori debbono prima venir privati di tutti gli edifici pubblici e privati, e bisogna che sia dato tempo libero ai lavoratori e che la loro libertà di riunione sia difesa da lavoratori armati e non dai rampolli della nobiltà o da ufficiali provenienti dalla cerchia capitalista al comando di una truppa di soldati intimiditi. [Tesi 7].

La "Libertà di stampa" … Per ottenere effettiva uguaglianza ed effettiva democrazia per le masse lavoratrici, per gli operai e per i contadini, bisogna prima che venga tolta ai capitalisti la possibilità di tenere scrittori al proprio servizio, di accaparrarsi case editrici e di comperare gli organi di stampa. [Tesi 8]


Lenin, in perfetta continuazione con quanto scrisse Marx nella sua Critica al programma di Gotha, pone il punto essenziale sulla valutazione che devono fare i proletari in merito alle forme di espressione che il potere borghese garantisce loro. Se è fin toppo ovvio che queste libertà - laddove presenti o addirittura strappate con le lotte di massa - vanno difese e anzi allargate il più possibile; per l'organizzazione non è certo equivalente in un paese in cui non ci si può neanche riunire senza finire in galera o perseguitati pesantemente. Solo uno stupido o uno che non ha a che fare quotidianamente con la repressione poliziesca, giudiziaria e burocratica del potere borghese può sottovalutare questo aspetto.

Ma il punto teorico sollevato da Lenin non è questo. A che vale potersi riunire, stampare materiale di propaganda, oggi possiamo aggiungere: accedere ai mezzi di informazione e ai social network, se poi questi strumenti sono vanificati dal peso schiacciante dei mezzi di informazioni in mano al potere borghese? E quand'anche occasionalmente si riesce a bucare la cappa mediatica che avvolge le masse, gli strumenti di recupero in mano alla borghesia sono immensi. Le cose stanno davvero sotto gli occhi di tutti e non vale neanche la pena di ricordarle a chi con queste cose si scontra tutti i giorni.

La guerra imperialista del 1914-18 ha smascherato una volta per tutte il vero carattere della democrazia borghese in quanto dittatura della borghesia anche ai lavoratori più arretrati, anche nelle repubbliche più libere. [Tesi 10]

La cosa principale che i socialisti non capiscono, incapacità che riflette la loro miopia intellettuale, la loro dipendenza dai pregiudizi borghesi, la loro slealtà politica nei confronti del proletariato, è che quando, nella società capitalista, la lotta di classe su cui essa si basa diventa più acuta, non c'è nient'altro che la dittatura della borghesia o la dittatura del proletariato. Il sogno di un'altra, terza via è il lamento reazionario della piccola borghesia. [Tesi 12] (grassetto nostro)

L'essenza del potere sovietico sta in questo, che, stabile ed unico fondamento dell'intero potere statale, dell'intero apparato statale, è l'organizzazione di massa proprio di quelle classi che furono oppresse dai capitalisti, cioè degli operai e dei semiproletari. [Tesi 14]

… il potere sovietico, la dittatura proletaria, è organizzato in modo da portare a contatto del meccanismo amministrativo le masse operaie. Il compenetrarsi del potere legislativo ed esecutivo nell'organizzazione sovietica dello stato serve allo stesso scopo a cui tende la sostituzione dell'unità di produzione, officina o fabbrica, al collegio elettorale territoriale. [Tesi 16]


L'abolizione del potere statale è la mèta di tutti i socialisti, incluso, soprattutto, Marx. Se questa meta non viene raggiunta la vera democrazia, cioè libertà ed uguaglianza, non è raggiungibile. Ma di fatto soltanto la democrazia sovietica e proletaria conduce a questa meta, perché incomincia subito a prepararsi per la totale dissoluzione di qualsiasi tipo di stato inducendo le organizzazioni di massa dei lavoratori a una partecipazione costante e incondizionata all'amministrazione statale. [Tesi 20]

Il discorso di Lenin ha un carattere eminentemente strategico e per questo motivo è valido oggi come allora e non dipende dalle "fasi" nelle quali può venirsi a trovare la lotta di classe. La democrazia borghese e le sue libertà possono essere assunte come valore integrante la democrazia proletaria? Diciamo meglio e più nel concreto, fino a che punto difendere questa o quella norma che concede questo o quello spazio di manovra al proletariato può far cambiare il proprio atteggiamento strategico nei confronti del governo borghese?

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Le basi politiche ed organizzative furono poi definite meglio nel Secondo Congresso che si tenne nel luglio e agosto del 1920, dove Lenin, con le tesi sui compiti fondamentali dell'Internazionale Comunista, mise il primo mattone sulla prospettiva della rivoluzione come strumento per la trasformazione radicale della società. In quella occasione furono anche promulgati lo statuto dell'Internazionale Comunista in cui non ci si rivolgeva solamente ai proletari dei paesi occidentali sviluppati ma anche ai popoli oppressi dal colonialismo. La parola d'ordine venne aggiornata in "proletari e popoli oppressi di tutto il mondo unitevi!" Quest'ultima definizione, vista anche alla luce delle migrazioni bibliche dovute alle contraddizioni della globalizzazione capitalistica oggi, ha una sua stringente attualità. Nello statuto vennero definiti i punti a cui i partiti nazionali si dovevano attenere. Tra essi la condivisione delle decisioni dei congressi e degli organismi internazionali, nonché il sostegno forte alle repubbliche sovietiche ed infine il nome "comunista".

Al Terzo Congresso, che si svolse nel giugno-luglio 1921, Lenin parlò della famosa NEP e cioè della Nuova Politica Economica da realizzarsi in Russia e della necessità di usare questa particolare politica economica in un difficile contesto e per un lasso di tempo ed un periodo definito nella forma e nei modi. C'era la necessità per il paese dei soviet, schiacciato da una lunga guerra civile e dagli interventi militari stranieri di oltre una decina di paesi capitalistici, di recuperare le alleanze sociali, in primo luogo con la classe contadina che aveva sofferto maggiormente la necessaria fase del "comunismo di guerra", allo scopo di un maggiore rafforzamento economico e sociale del paese. In questa fase avvenne il primo contrasto tra Lenin e le opinioni di chi pensava di fare a meno della conquista della maggioranza della classe operaia per ottenere la rivoluzione. La competizione con i partiti della socialdemocrazia si poteva vincere non solo sul terreno ideologico ma su quello più importante delle condizioni di vita delle masse: il lavoro, il pane, la casa.

L'ultimo congresso dell'internazionale a cui partecipò Lenin fu quello del novembre-dicembre 1922, dove si inizia ad avvertire il serrato confronto che si articolerà negli anni successivi sulla possibilità della vittoria del socialismo in un solo paese anche in assenza di rivoluzioni negli altri paesi capitalistici. Lo scontro si polarizzò tra la figura di Joseph Stalin, forte assertore della possibilità di successo del socialismo anche in un paese solo e di Leon Trotsky, che era convinto che l'Unione Sovietica così arretrata non ce l'avrebbe mai fatta a costruire il socialismo e sarebbe stata altresì emarginata come appendice semicoloniale del capitalismo internazionale. Trotsky in sostanza non aveva alcuna fiducia sulla capacità del partito comunista sovietico, che ora aveva in mano le leve dello stato, di superare l'arretratezza economica del paese, mantenendone l'indipendenza politica.

Quello che avvenne negli anni successivi dette ragione a Stalin con la costruzione del socialismo in Urss. Nel 1937 l'URSS divenne la seconda potenza industriale del mondo e, nel 1945, il suo esercito schiacciò a Berlino il mostro nazista che aveva invaso l'intera Europa nel corso della seconda guerra mondiale.

Dopo la morte di Lenin si arrivò ad introdurre il concetto di "marxismo-leninismo" per evidenziare da una parte il marxismo come analisi dello sviluppo del capitalismo e dall'altra il leninismo, come strumento nella fase suprema dell'imperialismo, per compiere la rivoluzione proletaria.

Nell'estate del 1924 si tenne il famoso Quinto Congresso che sviluppò il compito della "bolscevizzazione" cioè della trasformazione all'interno delle specifiche situazioni nazionali l'esperienza bolscevica stesse. I tratti principali erano così definiti:

«il partito deve trasformarsi in un vero e proprio partito di massa per mantenere il più solido contatto con la massa operaia e le sue aspettative, deve essere dinamico e duttile, deve appropriarsi cioè di una tattica non dogmatica e settaria ma deve sapere applicare contro il nemico tutte quelle manovre che gli consentono di mantenere inalterato ed anzi rafforzare il proprio carattere evitando al suo interno ogni frazione, corrente o raggruppamento».

Vennero inoltre definite le cellule di fabbrica e di quartiere che consentivano una maggiore aderenza all'esperienza della realtà sociale.

Nel Sesto Congresso del 1928 si avvertì il rischio del pericolo di una guerra mondiale incombente e quindi della necessaria spinta dell'Urss ad una maggiore industrializzazione ed una maggiore collettivizzazione dei lavori agricoli per ottenere una meccanizzazione durevole ed un aumento forte della produttività. Il contrasto con la socialdemocrazia ebbe il suo apice nell'estate del 1929 con gli avvenimenti del 1° maggio a Berlino dove la polizia, guidata dalla socialdemocrazia, sparò provocando il massacro di una manifestazione operaia e richiamando quindi alla memoria dieci anni prima l'assassinio, per mano socialdemocratica, di Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht. Nel frattempo il crollo della borsa Wall Street aprì la fase che portò alla vittoria del nazismo in Germania e alla necessità di definire una linea di larga unità nei confronti del nazifascismo.

L'importanza di queste considerazioni fu argomentata al Settimo Congresso del 1935 in cui Georgi Dimitrov divenne l'estensore della tesi su "l'offensiva del fascismo ed i compiti dell'internazionale comunista nella lotta per l'unità della classe operaia contro il fascismo". Emergeva in tal senso la linea di costruzione dei "fronti popolari", un'alleanza di forze politiche e sociali di differente segno, protese ad una mobilitazione di massa contro il fascismo per arrivare a riforme sociali che conseguissero risultati significativi in Francia e in Spagna, e che mantennero una sensibile influenza in altri paesi, costituendo la premessa per la costruzione dei fronti nazionali di liberazione durante la Resistenza e la seconda guerra mondiale. In quegli anni emerge peraltro la particolare dottrina di non opposizione nei confronti del nazismo da parte dei paesi capitalistici con in testa l'Inghilterra e della Francia, che non ebbero remore nel sacrificare prima la Spagna repubblicana e poi nel 1938 la Cecoslovacchia al nazifascismo. Ma il picco della ipocrisia anglo-francese si ebbe con l'estate del 1939. Sino al luglio del 1939 l'Unione Sovietica continuò a chiedere più volte al governo polacco ed al governo inglese di spostare, in modalità totalmente difensiva le sue armate, attraversando la Polonia per posizionarsi al confine tedesco. Ogni proposta fatta in tal senso fu respinta dagli inglesi e ancor più sdegnosamente dai polacchi, obbligando alla fine l'Unione Sovietica stipulare il patto di non aggressione Molotov-Ribbentrop per sventare il pericolo concreto di dover affrontare - da soli - una guerra totale nei confronti della Germania mentre in estremo oriente si era già sul piede di guerra con la potenza imperiale giapponese. Quel patto creò certamente un qualche disorientamento all'interno del movimento comunista, ma fu lungimirante e strategico nell'allargare la frontiera sovietica ad Ovest. Ricordiamo che in quell'occasione nessuno dei paesi occidentali avanzò la minima critica all'operato sovietico, contrariamente a quanto invece avvenne nella successiva guerra con la Finlandia. Che fine avrebbero fatto milioni di polacchi - tra cui molti ebrei - se fossero stati lasciati in preda ai nazisti? Che fine avrebbe fatto l'Unione sovietica, e con essa la libertà dei popoli europei, se l'Urss non avesse avuto quei due anni in più di preparazione? Che fine avrebbe fatto l'Unione Sovietica se quei trecento chilometri in più che le armate tedesche ebbero a coprire nel territorio polacco iniziando l'operazione Barbarossa nel 1941 non ci fossero stati? Basti ricordare che nel novembre di quello stesso anno la "croce uncinata" arrivò a meno di 10 chilometri da Mosca prima di subire l'offensiva della "grande guerra patriottica". Soprattutto, che cosa sarebbe successo se si fosse saldata l'alleanza anticomunista tra fascismi e cosiddette democrazie, già sperimentata durante la Guerra di Spagna? La storia oggi la scrivono i vincitori attuali e quindi non c'è nessuno che evidenzia il fallimento della politica antisovietica dell'inglese Chamberlain e del francese Daladier e quanto questi due strinsero uno stretto rapporto con la Germania che si evidenziò nel settembre 1938 con la fallimentare Conferenza di Monaco. All'interno dell'Internazionale Comunista si ebbero obiettivamente alcune difficoltà ad evidenziare la nuova linea anche di fronte ad un conflitto che, dopo l'invasione della Polonia, pareva esser statico. La valutazione mutò rapidamente dopo la Blitzkrieg (guerra lampo) delle armate corazzate tedesche di Heinz Guderian che, nel giro di poche settimane, arrivarono a prendere a Parigi e a costringere il corpo di spedizione inglese a ritirarsi disordinatamente a Dunkerque.

Come si può notare il contesto internazionale era particolarmente complesso e fu in quel periodo che il partito comunista statunitense sotto la minaccia di essere sciolto e dichiarato fuorilegge per i suoi legami internazionali appunto con l'Unione Sovietica chiese di poter uscire dall'internazionale evitando il dilemma tra esistenza legale e passaggio alla clandestinità. La segreteria dell'Internazionale decise di appoggiare la richiesta, pensando evidentemente ad una misura temporanea, ma gli avvenimenti e la necessità di stabilire ampie alleanze contro il nazismo spinsero addirittura Stalin nell'aprile del '41 alla necessità di parlare di scioglimento della internazionale:

«…servirebbe far diventare i partiti comunisti totalmente autonomi, e non sezioni dell'internazionale. Essi devono trasformarsi in partiti comunisti nazionali…. L'importante è che essi si radichino nel proprio popolo e si concentrano sui propri specifici compiti. Devono avere un programma comunista, devono basarsi su una analisi marxista, ma non con lo sguardo rivolto a Mosca; devono risolvere autonomamente i compiti concreti che stanno davanti a loro nel paese dato…».

La grande lungimiranza di Stalin nei confronti della lotta contro il mostro nazista era sotto gli occhi di tutti, e spinse tutti a concentrarsi dopo l'invasione dell'Urss nel giugno 1941. Da quel momento tutti gli sforzi dell'Internazionale Comunista furono impegnati nella lotta di resistenza all'aggressore nazista. Da questo punto di vista di vita del Comintern fu assolutamente efficace: vennero date direttive, sostegni finanziari e materiali ai partiti comunisti di ogni parte del mondo, vennero unificate le parole d'ordine finalizzate alla formazione di fronti unitari e alla necessità dell'apertura di un "secondo fronte" sia da parte della lotta partigiana sia con la richiesta di uno sbarco da parte delle forze anglo americane che alleggerisse la situazione ad Est (avvenne molto in ritardo Normandia). Ci si preoccupò seriamente di promuovere la lotta partigiana nei paesi occupati con la valorizzazione dell'inserimento di quadri esperti nella guerriglia clandestina e nelle attività politiche in quei paesi, a partire dalle trasmissioni radio nelle rispettive lingue per definire la propaganda contro gli eserciti invasori e a costruire un lavoro politico di propaganda e formazione negli stessi campi di prigionia. Il lavoro dell'Internazionale Comunista durante la prima parte della guerra mondiale costituì le basi per la vittoria che cominciò a delinearsi nell'estate del 1943. In quella estate fu progettata la risoluzione in cui Dimitrov e Manul'skij fecero discutere ed approvare dal presidium del comitato esecutivo il 13 maggio lo scioglimento dell'Internazionale stessa. A tal proposito Stalin dichiarò:

«… non è possibile dirigere il movimento operaio di tutti paesi del mondo da un unico centro internazionale. Soprattutto ora, nel contesto della vera guerra, quando i partiti comunisti di Germania e d'Italia come  di altri paesi hanno il compito di rovesciare i loro governi e attuare una tattica disfattista, mentre i partiti comunisti dell'Inghilterra e dell'America ed altri hanno al contrario il compito di sostenere in tutti modi i governi affinché si sconfigga rapidamente il nemico… L'ulteriore esistenza dell'Internazionale Comunista screditerebbe l'idea stessa dell'Internazionale, cosa che non vogliamo. Per lo scioglimento dell'Internazionale Comunista c'è anche il motivo per cui i partiti comunisti membri sono falsamente accusati di essere una sorta di agenzia di uno Stato straniero e questo ostacola il loro lavoro tra le masse. Con lo scioglimento dell'Internazionale Comunista si strappa questa carta dalle mani dei nemici. Questo passo rafforzerà senza dubbio i partiti comunisti come partiti nazionali e al tempo stesso rafforzerà l'internazionalismo delle masse popolari, base del quale è l'Unione Sovietica».

Il 21 maggio del 1943 l'Internazionale Comunista come partito mondiale cessava di esistere, la pratica politica aveva dimostrato che il cammino degli sfruttati e degli oppressi verso la propria liberazione è difficile ed ha tempi lunghi. Un lavoro eccezionale era stato fatto per estendere e radicare in tutto il pianeta l'idea dell'organizzazione comunista. Che proseguì con l'attività del Cominform (l'Ufficio d'Informazione dei Partiti Comunisti ed operai - costituito a Belgrado nel 1947).

In Italia, nel periodo 1943-1947 la prospettiva avanzata dal PCI fu quella dell'unità antifascista per sconfiggere innanzitutto i fascisti e cacciare lo straniero nazista dal nostro Paese. Le forme furono attuate con il Comitato di Liberazione Nazionale a somiglianza di quanto si fece nel resto d'Europa di fronte all'occupazione nazifascista. Questa forma di "condivisione" del potere però fu subito disarmata all'indomani della Liberazione, quando i partigiani deposero le armi. Nell'immediato dopoguerra, fu proprio questo l'errore che si fece: scambiare la forma democratica che stava uscendo dalla lotta antifascista come un involucro entro il quale potessero maturare le condizioni per un cambiamento in senso "progressivo" della società, senza che questo fosse sostenuto e accompagnato da una "rottura" istituzionale che mettesse fuori gioco le forze borghesi, quasi che insieme ad esse e non contro di esse si potesse costruire il socialismo. Si disarmò la Resistenza, si smobilitarono i presìdi proletari nelle fabbriche e nelle istituzioni, si puntò tutto sulla strada parlamentare senza avere nessun'altra carta di riserva. Il risultato fu che nel giugno del 1947, ancor prima dell'entrata in vigore della Costituzione - in nome della quale tutto ciò era stato fatto - le forze popolari che avevano fatto la Resistenza, socialisti e comunisti, furono espulsi dal governo senza neanche battere un colpo, senza uno sciopero, a parte qualche innocua protesta. La prima riunione del Cominform, riunitasi per l'occasione in Polonia, bacchettò pesantemente l'operato del PCI. In quella occasione Pietro Secchia ebbe a dire «vi sono delle battaglie che occorre combattere anche se si sa di perdere immediatamente. Esse servono per il domani. In ogni caso ritengo che si perda di più ogni volta che si cedono posizioni importanti senza dar battaglia.».

Il paragone con le democrazie popolari che nel frattempo si stavano avviando nell'est europeo liberato dall'Armata Rossa non era proponibile. Perché lì invece il socialismo poté essere avviato senza l'uso della forza? Ma fin troppo ovvio! Perché le forze della reazione non potevano organizzare la loro resistenza con l'appoggio della forza militare dell'imperialismo, al contrario di quello che avvenne in occidente.

E tuttavia ancora questo non è completamente esatto.

Primo, non è vero che la reazione non tentò di tutto per ostacolare questo processo. I fatti di Praga del 1948, dimostrano che senza una mobilitazione di massa del proletariato, la reazione avrebbe vinto. Anche i fatti d'Ungheria del 1956 dimostrano che l'imperialismo non rinunciò al tentativo di sovvertire il socialismo, soprattutto nella fase di disorientamento che il XX Congresso del PCUS indusse nel movimento comunista internazionale.

Secondo, studiando attentamente la transizione dei paesi a democrazia popolare, si vede che la rottura istituzionale ci fu e come, anche se essa non fu sanguinosa per i motivi che abbiamo evidenziato. La prima fase - in Polonia, Ungheria, Cecoslovacchia e altri paesi - fu una fase in cui le riforme economiche furono avviate con gradualità e il potere politico era condiviso tra forze di diversa estrazione. Ricordiamo come in Polonia addirittura si parlava di "terza via, tra socialismo sovietico e socialismo scandinavo". Nel 1947/48, anche in conseguenza della reazione imposta dall'imperialismo e dall'introduzione del Piano Marshall in Europa Occidentale, vi fu una decisa sterzata in direzione della pianificazione centralizzata, dell'abolizione integrale dello sfruttamento salariato e dell'assoggettamento del settore cooperativistico al settore socialista centralizzato.

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Le Tesi di Lenin ancora oggi mostrano ancora la loro abbagliante attualità. Nel momento di scontro più acuto tra borghesia e proletariato sono parole che dànno l'indirizzo e il senso dei compiti da svolgere.

Ad esempio, noi sosteniamo la difficile battaglia che il Partito Comunista del Venezuela sta conducendo in una situazione in cui il processo rivoluzionario in quel paese non evolve, anzi rischia di soccombere del tutto. Il segretario generale del PCV ha affermato che «attraverso la partecipazione operaia-contadina e popolare, bisogna esercitare il controllo dei processi produttivi. Un controllo rivoluzionario e popolare, non un controllo burocratico e corrotto. Controllo popolare, controllo operaio, controllo rivoluzionario» ha ribadito insieme alla richiesta di approfondire le sanzioni imposte al grande capitale e ai settori finanziari. «Stabilire una politica di prezzi sotto il controllo operaio e popolare, così come la nazionalizzazione della banca e dei settori finanziari» e un «programma di emergenza economica, sociale e politica sotto il controllo e la partecipazione operaia, contadina, comuneros (le comuni) e popolare», sono le altre proposte dei comunisti. In caso contrario - temiamo noi- tutto il processo è in pericolo e si aprono le porte alla sconfitta più bruciante.

Lenin conclude nella Tesi 22, elencando quali sono i compiti immediati dei partiti rivoluzionari oggi:

1. Spiegare alle grandi masse della classe operaia il significato storico della necessità politica e pratica di una nuova democrazia proletaria che deve soppiantare la democrazia e il parlamentarismo borghesi.

2. Estendere e rafforzare i consigli operai in tutte le branche dell'industria, nell'esercito e nella marina, e anche tra i lavoratori agricoli e i piccoli contadini.

3. Conquistare una maggioranza comunista salda e cosciente nei consigli.


Questi sono i compiti che si pongono ai partiti comunisti ancor oggi a distanza di cento anni.

Come Partito Comunista abbiamo in tal senso contribuito alla nascita della Iniziativa dei Partiti Comunisti ed Operai d'Europa che è oggi un'organizzazione politica che riunisce i partiti comunisti marxisti-leninisti europei.

È stata fondata a Bruxelles il 1º ottobre 2013. Nonostante l'Iniziativa operi principalmente all'interno dell'UE, la partecipazione è aperta anche a partiti non facenti parte dell'Unione.

La Segreteria dell'Iniziativa è attualmente composta da 9 partiti: il Partito Comunista di Grecia, il Partito Operaio Ungherese, il Partito dei Lavoratori (Irlanda), il Partito Comunista (Italia), il Partito Socialista di Lettonia, il Partito Comunista di Slovacchia, il Partito Comunista dei Popoli di Spagna, Partito Comunista di Svezia e il Partito Comunista di Turchia.

Nonostante non siamo in condizioni soggettivamente rivoluzionarie, nonostante il temporaneo crollo del socialismo, nonostante la condizione di arretratezza del movimento comunista internazionale, nonostante gli sfavorevoli rapporti di forza tra proletariato e borghesia nei nostri paesi - anzi forse ancor di più a causa di queste tutte condizioni negative - questi compiti sono e restano i compiti fondamentali di tutti i partiti comunisti, a cominciare dal Partito che opera in Italia.

1. Il nostro lavoro non deve limitarsi a un'estetica celebrazione del socialismo. Dobbiamo in ogni occasione essere in grado però di collegare le lotte proletarie che auspicabilmente dirigiamo all'obiettivo di elevare la coscienza delle masse, a cominciare dalla sua frazione più genuinamente rivoluzionaria, il proletariato. Dobbiamo far capire, con le nostre azioni e con i nostri slogan, che le rivendicazioni che agitiamo non potranno mai trovare piena attuazione in questa società borghese, basata sul profitto, anzi sul massimo profitto, della borghesia. Dobbiamo sempre individuare obiettivi che siano concreti, ossia immediatamente comprensibili e credibili da parte delle masse, pur irraggiungibili nel quadro del mercato capitalistico. Questo vale per una vertenza di fabbrica, così come per la richiesta di nazionalizzazione di un complesso industriale, così come per lo svincolamento del nostro paese dai conglomerati imperialisti, UE e NATO. Qualunque borghese democratico può schierarsi contro le industrie inquinanti, ma solo i comunisti possono spiegare come la soluzione della contraddizione salute-lavoro può trovare attuazione solo nel socialismo. Qualunque borghese democratico può parteggiare per le lotte dei pastori, dei contadini, dei tassisti, degli operai licenziati, può perfino invocare la nazionalizzazione, ma solo i comunisti possono dare a questa richiesta un carattere veramente rivoluzionario, dicendo "nazionalizzazione senza indennizzo con affidamento delle aziende ai lavoratori": il socialismo non è la nazionalizzazione dell'Alitalia in mano ai padroni dove i loro guasti e le loro ruberie sono pagati col debito pubblico, ma il Consiglio di Amministrazione presieduto dai migliori quadri politici dei lavoratori. Qualunque borghese democratico si può ribellare alla violazione del diritto internazionale perpetrato dall'imperialismo, ma solo i comunisti possono tramutare il pacifismo, per quanto sincero, in forza rivoluzionaria. Qualunque borghese democratico può opporsi a tutte le discriminazioni di genere e di razza, ma solo i comunisti possono mostrare che solo il socialismo può liberare tutti gli oppressi con la liberazione del lavoro salariato. Qualunque borghese democratico può "ideare" una "nuova" società in cui lo sfruttamento sia abolito, ma solo i comunisti - armati della teoria marxista - hanno la strategia e la tattica scientifiche e le verifiche storiche della sua attuazione nelle forme attuate dal socialismo reale.

2. A questo scopo è indispensabile ampliare l'influenza dei comunisti dentro le lotte proletarie, favorire l'autorganizzazione cosciente nei luoghi di lavoro, ridare al proletariato e alle masse il senso dell'unità di classe e la forza che questa classe ha quando è unità su obiettivi di classe, dalla lotta per l'unità coi lavoratori stranieri, l'unità coi lavoratori licenziati, l'unità tra lavoratori e lavoratrici, tra lavoratori del nord e del sud, tra lavoratori di tutta Europa. L'unità dei proletari non si costruisce a tavolino, ma nel fuoco della lotta e lì dobbiamo essere presenti. Difficile? Certo! Scomodo? Scomodissimo! Ma non c'è una scorciatoia. Il Partito Comunista non può essere un partito di opinione, un partito che si accontenta di esprimere le sue posizioni sui social. Già questa via è stata perseguita per troppi anni in Italia. Basta! Anche l'unità dei comunisti deve essere perseguita tenendo tutto ciò come stella polare. Non arroccamento settario ma tagliente lama leninista che taglia a fette l'opportunismo di chi in questa direzione non vuole andare.

3. E veniamo al problema del lavoro, il problema in Italia. Dopo una serie di sottovalutazioni, il nostro Partito, col suo II Congresso e la Conferenza operaia del 1° dicembre 2018, ha posto le basi per un serio intervento del Partito in questo strategico campo. Purtroppo in Italia oggi non possiamo registrare la presenza di un sindacato che abbia una natura di classe compiutamente definita e assimilata da tutti i suoi dirigenti e men che meno dai suoi aderenti. Vi sono degli interessanti settori avanzati nei sindacati di base. I sindacati più numerosi, anche se in caduta libera di consensi, ormai sono del tutto e da tempo assimilati al sistema borghese e non esprimono più neanche una conflittualità se non talvolta di retroguardia in vertenze ormai perse. In questa situazione il compito dei comunisti, per «conquistare una maggioranza comunista salda e cosciente», deve essere quello di sostenere organizzativamente e ideologicamente i settori più avanzati, dove ciò non significa sostituirsi ad essi nella costruzione del sindacato di classe, ma dare "benzina" alle loro lotte per renderle sempre più efficaci e combattive, non da "grilli parlanti" esterni a quelle lotte, ma come parte di avanguardia di esse. È l'unico modo che i comunisti hanno per svolgere efficacemente il loro compito di "educare" il proletariato distinguendo infine la costruzione del Partito nei luoghi di lavoro dalla costruzione del sindacato di classe. Il sindacato promuove gli interessi dei lavoratori, il Partito Comunista lavora per la presa del potere politico.

È indispensabile infine chiarire che quindi la forma della democrazia borghese non è e non può mai essere la forma in cui il proletariato può riconoscersi. È un gioco truccato in cui esso ha solo da perdere. In qualche momento potrebbe essere opportuno accettare tatticamente e temporaneamente questa forma per dare il tempo all'organizzazione proletaria di rafforzarsi e radicarsi, ciò non lo si può e non lo si deve escludere a priori. Ma far assurgere l'involucro della democrazia borghese a forma al di là e al di sopra delle classi come condizione sine qua non per lo sviluppo rivoluzionario, scambiare una scelta occasionale tattica per una prospettiva strategica, è una posizione profondamente antimarxista e antileninista che ha creato e continua a creare i guasti peggiori nel movimento comunista internazionale.

Quando la tattica viene elevata al rango di strategia è lì che comincia l'opportunismo. "Dentro e fuori la Duma" ammoniva Lenin. Ricordiamo questo grande insegnamento del capo della rivoluzione vittoriosa.

Viva l'Internazionale Comunista! Viva la Conferenza dei Partiti Comunisti ed Operai d'Europa!

Nota:

[1] In realtà Lenin ne aveva accennato già nelle Tesi di Aprile del 1917 e il congresso che ne seguì deliberò il 29 aprile che «è compito del nostro partito, che agisce nel primo paese in cui la rivoluzione ha avuto inizio, prendere l'iniziativa della creazione di una terza Internazionale». Un ulteriore stimolo fu fornito dalla formazione del Partito comunista tedesco nel dicembre 1918.


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