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"Le fasi": una questione strategica fondamentale

Maurice Cukierman * |  pcrf-ic.fr
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

20/05/2019

Il movimento comunista internazionale, in ogni paese, ha dovuto affrontare una questione strategica. La costruzione del movimento rivoluzionario implicava una fase di raggruppamento della classe operaia e delle masse popolari, una tappa democratica e antimperialista in preparazione della rivoluzione socialista: questa fase poteva arrivare anche fino alla partecipazione agli apparati dello Stato "borghese" nel quadro di governi progressisti?

Abbiamo messo le virgolette per sottolineare il contenuto di classe di questo tipo di governo. In effetti, costituendosi all'interno del quadro dell'apparato di Stato esistente, il governo è in realtà un governo portato a gestire gli affari della società borghese.

La questione è politicamente complessa, più di quanto sembri. Perché?

Perché si tratta di un questione legata alla storia del movimento operaio rivoluzionario fin dal suo inizio. Infatti, all'epoca di Marx e Engels, lo sviluppo sociale è segnato dalla contraddizione tra borghesia e aristocrazia feudale, anche se la contraddizione fondamentale tende a essere quella tra le classi sfruttatrici e il proletariato. E' così che la battaglia per la forma repubblicana, per esempio, è una questione politica immediata, come quella della democrazia borghese, o la questione nazionale. Nel Manifesto dei comunisti, gli autori insistono su ciò che distingue i comunisti dagli altri rivoluzionari. Ma dopo il 1848, le cose sono cambiate, la rivoluzione del giugno 1848 a Parigi e gli eventi rivoluzionari in Europa, porteranno la borghesia ad allearsi con la reazione, soprattutto in Germania. E d'altra parte, l'impero autocratico russo doveva ancora essere rovesciato per progredire.

È all'inizio del XX secolo che la situazione cambierà radicalmente sotto la pressione della trasformazione imperialista del capitalismo. E ciò avrà ripercussioni immediate sul movimento operaio e sulla Seconda Internazionale: infatti, sin dalla Comune, Marx ed Engels hanno sottolineato la necessità di preparare la classe operaia alla rivoluzione in un contesto non rivoluzionario (e senza dispiacere ad alcuni, essi non erano né "di sinistra", né "trotskisti"), ma la costituzione di partiti operai di massa, in grado di partecipare alla vita politica, comprese le elezioni, con il predominio piccolo borghese, ha portato ad una confusione tra il programma di Partito e il programma elettorale.

L'apparizione nel 1898 del revisionismo (Bernstein), paradossalmente, "spingerà" la questione in secondo piano: il revisionismo non si pone proprio come passo verso la rivoluzione, ma come il rifiuto di essa, che, passo dopo passo non è più necessaria. Un ampio fronte si formò contro Bernstein in Germania, contro il millerandismo in Francia (creazione della SFIO, rifiuto della partecipazione a un governo borghese). La questione delle tappe successive sembrava superata.

Eppure improvvisamente la questione riapparve nel partito che si trovava al centro delle contraddizioni del sistema imperialista: il partito socialdemocratico operaio di Russia nello scontro tra menscevichi e bolchevichi. La strategia dei menscevichi affermava che la rivoluzione da preparare era appunto, una rivoluzione borghese come quella del 1789 in Francia, e che la rivoluzione socialista sarebbe avvenuta dopo, quando gli obiettivi di quella borghese sarebbero stati realizzati. I bolscevichi stessi definirono la loro strategia programmatica sulla base di un programma minimo e di un programma massimo. Il programma minimo aveva lo scopo di mobilitare la classe operaia per assumere la direzione dei compiti della rivoluzione borghese, nella prospettiva della rivoluzione proletaria, tenendo conto del fatto che ciò avrebbe comportato la distruzione dello stato autocratico e la costruzione di uno stato proletario. La rivoluzione del 1905 confermerà la correttezza di questo orientamento. L'ala sinistra della socialdemocrazia era tuttavia scettica (Rosa Luxemburg), tanto che nel 1912 sosterrà i menscevichi!

I fatti avrebbero reso ridicola la questione: prima il sostegno alla guerra imperialista dei borghesi fino alla vittoria o al ripristino dello status quo (socialsciovinisti o centristi kautskiani) per poi fare la rivoluzione!

La rivoluzione del febbraio 1917 in Russia costituirà la pratica per il movimento socialista. La strategia "per tappe" dei menscevichi rivelerà il suo carattere opportunista: la "tappa" diventa il mezzo per rinunciare alla rivoluzione facendone un "mito" nello stesso modo come il teorico dell'anarco-sindacalismo Georges Sorel defini lo "sciopero generale" un mito, qualcosa che è fissato come ideale sapendo che non sarà mai raggiunto.

Finita la clandestinità e il carcere, i bolscevichi esiteranno sulla tattica e la strategia per alcuni giorni (la questione verrà decisa con le tesi di aprile), ma Lenin non esitò. Per lui, il processo rivoluzionario che si avviava necessitava dell'indipendenza del proletariato nella propria linea: nessun sostegno al governo provvisorio, nessuna alleanza con le correnti piccolo-borghesi (menscevichi e SR), "tutto il potere ai soviet" cioè, la classe operaia e le forze popolari. Il partito e Lenin saranno accusati di "massimalismo" (sinistrismo, sognatori che prendono i loro desideri per la realtà?). Ma è questa linea che prevarrà con la Rivoluzione d'Ottobre, e i loro avversari dimostreranno nei fatti che le loro posizioni non erano altro che il tradimento degli obiettivi dichiarati!

Con la creazione dell'Internazionale comunista, la questione delle "tappe" non si pone per il movimento operaio europeo e nordamericano ma si pose per il movimento di liberazione nazionale anticoloniale e per i paesi dominati dall'imperialismo. Teniamo presente che Lenin pose la questione della possibilità di una rivoluzione socialista nei paesi "arretrati". E soprattutto che la rivoluzione nazionale di liberazione, per prevalere sull'imperialismo, avrebbe dovuto fare affidamento sull'URSS e sulla costruzione del socialismo, costruendo le basi economiche necessarie per la trasformazione sociale.

Per l'Internazionale fino al 1923, per il movimento operaio, la prospettiva immediata è la rivoluzione socialista, in una situazione in cui la configurazione degli stati borghesi è instabile in seguito alla guerra mondiale, e dove la strategia poggia sui Soviet, la strategia del doppio potere (Lenin ne L'estremismo malattia infantile del comunismo: il Sinistrismo, è sfumato, perché diventa consapevole che il movimento rivoluzionario rischia una pausa e il capitalismo un periodo di relativa stabilizzazione).

Ma la questione delle "tappe" verrà fuori dopo la scomparsa politica di Lenin, con le tesi di Trotsky (piuttosto di accusarci di trotskismo, si dovrebbero mettere in discussione queste tesi!) sul futuro dell'Unione Sovietica: il socialismo in un paese è impossibile, è necessario attendere che la rivoluzione mondiale (permanente) sia vittoriosa, e quindi occorre avere l'obiettivo di "governi operai" (non "socialisti", quindi non la dittatura del proletariato, sebbene i trotskysti la pretendano). Se si analizza questa posizione, diventa chiaro come sotto una fraseologia "rivoluzionaria" riappaia la strategia dei menscevichi. Ma l'Internazionale comunista rifiuterà questa forma di opportunismo mentre Trotsky e i suoi si arruoleranno nelle truppe della "sinistra della contro-rivoluzione".

L'Internazionale comunista pose sì alcune fasi dopo la relativa stabilizzazione del capitalismo: la bolscevizzazione dei partiti comunisti, l'aiuto per la formazione alle organizzazioni di liberazione nazionale, ecc., Ma queste fasi non hanno nulla a che fare con la questione che stiamo affrontando.

Da cosa era supportato il rifiuto di una "tappa" tra la situazione politica e la rivoluzione, allorchè la situazione era cambiata, che la rivoluzione non era più una possibilità "immediata"? Sul fatto che con la guerra mondiale imperialista e la rivoluzione di ottobre, la crisi generale del capitalismo divenne la caratteristica del sistema e che il periodo era quello della transizione dal capitalismo al socialismo su scala mondiale. La crisi del 1929 e il VI Congresso dell'IC avrebbero confermato, se necessario, questa analisi.

Tuttavia, "le tappe" sarebbero tornate con forza nelle file comuniste nel 1936 (la data è importante, non è quella del Congresso dell'Internazionale che ebbe luogo nel 1935) con le politiche del Fronte popolare in Francia e soprattutto in Spagna. Durante questo periodo, la leadership dell'Internazionale e dei Partiti collegati, non intervenirono in nessun momento affinchè i partiti comunisti portassero avanti le parole d'ordine della mobilitazione contro la borghesia in quanto essa, partendo dall'analisi dell'IC stessa, che il fascismo per il suo contenuto di classe - la borghesia monopolista - ha le sue radici nella società capitalista!

L'attenzione era focalizzata esclusivamente sullo sbarramento antifascista, ignorando la necessità di mobilitare le masse per attaccare direttamente, politicamente (per preparare uno scontro rivoluzionario) la base sociale di sostegno al capitalismo. Nello stesso tempo occorre capire come questa deviazione (queste non erano decisioni del Congresso) si potè sviluppare: la politica dei comunisti era quella del Fronte Popolare.

La socialdemocrazia continuava a  zoppicare, i trotskisti e gli anarchici tentavano di batterla in nome della Rivoluzione (quando noi diciamo di preparare lo scontro rivoluzionario, non significa che ci sia il momento, ma che il partito deve prepararlo nelle masse); e che dire dei partiti della piccola borghesia, tipo il  Partito Radicale!

Tutte le forze della borghesia erano coalizzate, i suoi due obiettivi erano l'estirpazione dei quadri della classe operaia e dell'Unione Sovietica, così come la battaglia per la ripartizione del mondo. L'Internazionale non poteva ignorarlo, mentre il gruppo criminale di Ejov (responsabile della sicurezza del 1935 e del 1938) giocò un ruolo significativo nell'attaccare i suoi leader che avevano su questa politica posizioni critiche o suscettibili di esserlo (Bela Kun).

Ma fu alla fine dell'occupazione nazista che il movimento comunista si confrontò di nuovo con la questione delle "tappe". E questa volta fu una scelta duratura che si è presentata in diverse forme.

Così le democrazie popolari furono presentate per la prima volta come Stati che non erano proletari, ma non più stati borghesi (e quindi un passo verso il socialismo). In effetti, è la logica stessa della lotta di classe che porterà alla trasformazione socialista delle società dell'Europa orientale. Al 5° Congresso del PC di Bulgaria, George Dimitrov, che nel 1946 annunciava che la democrazia popolare avrebbe permesso di evitare la dittatura del proletariato, diede una corretta critica alla questione, dimostrando che il partito era rimasto in ritardo. Nel suo rapporto, dice:

Nella situazione conseguente alle elezioni alla Grande Assemblea Nazionale e della costituzione di un governo sotto la direzione immediata del nostro Partito, lo sviluppo delle forze produttive, l'aumento del potere economico del paese, il benessere dei lavoratori, non era realizzabile senza attaccare radicalmente la base economica della classe capitalista. E l'esperienza bulgara conferma la tesi leninista, che afferma che, nelle condizioni del capitalismo in decomposizione e della crisi organica della democrazia borghese che ha fatto nascere il fascismo, non è possibile alcuna riforma democratica seria e duratura, che non si può andare avanti senza minare le fondamenta del capitalismo, senza fare passi verso il socialismo...

Qui possiamo constatare che la tattica del 1936-1939 può anche essere oggetto di critica marxista-leninista.

Egli aggiunge:

Va detto, tuttavia, che c'è stato qualche ritardo ... il Partito ha continuato a lavorare in gran parte sotto le insegne dei suoi vecchi slogan. Abbiamo così rallentato la sconfitta dell'opposizione reazionaria. Abbiamo continuato a parlare della possibilità di armonizzare gli interessi degli industriali e dei commercianti privati ​​con gli interessi generali dello stato, mentre la situazione nel suo complesso avrebbe permesso l'applicazione di misure decisive per sopprimere il dominio del grande capitale e che c'erano già le possibilità, così come le forze necessarie per muoversi più risolutamente verso la costruzione delle fondamenta del socialismo nel nostro paese. ... Ma bisogna anche dire che a quell'epoca, la transizione al socialismo ci sembrava questione di un futuro relativamente lontano, che la situazione interna ed esterna non permettevano ancora di intraprendere praticamente trasformazioni così radicali ... Questo conferma ancora una volta che è più facile acquisire i principi del marxismo-leninismo, che la capacità di applicarli e in tempo utile, ad ogni nuova fase di sviluppo sociale.

Dimitrov fa poi un'analisi sulla democrazia popolare come forma di potere proletario per la costruzione del socialismo, il suo posto nella lotta globale contro l'imperialismo.
Ma nella sua chiusura del congresso, torna sulla questione, perché i delegati non avevano compreso cosa intendesse:

Secondo la posizione marxista-leninista, il regime sovietico e il regime democratico popolare non sono che due forme di uno stesso potere: quello della classe operaia, alleato con i lavoratori delle città e delle campagne e che combatte alla loro testa. Queste sono due forme della dittatura del proletariato ... La transizione al socialismo non può aver luogo al di fuori della dittatura del proletariato che agisce contro gli elementi capitalisti e per l'organizzazione dell'economia socialista.

Il dibattito ha avuto luogo in tutte le democrazie popolari. Un'intensa battaglia politica fu combattuta con gli elementi opportunisti nei diversi paesi, elementi che rallentarono il movimento rivoluzionario e che obiettivamente fecero il gioco della socialdemocrazia internazionale come punta di lancia della borghesia internazionale, e fu il momento in cui Tito ruppe l'unità. Durante l'ascesa della controrivoluzione, i "partigiani" (non solo in Oriente) della democrazia popolare riemersero come alternativa al socialismo: regimi "democratici", né borghesi né proletari. E ci si può chiedere se i dirigenti del Partito che hanno tradito, in fondo, non fossero gli eredi di questo orientamento, trasformando la capitolazione nelle difficoltà e nella loro debolezza ideologica.

Ma è in Occidente e in America Latina che si impone la questione delle "tappe". Si impone in Italia e Francia con i governi nati dalla Resistenza, con le immense conquiste sociali ottenute! Di fronte all'assenza di prospettive politiche immediate che portarono alla guerra fredda e alla crescita capitalista più o meno continua fino al 1973, i partiti comunisti proposero agli operai di battersi per la loro unità (posta in termini di alleanza con la socialdemocrazia, non nella sconfitta dell'ideologia e della messa in scacco della politica socialdemocratica) per tornare ai "giorni felici"!

Il 20° Congresso del PCUS (1956) ha fornito il substrato ideologico alla questione, come pure la tesi del modo di sviluppo non capitalista, in Africa in particolare. L'unico partito che ha saputo, a nostra conoscenza, superare il problema fu il Partito Comunista Portoghese al suo Quarto Congresso che portò al rovesciamento del fascismo e all'unico tentativo di rivoluzione socialista in Europa dopo la sconfitta dei compagni greci nel 1948. Ma oggi sembrano aver dimenticato le lezioni di Alvaro Cunhal all'VIII Congresso del Partito nel 1976!

In Francia, è stata "la democrazia avanzata a spianare la strada al socialismo" (1968). Questa democrazia è stata presentata come il percorso segnato per preparare il raggruppamento popolare dietro la classe operaia per l'assalto finale al capitale. Ma nella stretta cornice di un programma comune con il PS, nel quadro del potere borghese! Programma che pretende di risolvere la questione sociale sotto il capitalismo (la natura democratica dell'educazione, per esempio). Sappiamo come sono andate le cose! Pertanto, in qualsiasi forma, non può essere previsto che venga reintrodotto, anche surrettiziamente, usando altre espressioni, un'idea del genere.

Questo è vero in Francia come altrove: le "esperienze" in America Latina, molto più significative, non portano ad un'altra conclusione: il Cile del 1973 (poi, i governi di Bachelet, sono un'altra cosa), il Nicaragua Sandinista, Il Fronte Farabundo Marti in El Salvador, la Guyana di Cheddi Jagan, la Bolivia (non solo quella di Evo Morales), hanno dimostrato - e il Venezuela oggi lo sta facendo, che di fronte al capitalismo imperialista, non c'è altra alternativa che possa prevalere rispetto alla rivoluzione socialista.

Perché? Perché l'era che stiamo vivendo è quella della transizione dal capitalismo al comunismo (fase socialista). Abbiamo subito (il proletariato e la sua avanguardia) una sconfitta storica: dobbiamo ricostruire il movimento rivoluzionario, restituire alla classe operaia la fiducia in sé stessa, ma con tutto ciò non abbiamo cambiato la nostra era!

Questo significa che la situazione è rivoluzionaria? No. Ciò significa che l'obiettivo che dovrebbe guidare la nostra strategia è la rivoluzione socialista e che non dobbiamo prepararci per uno "stadio" politico di trasformazione sociale. Ciò che è necessario è far progredire un programma, più o meno a breve termine (e al momento è piuttosto meno, ahimè ...) programma che mobiliti la classe operaia e tutti i lavoratori contro la politica del Capitale, per la soddisfazione delle richieste e dei bisogni fondamentali, per i diritti democratici, aiutando a capire che per vincere davvero, è il capitalismo che deve essere rovesciato. Del resto, è in questa prospettiva, in nient'altro sul piano puramente strategico (e quindi programmatico), che il PCRF si pronuncia per la rottura con l'Unione Europea.

E per rassicurare quelli che hanno bisogno di esserlo, ci saranno delle tappe:
ricostruire il partito, unificare i comunisti, ridare contenuto di classe al sindacalismo, ricostruire un movimento per la pace basato sulla battaglia all'imperialismo... Ma nessuna fase come la "democrazia avanzata" o la "repubblica sociale" ad aprire la marcia verso il socialismo perché noi pensiamo invece che sia la strada verso la soffitta:  l'idea che la gestione degli affari della borghesia (il suo apparato statale) possa garantire gli interessi del proletariato!

Come possiamo vedere, il risorgere di questa tendenza opportunistica è profonda e, infatti, trova la sua "legittimità" nell'apparenza dei rapporti sociali nelle loro forme politiche, nelle forme dell'elettoralismo o delle illusioni pacifiche della marcia verso il socialismo, nell'"oblio" di quello che è la specificità dei comunisti: essi esistono solo per dare alla classe operaia lo strumento di cui ha bisogno per rovesciare il capitalismo e costruire il socialismo-comunismo.

*) Maurice Cukierman, segretario generale del PCFR - Partito comunista rivoluzionario di Franci


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