www.resistenze.org - pensiero resistente - dibattito teorico - 07-09-20 - n. 759

La questione delle nazionalizzazioni oggi

Partito Comunista Rivoluzionario di Francia (PCRF) | pcrf-ic.fr
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

22/08/2020

Avendo la crisi sanitaria messo in luce gli effetti disastrosi delle politiche "neoliberiste" che si susseguono da diversi decenni, alcune formazioni politiche hanno rivisitato la loro posizione sulla questione delle nazionalizzazioni, in particolare per i settori vitali del Paese (LFI ha presentato un progetto di legge in tal senso nell'aprile 2020).
Cogliamo l'occasione per offrire qui di seguito un'analisi del Partito scritta dal compagno Pierre Komorov su questo tema delle nazionalizzazioni, che sarà anche pubblicata nel nostro prossimo numero di Intervention communiste (in uscita all'inizio di settembre nel doppio numero 159-160):

Recentemente il PCTE (Partito Comunista dei Lavoratori di Spagna), partito fratello e membro come il nostro Partito dell'ICWPE (Iniziativa Comunista Partiti Comunisti e Operai d'Europa), ha scritto nel giugno 2020 un articolo sul tema della nazionalizzazione, articolo pubblicato su Nuevo Rumbo, organo del Comitato Centrale del PCTE .

L'argomento merita un maggior sviluppo di un semplice articolo, ma sin dalle premesse possiamo dire che condividiamo il contributo dei nostri compagni. L'URCF, diventato PCRF, ha già scritto un opuscolo su questa parola d'ordine. Ma da allora, il PCRF ha adeguato e approfondito la sua posizione, rafforzata dall'esperienza concreta della campagna di nazionalizzazioni condotta nel 2010, dalla situazione attuale e dall'analisi dei partiti fratelli.
Contribuiamo quindi modestamente alla riflessione comunista e, in estrema sintesi, possiamo dire che sono tre gli elementi da considerare.

La scoperta dei mezzi e dei modi che rendano consapevole la maggioranza dei lavoratori (concetto politico e non aritmetico) che il rovesciamento del capitalismo è la soluzione per sbarazzarsi dei mali di cui soffrono, è la questione più difficile per i comunisti. I dogmatici non sanno rispondere a questa domanda, dicono solo che dobbiamo fare la Rivoluzione…; certo, ma come, non lo sapremo mai.

Credere che la sola propaganda, a forza di verità ripetute, e lo studio dei classici del marxismo-leninismo basti per preparare il passaggio alla rivoluzione proletaria è ingenuo e rivela un'autentica separazione dalle masse popolari, così come credere che basti per il Partito essere presente al momento di una situazione rivoluzionaria al fine di riunire le masse in lotta in vista del socialismo. Il leninismo ci insegna che non funziona in questo modo.

Gli opportunisti di destra scollegano gli obiettivi intermedi (tattici) dall'obiettivo finale (strategico) rivoluzionario. Ma tutti gli slogan portano con sé queste deviazioni. Quello per la nazionalizzazione ha il particolare che è stato utilizzato da molti PC e occorrerebbe trarne lezioni e tenere conto nello stesso tempo della situazione attuale. Sfidare la proprietà capitalista privata e intendere la questione dello stato come una dittatura di monopoli, questi sono i due fondamenti della politica comunista rivoluzionaria. La nazionalizzazione può rendere possibile agire su questi due campi contemporaneamente, ma dobbiamo, ci pare, essere in grado di superare diverse insidie e tenere conto della situazione concreta.

Della nazionalizzazione dall'alto

Lenin ci insegna che le masse, difendendo le loro aspirazioni, educate da una linea comunista materialista veramente scientifica, basandosi sulle proprie esperienze rinfocolate nell'azione, dovranno convincersi che il socialismo è l'unica alternativa al capitalismo. Questo slogan della nazionalizzazione può interessarci solo se gli operai di un'impresa lo conquistano nella lotta.

Una nazionalizzazione dall'alto tipo come nel 1945 in Francia o da un altro governo senza lotta dei lavoratori, secondo la formula programmatica consacrata "nazionalizzazione dei settori chiave dell'economia", non fa avanzare adeguatamente le questioni che i comunisti devono affrontare per organizzare la classe operaia contro il capitalismo e il suo stato. Vogliamo che siano le lotte dei lavoratori per salvare i loro posti di lavoro, che conquistino la nazionalizzazione. Vogliamo che sia un lavoro politico comunista con i lavoratori le cui fabbriche sono minacciate di chiusura parziale o totale che li spinga a riprendere lo slogan e lottare per la sua realizzazione.

È questa lotta in sé, l'esperienza dei lavoratori per ottenere la nazionalizzazione toccando le questioni della proprietà e dello Stato borghese che conferisce allo slogan un carattere progressista e rivoluzionario. Sarà il bene più prezioso della lotta (se il PC farà il suo lavoro) e che continuerà, resisterà direttamente contro lo Stato capitalista che gestisce la nuova impresa.

Il pericolo di una nazionalizzazione delegata a un ipotetico governo di "sinistra" è maggiore in Francia. Al giorno d'oggi, persistono tendenze opportuniste nel movimento comunista connotate dalle "fasi" nazionali o anti-liberali, che rinviano la strategia rivoluzionaria per il socialismo alla realizzazione di questa fase, a volte concepita come una fase intermedia tra capitalismo e socialismo ("Una Repubblica Sociale", dicono alcuni nostri compagni ...).

I fautori di una fase precedente al socialismo sottovalutano o negano la portata del concetto leninista di egemonia del proletariato nel movimento democratico, ma è anche il fattore soggettivo (livello di coscienza delle masse e assenza di un PC riconosciuto come tale) che li spinge in quella direzione. Anche solo proponendo l'obiettivo di fase intermedia o ponendo l'ipotesi delle fasi sullo stesso piano dell'obiettivo strategico rivoluzionario, il movimento operaio viene educato per anni o decenni all'idea che "il socialismo non è all'ordine del giorno" e passa per obiettivi intermedi indipendenti dal fine o a esso lontanamente correlati.

In Francia, ad esempio, dei compagni hanno la tendenza a porre il proletariato di fatto sotto la direzione del social-riformismo (PCF, FI, ecc.) - il che non significa che un Fronte sociale d'azione non sia possibile e necessario - oppure di porre il proletariato all'interno di un'alleanza con alcuni settori della borghesia (destra gollista, sovranista).

Della nazionalizzazione "indotta"

L'altra trappola, legata alla prima, è quella di una parola d'ordine di nazionalizzazione calata su tutte le aziende e senza un concreto lavoro politico con i lavoratori, sul modello del sostegno passivo alla classe operaia in occasione di una tornata elettorale.

Non si tratta di ricalcare uno schema già pronto e prestabilito per rivendicare ovunque questo slogan; possiamo partire dalla base, porre la questione e agire in aziende dove i lavoratori lottano per il loro diritto al lavoro, diritto fondamentale violato dal Capitale, in aziende dove i lavoratori adottano, anche parzialmente, slogan che attaccano la proprietà capitalista.

La qualità del lavoro del PC (anche in Francia) nelle aziende è quindi determinante. Alcuni vorrebbero rinviare alle calende greche questo lavoro comunista, per quanto modesto, partendo dall'assunto errato che sono affari del sindacato e che il Partito non può interferire.

Infine, qualsiasi asse di lotta è subordinato alla strategia, al processo di lotta rivoluzionaria. I social-riformisti non mancheranno, inoltre, con il progredire di un rapporto di forze positivo, di contrastarlo, di aderire alla vecchia concezione delle nazionalizzazioni borghesi che soddisfano il capitale monopolistico e la burocrazia "operaia" che trarrebbe il vantaggio di possibili sinecure.

Recentemente, il PCF, attraverso la voce di Fabien Roussel, ha fatto appello a "partecipazioni statali o addirittura nazionalizzazione temporanea di Ascoval" (sic). I rivoluzionari marxisti, guardando alla prospettiva strategica della lotta per il socialismo, dovranno far chiarezza sulla natura di classe (borghese) delle nuove imprese nazionalizzate.

Tuttavia, queste aziende nazionalizzate, dove i posti di lavoro saranno stati salvati dalla lotta, l'attività produttiva rilanciata e i bisogni in parte soddisfatti da una lotta che dovrà continuare, potrebbero servire da esempio per sensibilizzare l'intero mondo del lavoro sulla comprensione che il futuro e la salvezza non risiedono in un "buon compratore" o in "buoni indennizzi", ma nella lotta permanente contro la proprietà capitalistica dei mezzi di produzione, dal processo che, ponendosi in ultima istanza e risolvendo la questione dello Stato, porterà alla nazionalizzazione di alcune società con l'esigenza di socializzazione dell'intera economia.

Questo processo rivoluzionario può coincidere con una "guerra di posizione" di lunga durata tra il capitale e il lavoro fino a una "guerra di movimento", l'offensiva per rovesciare il capitalismo.

Lo slogan della nazionalizzazione non deve quindi essere sopravvalutato e, a nostro avviso, può essere solo un momento della lotta contro il capitalismo, unito alle altre campagne e assi di lotta del Partito, a formare un intero percorso del processo rivoluzionario storico fino al salto di qualità della Rivoluzione, al crollo dello Stato e alla costruzione dello Stato proletario.

Per meglio orientare questo asse di lotta verso il suo carattere progressista, è indubbiamente importante ottenere una nazionalizzazione senza indennizzi [per il capitale, ndt]e con il controllo operaio. Questa richiesta di nazionalizzazione senza indennizzi è infatti di carattere anticapitalista poiché attacca (senza ancora sopprimerla) la proprietà capitalista, sfida i diktat totalitari dell'Unione europea che di fatto proibiscono le nazionalizzazioni democratiche, senza contropartita.

Allo stesso modo, questa rivendicazione vanifica la politica di monopolio globale, che è stata per decenni principalmente neoliberista, anche se un ritorno al neo-keynesismo, per quanto "verde", non dovrebbe essere escluso. Senza dimenticare che questa lotta richiederà (o avvierà) un'opera di alleanza di classe con artigiani e piccoli commercianti nell'area del lavoro, e che solleva la questione dell'esistenza, sotto il socialismo, di attività di produzione come l'industria per esempio.

Questo slogan di nazionalizzazione è quindi complicato da attuare, è un elemento di cui tenere conto se il Partito lo usa tra le masse. Può anche riattivare posizioni opportuniste nel movimento operaio, soprattutto se il fattore soggettivo (il Partito e le masse coscienti) è debole, come avviene in molti paesi, Francia compresa.

Ma ogni pratica presenta un pericolo di opportunismo, che ha la sua fonte nello stesso sistema imperialista. Se la richiesta di nazionalizzazioni senza indennizzi non è legata a una strategia anticapitalista fino alla fine (la conquista del potere statale), le nazionalizzazioni falliranno nell'obiettivo di organizzare la classe operaia contro il capitalismo e i suoi nemici del classe.

I marxisti non possono avere paura dei pericoli opportunisti insiti in qualsiasi slogan. Quello della nazionalizzazione permette di dirigere i suoi colpi sia contro la proprietà che contro lo Stato. Il suo grado di progressismo dipende dagli equilibri di potere e dalla qualità del lavoro del Partito Comunista, iniziandosi sotto il capitalismo, questo asse di lotta assumerà il suo significato qualitativo solo dopo la Rivoluzione fino all'espropriazione finale del espropriatori.


Resistenze.org     
Sostieni Resistenze.org.
Fai una donazione al Centro di Cultura e Documentazione Popolare.

Support Resistenze.org.
Make a donation to Centro di Cultura e Documentazione Popolare.