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Imperialismo, "ordine mondiale multipolare" e liberazione nazionale

Thanasis Spanidis | kommunistiche.org
Traduzione dal tedesco per Resistenze.org a cura di Enzo Pellegrin

20/12/2021



La dichiarazione della Kommunistiche Organisation sul ritiro delle truppe americane dall'Afghanistan ("Ein Schritt in Richtung Befreiung Afghanistans" - "Un passo verso la liberazione dell'Afghanistan") ha dato luogo a varie discussioni. Penso che sia utile affrontare alcuni punti critici che sono toccati nel testo e portarli nella discussione. L'obiettivo non è quello di leggere nel testo qualcosa che non c'è, ma piuttosto di rendere più espliciti vari aspetti che sono sollevati ma non sviluppati. Nel corso di questo, sarà più facile determinare se e in che misura c'è dissenso all'interno della KO ed eventualmente con altre organizzazioni. Non voglio lavorare sulla dichiarazione in sé, dovrebbe piuttosto essere un "gancio" per discutere queste questioni più in generale.

1a. Liberazione nazionale e teoria del palcoscenico

A mio parere, un difetto della dichiarazione è che usa un concetto ambiguo di "liberazione nazionale". Il titolo parla della cacciata degli occupanti come "primo passo" verso la liberazione. Nel testo stesso, la loro rimozione è già definita come "liberazione nazionale" e "il primo, necessario passo verso un possibile futuro in cui il popolo vada per la sua strada". Questa imprecisione, tuttavia, non è accidentale - piuttosto, esprime che la domanda su cosa significhi esattamente "liberazione nazionale" permette diverse risposte possibili - e che queste risposte, a loro volta, possono avere implicazioni per la strategia e la tattica comunista. "Liberazione nazionale" può significare semplicemente l'espulsione del dominio straniero, cioè degli occupanti o dei colonizzatori - in altre parole, la liberazione nazionale in senso lato. In senso più stretto, tuttavia, può anche significare il raggiungimento di un'indipendenza più completa, ad esempio anche l'indipendenza economica e la liberazione da una forte influenza politica. Si possono trovare esempi per entrambi gli usi del termine.

Il concetto di "dipendenza" nelle teorie della dipendenza

Ma quale problema si cela in realtà dietro la questione della liberazione nazionale?

È indiscutibile che l'imperialismo come sistema mondiale produce varie forme e gradi di dipendenza tra paesi, stati, ma anche regioni, e che queste si sviluppano costantemente, cioè cambiano. In passato, soprattutto in America Latina, si è cercato di spiegare teoricamente queste relazioni di dipendenza con l'aiuto delle cosiddette "teorie della dipendenza".

Alcune di queste teorie erano chiaramente borghesi, altre rappresentavano una rivendicazione marxista e si vedevano come un complemento alla teoria dell'imperialismo di Lenin. Hanno certamente contribuito a una comprensione più precisa delle relazioni in cui si creano e si mantengono le dipendenze. Tuttavia, tutte queste teorie soffrono del problema di aver compreso la dipendenza in modo puramente unilaterale.

Hanno inteso il problema della dipendenza come una relazione tra centro e periferia, tra paesi sviluppati/oppressivi e dipendenti/oppressi. Le teorie della dipendenza sono oggi poco presenti nelle discussioni accademiche, anche a causa di un generale dominio delle posizioni liberali e conservatrici nelle università. Tuttavia, rimangono influenti a sinistra, anche nel movimento comunista (soprattutto, per esempio, nel maoismo [1], ma anche in altre correnti del movimento). Sennonchè, la loro visione è problematica per le seguenti ragioni.

- Perché ignora o sottovaluta l'importanza delle relazioni contraddittorie tra gli stati del "centro", che sono appunto anche caratterizzate da dipendenze (reciproche), come elemento decisivo del sistema mondiale imperialista.

- Perché fa una divisione netta del mondo in paesi sviluppati e paesi dipendenti, ignorando le numerose gradazioni in mezzo.

- Perché assolutizza l'aspetto della dipendenza, che è visto come una ragione essenziale per il mantenimento del sottosviluppo, e quindi sottovaluta la misura in cui il sistema mondiale imperialista è soggetto a continui spostamenti e processi di ascesa e discesa. Il fatto che anche le ex colonie possano diventare potenze economiche e militari significative, è difficile da spiegare con queste teorie.

- Perché sottovaluta le borghesie dei paesi "dipendenti" come forze di classe a sé stanti con le proprie ambizioni capitaliste/imperialiste e quindi le toglie politicamente dalla linea di tiro. Le teorie della dipendenza hanno quindi una tendenza alla neutralità di classe perché alla fine includono le classi dominate dei paesi "dipendenti" insieme alla borghesia di questi paesi sotto il termine "dipendenza"..

In America Latina, per esempio, questo si manifesta spesso fino ad oggi nelle forze socialiste che equiparano effettivamente "l'imperialismo" agli USA e non riconoscono la borghesia locale come un avversario o addirittura, soprattutto se cerca una maggiore indipendenza dagli USA, la intendono come un alleato. In paesi capitalisti relativamente sviluppati come Brasile, Argentina, Messico o Cile, i governi borghesi "di sinistra" (Kirchner in Argentina, Lula/Rousseff in Brasile, Bachelet in Cile, López Obrador in Messico) erano e sono compresi come parte di una tendenza "progressista" o addirittura antimperialista.

L'imperialismo come sistema di dipendenze reciproche e gerarchiche

Più plausibile, invece, è una concezione dell'imperialismo che lo intende come un sistema di dipendenze reciproche ma gerarchiche, cioè come una sorta di "piramide" con un vertice e una base che si allarga verso il basso [2]. Poiché il capitalismo si sviluppa in modo ineguale in tutto il mondo e la gerarchia tra gli stati cambia costantemente, specialmente come risultato delle crisi, l'immagine della "piramide" non dovrebbe naturalmente essere intesa come statica. Ciò che è importante di questa concezione, tuttavia, è che essa:

- Comprende l'imperialismo come un sistema mondiale che include anche i paesi meno sviluppati, anche i più poveri e/o totalmente dipendenti. L'imperialismo non è quindi una semplice "caratteristica" che appartiene solo a una manciata di paesi, ma un sistema complessivo.

- Questo include la reciprocità delle dipendenze, da cui deriva che il dominio di un paese non è mai assoluto e può anche essere costantemente sfidato.

Questo a sua volta non significa che il carattere gerarchico di queste interdipendenze debba essere dimenticato. "Si consiglia di evitare le analisi che, pur sottolineando le caratteristiche dell'imperialismo come sistema che permea tutto il mondo e i ruoli imperialisti assunti da ogni paese in una particolare fase del capitalismo, banalizzano la stessa gerarchia imperialista", scrive a questo proposito il Partito Comunista di Turchia [3]. Certamente, c'è una relazione di dipendenza reciproca tra gli Stati Uniti e il Messico, tuttavia gli Stati Uniti sono il polo molto più forte in questa relazione ed è difficile immaginare che questa relazione possa essere invertita nel prossimo futuro. Quindi dobbiamo ancora parlare di dipendenza.

Le dipendenze possono essere espresse in diversi modi: Come dipendenze economiche, dove, per esempio, un paese più debole dipende da uno più forte comprando da esso molti beni lavorati e ad alta tecnologia e/o il capitale del paese più forte controlla parti significative della produzione, delle infrastrutture, del commercio o del sistema finanziario.

Ma c'è anche la dipendenza politica e militare, quando un paese è direttamente soggetto all'occupazione o addirittura al dominio coloniale in casi estremi o, per esempio, quando un governo è pesantemente diretto da servizi segreti stranieri o simili.

Il problema qui è che queste due forme di dipendenza sono chiaramente diverse e richiedono risposte politiche molto diverse, ma d'altra parte non possono essere sempre distinte nettamente l'una dall'altra. Perché la base di una dipendenza politica è di solito una base economica: perché un paese imperialista possa ottenere tanta influenza da qualche parte, la base della borghesia di quel paese per la propria accumulazione di capitale deve essere molto debole e/o questa accumulazione di capitale deve essere molto legata agli interessi del paese dominante.

Inoltre, ci sono in principio infiniti gradi e forme di dipendenza politica. Così, la Grecia non era certamente una "colonia" o un "paese occupato" durante la crisi, come vari opportunisti hanno sostenuto. Tuttavia, la presenza della Troika nel paese, che era in grado di influenzare direttamente le decisioni del governo attraverso la leva del credito, era certamente una forma di dipendenza politica ed economica - ma solo perché la maggioranza della borghesia greca era d'accordo, poiché l'abbassamento dei costi salariali, gli attacchi ai sindacati e, in ogni caso, la permanenza della Grecia nell'UE e nell'Eurozona corrispondevano ai loro interessi.

Ma la dipendenza politica può richiedere una risposta pratica molto diversa dalla dipendenza economica. In un paese occupato dalle potenze imperialiste, è giusto lottare contro l'occupazione, per la liberazione nazionale politica e militare. Nella seconda guerra mondiale, nei paesi occupati, era giusto combattere la lotta antifascista anche come lotta di liberazione nazionale. E questo non solo perché uno stato nazionale sovrano è certamente il "male minore" rispetto a un regime di occupazione ed è più probabile che permetta lo sviluppo della lotta di classe, ma anche perché la lotta contro l'occupazione è di solito la questione politica dominante nel paese e la linea centrale del conflitto a cui i comunisti devono necessariamente prendere una posizione attiva. Per questa ragione, è anche inammissibile dirigere la propria politica esclusivamente contro il regime locale in un paese minacciato dall'aggressione imperialista e quindi eventualmente rendere un servizio agli aggressori imperialisti, come fanno parti della "sinistra" iraniana.

Ma cosa succede se un giorno l'occupazione finisce? La dipendenza economica e di solito anche politica del paese non è di solito eliminata da questo. Dal punto di vista degli occupanti imperialisti, il calcolo che si può tenere il paese sotto controllo in modo più economico con forme "informali" di dominazione che con l'occupazione diretta sarà stato probabilmente anche decisivo - come è noto, è così che è andata spesso nel processo di decolonizzazione, perché non tutte le ex colonie hanno combattuto per la loro indipendenza attraverso una rivolta armata.

Qual è allora il rapporto dei comunisti con queste altre forme più indirette di dipendenza e con la questione della liberazione nazionale? Certamente è corretto continuare a problematizzare la dipendenza in una certa forma. Ma è giusto fare dell'instaurazione della sovranità nazionale uno slogan, come può essere stato sotto l'occupazione o il dominio coloniale?

No, perché uno slogan di questo tipo porta fuori strada la classe operaia in lotta del paese: la sua lotta è per migliori condizioni di vita e in definitiva per il raggiungimento del potere operaio, che poi cercherà naturalmente di superare le varie forme di dipendenza nazionale. Ma il loro obiettivo non può essere una maggiore "sovranità economica" nel senso di una posizione contrattuale più forte della propria borghesia. Perché gli interessi della borghesia e del proletariato rimangono inconciliabili anche nei paesi sottosviluppati, soprattutto perché è proprio in questi paesi che l'aumento dei profitti attraverso i bassi salari ha un'importanza decisiva nella strategia di sviluppo della borghesia - e molto più che nei ricchi paesi imperialisti, il cui dominio economico globale si basa meno sui bassi salari che sulla dominazione tecnologica, sul dominio borghese stabile, sulle infrastrutture, su una forza lavoro ben istruita, e così via. Se la classe operaia o il suo partito si orienta ora verso l'avanzamento dello sviluppo capitalista del paese, rinuncia inevitabilmente alla lotta per il potere, cioè al socialismo.

Questo è ciò che si intende quando, per esempio, il KKE sottolinea che l'imperialismo come sistema mondiale richiede anche una strategia dei comunisti di tutti i paesi che sia unita nella sostanza. In questo modo, il KKE si oppone giustamente alla posizione diffusa secondo cui ogni paese ha bisogno della sua strategia adattata a se stesso e quindi ogni PC debba anche svilupparla per se stesso, senza che nessun altro abbia il diritto di criticarlo per questo.

Le conseguenze di una analisi e gestione sbagliata della questione nazionale si possono osservare in molti luoghi, esemplificate dal PCF (PC francese) e dal PCP (PC portoghese). Nei decenni del dopoguerra, il PCF enfatizzò fortemente l'indipendenza francese come obiettivo strategico in un momento in cui la Francia non solo non era occupata, ma stava anche conducendo sanguinose campagne di sottomissione in Algeria e in Indocina come potenza coloniale. Questa concezione errata della questione nazionale lo portò anche ad essere uno dei primi a mettere in discussione la necessità di una strategia rivoluzionaria unificata del movimento comunista mondiale. Fu l'"apripista" dell'"eurocomunismo", che alla fine trasformò il PCF da partito operaio a partito borghese.

In Portogallo, il PCP, sotto la sua direzione di allora, evitò di unirsi alla tendenza "eurocomunista". Nel XXI secolo, tuttavia, è diventato chiaro che il PCP diffonde anche una comprensione discutibile della questione nazionale, che è diventata anche oggetto di vari conflitti nel movimento comunista mondiale. Nel suo programma, per esempio, il PCP analizza come le politiche dei governi precedenti stiano trasformando il Portogallo in uno "stato fantoccio periferico dipendente, le cui politiche - sempre più contrarie agli interessi del Portogallo e del suo popolo - sono decise da organismi sovranazionali diretti essenzialmente dal capitale transnazionale e da un direttorio degli stati più potenti e ricchi" [4]. Per le elezioni europee del 2019, ha emesso un appello congiunto con "forze comuniste, progressiste, anticapitaliste, anti-neoliberali, di sinistra ed ecologiste" che si suppone servano questo obiettivo di "liberazione nazionale dall'UE", comprese forze chiaramente socialdemocratiche come il partito della sinistra tedesca, Izquierda Unida dalla Spagna, "Rifondazione Comunista" dall'Italia, ecc. Anche in questo caso, un trattamento discutibile della questione nazionale ha contribuito alla fine a legittimare una strategia e una tattica politica discutibili.

Ma qual è esattamente la situazione nei paesi sotto diretta occupazione imperialista o dominio coloniale, come la Palestina o, fino a poco tempo fa, l'Afghanistan? Fondamentalmente diversa o no? Penso entrambi.

La situazione è fondamentalmente diversa in quanto il nemico è direttamente nel paese, distruggendo città, villaggi e infrastrutture, massacrando la popolazione civile e rendendo impossibile qualsiasi sviluppo. Pertanto, la lotta contro questo nemico e anche una corrispondente tattica di alleanza è un compito prioritario dei comunisti. Soprattutto nei paesi islamici, questo punto causa difficoltà a molti della sinistra tedesca, perché rifiutano anche accordi limitati e unità d'azione con gruppi ideologicamente "reazionari" di per sè (per esempio Hamas). Tuttavia, ciò dimentica le leggi e le esigenze della guerra, perché una guerra non procede nelle stesse forme di movimento di una lotta politica "pacifica". In una guerra, forme di diplomazia o accordi, anche con avversari ideologici, a volte anche con il belligerante ostile, sono spesso abbastanza inevitabili.

La situazione è fondamentalmente la stessa, tuttavia, nel senso che anche in un paese occupato l'obiettivo della lotta non può essere uno stato borghese "libero". Anche qui, è necessario che i comunisti mettano all'ordine del giorno il socialismo, la liberazione della classe operaia. Questa è una questione strategica, non tattica, o in altre parole, non è una questione che ogni slogan e ogni manifesto debba contenere il termine socialismo. Si tratta che questo obiettivo sia l'obiettivo supremo che guida l'azione del PC. La liberazione del proprio territorio dall'occupazione straniera, la mobilitazione del legittimo patriottismo della popolazione servono alla preparazione della presa del potere.

La lotta di liberazione antifascista durante la seconda guerra mondiale commise errori disastrosi in molti paesi proprio su questa questione: il socialismo continuò ad essere sostenuto dai comunisti, che avevano un ruolo di primo piano nella lotta antifascista, solo come un obiettivo lontano e, di fatto, spesso piuttosto come l'identità del partito, mentre il vero obiettivo era ormai la cacciata del fascismo (in parte anche delle forze reazionarie in generale, per esempio in Grecia della monarchia) e la sovranità nazionale in una repubblica borghese-democratica, al massimo "democratico-popolare". Questo errore pesò ancora di più, perché, proprio a causa della guerra, stava maturando in alcuni paesi una situazione rivoluzionaria, che però non fu sfruttata dai PC locali - i quali in ogni caso furono in gran parte abbandonati a se stessi senza il Comintern, che ormai era stato sciolto.

L'Italia e la Grecia in particolare dovrebbero essere citate a questo proposito. Per evitare qualsiasi malinteso, permettetemi di chiarire ancora una volta: non era sbagliato lottare contro il fascismo come principale nemico tattico, per la liberazione nazionale, per la difesa dell'Unione Sovietica, nè era sbagliata la posizione del patriottismo. È stato sbagliato non subordinare questa lotta all'obiettivo strategico del socialismo e renderla utile per questo. E questo errore non dovrebbe essere ripetuto oggi, quando la lotta non è contro il fascismo in senso stretto, ma contro l'occupazione imperialista o il colonialismo dei coloni (in Palestina).

Cosa significa ciò concretamente per la lotta contro gli occupanti in Afghanistan, Palestina, Iraq o contro gli interventi in Siria ecc? In primo luogo, è giusto condurre questa lotta. In secondo luogo, le condizioni sul terreno determinano dove è giusto e dove è sbagliato cooperare con forze che combattono contro lo stesso nemico ma perseguono obiettivi fondamentalmente diversi. In terzo luogo, queste forze rimangono avversari a livello strategico - e non importa se sono forze islamico-conservatrici o "progressiste"-socialdemocratiche - esse devono alla fine essere neutralizzate politicamente per poter condurre la lotta per il potere. Di conseguenza, penso che faremmo bene a trattenere la retorica esuberante che, per esempio, descrive l'espulsione delle truppe americane dai talebani come una "vittoria oggettiva di tutto il popolo afgano" e la paragona addirittura alla vittoria delle forze antimperialiste e comuniste a Saigon. Perché questo non rende giustizia alla costellazione differenziata e molto complicata, e suscita facilmente le associazioni sbagliate.

1b. Nazioni "oppresse" e "oppressori"

Correlata al tema precedente è la questione, spesso implicita, se sia ancora corretto oggi dividere il mondo in "nazioni oppressive e nazioni oppresse". Una tale distinzione si trova in Lenin (per esempio "La rivoluzione socialista e il diritto delle nazioni all'autodeterminazione", Lenin Works 22, pp. 144-159). Tuttavia, il fatto che Lenin abbia usato questi termini non dovrebbe essere di per sé una ragione per attenersi ad essi. Quindi ha senso attenersi a questa distinzione?

In un certo senso, dovrebbe essere chiaro che ci sono ancora interi popoli sottoposti sommariamente a un'oppressione brutale e barbara: I palestinesi, i saharawi, le popolazioni indigene di molti paesi dell'America Latina, gli adivasi in India, ecc. Ma anche gli iracheni o gli afghani, i cui paesi sono stati invasi dalla guerra e dalla distruzione da parte degli USA e dei loro alleati per decenni. Certamente, non è sbagliato usare qui il termine "popoli oppressi".

Ma quanto è utile questa distinzione per analizzare l'imperialismo nel suo insieme? Non credo molto, e per ragioni simili a quelle utilizzabili contro la teoria della dipendenza. Nella maggior parte dei paesi del mondo, non è affatto l'intera nazione ad essere oppressa, ma solo la classe operaia e altre classi e strati poveri, per esempio i piccoli agricoltori o una "piccola borghesia lumpen" (per esempio i venditori ambulanti ecc.). La borghesia dei paesi "dipendenti" di solito non è oppressa, ma semplicemente occupa una posizione subordinata o intermedia nella divisione internazionale del lavoro. Tuttavia, anch'essa è una classe sfruttatrice, ha un carattere parassitario e talvolta accumula enormi ricchezze a spese degli operai e dei contadini che vivono in miseria. Alcuni di questi capitalisti sono entrati ripetutamente nella lista degli individui più ricchi in assoluto sulla terra: Lakshmi Mittal, Kushal Pal Singh e Mukesh Ambani dall'India, Carlos Slim dal Messico, Zhong Shanshan, Jack Ma o Zhang Yiming dalla Cina, che si presenta ancora come un "paese in via di sviluppo", e così via. È molto fuorviante descrivere la popolazione di questi paesi collettivamente come una nazione oppressa, anche se è innegabile che ampi settori delle masse in India o in Messico, per esempio, devono ancora vivere in assoluta miseria.

Viceversa, però, è anche vero che la maggioranza del popolo o della nazione è oppressa, il che è anche vero per tutti i paesi, comprese le principali potenze imperialiste. I compiti strategici della classe operaia in Messico non sono fondamentalmente diversi da quelli della Germania. In entrambi i paesi, la sfida è costruire un'alleanza sociale sotto la guida di un PC per prendere il potere.

Tutto questo non significa che non ci siano differenze tra il Messico e l'India da un lato e gli Stati Uniti o la Germania dall'altro, o che siano irrilevanti. Significa solo che queste differenze sono molto meglio catturate dal concetto di interdipendenze asimmetriche/gerarchiche che da una rigida divisione in nazioni "oppresse" e "oppressori". Anche i livelli intermedi tra la cima e il "fondo" della piramide - a cui appartiene la stragrande maggioranza dei paesi - non possono essere catturati in modo soddisfacente con questa divisione: Il Messico, l'India, la Turchia, l'Iran, ecc. non sono né tra gli stati più ricchi del mondo né possono essere paragonati a paesi come Haiti, Malawi, Yemen o RD Congo.

Questo non vuol dire che chiunque voglia continuare a usare questa suddivisione lo faccia con intenti opportunistici o ne tragga conclusioni opportunistiche. Questo non è certamente il caso. Tuttavia, questa terminologia suggerisce tali conclusioni e non è analiticamente molto utile.

2. Ordine mondiale multipolare 

In relazione alla dichiarazione sull'Afghanistan, è emerso un altro punto di discussione, vale a dire la questione di come lo sviluppo del sistema mondiale imperialista verso una nuova multipolarità sia da valutare in questo contesto. Per quanto sia corretto che la fine dell'occupazione sia la precondizione per qualsiasi tipo di progresso, rimane aperta la questione di quali cambiamenti nel sistema mondiale imperialista ne deriveranno.

Sembra emergere che il ritiro delle truppe USA e NATO dall'Afghanistan sia effettivamente una sconfitta strategica per gli imperialisti occidentali, nel senso che la loro posizione in Asia centrale sarà permanentemente indebolita. L'Afghanistan ha avuto storicamente un'importanza strategica per gli Stati Uniti (come in precedenza per l'imperialismo britannico) come collegamento tra la Cina, l'India/Pakistan e la Persia o Iran. Oggi, è particolarmente significativo che l'Afghanistan confina con due dei nemici strategici degli Stati Uniti, la Cina e l'Iran, e fa anche parte del fianco meridionale del terzo nemico, la Russia, in senso più ampio. La Russia e la Cina (economicamente, la Cina spicca) stanno ora prendendo il posto degli Stati Uniti come potenze imperialiste dominanti nella regione dell'Asia centrale, dopo che gli Stati Uniti, il cui dominio non è mai stato assoluto e sicuro, hanno subito una serie di battute d'arresto negli anni 2000 e il potenziale economico, politico e militare di Russia e Cina è cresciuto notevolmente da allora.

Per il popolo afgano, indipendentemente da questo, è gratificante che l'occupazione stia finendo, perché una politica imperialista con mezzi diplomatici ed economici non è ovviamente la stessa cosa per la popolazione della guerra e dell'occupazione. Ma ciò che questo sviluppo significa per il resto del mondo non sembra essere stato ancora deciso. Bisognerebbe anche chiarire fino a che punto la vittoria dei talebani sia stata guidata e condizionata anche da attori stranieri, in parte imperialisti, cioè fino a che punto non solo il popolo afghano ma anche gli interessi stranieri (per esempio quelli del Pakistan, che a sua volta è effettivamente alleato della Cina) abbiano potuto prevalere. Ma se questo è il caso, e il popolo afgano in quanto tale non era affatto il soggetto di questa guerra (almeno non come un soggetto autonomo che combatte per i propri interessi in modo organizzato), allora è almeno fuorviante parlare di una "vittoria di tutto il popolo afgano".

Pericolo crescente di guerra mondiale

È possibile che un "ordine mondiale multipolare" possa offrire un nuovo margine di manovra tattico che potrebbe essere utilizzato da movimenti e governi rivoluzionari con l'obiettivo di costruire il socialismo. Per esempio, la conservazione almeno parziale dell'integrità territoriale e della sovranità della Siria potrebbe essere di gran lunga l'opzione migliore per il popolo siriano rispetto allo sprofondare del paese in decenni di guerre civili e conflitti etnici e religiosi, come deliberatamente fomentato dagli USA.

Ma allo stesso tempo, un tale ordine mondiale è molto più pericoloso in condizioni imperialiste in termini di rischio di uno scontro globale con un enorme potenziale di distruzione, e alimenta anche illusioni su vasta scala tra la gente e nel movimento comunista in aberrazioni molto problematiche - specialmente l'idea che schierarsi con un centro imperialista concorrente in un conflitto globale possa offrire una prospettiva positiva per la classe operaia. Tali aberrazioni, che hanno ricevuto un impulso negli ultimi anni dal massiccio aumento del culto acritico della Cina all'interno dell'ala opportunista del movimento comunista, devono essere chiaramente contrastate e non incoraggiate da formulazioni ambigue o omettendo la domanda.

Quindi, indipendentemente dal fatto che la scomparsa delle forze di occupazione sia un progresso per il popolo afgano, dovremmo anche prendere in considerazione, in una prospettiva più ampia, quali tendenze generali di sviluppo si esprimono nella sconfitta degli Stati Uniti. L'Afghanistan ora non è più una marionetta degli Stati Uniti ed è certamente più indipendente politicamente di prima, anche se il Pakistan e la Cina probabilmente ora avranno più da dire. Gli Stati Uniti, d'altra parte, hanno certamente anche consapevolmente calcolato di rinunciare alla loro posizione a seguito della loro sconfitta militare per investire le risorse corrispondenti in modo più strategicamente razionale nella mobilitazione contro la Cina. Molto approssimativamente, questo significa: meno soldi per truppe di terra, veicoli di fanteria e attacchi aerei in Afghanistan - più soldi per fregate, sottomarini e aerei da combattimento di ultima generazione per combattere una futura guerra su Taiwan o sul Mar Cinese Meridionale.

Così, in un certo senso, ci si può chiedere se l'opzione di una relativa pacificazione dell'Afghanistan non sia stata forse cercata in vista di un ulteriore aumento della minaccia di guerra mondiale tra la NATO, la Cina e la Russia. Il confronto interimperialista tra la NATO, cioè soprattutto gli USA e la Cina, sta diventando sempre più la linea di conflitto decisiva nel sistema imperialista. La Cina sta anche rapidamente recuperando dal punto di vista militare, tra l'altro perché gli Stati Uniti hanno speso una parte enorme del loro enorme budget militare negli ultimi due decenni per due guerre il cui beneficio politico globale può dirsi almeno discutibile. La differenza tra i bilanci militari di Stati Uniti e Cina è ora interamente dovuta a queste guerre  e - se le si sottrae -  le due potenze sono all'incirca alla pari. Cosa significa questo?

La RPC sta concentrando le sue risorse nella costruzione del suo esercito, specialmente le sue forze navali, in quelle di una potenza mondiale alla pari con gli Stati Uniti, mentre gli Stati Uniti stanno "sprecando" enormi somme in guerre che sono state decise e iniziate in condizioni politiche globali completamente diverse. L'ammiraglio a quattro stelle americano James Stavridis ha commentato: "La Cina sta spendendo i suoi soldi molto saggiamente. È estremamente concentrata - non solo sulle armi cibernetiche offensive -  ma anche sulle sue operazioni nello spazio, i suoi missili da crociera ipersonici e le sue tecnologie stealth. La Cina ha visto gli Stati Uniti spendere trilioni di dollari, essere coinvolti in due costose guerre in Iraq e Afghanistan, e ha detto: "Non abbiamo bisogno di tutto questo. Non saremo coinvolti in guerre del genere. Useremo la nostra spesa in modo molto intelligente" [5]. Probabilmente non dovremmo rallegrarci se ora gli Stati Uniti cominciano a usare sempre più la loro spesa in modo più "intelligente", cioè più in linea con il focus della loro strategia globale.

Un ordine mondiale imperialista "multipolare" non è di per sé più "progressivo" o "migliore" per la classe operaia di uno "unipolare". Il TKP afferma: "Non si possono trarre conclusioni dirette sui ruoli storici dei paesi dalle loro posizioni nella gerarchia imperialista. Il fatto che i paesi che non sono al vertice della gerarchia abbiano un impatto limitato sul sistema in generale non rende le loro azioni internazionali progressive"; e: "L'esistenza di alcuni paesi che sfidano la gerarchia imperialista e creano disturbi nel sistema non porta in tutti i casi a conseguenze favorevoli per la lotta della classe operaia. Il carattere capitalista di questi paesi, che agiscono nel quadro del sistema, non dovrebbe mai essere dimenticato." [6]

Tuttavia, poiché tali illusioni sono diffuse nel movimento comunista mondiale, è importante fare questa differenziazione in ogni momento, e chiarire (anche preventivamente) gli equivoci corrispondenti. La pericolosità della nuova costellazione "multipolare" dovrebbe anche essere nominata come parte della propria analisi e si dovrebbe prendere una posizione corrispondentemente cauta su di essa, invece di far scoppiare i tappi di champagne (retorici) a causa del ritiro delle truppe.

Note: 

[1] Le forze maoiste come i Naxaliti in India caratterizzano anche un paese capitalista forte come l'India come totalmente dipendente dall'imperialismo.

[2] Una metafora usata dal Partito Comunista di Grecia (KKE) in varie pubblicazioni.

[3] TKP 2017: Tesi sull'imperialismo lungo l'asse di Russia e Cina, Tesi 18.

[4] Programma e Costituzione del PCP, p. 11.

[5] "Dobbiamo evitare di inciampare in una grande guerra", intervista di Bernhard Zand con James Stavridis, Spiegel 6.5.2021.

[6] TKP 2017, tesi 13 e 16.


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