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- pensiero resistente - dibattito teorico - 28-05-22 - n. 831
Attualità della rivoluzione socialista, l'unica strada per l'emancipazione degli sfruttati e degli oppressi dell'America Latina e del mondo
Partito Comunista del Messico (PCM) | elcomunista.nuevaradio.org
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare
13/05/2022
Intervento presentato dal Partito Comunista del Messico (PCM) al Seminario latinoamericano "Crisi, rivoluzione e socialismo"; Buenos Aires, Argentina, 29/30 aprile 2022.
Cari compagni:
A nome del Comitato Centrale del Partito Comunista del Messico (PCM), desideriamo salutare il primo Seminario latinoamericano su Crisi, Rivoluzione e Socialismo che si sta svolgendo in questi giorni a Buenos Aires, così come i suoi promotori e organizzatori. Allo stesso tempo ci scusiamo per non poter essere presenti.
Mai, nemmeno per un secondo, da quando la divisione delle classi ha avuto luogo nella società, l'antagonismo, la lotta di classe, si è fermata, ma ci sono momenti in cui acquista maggiore intensità. Questo non significa che sia evidente, né che le parti in campo del conflitto sociale di classe siano pienamente coscienti dei loro interessi o dello scontro, perché ci sono un insieme di ostacoli teorici, ideologici, culturali che lo impediscono. Proprio per questo, l'elemento cosciente, il partito rivoluzionario del presente, cioè il partito comunista, ha il dovere costante e imprescindibile nelle questioni ideologiche di analizzare la realtà e ogni fenomeno che emerge. Quando questa caratteristica passa in secondo piano, la lotta rivoluzionaria perde la sua direzione e porta alla confusione. In questo momento nel movimento comunista dell'America Latina esistono una serie di questioni ideologiche che, se affrontate in modo errato, porteranno a profondi problemi politici, strategici e tattici, e vogliamo soffermarci su alcune di esse a titolo introduttivo.
Si tratta della validità della teoria marxista-leninista dell'imperialismo, della questione del progressismo e dell'obiettivo del socialismo-comunismo, cioè della rivoluzione socialista.
Nello sviluppo della teoria marxista, Lenin comprende il cambiamento qualitativo avvenuto nell'ultimo quarto del XIX secolo e che si manifesta in tutte le sue caratteristiche nei primi anni del XX secolo, ovvero il passaggio dalla libera concorrenza al monopolio attraverso il processo di concentrazione e centralizzazione del capitale. In tutti i suoi studi, che peraltro non si riducono a L'imperialismo, fase suprema del capitalismo, ma, come egli stesso afferma, a tutti gli articoli dal 1914 in poi. In sostanza Lenin dice che l'imperialismo è capitalismo monopolistico. Questo è chiaro, è una fase del sistema capitalista, ma c'è chi riduce tutto a un gruppo di paesi capitalisti, a un impero o a una metropoli e ai paesi dipendenti. Il gruppo di paesi dipendenti, che era stato delineato quando Lenin scrisse quell'opera, oggi si è trasformato in potenti paesi capitalisti (ad esempio India, Cina, Messico) e quindi trova riscontro rispetto alla dipendenza un approccio dogmatico o statico. L'approccio all'imperialismo come una o poche metropoli porta ad associare l'imperialismo solo agli Stati Uniti o all'Unione Europea e a distogliere l'attenzione dalla questione di fondo, il capitalismo monopolistico che oggi si annida nel mondo capitalista e quindi i suoi problemi, gli antagonismi e la posizione della classe operaia di fronte ad esso.
Così, ad esempio, l'attuale guerra, in cui tutti i paesi coinvolti sono paesi in cui prevale il capitalismo monopolistico, indipendentemente dalla loro collocazione nel sistema capitalistico, non è correttamente apprezzata e quindi non è adeguatamente caratterizzata. Nell'Unione Sovietica, poco più di 30 anni fa, la controrivoluzione capitalista ha temporaneamente rovesciato la costruzione socialista, e oggi in Russia e negli altri paesi che ne facevano parte, il capitalismo è apertamente predominante e ci sono potenti monopoli, come ad esempio Gazprom.
La guerra, che con l'intervento militare della Russia in Ucraina ha compiuto il suo passo iniziale, ma che è destinata a diventare una guerra generalizzata a causa degli antagonismi tra gli Stati Uniti, l'Unione Europea e la NATO contro la Cina, la Russia e i loro alleati, è nella sua essenza una guerra di carattere imperialista, una disputa tra "due gruppi mondiali di potenti predatori imperialisti", ed è per questo che insistiamo sul fatto che più di 40 partiti comunisti e operai, così come 30 organizzazioni giovanili comuniste, hanno indicato il conflitto come una guerra imperialista; il che significa che ci opponiamo e affrontiamo entrambe le parti in causa, e che non commetteremo l'errore, da cui Lenin metteva in guardia, di schierarci sotto la bandiera altrui.
L'opportunismo e la socialdemocrazia, con l'approccio di considerare solo gli USA e l'UE come "imperialismo", emendano l'altro gruppo mondiale di paesi capitalisti assegnando loro un ruolo "antimperialista", e lavorano a portare la classe operaia e i popoli in guerra sotto questa bandiera estranea. Ci soffermiamo su questo tema per individuare uno dei gravi problemi del movimento comunista nella regione (dell'America Latina): identificare per antimperialismo non la lotta contro il capitalismo monopolistico, sia a livello internazionale che nel proprio paese, ma l'antiamericanismo e, in nome della lotta contro gli USA, viene imbiancata l'Unione Europea, per combattere in questo modo gli accordi di libero scambio con gli Stati Uniti e sostituirli con accordi con essa; per rafforzare il proprio sviluppo capitalistico, ad esempio attraverso il Mercosur e altri meccanismi interstatali; o in nome del multipolarismo per aprire la strada all'esportazione di capitali da parte di Cina, Russia e altri paesi della regione. Come si vede, si tratta di una questione complessa che deforma la teoria leninista dell'imperialismo, ma noi comunisti siamo in dovere di avanzare una proposta precisa, aderendo pienamente ai principi acquisiti del marxismo-leninismo.
Un'altra questione fondamentale è quella del progressismo. Sta per passare un quarto di secolo da quando il cosiddetto ciclo progressista è iniziato nel 1999 con il trionfo di Chávez, il che significa che abbiamo elementi sufficienti per definire la natura di classe e le posizioni programmatiche di questa corrente, indipendentemente dalla veste ideologica che hanno adottato, e che si sono impegnati nella demagogia di proclamarsi socialisti o rivoluzionari, che hanno voluto introdurre teorie di restaurazione e conservazione del capitalismo sotto le vesti di "socialismo del XXI secolo", "capitalismo andino", ecc.
Un primo punto su questo tema è il falso dilemma tra neoliberismo e anti-neoliberismo, che in realtà è la questione delle diverse versioni di gestione del capitalismo e che diventa un vicolo cieco per la classe operaia e tutti gli oppressi rispetto alla priorità di una soluzione rivoluzionaria. In nome dei fronti anti-neoliberali, le opzioni socialdemocratiche sono andate al potere in Venezuela, Bolivia, Ecuador, Argentina, Cile, Brasile, El Salvador, Honduras, Uruguay, Perù e Messico. Chiediamo se ci sono stati cambiamenti reali, profondi e radicali, o se con delle sfumature è stato garantito lo sfruttamento capitalistico, l'estrazione del plusvalore, l'appropriazione privata della ricchezza prodotta socialmente. Lo stato capitalistico, cioè la dittatura di classe della borghesia, è stato distrutto in alcuni di questi paesi e sostituito dalla dittatura del proletariato? C'è stata un'avanzata delle forze rivoluzionarie? I partiti comunisti si sono consolidati o c'è una stagnazione? Conosciamo il caso di partiti comunisti che in nome dell'"unità" hanno smesso di fare politica propria per svilupparsi fondamentalmente all'interno degli "strumenti politici della socialdemocrazia", diluendo così il loro programma, la loro politica, la loro vita organica, avvicinandosi pericolosamente all'autodissoluzione; e anche il caso di alcuni governi "progressisti" che hanno generato "PC" paralleli e falsi. In vista del 7° Congresso del PCM, che si terrà il prossimo dicembre, presenteremo un bilancio conclusivo. Ma credo che nel corso del dibattito dei comunisti del Messico possiamo affermare che il progressismo è una gestione del capitalismo che cerca un'impossibile sua umanizzazione, che una tale trasformazione di facciata non fa che prolungare l'agonia della nostra classe e dei nostri popoli, e rende impossibile la concentrazione delle forze per perseguire l'obiettivo rivoluzionario contemporaneo: la conquista del potere da parte della classe operaia.
Un secondo aspetto è che il "progressismo" ha come suo compito la smobilitazione delle lotte, la stabilità del capitalismo di fronte alla crisi economica e politica. In questo modo, con la smobilitazione, un governo come quello di Obrador ha sbiancato meccanismi criminali di repressione come l'Esercito (responsabile di crimini di Stato nel 1968, della Guerra Sporca e recentemente di Ayotzinapa), ha ratificato il NAFTA con Stati Uniti e Canada e ha imposto una brutale politica anti-immigrati. Inoltre, ha mantenuto le cosiddette politiche neoliberali, mascherandole però con l'assistenzialismo. E la storia si ripete con gli altri "progressismi".
L'ultimo punto ha a che fare con il vecchio dilemma riforma o rivoluzione ed è senza dubbio una delle questioni strategiche chiave. Già più di 60 anni fa, in linea con la piattaforma opportunista emersa dal XX Congresso del PCUS, è apparsa la questione delle cosiddette vie nazionali al socialismo in contrapposizione all'esperienza della Grande Rivoluzione Socialista d'Ottobre. La questione generale si riferisce al collocare tappe intermedie e posticipare continuamente i compiti per il rovesciamento del capitalismo attraverso una politica di alleanze con nemici di classe come la socialdemocrazia e la cosiddetta "borghesia nazionale". Ma il grado di maturità del socialismo-comunismo è verificabile in considerazione dei limiti storici del modo di produzione capitalistico; pertanto, a prescindere dagli attuali sfavorevoli rapporti di forza, riteniamo che il programma riformista del nazional-sviluppismo, della cosiddetta "liberazione nazionale" debba essere lasciato alle spalle e che si debba riprendere la necessità del potere operaio, della socializzazione dei mezzi di produzione concentrati e della pianificazione dell'economia.
Lasciamo quindi queste riflessioni, che sono una parte sostanziale del dibattito che proponiamo al movimento comunista dell'America Latina, nella speranza che, un po' più avanti, si possa discutere e riflettere su questi temi come si dovrebbe discutere, cioè in presenza.
Libertà per Facundo Morales!
Viva i comunisti argentini!
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