www.resistenze.org - pensiero resistente - dibattito teorico - 12-07-22 - n. 836

Fuori dal deserto

Greg Godels | zzs-blg.blogspot.com
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

27/06/2022

Mano a mano che dalla nostra memoria storica scompare l'Unione Sovietica, scompare anche la chiarezza ideologica sul socialismo. Non perché l'Unione Sovietica avesse il monopolio del pensiero socialista - c'erano certamente contributi all'interno e all'esterno del mondo socialista allora esistente che riflettevano tempi, circostanze e tradizioni diverse - ma l'Unione Sovietica rappresentava una costante storica, una costante in evoluzione che collegava l'ascesa del marxismo rivoluzionario dell'inizio del XX secolo al pensiero socialista successivo.

Non si doveva necessariamente essere d'accordo con la teoria socialista sovietica alla fine del XX secolo, ma si doveva fare i conti con essa; si doveva localizzare il proprio pensiero longitudinalmente e latitudinalmente rispetto a quel baricentro.

Poiché serviva come quadro di riferimento per altri movimenti di sinistra - presunti comunisti, non comunisti e anticomunisti - c'era una certa logica nella politica della sinistra globale, ben espressa dalla divisione tra la sinistra comunista e rivoluzionaria e la sinistra socialdemocratica e riformista. Queste due tendenze hanno dominato la politica della sinistra, con varie correnti e scostamenti che hanno giocato un ruolo minore.

Dopo il dissolvimento dell'Unione Sovietica, l'ideologia di sinistra si è scardinata. La socialdemocrazia si è ridotta ad apportare al trionfalismo capitalista un volto moderato e un po' più umano, raggiungendo la piena espressione con la cosiddetta Terza Via di Clinton, Blair e Hollande. Senza la pressione dell'eredità storica del marxismo rivoluzionario (marxismo-leninismo), la deriva verso destra era inevitabile.

All'interno del movimento marxista-leninista, la frustrazione e la delusione hanno portato ad aspre lotte, scissioni e al ripiegamento su quelli che Lenin ha descritto bene come "gli anni della reazione" dopo la sconfitta della rivoluzione russa del 1905: "Tutti i partiti i partiti rivoluzionari e d'opposizione sono sconfitti. Scoraggiamento, demoralizzazione, scissioni, sfacelo, tradimento, pornografia invece di politica. Si accentua la tendenza all'idealismo filosofico; si rafforza il misticismo come copertura dello spirito controrivoluzionario... Gli amici si conoscono nella sventura". Estremismo: malattia infantile [da V.I. Lenin, Opere Complete, vol. 31 [aprile-dicembre 1920], Editori Riuniti, Roma, 1967, pg 18]

Molti accademici marxisti - teorici le cui idee non hanno mai attecchito nella classe operaia, ma che hanno comunque esercitato una grande influenza - hanno abbandonato il socialismo rivoluzionario per la critica sociale, spinti da un nuovo e brillante giocattolo intellettuale, il postmodernismo. L'ideologia che si era coagulata intorno all'idea di classe si è frantumata nella politica delle identità individuali e dei diversi interessi. Troppo spesso questo pensiero si è infiltrato nella politica di sinistra, confondendo i compagni più giovani, per natura affascinati dal nuovo.

Altri accademici credevano di aver trovato un fondamento più rigoroso per il marxismo nel neopositivismo della scelta ottimizzata, dell'interesse personale e dell'individualismo, il crescente consenso intellettuale della scienza sociale borghese. Dopo sterili dibattiti, spesso formulati in un linguaggio formale, i sostenitori hanno concluso che le idee più interessanti e originali del marxismo non potevano essere ridotte a dichiarazioni su individui isolati che massimizzavano i loro interessi immediati e ristretti. Quindi il marxismo doveva essere abbandonato per preservare l'amato metodo, un'assurdità patentata!

Nell'ultimo decennio del XX secolo, nei principali settori della sinistra, soprattutto in Occidente, era iniziato un processo di ricerca dell'anima. Sia la centralità della politica di classe che l'obiettivo ereditario di costruire il socialismo si sono allontanati negli approcci di nuova concezione della grande sinistra.

Sulla scia della crisi economica globale del 2007-2009, l'idea di classe è riemersa, anche se in modo semplicistico e primitivo. Nel 2011, gli attivisti che si organizzavano attorno allo slogan "Occupy!" hanno introdotto la dicotomia dell'1% e del 99% come espressione delle grandi e crescenti disuguaglianze di ricchezza e reddito negli Stati Uniti. Mancando di comprensione della complessità delle classi e degli strati sociali, lo slogan "il 99%" era destinato a evocare un'unità illusoria dei presunti poveri, ingenua e irraggiungibile. E l'idea dell'"1%" riduceva il potere e il dominio storicamente evoluto della classe capitalista a un mero numero attuariale.

La "ritirata dalla classe" (come l'ha definita giustamente Ellen Meiksins Wood) è continuata senza sosta, accompagnata dall'abbandono di ogni vera difesa del socialismo.

L'insoddisfazione per un Partito Democratico senz'anima, che si rivolgeva sempre più a una base di piccoli borghesi benestanti, ha fatto rinascere negli Stati Uniti l'interesse per la socialdemocrazia. Questo nuovo interesse è nato dalla campagna del democratico indipendente Bernie Sanders, che si è rifiutato di rinunciare all'appellativo di "socialista". I giovani, in particolare, sono stati attratti in gran numero da un socialismo "legittimato", dando vita a numerose organizzazioni di sinistra e campagne elettorali.

Ironia della sorte, questo nuovo momento socialdemocratico si è verificato negli Stati Uniti quando la socialdemocrazia in Europa - il suo indirizzo tradizionale - era screditata e marginalizzata.

Sebbene l'accettazione della parola "socialismo" negli Stati Uniti fosse benvenuta, essa era legata a un socialismo tiepido e progressivo, profondamente radicato nel Partito Democratico e praticamente indistinguibile dal precedente New Deal degli anni Trenta.

Certo, questa svolta a sinistra era benvenuta e l'affrancamento della parola "socialismo" dalle catene della paura rossa segnava un progresso.

Ma il cosiddetto "socialismo" democratico non è un socialismo in senso stretto, bensì un marchio associato all'ala sinistra del Partito Democratico.

L'arretramento dal socialismo reale - esistente e teorico - e l'abbandono dello strumento dell'analisi di classe disabilitano e disarmano la sinistra, lasciandola vacillare tra l'accomodamento del capitalismo con riforme frammentarie e la rinuncia al progetto socialista sine die.

La mia difesa del socialismo è stata spesso bollata come atteggiamento paternalistico: "Certo, ma dicci come ci arriviamo da qui".

Ma non possiamo arrivare da nessuna parte se non decidiamo dove vogliamo andare. E sicuramente dobbiamo scegliere il nostro percorso collettivamente.

I segni che la nostra sinistra ha abbandonato l'obiettivo del socialismo, insieme alla partigianeria di classe, abbondano... purtroppo.

La contraddizione - e il termine marxista è più che appropriato - tra l'aumento dell'inflazione e la contrazione della crescita ha messo in difficoltà i politici capitalisti. La loro opinione generale - che discende dalla teoria borghese - è che la spesa debba essere reinviata. Il modo consueto per farlo è quello di frenare l'attività economica, esattamente ciò che la Federal Reserve intende fare con gli aumenti dei tassi di interesse.

Dato che una brusca frenata dell'economia produrrà inevitabilmente una sofferenza diffusa e profonda su una classe operaia già in difficoltà, ci sarebbe da immaginarsi che ci siano argomentazioni forti e inattaccabili in favore del socialismo. Poiché oggi la storia degli Stati Uniti presenta un problema apparentemente insanabile per la classe dominante, con due soli disastrosi possibili esiti - l'aumento dell'inflazione o una profonda recessione - la sinistra dovrebbe attribuire il disastro che si prospetta al capitalismo.

Ma non è così. Al contrario, la sinistra incolpa la Federal Reserve o cerca vanamente un modo per salvare il capitalismo dalla sua crisi.

- Un titolo apparso su Jacobin - rivista di area "socialista" - e ripreso da Portside recita in modo inquietante: "Per combattere l'inflazione, la Fed dichiara guerra ai lavoratori". No, non è la Federal Reserve a dichiarare guerra ai lavoratori. La Federal Reserve è un'istituzione capitalista. È sempre in guerra contro i lavoratori, è il suo compito. È il capitalismo, come sempre, a essere in guerra contro i lavoratori. Ditelo! C-a-p-i-t-a-l-i-s-m-o.

L'articolo conclude suggerendo come il capitalismo potrebbe "forgiare" un percorso alternativo per ridurre l'inflazione - una piccola suggestione scollegata alla crisi che il capitalismo si trova ad affrontare, ma che ha il merito di eludere l'elefante nella stanza.

- C'è poi la risposta di Michael Hudson all'azione della Federal Reserve sui tassi d'interesse, The Fed's Austerity Program to Reduce Wages (Il programma di austerità della Fed per ridurre i salari), pubblicata su numerosi siti web, da Counterpunch a TeleSur. Hudson ha un grande seguito, nonostante non abbia alcuna storia o legame con la sinistra organizzata, a parte un'apparente incrocio giovanile con il trotskismo. La sua lunga storia di insider dell'industria finanziaria e la sua loquacità sembrano, in qualche modo, rafforzare la sua popolarità.

Ancora una volta, non è il capitalismo il responsabile della situazione in cui versano i lavoratori, ma "il neoliberismo", "la visione miope dei manager delle aziende e dell'1%" e "la guerra fredda di Biden". Hudson rafforza la spiegazione invocando le sue due bêtes noires preferite: il debito e la classe dei rentier. Ma non il capitalismo.

Non ho nulla da eccepire sul termine "neoliberismo" se si tratta di un'espressione che indica l'aggiustamento socio-politico-economico effettuato da e per il capitalismo durante la crisi di stagflazione degli anni Settanta e dopo il fallimento delle soluzioni keynesiane. Ma oggi viene usato troppo spesso e con zelo per evocare un male maligno che attacca un capitalismo altrimenti stabile e duraturo che impone condizioni onerose a una classe operaia contrariata ma in qualche modo soddisfatta del capitalismo.

Si tratta di una pura assurdità, ovviamente, ma è il ragionamento latente dietro l'ossessione per il neoliberismo della maggior parte dell'opinione pubblica di sinistra. Se solo potessimo scacciare il neoliberismo... Anche in questo caso, il capitalismo come formazione socio-economica onnicomprensiva ottiene un lasciapassare.

- Il professor Richard Wolff è un impressionante commentatore di molte idee marxiste. È il personaggio di riferimento quando i media di centro-sinistra, come Democracy Now!, vogliono sentire parlare di marxismo. Ma il professor Wolf non è un marxista. Non è nemmeno un socialista, anche se potrebbe contestare questa affermazione. Pur essendo indubbiamente impegnato e serio, non è al socialismo che si dedica. Al contrario, sostiene un assalto a passo di lumaca al capitalismo attraverso piccole cooperative di consumo e di produzione, una persistente strategia utopica per rosicchiare i margini del capitale. Questa strategia non è una risposta per il capitalismo monopolistico, il capitalismo della nostra epoca.

Come molti altri, Wolff dimostra un'avversione a individuare nel capitalismo la causa materiale, formale, effettiva e ultima delle crisi odierne, preferendo individuare i difetti riparabili del capitalismo e cercare una soluzione.

Nelle sue Tre alternative anti-inflazione all'aumento dei tassi d'interesse, apparse su Economy for All, In These Times, Popular Resistance e altre riviste, Wolff si mostra più interessato a trovare un modo per gestire la crisi dall'inflazione-stagnazione che ad attaccarne la causa.

Wolff propone non una, ma tre alternative a disposizione del capitalismo per sfuggire alle grinfie dell'inflazione.

In primo luogo, propone una soluzione da tempi di guerra: le tessere annonarie. Si può solo immaginare come verrebbe accolta da una cittadinanza già divisa su mascherine, vaccini e lockdown, per non parlare delle armi. In effetti, questa proposta potrebbe involontariamente essere una scintilla per ulteriori incomprensioni e conflitti insensati.

In secondo luogo, Wolff fa rivivere la tattica dell'epoca Nixon del blocco del prezzo dei salari. Come nel razionamento, un congelamento - anche un breve congelamento dei salariali - smorza le ingiustizie ma si limita a sospendere temporaneamente le crescenti e profonde pressioni inflazionistiche. Nel caso di Nixon, Ford e Carter, queste pressioni sono esplose per il resto del decennio senza alcun sollievo o beneficio per i lavoratori. Come il razionamento, il blocco dei prezzi dà l'impressione di agire, ma lascia intatta e inespressa la causa del disagio economico: il capitalismo.

Pur non menzionando il socialismo, la terza "alternativa" di Wolff ne invoca lo spirito con la possibilità di "socializzare le imprese capitalistiche private...". Ma prima che si possa pronunciare l'appello comunista di Marx espresso nel Manifesto per l'abolizione della proprietà borghese, Wolff delude le nostre speranze. Non chiede la fine dello "sfruttamento dei molti da parte dei pochi", ma qualcosa di completamente diverso. Invece, dice, prendiamo esempio dalla storia delle commissioni per i servizi pubblici, quelle che hanno fallito miseramente nel proteggere i consumatori da frodi, aumenti di prezzo ingiustificati e altri abusi:

In tutti gli Stati Uniti, commissioni per le assicurazioni, per i servizi pubblici e altre commissioni pubbliche limitano la libertà delle imprese capitalistiche private di aumentare i prezzi nei mercati che regolano. I capitalisti privati in tali mercati non possono aumentare i prezzi senza il permesso di tali commissioni. Un governo potrebbe istituire una commissione in ogni sorta di mercato, con criteri per la concessione o il rifiuto di tali permessi. Supponiamo, ad esempio, che alcuni o tutti i prodotti alimentari siano considerati socialmente (democraticamente) beni di base, in modo che nessun produttore o venditore possa aumentare i prezzi senza l'approvazione di una commissione alimentare federale. La lotta all'inflazione potrebbe essere uno dei criteri di approvazione in questo caso (così come oggi è un criterio per le politiche monetarie della Fed).

È meno utopico, meno favolistico, meno irrealistico, più promettente della richiesta di abolire la proprietà borghese? Sostenere il socialismo è una soluzione più lontanamente possibile che istituire "commissioni" che regolino i prezzi capitalistici e, di conseguenza, i profitti? Wolff si limita a presentare una fantasiosa lista di desideri per far fronte a un disastro imminente.

Un'analisi delle varie "soluzioni" alla contraddizione dell'esplosione dei prezzi capitalistici e del rallentamento dell'attività economica offerte da importanti pensatori di sinistra, mostra che non hanno alcuna soluzione. Inoltre, tutte le "soluzioni" proposte mirano a gestire il capitalismo meglio dei suoi dirigenti borghesi. Tutte cercano di migliorare il capitalismo, di renderlo più amichevole, di domare i suoi "eccessi" guidandolo attraverso le sue crisi interne.

Se la sinistra di oggi si rifiuta di discutere seriamente di socialismo, rimandandolo a un altro tempo e a un altro luogo, consegna il popolo a un'eterna peregrinazione nel deserto biblico.

Non si tratta di un altro tentativo a metà di cambiamento riformista o utopico (dopo secoli di tentativi deludenti), ma di un impegno per il socialismo rivoluzionario che libererà la classe operaia "dalle mani dei [capitalisti] e la farà uscire da quella terra per portarla in una terra buona e grande, in una terra dove scorre latte e miele..." (con le scuse di Esodo 3:8).

La classe operaia si merita di meglio che altri trent'anni di vagabondaggio nel deserto del malgoverno, delle idee confuse e della paura del socialismo.


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