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Riflessioni ad alta voce sul movimento comunista internazionale

Kemal Okuyan *, Partito Comunista di Turchia (TKP) | solidnet.org
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

03/02/2023

Per abitudine siamo soliti utilizzare spesso l'espressione «movimento comunista internazionale». Oggi, tuttavia, non si può parlare di un fenomeno che meriti la definizione di movimento comunista internazionale.

Ci sono comunisti in quasi tutti i Paesi del mondo; partiti od organizzazioni che utilizzano il termine «comunista» sono attivi in numerosi Paesi. Alcuni di essi sono abbastanza influenti nei rispettivi Paesi; alcuni si trovano al potere. Si può perfino affermare che oggi i partiti comunisti sono molto più diffusi che nel 1919, quando fu fondata l'Internazionale Comunista, e negli anni immediatamente successivi.

Ma questo non permette comunque di parlare di un movimento.

Perché un movimento, a prescindere dalle sue contraddizioni interne, ha una traiettoria. Ed è chiaro che i partiti comunisti odierni non hanno quella traiettoria comune che è lecito attendersi da un movimento.

Dobbiamo quindi rispondere a un interrogativo: è possibile che i comunisti di oggi si trasformino in un movimento internazionale?

Un «partito comunista» si può definire in funzione della sua volontà e determinazione a condurre l'umanità verso una società libera dalle classi e dallo sfruttamento. Un gruppo il cui tessuto non è caratterizzato da questa volontà e determinazione, pur conservando l'originalità e la ricchezza delle sue componenti, non può trasformarsi in un «movimento comunista internazionale».

Questa affermazione non va considerata una critica o una polemica, bensì una valutazione oggettiva della situazione.

La lotta per la democrazia o per la pace, e il trovarsi all'avanguardia di tale lotta, non può sostituire la missione storica dei partiti comunisti. Analogamente, sebbene la lotta contro l'imperialismo statunitense rappresenti un compito irrinunciabile per i partiti comunisti, non costituisce però una loro caratteristica distintiva.

Per comprendere meglio ciò che intendo dire si può fare riferimento alle testimonianze della storia.

Come sappiamo, tra il 1933 e il 1945 il movimento comunista internazionale si concentrò principalmente sulla lotta contro il fascismo, mentre altri compiti e obiettivi furono relegati in secondo piano. Tuttavia, nel riferirci a questo periodo continuiamo a utilizzare l'espressione «movimento comunista internazionale». Pur spiegando questo con l'esistenza dell'URSS, ciò che non dobbiamo dimenticare è il fatto che perfino durante questo periodo l'URSS mantenne al centro la prospettiva di una «lotta per un mondo libero dalle classi e dallo sfruttamento», e malgrado alcuni errori proseguì i suoi sforzi con l'obiettivo di approfittare delle occasioni che si presentavano per far compiere un balzo avanti al processo rivoluzionario mondiale.

Se l'Internazionale Comunista si potesse ridurre esclusivamente alla politica del Fronte Popolare, si potrebbe a buon diritto affermare che sul piano storico la decadenza del movimento comunista internazionale sarebbe iniziata già dagli anni Trenta.

Deve essere chiaro che questo approccio non ha nulla a che vedere con una denigrazione della lotta contro il fascismo o altri simili intenti. Il punto è unicamente rammentare che la definizione di «movimento comunista internazionale» presuppone una traiettoria comune in linea con la missione storica del comunismo.

Di fatto, ciò su cui dobbiamo concentrarci è come giungere a un punto in cui questa missione storica ritorni nuovamente in primo piano, trasformandosi in un centro di gravità in grado di influenzare e plasmare ogni partito comunista, con i suoi specifici percorsi e programmi.

È ovvio che affinché il comunismo consegua un peso e un'influenza del genere sul piano internazionale è indubbiamente necessario affrontare la questione delle condizioni oggettive. Sarebbe però un grave errore legare il salto di qualità del movimento comunista a una congiuntura favorevole destinata a manifestarsi in un momento imprecisato, specie in un'epoca come la nostra in cui il capitalismo, in ogni Paese, si trova davanti a un punto morto insuperabile sul piano economico, politico e ideologico. In una situazione in cui il dominio del capitale si barcamena di crisi in crisi ed è incapace di offrire la minima speranza - nemmeno una falsa speranza - all'umanità, dovrebbe essere evidente che i comunisti devono attribuire la priorità all'analisi dell'elemento soggettivo, invece di lamentarsi della situazione stessa.

Il dibattito richiede coraggio da parte nostra.

Il processo rivoluzionario mondiale aveva iniziato a dotarsi dei riferimenti teorici e politici necessari per le difficili lotte che si preparavano dopo i pochi decenni trascorsi dalla redazione del Manifesto del Partito Comunista, impareggiabile nel suo linguaggio. Divergenza e convergenza richiedono sempre punti di riferimento. All'inizio del Novecento, il marxismo era ormai divenuto il principale riferimento del movimento operaio, prendendo il sopravvento sul suo rivale, l'anarchismo. Malgrado ciò, ben presto il movimento marxista si disintegrò. Si trattò di una scissione che fu considerata inevitabile e necessaria perfino da coloro secondo i quali l'«unità» era comunque qualcosa di positivo. In buona sostanza, i marxisti avevano imboccato due percorsi diversi: quello rivoluzionario e quello riformista.

Con il tempo divenne chiaro che non poteva esservi un'interpretazione riformista del marxismo. La socialdemocrazia abbandonò lo schieramento rivoluzionario, perpetrando il peggior tradimento della storia ai danni della classe operaia.

Questo significò anche l'inizio di un periodo in cui i rivoluzionari di tutto il mondo, che ora preferivano la definizione di «comunisti», rinnovarono e rafforzarono i loro punti di riferimento. Le 21 condizioni per l'ammissione nell'Internazionale Comunista, fondata nel 1919, si possono considerare a buon diritto l'espressione più cristallina di questi punti di riferimento.

A partire dal 1924, quando l'ondata rivoluzionaria mondiale iniziò a rifluire, una certa erosione di questi riferimenti teorici e politici divenne inevitabile. Il fascismo tedesco e in seguito la seconda guerra mondiale accelerarono tale erosione.

Di fatto, il periodo compreso tra il 1924 e il 1945, contraddicendo la filosofia alla base della fondazione del Comintern, pose ognuno dei giovani partiti comunisti di fronte alla propria realtà, e inoltre impose a ciascuno di essi responsabilità diverse in relazione agli interessi generali del processo rivoluzionario mondiale.

Nonostante ciò, l'esistenza della Rivoluzione d'Ottobre e del suo frutto più prezioso, l'Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche, così come la determinazione a instaurare il socialismo che caratterizzò quegli anni, rafforzata dalla transizione a un'economia pianificata, dall'industrializzazione e dalla collettivizzazione dell'agricoltura, fornirono un quadro storico di straordinario valore ai partiti comunisti. La sconfitta del fascismo e il rafforzamento del socialismo dopo la seconda guerra mondiale rafforzarono questo ideale.

Ciononostante, il movimento comunista internazionale stava fronteggiando gravissimi problemi interni che indebolirono l'integrità che aveva potuto mantenere grazie al prestigio dell'Unione Sovietica.

I punti di riferimento vennero meno, e il «marxismo riformista», che sotto alcuni aspetti veniva considerato ormai tramontato, ritornò a farsi sentire.

Il discorso tenuto da Chruščëv, allora Segretario Generale del PCUS, alla chiusura del XX Congresso del 1956, recise gli ultimi legami che ancoravano il movimento comunista internazionale al suo porto sicuro e - ciò che più conta - fece a pezzi l'ottimismo che dominava dal 1917.

L'aspetto interessante è che il discorso di Chruščëv, zeppo di distorsioni, non produsse un dibattito sensato né una conseguente scissione del movimento comunista internazionale.

Malgrado ciò, rimaneva la speranza che il movimento comunista conservasse e attualizzasse i principi del 1919 e facesse propri punti di riferimento teorici e politici più solidi. Al contrario, ciò che si creò fu una situazione di disordine in cui numerosi partiti privi di elementi comuni mantenevano a loro modo una relazione individuale con l'Unione Sovietica, che continuava a costituire il successo più importante della rivoluzione mondiale.

Nemmeno il conflitto tra la Repubblica Popolare Cinese e l'URSS, che sfociò in una violenta rottura, determinò una sana separazione. Nel periodo che fece seguito a questa rottura, il baratro che separava tra loro i partiti che mantenevano stretti rapporti con il PCUS non fece che allargarsi. Dal momento che alcuni dei partiti che governavano nelle Repubbliche Popolari dell'Europa centrale e orientale tentarono di sopperire ai loro limiti nel periodo compreso tra il 1944 e il 1949 attraverso l'ibridazione ideologica, i rapporti di forza interni al movimento comunista internazionale si complicarono ulteriormente. Ma il problema era molto più grosso. Per esempio, l'amicizia con l'Unione Sovietica rappresentava praticamente il solo punto in comune tra il Partito Comunista di Cuba - che negli anni Sessanta impresse un rinnovato dinamismo al movimento comunista, non soltanto nella piccola isola in cui conquistò il potere, ma in tutta l'America Latina e nel mondo - e altri partiti comunisti che si indirizzarono verso l'eurocomunismo. Fu così che fino alla dissoluzione dell'Unione Sovietica non si generò alcun dibattito o scissione in grado di far avanzare il movimento comunista internazionale.

Dopo il 1991 non esistevano più né il PCUS, che aveva mantenuto legati a sé molti o tutti i partiti, né un asse intorno al quale i partiti comunisti potessero gravitare.

Grazie agli sforzi molto importanti di alcuni partiti, in particolare il Partito Comunista di Grecia, divenne compito prioritario ricomporre tutto ciò che rimaneva nel nome del comunismo. I Partiti Comunisti e Operai si sono riuniti per 22 volte. Questo è stato estremamente importante in sé. Tuttavia, questo periodo non è servito a fare sì che il movimento comunista internazionale ricostruisse i propri punti di riferimento, così come era necessario. E con il trascorrere del tempo ha iniziato a farsi strada l'idea che i partiti comunisti non abbiano bisogno di riferimenti teorici e politici.

Oggigiorno non disponiamo di un meccanismo funzionale per esaminare le differenze fondamentali che si possono rilevare osservando non soltanto i partiti membri di Solidnet che partecipano agli Incontri Internazionali dei Partiti Comunisti e Operai, ma tutti i partiti che si definiscono comunisti.

Sarebbe un grave errore razionalizzare questa mancanza di comunicazione nascondendoci dietro il principio della non ingerenza nelle questioni interne, benché tale principio, riteniamo, debba essere rigorosamente preservato nel periodo che si va avvicinando.

In ultima analisi, il processo rivoluzionario mondiale è un tutt'uno, e il modo in cui ogni partito che si identifica come comunista si relaziona a tale processo riguarda anche tutti gli altri attori che ne fanno parte.

Questo articolo si può considerare un modesto tentativo di riflettere a voce alta sulle varie forme che le relazioni tra i partiti comunisti dovrebbero assumere nelle circostanze date.

Vale la pena di sottolineare fin d'ora ciò che affermeremo alla fine. Malgrado le innegabili e rilevanti differenze che esistono oggi tra i partiti comunisti, non esistono le condizioni per una sana divisione o scissione.

Dobbiamo organizzare un dibattito - un dibattito realmente coraggioso.

Questo non va considerato un appello ai partiti comunisti affinché diano inizio a uno scontro ideologico al loro interno e tra loro. Le dimensioni della decadenza del capitalismo impongono ai partiti comunisti il compito di farsi veicolo quanto prima di un'alternativa reale. In questo momento non possiamo limitarci a un dibattito accademico e teorico.

Ciò di cui abbiamo bisogno è attuare un chiarimento dei riferimenti teorici e politici sulla base dei quali opera ciascun partito comunista. Non ha senso considerare questo come un problema interno di ciascun partito. L'interazione è uno dei privilegi più importanti di un movimento universale quale il marxismo.

Purtroppo non stiamo vivendo una fase propizia affinché i partiti comunisti si ascoltino e si comprendano tra loro.

Ciò che ci occorre è che tutti contribuiscano a creare basi reali per un dibattito, astenendosi dall'attribuire etichette ad altri partiti.

Anche laddove esistano elementi sufficienti per attribuire un'etichetta a un partito, la necessità di astenersi dal farlo non è una questione di cortesia politica, ma è interamente legata alle condizioni specifiche della fase odierna.

Il processo nel corso del quale i partiti comunisti hanno perduto i loro punti di riferimento è durato oltre settant'anni. Il problema è troppo profondo perché sia possibile superarlo con spinte premature di scissione o separazione.

Indubbiamente, i partiti che hanno posizioni simili o che intendono formare alleanze strategiche possono e devono creare piattaforme bilaterali, multiple, regionali o internazionali per rafforzarle. Ma la realtà è che il loro contributo all'elaborazione di questi punti di riferimento sarà limitato.

L'organizzazione di un dibattito sano rende necessario astenersi dal ricorso a definizioni quali riformista, settario, avventurista od opportunista. Come già ricordato, il punto cruciale qui non è la cortesia politica. Di fatto, nel passato, i marxisti hanno utilizzato epiteti ben più duri e virulenti. Ma tutti questi scontri del passato si consumarono riguardo ai punti di riferimento che si riteneva esistessero e fossero condivisi da tutte le parti.

Ritengo sia giunto il momento di chiarire che cosa si intende con il termine «riferimento».

Stiamo parlando di punti di riferimenti storici, teorici e morali che sono fioriti nell'ambito del marxismo e sono stati adottati a livello internazionale.

Per esempio, prima che la II Internazionale si macchiasse con la vergogna del 1914, l'opposizione categorica alla guerra imperialista costituiva una posizione di principio sostenuta all'unanimità. Questo principio fu l'esito dell'applicazione del marxismo a punti di riferimento comuni, benché a quel tempo non si fossero ancora del tutto cristallizzate le divergenze riguardo alla questione.

Anche un altro principio ben noto, la non partecipazione ai governi borghesi, derivava dai medesimi punti di riferimento.

Si potrebbero fare molti altri esempi. Ciò che dobbiamo tenere presente è che alla base dei conflitti e delle divisioni tra i marxisti nel primo quarto del Novecento vi furono appunto questi antichi riferimenti comuni.

Questo carattere comune fu il motivo per cui Lenin bollò Kautsky e altri come «rinnegati».

Come ho sottolineato più sopra, la III Internazionale elaborò dei codici che si trasformarono i nuovi modelli di riferimento per il movimento comunista dopo l'approfondirsi delle divergenze nel 1914, che condussero alla scissione. Anche se alcuni partiti non ebbero il coraggio necessario per dichiarare apertamente la propria distanza da questi riferimenti, altri partiti li difesero e li seguirono con sincerità. In ogni caso, il movimento comunista internazionale si è mosso all'interno di una cornice teorica e politica.

Ho ricordato più sopra che questi riferimenti iniziarono a perdere influenza già molto prima del 1991, quando l'Unione Sovietica si dissolse; per di più, oggi appare impossibile fissare una nuova cornice che possa contare sul sostegno di tutti.

Ciononostante, è evidente che vi saranno gravi conseguenze se i partiti comunisti continueranno a muoversi su un terreno politico i cui parametri storici, teorici e politici sono andati interamente perduti.

Il dibattito e la comunicazione devono servire a fare chiarezza sull'insieme di principi che sono vincolanti per i partiti comunisti, senza rassegnarsi a questa carenza di riferimenti.

La divergenza (qualora sia inevitabile) costituirà un passo avanti soltanto qualora sia il risultato di un processo di questo tipo.

Naturalmente, in questo processo è possibile e necessario, al di là di tutte le differenze, elaborare posizioni e azioni comuni su questioni internazionali quali la guerra e la pace, o la lotta contro il razzismo, il fascismo e l'anticomunismo. Se non ignoreremo né banalizzeremo le differenze, le posizioni così adottate potranno essere più realistiche, e le iniziative comuni più efficaci.

L'obiettivo non è dividerci. L'obiettivo deve essere contribuire al movimento comunista, che aspira a costituire l'avanguardia di un processo rivoluzionario mondiale eterogeneo e unitario, a trasformarsi in un movimento unitario che superi i suoi elementi individuali.

Ciò che intendiamo per movimento unitario non è naturalmente un modello che non tenga conto delle specificità delle lotte che hanno luogo nei vari Paesi. D'altro canto, tutti dobbiamo concentrarci sulla ragione per cui la dicotomia tra «questioni interne» e «relazioni internazionali» si sia trasformata in una sorta di «comfort zone», come non è mai avvenuto prima nei nostri 170 anni di storia.

Il dibattito, l'interazione e la comunicazioni sono importanti a questo fine. Ma come e su che cosa dobbiamo dibattere?

Giunti a questo punto, non dovremmo lasciare spazio a «tabù» o ambiti da non investire.

Naturalmente dobbiamo partire dalle nostre storie. Il TKP ha compiuto un coraggioso sforzo per analizzare una svolta molto critica per il partito, e cioè il complesso problema che si presentò subito dopo la sua fondazione, e che implicò anche l'assassinio di quasi tutti i suoi leader fondatori.

I rapporti con il movimento kemalista, che mantenne un'alleanza con la Russia sovietica con risultati molto importanti benché limitati nel tempo, e l'avvicinamento alla rivoluzione borghese che condusse alla fondazione della Repubblica di Turchia nel 1923, furono alcuni dei problemi fondamentali per il TKP, che ebbero ripercussioni anche negli anni successivi. Il nostro studio sulla storia del partito, i cui primi due volumi sono stati pubblicati in occasione del centenario della nostra fondazione, ha dimostrato che è possibile affrontare problemi di questo genere con responsabilità rivoluzionaria.

Stiamo tentando di assumere una posizione altrettanto coraggiosa in riferimento alle rotture, alle scissioni e alle liquidazioni che hanno segnato la storia del TKP, e ci stiamo assumendo le responsabilità di un'analisi onesta delle scelte politiche e ideologiche del partito.

Le questioni che stiamo discutendo non riguardano soltanto la Turchia. La lotta del TKP, sin dalla sua fondazione nel 1920, non si è mai svolta in un Paese isolato. Quando esaminiamo la nostra storia, notiamo che il terreno sul quale lottò il nostro partito fu segnato da un'interazione con Russia, Grecia, Iran, India (e Pakistan), Armenia, Azerbaijan, Georgia, Bulgaria, Germania, Cipro, Iraq, Siria e molti altri Paesi.

Al di là di questo, non si può parlare dell'influenza internazionale della lotta di classe in Turchia come se riguardasse soltanto il TKP. Sotto questo aspetto, il TKP non indulgerà mai alla presa di posizione semplicistica per cui «i nostri problemi riguardano soltanto noi» e valuterà seriamente qualsiasi critica, suggerimento o valutazione avanzata in modo sistematico e rispettoso.

Il TKP conduce inoltre dibattiti e studi al suo interno riguardo a questioni poco discusse relative alla storia del movimento comunista, ma senza trarre conclusioni affrettate e senza attribuire etichette. Non è opportuno che i partiti comunisti mantengano il silenzio su molte questioni, quali il VII Congresso del Comintern, la politica dei Fronti Popolari, la Guerra Civile spagnola o l'eurocomunismo, lasciando campo libero agli anticomunisti e alla «nuova sinistra».

Per coloro che assistettero al tragico crollo dell'Unione Sovietica, questo non è un tema che si possa mettere da parte. Per noi, l'idea secondo cui discutere di certi temi minaccerebbe i valori che ci uniscono al nostro passato è priva di fondamento. Ciò che minaccia realmente i nostri valori è l'attuale carenza di riferimenti. Se si riesce a evitare che determinati temi si trasformino in tabù, si nota chiaramente che la storia comune del movimento comunista è molto più ricca di quanto si immagini.

L'esempio più lampante del genere di problemi che possono insorgere quando ci allontaniamo da un processo sano di dibattito e valutazione è l'epoca di Stalin, che dopo il 1956 si trasformò in un argomento messo in ombra e infine in un tabù - e in seguito in un oggetto di calunnia o di glorificazione. Non va dimenticato che gli anni della dirigenza di Stalin si possono considerare il capitolo più illustre e onorevole del movimento comunista internazionale, se si lascia da parte il fanatismo.

I comunisti non dovrebbero avere remore a discutere qualunque argomento legato alla storia della lotta di classe. Sono tuttavia necessari meccanismi di dibattito più raffinati se non si vuole permettere che le nostre discussioni vengano inibite dal nostro rispetto per le scelte dei partiti comunisti che lottano in ciascun Paese.

Vale la pena di approfondire un poco l'idea secondo cui il dibattito deve essere scevro da qualsiasi stigmatizzazione. È ovvio che un partito comunista possa etichettarne un altro, in modo esplicito o implicito. Naturalmente, non si può sostenere che questo sia in ogni caso privo di fondamento. Oggigiorno non è un segreto per nessuno che alcuni partiti comunisti stanno acquistando un carattere socialdemocratico. E può anche essere giustificato definire «sloganisti» o «settari» alcuni partiti che sono inesistenti a livello pratico e politico. Ciononostante, possiamo notare come queste etichette non siano utili all'interazione e al dibattito di cui abbiamo maggiore urgenza in questa fase.

Abbiamo già ricordato l'assenza di punti di riferimento comuni nell'ambito internazionale. Tuttavia, è vero anche che molti partiti hanno in sé un potenziale di cambiamento. A seconda dei casi, questo cambiamento può essere definito positivo o negativo. Possiamo tuttavia rilevare come le scosse di assestamento del grande terremoto che scosse tutti i partiti comunisti nella seconda metà degli anni Ottanta non si siano ancora esaurite, e come molti partiti non si siano ancora stabilizzati sul piano ideologico e politico.

Sarebbe un errore attribuire un significato negativo a questo travaglio legato al cambiamento, che a volte conduce a rotture e scissioni. In realtà, il problema è che questi conflitti interni non trovino riscontro in un processo tangibile e percettibile di dibattito o separazione. E l'assenza di «dibattito» tra i partiti comunisti svolge un ruolo importante in questo circolo vizioso.

A tale riguardo, si può affermare che i problemi sono provocati da tentativi di banalizzazione o di denigrazione mascherati da atteggiamenti di cortesia, più che da accuse esplicite.

È inevitabile che i rapporti si avvelenino in assenza di un'autentica piattaforma di dibattito.

Sinora ci siamo concentrati sulle conseguenze dell'assenza di riferimenti teorici e politici. Un altro problema investe i parametri di valutazione dei partiti comunisti. Nel valutare un partito comunista ci concentriamo sul suo programma, sulla sua ideologia, sulla sua situazione organizzativa, sulle sue azioni, sulla sua influenza nella società, sui suoi risultati elettorali, sulle sue pubblicazioni e sul livello dei suoi quadri. Alcuni di questi parametri sono puramente qualitativi, ma altri possono essere misurati quantitativamente. Tuttavia, lasciando da parte le sue scelte ideologiche e senza tenere conto di etichette semplicistiche quali «riformista», «settario», «avventurista» e via dicendo, possiamo valutare un partito politico soltanto domandandoci se sia influente o meno.

In questo contesto, è chiaro che la distinzione tra «grande partito» e «piccolo partito» non costituisce un criterio «rivoluzionario». In particolare, non ha senso valutare le dimensioni di un partito basandosi principalmente sui suoi risultati elettorali.

È superfluo ricordare che sottolineiamo questo non in nome di un partito al quale è mancata sinora una vittoria elettorale, bensì sulla base della tradizione che si è andata formando sin dall'inizio del Novecento.

Dal momento che l'uguaglianza tra i partiti comunisti è tra i principi più importanti e universalmente sostenuti, vale la pena di soffermarci ulteriormente su questo aspetto.

La dicotomia «grande partito-piccolo partito» non è utile per stimolare i progressi dei partiti. Ma un dibattito autentico è quanto mai utile. Oggigiorno, qualunque comunista di qualunque Paese ha il diritto - e il dovere - di domandarsi come un altro partito comunista reagisce agli eventi di quel Paese, di fare domande e di esprimere opinioni al riguardo.

Quali che siano le condizioni in cui opera, quali che siano le opportunità che ha, è sempre possibile che un partito comunista agisca di più, meglio e in modo più rivoluzionario di prima. Perciò, i principi di rispetto reciproco e di non ingerenza nelle questioni interne non devono inibire le prese di posizione critiche, e i partiti comunisti non devono rintanarsi in una «comfort zone» in cui si trovano da soli.

I partiti comunisti non devono darsi dei voti a vicenda, bensì seguirsi, discutere e cercare ambiti di collaborazione. Le basi per questo processo si possono creare valutando i partiti comunisti in base a parametri solidi.

A questo punto è opportuno toccare la questione dei partiti comunisti oggi al potere. Tutti questi partiti sono i depositari di un'immensa legittimità storica. Nella misura in cui la «rivoluzione» e il «potere politico» rivestono un'importanza centrale per i partiti comunisti, non ha senso domandarsi se questi partiti abbiano un ruolo ponderato nel processo rivoluzionario mondiale.

Oggi sappiamo che esiste un'ampia varietà di valutazioni sulla politica interna di questi partiti, sul loro carattere ideologico e di classe e sul ruolo che svolgono sullo scenario internazionale. Naturalmente, la legittimità storica a cui facevo riferimento poc'anzi non implica alcuna esenzione automatica dalle critiche. Tutti i partiti possono fare liberamente le loro valutazioni, purché si mantenga un certo livello di maturità e di rispetto. È inevitabile, inoltre, che parte di queste valutazioni possano risultare piuttosto dure. I partiti comunisti al potere, in misura maggiore o minore, sono anche attori internazionali che influiscono sulla lotta di classe in altri Paesi.

È necessario che questi partiti occupino una posizione particolare tra i partiti comunisti internazionali, in virtù dei risultati sopra citati? Sappiamo che alcuni partiti che lottano nei Paesi capitalisti sono di questo avviso. In alcuni incontri internazionali o bilaterali ci troviamo di fronte a proposte favorevoli a che i partiti comunisti al governo siano in primo piano e svolgano un ruolo decisivo, o quantomeno regolatore.

Molto si potrebbe dire riguardo al ruolo svolto dal PCUS nell'ambito del movimento comunista internazionale nel passato - in senso sia positivo sia negativo. Ma oggi la situazione è molto diversa. L'Unione Sovietica, almeno sino a un certo momento, tentò di mettere in relazione la sua esistenza e la sua politica estera con il processo rivoluzionario mondiale, perfino nei momenti più difficili. È chiaro che questa non è la posizione assunta dai partiti comunisti attualmente al potere.

Le ragioni di questo saranno argomento di un ulteriore dibattito. Inoltre, le possibilità e le condizioni di ciascuno dei Paesi in cui i partiti comunisti sono al potere sono estremamente diversificate. Il TKP non è mai stato favorevole a valutazioni onnicomprensive. La responsabilità del fatto che la lotta socialista non si trovi oggi in una condizione avanzata nei Paesi capitalisti gravano su di noi, e sulle nostre carenze come partiti comunisti nei Paesi capitalisti.

Inoltre, nel contesto dei complessi rapporti di forza attuali, è evidente che per l'agenda dei partiti comunisti al potere gli altri partiti comunisti non costituiscano una priorità.

Già questo mette in dubbio le proposte favorevoli a che i partiti comunisti al potere svolgano un ruolo speciale.

Qualora i partiti comunisti al potere assumessero un ruolo di primo piano negli incontri internazionali e nelle relazioni tra partiti comunisti, la conseguenza sarebbe che i partiti comunisti inizierebbero ad analizzare la lotta di classe in una prospettiva geostrategica. Anche in questo caso, questa affermazione non si basa sulle nostre opinioni «soggettive» sulle priorità di politica estera dei partiti comunisti al governo.

Benché non lo sottolineiamo in modo particolare, una prospettiva geostrategica costituirebbe la scelta più rischiosa per i partiti comunisti determinati a posizionarsi all'interno del processo rivoluzionario mondiale. I partiti comunisti devono misurarsi con lo scenario internazionale tentando di armonizzare gli interessi della lotta rivoluzionaria nei loro Paesi con gli interessi generali del processo rivoluzionario mondiale.

Questa armonizzazione può risultare difficile - perfino impossibile, a volte. Tuttavia, per i partiti comunisti è un obbligo essere consapevoli dei costi di un allontanamento dall'obiettivo della rivoluzione nei loro Paesi e attuare questa armonizzazione nel modo più solido possibile.

La geostrategia può rappresentare tutt'al più un elemento analitico complementare per il marxismo. Non ha senso rimpiazzare una prospettiva in cui concetti come imperialismo, Stato, rivoluzione e lotta di classe assumono un ruolo centrale con lotte di potere che in qualunque momento potrebbero banalizzare questi concetti.

Qui va evidenziato un altro problema.

La Russia sovietica e in seguito l'Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche esercitarono un'autentica influenza ideologica e psicologica «a favore del socialismo» sui lavoratori e le nazioni oppresse dei Paesi capitalisti. E questo fu possibile anche nei momenti di maggiore difficoltà per l'Unione Sovietica. Fu possibile perché centinaia di milioni di persone nel resto del mondo percepivano che nell'URSS continuava la lotta per la «costruzione di una società egualitaria».

Con il tempo, questa influenza diminuì. L'Unione Sovietica si disintegrò. Questo articolo è formato da riflessioni espresse a voce alta e fa attenzione a non mettere in risalto gli esempi negativi. Ma sento la necessità di offrire un esempio positivo. Dobbiamo ricordare che Cuba, malgrado tutte le circostanze straordinariamente difficili che il Paese si trova a fronteggiare, può continuare a costituire un centro di attrazione per le persone alla ricerca di un «altro mondo». Questo è possibile perché la Rivoluzione Cubana, malgrado una serie di difficoltà, continua a difendere un solido sistema di valori.

La Realpolitik applicata senza limiti, che è la conseguenza inevitabile del pensiero geostrategico, può entusiasmare alcuni strateghi, intellettuali e politici, ma non può costituire un centro di attrazione per le masse lavoratrici.

I partiti comunisti hanno l'obbligo di trasformare nella propria bandiera sia l'ideale di una società egualitaria, sia un sistema di valori compatibile con tale ideale. Perfino un compito attuale indiscutibile e imprescindibile come quello di sconfiggere o costringere ad arretrare l'imperialismo statunitense non deve trasformarsi in un pretesto per mettere in secondo piano questo ideale e questo sistema di valori.

I partiti comunisti al governo devono mantenere il loro importante ruolo nell'ambito della famiglia dei partiti comunisti, con la loro legittimità e il loro prestigio storico, ma non si deve insistere negli appelli ad attribuire loro un ruolo decisivo. Questa insistenza - dobbiamo esserne consapevoli - potrebbe portare a una rottura molto dura tra i partiti comunisti.

In fin dei conti, il principio di uguaglianza e non ingerenza, che è forse il principio comune maggiormente riconosciuto dai partiti comunisti odierni, non consente una simile gerarchia interna.

A questo punto possiamo precisare meglio che cosa intendiamo per «dibattito reale». La necessità di non lasciare in ombra e di non sottrarre a una valutazione onesta nemmeno un singolo aspetto della nostra storia non è certo dovuta a una volontà di rigore accademico. A un'analisi attenta appare chiaro che l'«identificazione dei compiti prioritari» è stata al centro di tutti i dibattiti, dalla I Internazionale sino alla dissoluzione dell'Unione Sovietica. È questa semplice questione ciò che determina i dibattiti e le divisioni in seno al marxismo.

I compiti prioritari furono identificati a suo tempo con il rovesciamento della monarchia e del feudalesimo, o in altre occasioni con l'allargamento del diritto della classe operaia di organizzarsi e di fare politica, o ancora con la neutralizzazione della minaccia del fascismo e della guerra.

Anche oggi i partiti comunisti hanno punti di vista diversi riguardo a quale sia il compito prioritario del processo rivoluzionario mondiale, del quale essi stessi costituiscono un elemento.

Le necessità del processo rivoluzionario mondiale sono dirimenti.

Naturalmente, ogni partito comunista valuta tali necessità dal punto di vista del suo Paese e degli interessi della lotta nel suo Paese. La distanza tra le necessità generali del processo rivoluzionario mondiale e gli interessi interni di un Paese è tra i problemi più gravi che i comunisti devono risolvere o gestire. Talvolta questa distanza può trasformarsi in conflitto. E anche qui i partiti comunisti hanno un ruolo importante da svolgere.

Va riconosciuto che oggigiorno le divergenze tra i partiti comunisti sono determinate dalle diverse risposte all'interrogativo su quale sia il compito prioritario della rivoluzione mondiale.

Una posizione assai diffusa e antica è quella che sostiene che l'allargamento degli spazi democratici e delle libertà costituisce il compito prioritario del processo rivoluzionario mondiale.

E ancora, sempre più spesso sentiamo esprimere compiti quali «far retrocedere l'imperialismo statunitense» e «respingere il pericolo del fascismo e della guerra».

È ovvio che questi compiti non devono essere trascurati. Tuttavia, essi possono finire per ridursi alla difesa delle iniziative e delle azioni di politica estera di questo o quel Paese.

Un'altra possibilità è quella di identificare come compito urgente in relazione agli interessi della rivoluzione mondiale odierna il fare del socialismo un'opzione opportuna. Questa prospettiva, che anche noi adottiamo, va vista come la conseguenza della determinazione a rifiutare e a chiudere una fase in cui il socialismo, unica alternativa al capitalismo, vive il suo periodo meno influente e assertivo degli ultimi 170 anni.

Identificare il compito principale in relazione all'opportunità del socialismo, e quindi della rivoluzione, significa anche superare gli ostacoli che possono essere creati da altre prese di posizione che inibiscono o pacificano la classe operaia.

Ragionando in modo realistico, è impossibile che la classe operaia nella sua forma attuale costituisca la forza principale in grado di far retrocedere l'imperialismo nordamericano o di neutralizzare la minaccia del fascismo e della guerra. Affinché i comunisti abbiano un peso in relazione a questi compiti storici, è necessario che abbiano la volontà di compiere la loro missione principale.

Il movimento comunista non avrà alcun futuro se imiterà altre forze politiche, inserendosi in una definizione più ampia di «sinistra». Questo non equivarrà nemmeno a un attacco kamikaze, perché non causerà alcun danno al nemico. E non sarà nemmeno un harakiri, perché non porterà a una fine «onorevole».

Come strategia per la crescita, le priorità citate sopra non aiuteranno il movimento comunista a fiorire e a svilupparsi.

Naturalmente, in questo contesto non esiste la macchina della verità. La storia è il giudice più imparziale.

Ma sappiamo tutti che il comunismo ha le sue linee rosse.

Se queste linee rosse sono divenute ambigue, questo può essere un punto di partenza per noi. Senza cadere nella ripetizione, senza estenuarci con slogan, citazioni o frasi ripetute a pappagallo.

La grande opera di Marx e Lenin sta nella totalità del loro pensiero e della loro azione. Se ciò che contraddistingue la vita di Marx è il suo odio infinito per il capitalismo, ciò che contraddistingue Lenin è la rivoluzione e la conquista del potere politico.

Nel passato, ogni qual volta i partiti comunisti dimenticavano la propria ragion d'essere, si trovavano in situazioni di difficoltà che oggi si possono definire «errori».

Per questa ragione, se invece di dare vita a scontri confusi e sterili i partiti comunisti riusciranno a contribuire ai dibattiti fornendo risposte chiare riguardo al loro modo di relazionarsi con il processo rivoluzionario mondiale e mostrando di possedere riferimenti ideologici e politici adeguati, sarà possibile ottenere un risultato importante a livello collettivo per ciascuno di questi partiti comunisti. In tal modo, le posizioni comuni, le iniziative congiunte o le divisioni si consumeranno su un terreno molto più solido.

Il TKP darà il suo modesto contributo sullo scenario internazionale in questa prospettiva.

*) Kemal Okuyan, Segretario Generale del Partito Comunista di Turchia (TKP)


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