www.resistenze.org - pensiero resistente - dibattito teorico - 02-10-23 - n. 877

Multipolarismo: Una falsa speranza per la sinistra

Greg Godels | zzs-blg.blogspot.com 
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

29/09/2023

Dalla fine della Guerra Fredda, importanti e profondi cambiamenti nelle relazioni tra gli Stati capitalisti, insieme a cambiamenti altrettanto netti nel contenuto di tali relazioni, hanno sedotto gli intellettuali e gli accademici di sinistra ad abbracciare quei Paesi i cui governi si scontrano - per innumerevoli ragioni - con le richieste politiche o economiche degli Stati Uniti e dei loro alleati. Hanno iniziato a vedere acriticamente questi Paesi come compagni di lotta per la giustizia sociale, ad esempio come anti-imperialisti. Persino i rivali emergenti per le sfere di interesse sono stati visti come anti-imperialisti, se si opponevano all'egemonia statunitense. In parole povere, presentano il nemico del loro nemico - gli Stati Uniti e l'"Occidente" - come loro amico.

Perché così tanti a sinistra hanno aderito a questa falsità?

Dobbiamo iniziare dalla natura dell'imperialismo nella Guerra Fredda.

La Guerra Fredda ha sostenuto allineamenti unici, anche se storicamente vincolati. Il mondo era diviso tra i Paesi a orientamento socialista guidati da partiti comunisti o operai, le principali potenze capitaliste e le loro neocolonie, e i Paesi non allineati che rifiutavano di unirsi alla crociata anticomunista organizzata dalle potenze capitaliste. Un ordine così chiaramente definito con un conflitto altrettanto chiaramente definito tra il leader del campo socialista, l'URSS, e il leader del campo capitalista, gli Stati Uniti, ha portato molti a credere che l'era dell'imperialismo classico, l'era delle rivalità inter-imperialiste, fosse finita.

Si sbagliavano.

La scomparsa dell'URSS e l'emergere e l'intensificarsi di numerose crisi capitalistiche - politiche, sociali, ecologiche e, soprattutto, economiche - hanno creato potenti forze centrifughe che hanno smembrato il campo capitalistico e dissolto la sua unità. Inoltre, i cambiamenti globali - la mobilità del capitale, la possibilità di coniugare capitale e lavoro in nuove regioni e paesi, i trasporti economici ed efficaci, l'emergere di nuove tecnologie, di nuove tipologie di merci e la mercificazione dei beni pubblici, comuni e di libero accesso - hanno generato nuovi concorrenti e intensificato la competizione.

Le crisi e la competizione sono il terreno fertile delle rivalità capitalistiche e dei conflitti statali.

Il mondo che è emerso dopo il 1991 ha più in comune con il mondo conosciuto da Lenin prima della Prima Guerra Mondiale che con il periodo della Guerra Fredda e il suo scontro tra sistemi sociali e i loro blocchi. Proprio come i capitalisti del XIX secolo si sforzarono di stabilire le regole per suddividere pacificamente il mondo e stabilire il libero commercio attraverso la Conferenza di Berlino del 1884-1885, gli alleati capitalisti del dopo guerra fredda cercarono regole, alleanze, accordi commerciali e l'eliminazione delle barriere al movimento dei capitali, allo scambio di merci e allo sfruttamento del lavoro a livello globale. Entrambi i periodi sono stati ampiamente annunciati come trionfali per il capitalismo e per la sua inevitabile diffusione in ogni angolo del pianeta.

Ma, come le grandi potenze del XIX secolo si resero conto, lo sviluppo ineguale, i rivali emergenti e la concorrenza spietata rovinarono la promessa di pace e armonia. Dopo una promettente parentesi di relativa pace - il primo periodo di modesta armonia occidentale dai tempi delle guerre napoleoniche - il nuovo ordine ottocentesco iniziò a disfarsi con instabilità economica, conflitti, rafforzamenti militari, resistenza coloniale e guerre nazionaliste.

Allo stesso modo, le potenze capitaliste dopo la Guerra Fredda hanno goduto di una parentesi di rapida espansione del commercio mondiale - la cosiddetta "globalizzazione" - e della guida normativa di potenti istituzioni internazionali. Anche questa armonia si è rivelata sfuggente, per essere infranta da una serie di crisi economiche e guerre regionali all'inizio del XXI secolo. La cosiddetta crisi delle dot-com ha segnato la fine di un decennio di spavalderia capitalista e dell'ideologia del "non c'è alternativa". Scossa nuovamente da una "piccola" depressione globale, da una crisi del debito europeo, da una falsa ripresa alimentata dal debito, da una catastrofe sanitaria globale e ora da un prolungato periodo di stagnazione e inflazione, la promessa concordia del dominio capitalista si è arenata sulle secche di guerre continue, instabilità sociale e politica e disfunzioni economiche.

Questo è il mondo capitalista di oggi, non molto diverso dal mondo capitalista alla vigilia del 1914.

I pensatori più lungimiranti dell'inizio del secolo scorso videro nella fine della stabilità e dell'apparente armonia del capitalismo ottocentesco un'opportunità. Lenin e altri percepirono l'inizio di una nuova era matura per un cambiamento rivoluzionario. Prevedevano una fase del capitalismo che avrebbe portato guerra, miseria e sofferenza alle masse in Europa e altrove. Per questi lungimiranti, l'unica via di fuga dalla disperazione inevitabilmente provocata dal dominio della finanza e del monopolio organizzato in un sistema globale di imperialismo era la rivoluzione e il socialismo. La tragica Prima Guerra Mondiale ha dato loro ragione.

Oggi, senza una visione per salvare i lavoratori - quelli che sentono il peso delle crisi in espansione del capitalismo, delle guerre sempre più frequenti, dello sradicamneto delle persone e del fallimento delle soluzioni - il campo della politica è lasciato agli opportunisti di destra, ai finti populisti, ai demagoghi, ai venditori di nostalgia e ad altri imbroglioni assortiti di destra e di sinistra. Stranamente, la maggior parte della sinistra euro-americana tratta questi ciarlatani come se fossero alieni piovuti dal cielo, piuttosto che il prodotto naturale e logico del vuoto rimasto da una sinistra che manca di chiarezza ideologica, di coesione e di un programma rivoluzionario.

Più in generale, anche i governi "liberali" si stanno rivolgendo al nazionalismo, alle barriere commerciali, alle tariffe e alle sanzioni, la tradizionale posizione della destra. Per lo più non notata dalla sinistra, l'amministrazione Biden, ad esempio, ha continuato la maggior parte dei regimi commerciali e sanzionatori, e persino le politiche di immigrazione, dell'amministrazione Trump.

Mentre il capitalismo si ritira dietro a un ristretto interesse personale, a una concorrenza feroce e spietata e a un conflitto Stato contro Stato, la stragrande maggioranza della sinistra euro-americana continua a girare intorno a un liberalismo e a una socialdemocrazia sempre più screditati. Senza una risposta a un mondo di rivalità tra Stati nazionali e tensioni globali in continua crescita, troppi a sinistra sono bloccati in una strategia difensiva che promette più o meno lo stesso o un ritorno a un'immaginaria "età dell'oro": prima di Trump e del populismo di destra o prima di Reagan, Thatcher e del fondamentalismo di mercato. Non riuscendo a individuare la decadenza del capitalismo nel capitalismo stesso, questa sinistra promette di gestire il capitalismo per ottenere risultati migliori: un'illusione vecchia di cent'anni.

Altrettanto illusoria è l'idea - diffusa in una parte importante della sinistra - che un blocco o un ordine emergente costituisca la base di un potente movimento contro l'imperialismo, quando quel blocco stesso è composto da Stati dominati dal capitalismo o da Stati con un importante settore economico capitalista. Se Lenin ha ragione - e abbiamo ottime ragioni per credere che sia così - il capitalismo è al centro del sistema di rivalità imperialista. Come possono gli Stati dipendenti dal capitalismo collaborare, mettendo da parte i propri interessi economici, per creare un mondo senza competizione, attriti, conflitti e guerre tra Stati, essi stessi costituiti da capitali in competizione? Non è forse il capitalismo l'essenza dell'imperialismo, e la rivalità, il conflitto e la guerra il risultato inevitabile? C'è stata una controtendenza da quando Lenin scrisse Imperialismo nel 1916?

A partire da tredici anni fa - con la fondazione di un gruppo moderatamente alternativo di cinque potenti Stati a cui è stato negato l'accesso al club esclusivo degli Stati capitalisti - l'allineamento dei BRICS è diventato una causa per alcuni esponenti della sinistra. Basandosi più sulla fede cieca che sulle promesse dei membri dei BRICS - Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica - la sinistra ha comunque messo insieme un costrutto ideologico chiamato "multipolarità".

Quando le prospettive politiche radicali appaiono poco chiare, quando la prospettiva del socialismo sembra remota, molti a sinistra si rivolgono alla scacchiera globale, fingendo che alcuni pezzi degli scacchi rappresentino il cambiamento sociale che desiderano nel proprio cortile. Frustrati dalla lunga e difficile strada per conquistare le masse nel proprio Paese a un programma al servizio dei lavoratori, gli esponenti della sinistra negli Stati Uniti e nell'Unione Europea investono in modo vicario nelle azioni di altri governi che, per varie ragioni, si oppongono a quelli degli Stati Uniti e dell'Unione Europea.

Questa identificazione surrogata non deve essere confusa sconsideratamente con la solidarietà o l'internazionalismo. Sia la solidarietà che l'internazionalismo emergono con la simpatia per altri popoli e i loro interessi o con i loro governi solo quando questi ultimi sono al servizio del popolo. La solidarietà con Cuba, ad esempio, si basa sulla resistenza di lunga data del popolo cubano alle ingiunzioni, alla coercizione e all'aggressione degli Stati Uniti e dei loro alleati. Poiché il governo di Cuba organizza e sostiene questa resistenza, anch'esso si guadagna la nostra solidarietà.

Lo zelo per il multipolarismo nasce da un fatto e da una speranza. È un dato di fatto che il governo statunitense possa aver perso parte della sua capacità di imporre la propria volontà sul resto del mondo e che le potenze globali siano sorte per sfidare il dominio statunitense. Questo spiega in parte l'aumento dei conflitti e del caos nelle relazioni internazionali.

Ma i fanatici del multipolarismo interpretano questo fenomeno come una battuta d'arresto per il sistema dell'imperialismo, quando invece si tratta, nella migliore delle ipotesi, di una battuta d'arresto per l'imperialismo statunitense. L'errore sta nel supporre che gli sfidanti capitalisti siano in qualche modo benigni e che, magicamente, limiteranno i loro interessi per stabilire l'armonia e la pace globale. Non c'è alcuna base storica o contemporanea per questa ipotesi, al di là della mera speranza.

Di certo, si tratta di una lettura radicalmente errata della storia recente e degli eventi odierni. Nelle ultime settimane, le relazioni tra i governi di Canada e India hanno raggiunto un punto di ebollizione, il conflitto tra Armenia e Azerbaigian è scoppiato di nuovo e due governi reazionari uniti, Polonia e Ucraina, si sono citati in giudizio e maltrattati a vicenda. Il tutto senza il patrocinio del governo statunitense. Il governo del Venezuela - forte sostenitore dell'ideologia del multipolarismo - è a sua volta in un aspro conflitto con la Guyana per 160.000 chilometri quadrati di territorio ricco di petrolio, rifiutando un "referendum consultivo" proposto dal governo della Guyana.

La presenza di icone del multipolarismo all'interno dei BRICS difficilmente garantisce che l'abbattimento dell'egemonia statunitense metta fuori gioco il sistema imperialista: i membri India e RPC mantengono relazioni incancrenite che di tanto in tanto sfociano in guerra aperta. Il Brasile di Bolsonaro è stato apertamente ostile e conflittuale con tutti i Paesi più progressisti dell'America centrale e meridionale (il che ci ricorda che l'imperialismo riguarda i governi e i sistemi socio-economici e non semplicemente i Paesi), e la Russia è in forte competizione con la Francia per le preziose risorse dell'Africa centrale.

I nuovi membri dei BRICS hanno un bagaglio ancora più contraddittorio. L'Egitto e l'Etiopia hanno una disputa idrica di lunga data che non sarà risolta dai BRICS. L'Iran e l'Arabia Saudita hanno una disputa esistenziale portata avanti per procura, in particolare nello Yemen. I sauditi sono disposti a riconoscere Israele per acquisire la tecnologia nucleare necessaria a competere con l'Iran, un'azione che non fa certo pensare alla pace e alla prosperità.

Esiste un interesse comune progressista, anticapitalista o antimperialista che unisce questa formazione? O sono uniti solo per convenienza in questo o in qualsiasi altro blocco che li accolga? L'India di Modi, ad esempio, accetta di far parte di quasi tutte le formazioni internazionali, orientate all'Occidente o meno.

È un pensiero magico credere che senza la mano pesante dell'impero statunitense, la predazione imperialista e i conflitti si dissolveranno. Lenin si è fatto beffe dell'idea di Kautsky secondo cui l'armonia multipolare (ultra-imperialismo) sarebbe seguita alla Prima Guerra Mondiale, e gli eventi gli hanno dato ragione.

Del resto, l'idealismo riposto nel multipolarismo e nei BRICS si è rivelato ben al di sotto delle aspettative della sinistra contemporanea, come hanno dimostrato Patrick Bond e altri (nonostante l'uso del poco utile concetto di "sub-imperialismo"). I BRICS presentano un limite molto basso al riordino delle relazioni globali, contrariamente ai desideri di molti a sinistra.

Gli attivisti di Johannesburg, durante l'ultimo incontro dei BRICS, hanno organizzato un evento "BRICS dal basso". Sebbene sia stato organizzato dalla Rosa Luxemburg Stiftung, una fondazione di centro-sinistra e socialdemocratica, il coordinatore sudafricano ha fatto un'osservazione acuta:
    Trevor Ngwane, ha detto: "I BRICS vogliono una leva. Invece di dire: 'Siamo capitalisti che lottano per diventare più grandi capitalisti', vogliono diventare forti, iniziano a pretendere che se diventano forti, la vita migliorerà per la classe operaia. Sappiamo che ci sarà una domanda: Questo significa che siete a favore dell'America?

    "Durante la Lotta, c'era un partito che diceva: 'Né Washington né Mosca', quindi non dobbiamo farci influenzare e convincere a scegliere tra queste due realtà; dobbiamo trovare la nostra strada di socialisti verso il socialismo.

    "Il problema dei progetti BRICS è che è tutto dall'alto verso il basso. È qualcosa organizzato dai governi".
Sì, i BRICS sono organizzati dai governi, per la maggior parte governi orientati al capitalismo, come Trevor Ngwane sa bene.

Ma soprattutto, egli contesta il modo in cui i BRICS (e, di conseguenza, il multipolarismo) siano in qualche modo legati all'obiettivo del socialismo. È il socialismo che manca nella discussione sui BRICS e sulla multipolarità. Un programma offerto ai lavoratori che si limita a rimescolare il mazzo delle potenze capitaliste non è affatto una risposta.

In una recente discussione sui BRICS e sul Forum economico orientale tra tre esponenti di spicco del multipolarismo, non c'è una sola parola sul socialismo. Si parla di sviluppo, di startup, di partenariati pubblico-privati, di priorità strategiche e di investimenti - persino di missili ipersonici russi - ma non una parola sul socialismo.

Un interlocutore pretende di catturare i BRICS con questo sofisma: "Quindi abbiamo a che fare non solo con una divisione geografica, ma anche con una divisione delle strutture economiche, un'economia mista pubblico-privata, non come il partenariato pubblico-privato occidentale, in cui si socializzano le perdite e si privatizzano i profitti, ma qualcosa in cui l'obiettivo non è davvero fare profitti, ma far crescere l'economia nel suo complesso". Un capitalismo dal volto umano?

Sicuramente ci sono sostenitori del multipolarismo che ritengono di vedere il multipolarismo come un passo verso il socialismo. Riconoscono nell'aggravarsi delle crisi economiche, sociali, politiche ed ecologiche del capitalismo una soluzione per il socialismo. Ma come dice John Smith in un'intervista: "Convincere le persone che il socialismo è necessario non è così difficile; ciò che è molto più difficile è convincere le persone che il socialismo è possibile".

Viviamo in un'epoca in cui, invece di unirsi a persone, organizzazioni o partiti che sostengono, organizzano e combattono per il socialismo, molti nella nostra sinistra sono diventati osservatori di una partita a scacchi tra governi capitalisti, tifando per qualsiasi forza che tenti di diminuire il potere degli Stati Uniti. Il modo in cui questo andrà o meno a beneficio delle masse sfruttate del mondo è poco importante.

Smith, autore di una ponderata analisi dell'imperialismo del XXI secolo, riassume sinteticamente la nostra sfida di fronte alle profonde crisi del capitalismo:
    Ovunque siamo soggettivamente, oggettivamente, la necessità di iniziare una transizione verso il comunismo è posta da questa crisi esistenziale. Non c'è altra via d'uscita per l'umanità che questa. Tutto ciò che ci distrae da questo, qualsiasi tipo di fantasia che una sorta di mondo multipolare sarà migliore in qualche modo, deve essere dissipato perché non abbiamo più tempo da perdere.

Resistenze.org     
Sostieni Resistenze.org.
Fai una donazione al Centro di Cultura e Documentazione Popolare.

Support Resistenze.org.
Make a donation to Centro di Cultura e Documentazione Popolare.