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Turchia e rivoluzione socialista, stiamo inseguendo un sogno?

Kemal Okuyan *, Partito Comunista di Turchia (TKP) | solidnet.org
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

Ottobre 2023

La domanda "Credete davvero nella rivoluzione?" probabilmente non viene posta solo ai comunisti turchi.

Sono passati 32 anni dal crollo dell'Unione Sovietica. Abbiamo definito il XX secolo come l'epoca della transizione dal capitalismo al socialismo. Nell'ultimo decennio di quel secolo e nel periodo successivo, non abbiamo incontrato nemmeno un esempio che potesse significare "transizione al socialismo". Le lotte di classe sono continuate e talvolta hanno assunto forme molto aspre in alcuni Paesi; le strade, le fabbriche, i quartieri poveri sono stati mobilitati; ci sono stati sviluppi entusiasmanti in America Latina; ma se guardiamo al quadro complessivo, non c'è stata una svolta socialista a cui miliardi di persone nel mondo che soffrono per il sistema attuale si rivolgano con speranza.

Pertanto, la domanda "Credi davvero nella rivoluzione e nel socialismo?" è perfettamente legittima, a meno che non sia il prodotto della cinica insinuazione di un liberale o di un rinnegato.

Ciò che è ancora più interessante è che i comunisti di diversi Paesi hanno iniziato a porsi questa domanda l'un l'altro. Posso dire di aver ricevuto personalmente questa domanda diverse volte. "Pensi davvero che ci sarà una rivoluzione socialista in Turchia?".

L'accento sulla Turchia è senza dubbio importante. Questa domanda significa: "Perché perseguite come strategia principale un obiettivo che può essere possibile altrove, ma impossibile in Turchia?".

Dopo tutto la Turchia è un membro della NATO, ed è stata per anni un avamposto degli Stati Uniti. È una società conservatrice, che aumenta il grado di difficoltà del socialismo, oltre al grave peso dell'Islam politico. Stiamo parlando di un sistema che ha preso l'abitudine di reprimere il movimento rivoluzionario attraverso colpi di stato militari, omicidi politici e massacri. Nonostante tutti i suoi sforzi, il partito comunista non riesce a raggiungere nemmeno l'1% dei voti alle elezioni.

In un Paese come questo, perché il TKP non si pone obiettivi più realistici, ma parla insistentemente dell'attualità della rivoluzione socialista?

Cercherò di rispondere a questa domanda, ma prima farò una considerazione di carattere morale che ritengo valida almeno quanto una spiegazione teorica e politica.

"Sembriamo dei bugiardi o degli ipocriti...? "

Quando i lavoratori del nostro Paese ci chiedono, con buone intenzioni, se crediamo nella rivoluzione, rispondiamo loro con questa contro-domanda.

È estremamente importante perché, a nostro avviso, se non credessimo nell'attualità della rivoluzione socialista, il partito comunista sarebbe diventato superfluo. Come diciamo sempre, la lotta per la pace, per la democrazia, per i diritti umani è molto importante, ma non c'è bisogno di un partito comunista o di essere comunisti solo per questo.

Sì, crediamo nella rivoluzione socialista. O meglio, crediamo nella rivoluzione socialista in Turchia. C'è un aspetto morale, ma non è tutto.

Parliamo innanzitutto delle condizioni oggettive. Quando la Repubblica turca è stata fondata, uno dei problemi del nostro Paese era il sottosviluppo del capitalismo. La classe operaia era poco numerosa e sebbene fossimo vicini alla Russia sovietica, le condizioni materiali per un'organizzazione che portasse al socialismo, la guerra di liberazione contro l'occupazione imperialista, erano molto deboli. Era quasi impossibile per i comunisti diventare la forza egemone negli anni Venti, nonostante la loro popolarità in rapida crescita in Anatolia.

Tuttavia, da molto tempo ormai, il problema principale della Turchia è diventato il capitalismo stesso. In altre parole, il problema non è più che il capitalismo non si sta sviluppando, ma che si è sviluppato troppo.

È assurdo considerare la Turchia come un paese arretrato, soprattutto collocarla tra il terzo e il secondo gruppo in quella classificazione triadica che a volte ha causato gravi errori nel Comintern.

In ogni caso, oggi è più utile evitare tali classificazioni. Il capitalismo ha governato il mondo per troppo tempo. Sì, possiamo ancora usare l'aggettivo "arretrato" per alcuni Paesi, ma non possiamo valutare il mondo con i criteri degli anni Trenta. Per quanto riguarda la Turchia, sicuramente no...

In Turchia ci sono abbastanza proletari per guidare una trasformazione rivoluzionaria. Possiamo dire che la classe operaia ha una struttura equilibrata in termini di lavoro manuale e mentale e in termini di settori di base.

La Turchia si è lasciata alle spalle un serio processo di industrializzazione e dispone di un'infrastruttura che non può essere sottovalutata. Oltre ai problemi profondi derivanti dal capitalismo, l'economia turca, che dispone di risorse agricole autosufficienti, ha solo un problema di dipendenza energetica. Tuttavia, è un dato di fatto che esistono risorse in grado di ridurre la gravità di questo problema che oggi non vengono utilizzate.

Pertanto, da un punto di vista puramente oggettivo, la Turchia ha la base di classe necessaria per una rivoluzione e le risorse materiali e umane necessarie per una base socialista.

La Turchia è un paese estremamente instabile. La stabilità è un concetto relativo. Ma sappiamo che la stabilità è una grande garanzia per la borghesia nel mondo capitalista. Stabilità economica e politica significa mantenimento della capacità del capitale di governare il popolo lavoratore. In questo senso, la dittatura borghese in Turchia non ha alcuna possibilità. Il Paese è costruito su linee di faglia che non possono essere riparate dal punto di vista economico, politico e ideologico

In questo senso, sarebbe molto fuorviante ridurre la Turchia unicamente a uno Stato forte e a una società plasmata dalla religione.

In Turchia non sono mai mancate gravi contraddizioni sociali e fazioni, che riguardano anche lo Stato stesso.

Sappiamo che le rivoluzioni socialiste non nascono dalla contraddizione lavoro-capitale in senso semplice. Inoltre, nessuna rivolta rivoluzionaria ha un carattere "socialista" fin dall'inizio. Le cause di fondo sono sempre le contraddizioni di classe, ma sono innescate da una guerra, da un grande scandalo giudiziario o dalla corruzione. A volte un omicidio politico porta al risultato opposto ed emerge un movimento popolare che i governanti non si sarebbero mai aspettati.

La Turchia è un Paese che riserva sempre sorprese in questo senso. La possibilità di sviluppi improvvisi, spesso spiacevoli,ma a volte eccitanti e pieni di speranza, è ovviamente una possibilità da una prospettiva rivoluzionaria.

Possiamo facilmente affermare che la Turchia, con la sua popolazione, la sua economia, il suo proletariato, i suoi intellettuali, la sua posizione geografica e naturalmente, le sue infinite contraddizioni, è oggettivamente incline a uno sconvolgimento rivoluzionario.

Forse questo concetto è stato dimenticato, ma la Turchia è uno degli anelli deboli della catena imperialista.

Quindi, possiamo passare a rispondere alla domanda "se crediamo nella rivoluzione socialista in Turchia" in termini di fattore soggettivo.

Dal nostro punto di vista, la questione principale è semplicemente questa: Nel caso di un'insorgenza rivoluzionaria in Turchia, cosa dobbiamo fare oggi per non perdere questa opportunità storica?

In primo luogo, è necessario evitare la fantasia che le rivoluzioni possano essere il risultato di una crescita lineare del movimento operaio e della sua avanguardia, i comunisti. Si tratta di una fantasia, perché si basa sul presupposto che la lotta per il socialismo consista in passi successivi e prevedibili.

In realtà, invece, la lotta per il socialismo significa prepararsi con una prospettiva realistica e rivoluzionaria a sviluppi improvvisi, che non possono essere conosciuti in anticipo. Non possiamo prevedere in anticipo gli sviluppi in tutte le loro dimensioni, ma possiamo determinare in quali punti si accumuleranno le contraddizioni in ogni paese, quali settori della società hanno quelle sensibilità ideologico-politiche e possiamo posizionarci di conseguenza.

La cosa indispensabile è organizzarsi e radicarsi nella classe operaia. Tuttavia, dobbiamo fare attenzione a garantire che la cosiddetta organizzazione e il radicamento non abbiano il carattere di vincolare le masse di lavoratori allo status quo, come abbiamo visto tragicamente in Germania prima del 1914.

Non è così facile come sembra. Dovrebbe essere molto chiaro che le lotte e le organizzazioni in corso intorno alle esigenze e alle richieste attuali della classe operaia, in particolare i salari, non significano necessariamente una scuola per la rivoluzione. Al contrario, abbiamo visto purtroppo in più di un esempio, che le conquiste attuali possono di fatto immobilizzare sia le masse lavoratrici, sia il suo partito d'avanguardia, nelle condizioni di un'oggettività rivoluzionaria.

I partiti comunisti non dovrebbero entrare in una fase in cui la rivoluzione è in ascesa con zavorre che la appesantiscono. Sebbene il TKP attribuisca grande importanza al successo elettorale e alla forza nel sindacato, agisce senza dimenticare il fatto che le posizioni ottenute fin qui, quando non si dimostra il necessario rigore ideologico-politico, vincolano il movimento operaio (spesso senza che se ne renda conto) al sistema.

Non agiamo semplicemente nascondendoci dietro l'esperimento bolscevico. È vero che i bolscevichi hanno aumentato la loro influenza dalla fine del 1916 all'ottobre 1917 con una velocità che nessuno si aspettava. In questo senso, la proposizione "anche i bolscevichi erano un piccolo partito..." si basa ovviamente su un fatto storico. Tuttavia, finché rimane da sola, questa proposizione ci porta in errore. La piccolezza e la grandezza sono concetti relativi. I bolscevichi stavano rapidamente aumentando la loro influenza non solo nel 1917, ma anche prima dell'inizio della guerra. Per non parlare dell'enorme, con i suoi alti e bassi, lavoro politico e organizzativo dopo il 1903.

Pertanto, rimanere inattivi per anni e dire che "i bolscevichi erano piccoli" è un illusione.

Ma anche questo è un fatto: i bolscevichi non si sono mai messi alla prova all'interno delle istituzioni del sistema sociale esistente. Avevano i loro criteri. Alcuni elementi del periodo preparatorio hanno avuto grande risalto nella storiografia, altri sono stati minimizzati. Ma sappiamo che mentre tutti gli altri movimenti politici si occupavano di "piccoli" calcoli nel "grande" mondo della borghesia, il Partito bolscevico aveva un proprio programma e in questo senso stava giocando un "gioco" che dall'esterno sembrava infantile.

Poi, quando la grande politica è finita nella pattumiera della storia, è emerso che i bolscevichi non stavano giocando, anzi, avevano tentato un lavoro molto grande e ci erano riusciti.

Il TKP non ha intenzione di imitare i bolscevichi. Ma è importante per noi capire i bolscevichi e gli esempi di successo o quasi, che sono venuti dopo di loro.

Il movimento rivoluzionario in Turchia non ha alcuna possibilità di raggiungere il successo facendo uno due, poi due tre, con una crescita lineare, con un aumento aritmetico. Nonostante il suo aspetto conservatore, la Turchia è un Paese in cui gli equilibri politici e ideologici possono cambiare molto, molto rapidamente. In questo Paese, più che i numeri e le quantità, vale la pena di stabilire i giusti punti di intervento e di intervenire nella giusta direzione.

Il TKP si sta impegnando in questo senso.

Indubbiamente il TKP sente la pressione dei parametri di successo validi nella politica borghese, in condizioni in cui un'insurrezione rivoluzionaria non si fa sentire affatto e le grandi masse sono lontane dall'energia politica e ideologica necessaria per cambiare questo ordine sociale. C'è un'aspettativa molto ben intenzionata tra coloro che si appellano a noi per ottenere popolarità, visibilità, rappresentanza parlamentare e nella speranza di poter esistere sullo stesso piano della politica borghese. Vogliono vedere concretamente il successo del partito in cui credono e che abbracciano.

Il problema non è solo la possibilità che le istituzioni borghesi, se non si è sufficientemente vigili, possano portare un partito comunista lontano dai valori rivoluzionari. Ciò che è più pericoloso, è la possibilità che un partito comunista, che inizia a fare appello all'aspettativa media della società, sia determinato da questa e assuma un carattere ideologico e politico in accordo con essa.

È importante ricordare che ogni Paese ha un clima politico diverso da questo punto di vista. In Turchia, dove la coscienza di classe segue un corso estremamente fluttuante, non dobbiamo dimenticare, che solo una parte molto limitata della classe operaia ha una posizione rivoluzionaria permanente e immutabile. Sapere che i primi processi di massificazione possono danneggiare le nostre missioni storiche non significa avere paura di organizzarsi e crescere. Ma possiamo comunque dire che possiamo fare degli aggiustamenti, utilizzando il patrimonio del marxismo-leninismo per determinare la misura più appropriata in base alla situazione delle dinamiche sociali.

Infine, vorrei spendere qualche parola su coloro che pongono la "rivoluzione democratica" o un processo di democratizzazione, che si estenderà su un lungo periodo di tempo, come una fase rivoluzionaria prima della rivoluzione socialista in Turchia.

Il dibattito sulla "rivoluzione democratica nazionale" e sulla "rivoluzione socialista" è stato il tema più importante della sinistra turca per quasi tutti gli anni Sessanta e Settanta. La banalizzazione di questo dibattito nel corso del tempo è stata il risultato dell'abbandono, esplicito o implicito, dell'idea di "rivoluzione" da parte di una parte significativa della sinistra. Oggi sono pochissime le persone in Turchia che perseguono apertamente una strategia di "rivoluzione democratica".

Il TKP ha difeso la "strategia della rivoluzione socialista" in modo molto deciso in questi dibattiti. Da anni difendiamo il fatto che etichettare la prospettiva della rivoluzione socialista con "trotskismo" significa, in ultima analisi, servire il trotskismo. In effetti, come partito che "rappresenta la tradizione staliniana", questa nostra posizione era considerata abbastanza interessante fino a poco tempo fa.

Come ho detto, oggi questo dibattito ha perso la sua importanza. Ma l'idea che la Turchia debba prima raggiungere la "democrazia" non è mai cambiata.

C'è anche chi pensa che la Turchia debba essere "indipendente" prima del socialismo.

Sappiamo che coloro che dicono che la democrazia deve essere la prima cosa, si appellano spesso a Lenin. Non voglio entrare nei dettagli in questa sede, ma si dimentica che: Gli scritti di Lenin sulla "rivoluzione democratica" furono redatti quando le rivoluzioni borghesi erano ancora una realtà oggettiva in Russia e in molti altri Paesi. Come fatto oggettivo, indipendente dalla strategia dei bolscevichi, le rivoluzioni borghesi erano una realtà.

Questo periodo è completamente chiuso. Nel pensiero di Lenin, il compito strategico di costruire la democrazia borghese non è mai esistito, ma i processi della rivoluzione borghese hanno complicato la questione e il movimento operaio ha dovuto relazionarsi con questi processi. Una volta chiuso il periodo delle rivoluzioni borghesi, il rapporto dei partiti comunisti con la costruzione della democrazia può essere considerato solo nel contesto della democrazia socialista.

L'idea di una Turchia indipendente che dia priorità al socialismo pone un problema ancora più grande. La richiesta di indipendenza della Turchia è sempre stata nell'agenda dei comunisti. Il TKP, non solo ha sottolineato la differenza tra patriottismo operaio e nazionalismo, ma ha anche fatto interventi teorici che hanno approfondito questa differenza.

Tuttavia, nel mondo di oggi, sotto il capitalismo, non è possibile che un Paese sia "indipendente". Per "indipendente", ovviamente, non intendiamo "isolato". L' "indipendenza" è la capacità di un Paese di determinare le proprie preferenze e decisioni politiche, economiche e culturali in linea con le proprie dinamiche interne. In questo senso, l'indipendenza va considerata insieme al concetto di sovranità.

Mentre prevale il dominio dei monopoli internazionali, tutti i Paesi capitalisti producono dipendenza da questo sistema internazionale e si tratta di fatto di una dipendenza onnicomprensiva. È ovvio che l'obiettivo di diventare "indipendenti", senza rovesciare il capitalismo, non servirà ad altro che a far scalare al Paese la gerarchia imperialista. È impensabile che i comunisti partecipino a questo obiettivo.

Rimane l'idea di una democratizzazione della Turchia, se non di una fase rivoluzionaria. Per un certo periodo questa idea è stata identificata con l'adesione della Turchia all'Unione Europea. Il TKP si è opposto con forza a questa idea, quasi da solo a sinistra. "Sappiamo cos'è l'UE, ma anche le libertà all'interno dell'UE sono molto preziose per noi", dicevano i liberali di sinistra.

Quello che non capivano era che in Europa non esisteva una classe capitalista migliore o più tollerante. Il continente era caratterizzato da forti movimenti democratici di massa e dall'emergere storico della classe operaia. Se a questo si aggiunge la posizione privilegiata dei principali Paesi europei nel sistema imperialista, non sorprende che le masse lavoratrici godano di diritti relativamente più ampi.

Tuttavia, la storia recente ha dimostrato la fragilità di questi diritti. Il minimo intoppo nella capacità di governo della borghesia e l'aggravarsi delle crisi economiche manderebbero in frantumi tutta la facciata della "democrazia europea". È naturale che la prima cosa che viene in mente è il fascismo tedesco, ma sappiamo tutti che la Germania del 1933-45 è solo un capitolo di una storia sanguinosa.

Oggi, le democrazie borghesi del Nord America e dell'Europa sono i Paesi in cui le dittature borghesi sono state maggiormente fortificate. Non solo perché usano bene la carota, ma in questi Paesi anche il bastone nelle mani della classe capitalista è molto forte.

Chi pensa che il passaggio dalla carota al bastone sia il prodotto degli eccessi dei comunisti o di altri rivoluzionari, si sbaglia di grosso. È come attribuire l'ascesa al potere di Hitler nel 1933 alle politiche "di sinistra" del KPD. Naturalmente, il KPD può essere criticato non perché abbia agito con scopi rivoluzionari, ma perché non era sufficientemente preparato e non poteva essere efficace.

Il fascismo è comunque anticomunismo e in questo senso ogni insorgenza rivoluzionaria comporta il rischio di una controrivoluzione interna. Tuttavia, non è affatto necessaria una minaccia tangibile di socialismo perché la borghesia limiti le libertà. Fenomeni come l'aumento della repressione, le guerre e il fascismo sono il prodotto delle dinamiche di crisi del capitalismo. In questo contesto, per gestire il malcontento sociale (anche in assenza di una tendenza rivoluzionaria) è possibile per loro restringere il campo di applicazione della democrazia borghese o addirittura volerla abolire del tutto.

In ogni caso, i comunisti non possono agire con la strategia di non spaventare la borghesia! Il tempismo, il non fare mosse anticipate e a vuoto, il calcolare bene l'equilibrio delle forze sono importanti, ma non rinunceremo alla rivoluzione per salvare la "democrazia".

In ogni caso, l'insorgenza rivoluzionaria non può essere una nostra scelta strategica. È un fatto oggettivo. È nostra scelta e dovere portare questa insorgenza al socialismo. Evitare questa missione significa non solo perdere un'opportunità storica, ma anche spianare la strada al fascismo.

Il TKP rifiuta l'approccio "prima la democrazia in Turchia". Quale democrazia? Che cos'è la democrazia? Abbiamo il diritto di porre domande come queste. E soprattutto, pensiamo che la lotta per la democrazia avrà un senso solo quando dipenderà dall'obiettivo del socialismo e ne sarà un'estensione. Non rinunciamo mai alla nostra tesi che una "democrazia borghese" sviluppata e stabile, non servirà alla liberazione della Turchia dall'inferno del capitalismo, al contrario, renderà il sistema capitalista più forte.

Fortunatamente questo è impossibile. Fortunatamente la barbarie chiamata capitalismo non può normalizzarsi in Turchia ed è costantemente in difficoltà.

Questo è il nostro approccio. Pertanto, compagni, non chiedeteci "Credete davvero nella rivoluzione socialista in Turchia?". La domanda "Cosa state facendo oggi per la rivoluzione socialista?" ci entusiasmerà di più e impareremo di più, gli uni dagli altri, nelle discussioni che terremo su questo argomento.

*) Kemal Okuyan, Segretario generale del TKP


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