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Antonio Gramsci: Il nostro e il loro

Greg Godels | zzs-blg.blogspot.com 
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

01/05/2025

Sono trascorsi quarantotto anni da quando Eric Hobsbawm presentò il documento Gramsci and Political Theory («Gramsci e la teoria politica») alla Conferenza su Gramsci del 5-6 marzo 1977, poi pubblicato come articolo da Marxism Today nel luglio 1977.

Qui Hobsbawm ripercorreva e riconsiderava i quarant'anni trascorsi dalla morte di Antonio Gramsci nel 1937, dopo oltre un decennio di carcere fascista. Durante i primi dieci anni (1937-1947) Gramsci rimase praticamente sconosciuto fuori dall'Italia, dove il leader del Partito comunista Palmiro Togliatti tentò di integrare il pensiero di Gramsci nell'attività del PCI.

Il decennio successivo (1947-1957) fu caratterizzato in Italia dall'espansione dell'influenza di Gramsci al di là degli ambienti comunisti, e dalla sua affermazione come importante figura culturale nazionale.

Fu nel terzo decennio (1957-1967) che Gramsci divenne noto a molti fuori dall'Italia - l'interesse per lui fu particolarmente marcato nel mondo anglofono, come rilevava Hobsbawm. Le recenti forti critiche verso Stalin nell'ambito del movimento comunista mondiale e la forza e l'indipendenza che caratterizzarono nel dopoguerra il PCI (segnato dall'influenza di Gramsci) contribuirono a intensificare il prestigio di Gramsci. Hobsbawm non la cita, ma la prima edizione parziale (1957) delle opere di Gramsci uscita negli Stati Uniti fu una breve traduzione-commento (64 pagine) di Carl Marzani, Man and Society, pubblicata da Cameron Associates, una coraggiosa casa editrice che sfidò il clima da Guerra Fredda. Salta agli occhi l'ammirazione di Marzani per Gramsci, da lui considerato un modello in contrapposizione alle prassi sovietiche.

Nel quarto decennio (1967-1977), secondo Hobsbawm, «Gramsci è divenuto parte del nostro universo intellettuale. La sua statura quale pensatore marxista originale - a mio avviso il più originale pensatore di questo tipo emerso in Occidente dopo il 1917 - è riconosciuta in modo pressoché unanime... Termini prettamente gramsciani quali "egemonia" figurano nel dibattito politico e storico marxista (e anche non marxista) con una frequenza - e talvolta con una vaghezza - che ricordano l'uso dei termini freudiani tra le due guerre».

Nel 1977 il pensiero di Hobsbawm iniziava a convergere con la scuola emergente dell'eurocomunismo, il che contribuisce forse a spiegare la sua valutazione dell'importanza di Gramsci.

Se fosse ancora vivo, Hobsbawm sarebbe sorpreso scoprendo che, a quasi mezzo secolo di distanza dal suo intervento nel convegno londinese, fra i più influenti estimatori di Antonio Gramsci vi sono ideologi della destra trumpiana? Rimarrebbe scioccato leggendo sul Wall Street Journal un articolo intitolato «Ecco il comunista preferito del MAGA»?

Scrive il Wall Street Journal:

Christopher Rufo è forse il più potente attivista conservatore degli USA... Da un anno Rufo è al lavoro su un libro intitolato «How the Regime Rules» («Come governa il regime»), da lui definito un «manifesto della Nuova Destra». L'ispirazione centrale del libro è sorprendente: il pensatore comunista italiano Antonio Gramsci, a lungo tra gli spauracchi dei conservatori americani. «Gramsci, in un certo senso, fornisce uno schema che illustra come funzionano la politica e le relazioni tra tutte le diverse parti che la compongono: intellettuali, istituzioni, leggi, cultura, folklore», afferma Rufo, senior fellow presso il Manhattan Institute.

L'autore dell'articolo, Kevin T. Dugan, osserva come numerosi leader populisti di destra a livello internazionale - compresi Giorgia Meloni, Marine Le Pen e Jair Bolsonaro - abbiano reso omaggio a Gramsci, mentre il presidente argentino Javier Milei ha dichiarato a Tucker Carlson «di dover condurre una battaglia culturale giorno dopo giorno» contro avversari che «non si fanno problemi a insinuarsi nello Stato e a impiegare le tecniche di Gramsci: sedurre gli artisti, sedurre la cultura, sedurre i media o impicciarsi nei contenuti educativi».

Anche altri intellettuali di destra, secondo il Wall Street Journal, hanno adottato Gramsci:

Il nome di Gramsci compare negli scritti dei pensatori paleo-conservatori Paul Gottfried, Thomas Fleming e Sam Francis, che influenzarono i tentativi di Pat Buchanan di ottenere la candidatura presidenziale per i repubblicani negli anni Novanta. Uno dei principali estimatori di Gramsci nell'era pre-Trump è stato Andrew Breitbart, il fondatore di Breitbart News, che ne citò l'assioma secondo cui «la politica sta a valle della cultura».

Più recentemente, autori di estrema destra come Curtis Yarvin, che ha influenzato il vicepresidente J. D. Vance, hanno parlato di conquista del potere attraverso una battaglia culturale.

Al di là della selettività con cui il MAGA si appropria del pensiero di Gramsci, e della distanza tra gli intenti originali di Gramsci e le modalità in cui i populisti di destra interpretano il suo pensiero, il fatto stesso che Gramsci venga preso più seriamente dalla destra che da chiunque altro, fatta eccezione per la sinistra marxista, giustifica una seria riflessione.

La destra concepisce la politica come una gara - o perfino una guerra - che verte sul modo in cui la gente interpreta il mondo. Prende in prestito tale concetto dagli scritti di Gramsci riguardo all'ideologia, e intende combattere questa guerra con determinazione.

Per contro, il centro-sinistra e perfino alcuni «marxisti» fanno proprio un modello di mercato che immagina un insieme di «venditori di idee» che scambiano e soppesano le idee con equanimità. In questa visione fantastica, tutti hanno pari voce. Costoro immaginano che istituzioni quali le università e i media costituiscano ambiti sociali e politici neutrali, che perseguono, proiettano e proteggono con obiettività la verità pura e semplice.

Come Gramsci, la destra populista è consapevole del fatto che la sovrastruttura ideologica - quella che la destra definisce in modo generico e cinico «la cultura» - è sempre imbrigliata dalle forze sociali. Seguendo Marx, Gramsci afferma che «non è la coscienza degli uomini che determina il loro essere, ma è, al contrario, il loro essere sociale che determina la loro coscienza» (Gramsci cita spesso a memoria questa frase nei suoi Quaderni dal carcere). Diversamente dalla destra populista, tuttavia, Gramsci ritiene che le forze che plasmano le idee siano quelle costruite e promosse dai capitalisti al potere.

Quando diversi decenni fa entrò in scena il «reaganismo», alcuni acuti osservatori di sinistra commentarono che «era scoppiata la lotta di classe, ma a combattere era solo uno dei due schieramenti» - un'osservazione che evidenziava l'inefficacia del movimento dei lavoratori.

Oggi, di fronte all'attacco sferrato dalla destra trumpiana contro le università, i media pubblici, i testi scolastici, gli editori, gli studi legali e altri elementi della sovrastruttura, si potrebbe dire che è scoppiata la guerra «culturale», ma a combattere è solo uno dei due schieramenti - il che evidenzia l'inefficacia del centro-sinistra.

È piuttosto evidente che la destra populista, appropriandosi rozzamente di Gramsci, ha scatenato una guerra culturale contro istituzioni vuote, compiaciute di sé e inconsapevoli della propria vulnerabilità.

Insegnamenti per la sinistra

Come osserva Hobsbawm, nel 1977 il pensiero di Gramsci stava ormai divenendo popolare e veniva utilizzato «con la stessa vaghezza con cui tra le due guerre si utilizzavano i termini freudiani». Successivamente, citare Gramsci divenne di moda - spesso, incentrare il dibattito su alcuni degli scritti più enigmatici di Gramsci diventò un metodo sicuro per fare colpo in ambito accademico. «Egemonia» divenne uno dei termini più usati e abusati del vocabolario accademico. Dato che gran parte degli scritti composti da Gramsci in carcere utilizzavano inevitabilmente una terminologia cifrata, il suo pensiero si prestava a interpretazioni variegate e a veri e propri equivoci.

Troppo spesso il termine «egemonia» veniva piegato all'interpretazione personale che chi scriveva dava del dominio della classe dominante - mentre si trattava di qualcosa di più complesso e vasto della semplice affermazione del Manifesto Comunista secondo cui «Il potere statale moderno è solo un comitato che amministra gli affari comuni dell'intera classe borghese». Gramsci è esplicito nell'evidenziare che «l'egemonia di un gruppo sociale [al di là della dittatura dell'apparato coercitivo] si esercita attraverso le organizzazioni cosiddette private come Chiesa, sindacati, scuole» eccetera - un'affermazione che, per quanto tutt'altro che sorprendente per i leninisti del suo tempo, vale senz'altro la pena di sottoscrivere.

Osserva Hobsbawm: «La novità di Gramsci sta nell'aver colto che perfino l'egemonia borghese non è automatica, ma viene conseguita attraverso un'azione e un'organizzazione politica deliberata». È questa la lezione che la destra del MAGA ha imparato, a differenza degli accoliti di sinistra di Gramsci.

Inoltre, l'egemonia non è soltanto strumento analitico utile per comprendere il dominio della classe capitalista, bensì, per citare Hobsbawm, «una lotta per la trasformazione della classe operaia in potenziale classe dominante», una lotta che «deve essere combattuta prima della transizione al potere, oltre che durante e dopo di essa». I liberali e i socialdemocratici che rendono omaggio a Gramsci per la sua comprensione dei meccanismi del potere di classe non mostrano alcun interesse per quello che per Gramsci era l'obiettivo principale, cioè creare meccanismi rivali, alternativi - nei media, nell'intrattenimento, nella scuola, nelle attività, nella ricreazione, nell'amministrazione e nella vita sociale. Gramsci colse la necessità di preservare e proteggere ciò che vi era di buono nello spirito e nella cultura esistenti della classe operaia, e di costruire al tempo stesso qualcosa di ancora migliore per il futuro. Togliatti e il PCI si sforzarono di costruire questa egemonia nelle «regioni rosse», con risultati eterogenei. Il cinema italiano influenzato dai comunisti - da Riso amaro di Giuseppe de Santis (1949) a Novecento di Bernardo Bertolucci (1976) - rappresenta la componente di questo sforzo resa accessibile al pubblico internazionale.

Nulla di simile a questo tentativo deliberato di alimentare e promuovere la vita cultura della classe operaia è mai stato attuato negli USA, a qualsiasi livello, dopo la fine del CIO (Congress of Industrial Organizations) nella sua versione non addomesticata. Perfino le emittenti radiofoniche indipendenti (quale la WCFL di Chicago) appartengono ormai al passato.

Come spiega Hobsbawm, «Il problema essenziale dell'egemonia, inquadrato in termini strategici, non è come i rivoluzionari arrivano al potere, per quanto questa sia una questione molto importante, bensì come riescano a farsi accettare non soltanto in quanto governo politicamente esistente o inevitabile, ma come guide e leader». Hobsbawm offre due esempi eloquenti: «Probabilmente, i comunisti polacchi nel 1945 non furono accettati come forza egemone, benché fossero pronti a esserlo... I socialdemocratici tedeschi nel 1918 sarebbero probabilmente stati accettati come forza egemone, ma non agirono come tale».

Oggi, in molti ma non in tutti i Paesi capitalisti, i marxisti-leninisti sono tagliati fuori dalla vita della classe operaia - sono guidati perlopiù da intellettuali, ma non da intellettuali organici, per parafrasare Gramsci - e sono privi di contatti vitali con questa classe.

Fatta eccezione per i partiti comunisti, la sinistra ha ignorato, deliberatamente o per ignoranza, che Gramsci scriveva da leninista, accettando l'importanza cruciale del partito d'avanguardia (Il principe), benché riguardo all'organizzazione del partito propugnasse idee che rispecchiavano condizioni specifiche dell'Italia del suo tempo (per esempio il movimento torinese). Senza un partito, nessun legame «organico» con la classe operaia può avere senso.

John Womack ci rammenta che spesso le idee «originali» di Gramsci costituiscono elaborazioni di dibattiti allora in corso nell'ambito del movimento marxista. Per esempio, la contrapposizione dal sapore militaresco tra guerra di posizione e guerra di manovra è precedente all'argomentazione di Gramsci, in quanto risale alla disputa tra Kautsky e Luxemburg sulla strategia d'attrito contrapposta alla strategia insurrezionale. Questi dibattiti animarono il primo Comintern e svolsero un ruolo importante nel dare forma alla strategia dei comunisti.

A sinistra si tende spesso a interpretare l'idea di Gramsci della «guerra di posizione» come un intervallo passivo tra le «guerre di manovra», in occasione delle quali la classe operaia e i suoi alleati hanno modo di sfidare direttamente la classe capitalista da una posizione di relativo vantaggio. Troppo sovente questa guerra di posizione è stata interpretata come una fase difensiva in cui ci si dovrebbe limitare a mantenersi a galla. Negli USA, l'idea di Gramsci della guerra di posizione è stata spesso utilizzata per giustificare il sostegno al Partito democratico nella sua lotta per il territorio con l'altro partito borghese, o come scusa per assumere una posizione subordinata rispetto ad altre organizzazioni aderendo senza condizioni a qualche fronte unitario.

Hobsbawm affronta direttamente questa lettura errata di Gramsci:

Il fallimento della rivoluzione in Occidente potrebbe provocare un indebolimento a lungo termine - ben più pericoloso - delle forze progressiste attraverso quella che egli definiva «rivoluzione passiva». Da un lato, la classe dominante potrebbe accogliere alcune rivendicazioni allo scopo di scongiurare e allontanare la rivoluzione; dall'altro, il movimento rivoluzionario potrebbe ritrovarsi in pratica (anche se non necessariamente in teoria) ad accettare la propria impotenza, andando incontro a un logoramento e a un'integrazione politica nel sistema... In breve, la «guerra di posizione» andava concepita sistematicamente come strategia di lotta invece che come attività di cui i rivoluzionari si occupano quando non c'è la prospettiva di erigere le barricate (enfasi mia).

La sinistra odierna, nel valutare il pensiero di Gramsci, ne trascura spesso il contesto temporale e locale. Hobsbawm precisa correttamente che Gramsci scriveva in relazione a una situazione specificamente italiana e a insegnamenti tratti dalla sinistra italiana: «Al tempo di Gramsci, l'Italia presentava numerose peculiarità storiche che favorivano evoluzioni originali del pensiero marxista». Hobsbawm esamina quindi in modo assai dettagliato sei di queste «peculiarità».

È inoltre necessario tenere conto di quando Gramsci scrisse, oltre che di quando Hobsbawm elaborò i suoi commenti su Gramsci.

Scrivendo dal carcere mentre il fascismo italiano si assicurava il controllo dell'Italia, era comprensibile che Gramsci fosse indotto a rivolgere uno sguardo critico verso la tattica e la strategia del Partito comunista d'Italia, sia in retrospettiva sia in relazione al futuro. Da qui la sua rivisitazione della questione meridionale. Sarebbe inopportuno generalizzare le sue conclusioni estendendole a qualsiasi progetto rivoluzionario inserito in situazioni diverse.

Hobsbawm, dal canto suo, scriveva in un'epoca (il 1977) in cui i consensi elettorali del PCI erano in crescita (il 34% nel 1976, con un incremento del 7%), il PCI era impegnato nel compromesso storico ispirato da Gramsci e l'eurocomunismo era in ascesa. Nello stesso tempo, la rivoluzione portoghese, su cui la sinistra socialista aveva riversato grandi aspettative, sembrava in procinto di deludere tali attese procedendo in direzione di una riconciliazione con l'insieme dei Paesi europei. Hobsbawm, come altri fautori della via eurocomunista, cercò una spiegazione in Gramsci: «...in Paesi in cui i vecchi regimi sono stati rovesciati da una rivoluzione, come il Portogallo, vediamo come in assenza di una forza egemone perfino le rivoluzioni possano finire nelle secche». La storia non è stata tenera verso l'eurocomunismo e il progetto del PCI.

La frase forse più citata di Gramsci è: «La crisi consiste appunto nel fatto che il vecchio muore e il nuovo non può nascere: in questo interregno si verificano fenomeni morbosi». Il grande regista Joseph Losey, messo in lista nera e costretto a espatriare, utilizzò questa citazione di Gramsci con grande effetto nel preambolo della sua versione cinematografica del Don Giovanni di Mozart. Altri se ne sono serviti per illustrare le numerose crisi che hanno colpito il sistema capitalista.

Si potrebbe dire che oggi ci troviamo proprio in questo tipo di interregno, in cui il sistema capitalista si affanna nel tentativo di continuare a dominare alla «vecchia maniera».

Forse, quindi, possiamo imparare molto da Gramsci. Ma dobbiamo ricordare che egli rimase sempre un leninista. Se fosse ancora vivo oggi, andrebbe in cerca del partito capace di dare vita al «nuovo».


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