www.resistenze.org - pensiero resistente - editoriali - 16-12-19 - n. 733

2019: Fine di un decennio, quale il suo retaggio?

Greg Godels | zzs-blg.blogspot.com
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

15/12/2019

Ricorderemo la vittoria in Siria come un punto di svolta da lungo atteso nella lotta contro l'imperialismo e - magari - contro il capitalismo? La sconfitta delle macchinazioni degli USA e della NATO e dei loro combattenti per procura in Siria ispirerà il popolo del Medio Oriente a trascendere i confini divisivi dei risentimenti confessionali e della manipolazione culturale? Stiamo di fronte al declino di barriere nazionali e religiose erette artificialmente e mantenute in piedi con ferocia, e a una svolta verso la giustizia economica?

Di sicuro, alcuni commentatori prestigiosi e acuti ritengono che il Medio Oriente stia vivendo una serie di riallineamenti inattesi e di grande rilevanza (Hallinan) e il declino dei conflitti interconfessionali (P. Cockburn).

Patrick Cockburn ipotizza che il declino del confessionalismo sia accompagnato da «sollevazioni contro la corruzione», benché non approfondisca affatto il legame tra i due aspetti.

Gli USA e Israele, infatti, utilizzano sin dagli anni Cinquanta le barriere confessionali contro i governi progressisti, nazionalisti, laici e perfino di orientamento socialista. Il nazionalismo arabo laico, il nasserismo, il socialismo ba'athista, il movimento di liberazione palestinese - tutte queste realtà minacciavano l'apartheid e l'espansionismo di Israele e l'imperialismo petrolifero statunitense ed europeo. Agitando le acque delle differenze tribali, religiose, confessionali e nazionali, questi soggetti sono in gran parte riusciti a ridurre il Medio Oriente a un calderone di divisioni, conflitti senza fine e arretratezza sociale. Per buona parte della seconda metà del Novecento, le questioni sociali del benessere economico e della giustizia di classe sono state procrastinate. Invece di occuparsi delle esigenze essenziali della popolazione, i governanti medio-orientali si sono fatti trascinare in tragici conflitti identitari di natura religiosa, tribale e nazionale. E a sfruttare questi conflitti erano le potenze imperialiste straniere.

Ma oggi le cose potrebbero cambiare.

I sauditi - facoltosi missionari dell'arretratezza religiosa, sociale e politica -, infuriati per la concorrenza energetica dei loro patroni statunitensi e dissanguati da una fallimentare guerra nello Yemen, vedono ridurre la loro influenza sui vicini. Analogamente, Israele è impelagata in una crisi politica e deve ora fronteggiare una Siria quasi del tutto riunificata e provvista di un potente alleato, la Russia - un alleato che sembra determinato a fare da contraltare al predominio USA nella regione. E la Turchia è indebolita dalla sua instabilità politica e dai suoi legami sempre più fragili con la NATO.

Questi elementi, insieme alla sconfitta dell'imperialismo USA e NATO in Siria, hanno scardinato decenni di insensati conflitti intestini e stanno consentendo alle questioni a lungo trascurate del benessere e del tenore di vita della popolazione di emergere in primo piano.

Le recenti sollevazioni antigovernative - alcune delle quali ancora in atto - in Sudan, Algeria, Libano, Iran e Iraq costituiscono una reazione alle questioni di classe e di democrazia a lungo ignorate e messe in ombra dai confessionalismi. Stimolati da politiche altezzose, dall'indifferenza dei governi e dall'enorme povertà e penuria, milioni di individui stanno lottando per deporre coloro i quali detengono il potere.

Benché Patrick Cockburn scriva di corruzione, ad alimentare queste rivolte è ben più del semplice malgoverno. La popolazione è in lotta contro governanti selezionati in base a sistemi elaborati dalle grandi potenze allo scopo di legittimare equilibri confessionali o di installare al potere individui fedeli a forze esterne. È stanca di vedere la ricchezza concentrarsi nelle mani delle élite o enormi flussi di risorse riversarsi nelle casse delle corporation occidentali. È stufa della carenza di alimentari e di energia elettrica, della disoccupazione e della sotto-occupazione, del patronato esercitato su basi confessionali e delle infrastrutture e degli alloggi fatiscenti. Sta reagendo all'allargamento del fossato tra le classi all'interno di queste società. Tutte queste sollevazioni suggeriscono un'emergente coscienza di classe e una collera crescente nei riguardi di coloro che si accaparrano la ricchezza e monopolizzano senza alcun titolo il potere politico.

Per quanto vadano salutati positivamente, questi sviluppi implicano anche numerosi potenziali problemi. Non è ancora emersa alcuna leadership popolare e provvista di una visione chiara. Le rivendicazioni che vengono avanzate sono spesso semplicistiche e negative: «Abbasso il governo!». Non vi è una visione ideologica complessiva; l'elaborazione programmatica è scarsa e i leader riconosciuti troppo poco numerosi. Il successo del movimento in Sudan dimostra l'importanza di un Partito comunista attivo e radicato all'interno dei movimenti popolari. I comunisti sono presenti anche in tutte le altre sollevazioni popolari. Vi sono buone ragioni per sperare che questi movimenti si evolvano in direzione anti-capitalista.

Vi è chi ha sollevato l'obiezione che le sollevazioni antigovernative potrebbero indebolire il movimento anti-imperialista, specie laddove i governi esistenti hanno assunto posizioni anti-imperialiste contro gli Stati Uniti e Israele o sono espressione di coalizioni che comprendono forze anti-imperialiste. Queste preoccupazioni appaiono particolarmente legittime se si tiene conto della lunga tradizione di manipolazione dei movimenti da parte degli Stati Uniti (ieri l'Ucraina, oggi Hong Kong).

Tuttavia, i rivoluzionari devono assumere una posizione basata sulla solidarietà con il popolo, sulla fiducia nelle masse e sulla vigilanza critica. Qualsiasi mutamento importante implica dei rischi ed è carico di incertezze. I rivoluzionari che non sono disposti ad avventurarsi su sentieri non segnati sulle mappe non meritano di essere definiti tali.

Malgrado i recenti scacchi subiti dai progetti socialdemocratici e anti-imperialisti in Centro e Sudamerica (controbilanciati dalla strenua resistenza di Cuba, Nicaragua e Venezuela), le straordinarie sollevazioni popolari verificatesi ad Haiti, in Colombia, in Cile e in Ecuador hanno scosso i governi e le élite al potere. Come i loro omologhi medio-orientali, questi movimenti mancano spesso di una leadership chiara e decisa, ma nondimeno rispecchiano antagonismi di classe profondi e radicati e un'aspirazione a una vera democrazia.

Ad alimentare il passaggio all'azione diretta e radicale di massa è anche una profonda sfiducia nei sistemi parlamentari in gran parte corrotti che vengono spacciati per «democrazia liberale». È interessante notare come tale sfiducia sia condivisa da milioni di lavoratori nei Paesi capitalisti avanzati, che per disperazione hanno dato il loro voto a demagoghi «populisti» decisi a sfruttare opportunisticamente la delusione che allontana gli elettori dai fallimentari partiti tradizionali. Sebbene i due fenomeni traggano origine da cause simili, la risposta «populista» è destinata a dimostrarsi tanto illusoria quanto il persistente sostegno ai partiti tradizionali che incatenano il destino della popolazione all'accumulazione capitalista.

Tutti i segnali indicano che in tutto il mondo vi è un'insoddisfazione di massa. In alcuni luoghi essa si sta trasformando in scontro fisico e diretto con lo Stato e con i suoi organismi. Colpiscono la frequenza e la radicalità di queste iniziative. Oggi, in Francia, i grandi scioperi nazionali stanno impedendo a Macron di distruggere il sistema pensionistico.

Altrove la lotta è meno sviluppata; il popolo fatica a identificare il nemico; e i suoi sforzi sono limitati al ristretto ambito elettorale, o vengono sviati in direzione di soluzioni fasulle.

Nondimeno, mentre inizia un nuovo decennio il capitalismo deve fronteggiare un'impressionante ondata di resistenza. Per divenire ancora più grande, questa ondata deve essere guidata da una visione più precisa della via da imboccare. Antichi e complessi dibattiti sui rapporti reciproci tra indipendenza nazionale, unità laica e lotta di classe sono divenuti nuovamente fondamentali, urgenti e centrali. È indispensabile che i militanti concepiscano la lotta contro l'imperialismo e quella per un'esistenza migliore, più anti-capitalista e democratica come una cosa sola.

È inoltre necessario trarre insegnamento dal recente proditorio golpe contro Evo Morales in Bolivia - un insegnamento che sollevi le questioni sempre cruciali della natura dello Stato, della riforma e della rivoluzione. Nella nostra epoca, i movimenti riformisti e di orientamento socialista si sono rivelati fragili, specie quando hanno dovuto fronteggiare la determinata ostilità dei potenti Stati Uniti e dei loro alleati. Come dimostra la disfatta di Guaidó in Venezuela, gli USA sono pronti a tutto pur di creare e sostenere gli elementi anti-riformisti e anti-socialisti. Da oltre un secolo, la teoria marxista-leninista è al centro dei dibattiti sul percorso da imboccare per la realizzazione del cambiamento rivoluzionario e per la sua difesa. Essa può costituire un buon punto di partenza per l'aggiornamento dei dibattiti attuali.

Tutti i segnali inducono a ritenere che il 2020 sarà un anno interessante - e perfino promettente - per i rivoluzionari!


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