www.resistenze.org - pensiero resistente - editoriali - 22-10-20 - n. 765

Inverno in America...

Greg Godels | zzs-blg.blogspot.com
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

14/10/2020

Dagli indiani che accolsero i pellegrini
Al bufalo che dominava le pianure
Come gli avvoltoi che volano in cerchio sotto nubi oscure
In cerca della pioggia
In cerca della pioggia
Come le città appollaiate sulla costa
Vivere in una nazione che non ce la fa più
Come la foresta sepolta sotto l'autostrada
Non ha mai avuto la possibilità di crescere
Non ha mai avuto la possibilità di crescere
E ora è inverno
Inverno in America
Sì, e tutti i guaritori sono stati ammazzati
O cacciati via, sì
Ma la gente lo sa, la gente lo sa
È inverno
Inverno in America
E non c'è nessuno che combatta
Perché nessuno sa che cosa salvare

Gil Scott-Heron (1974) Winter in America

Quando Gil Scott-Heron scrisse queste parole, gli Stati Uniti sembravano aver imboccato un rapido declino. Il Watergate aveva proiettato un'ombra sulla legittimità del governo; gli USA avevano perso o stavano perdendo la guerra imperialista in Vietnam; inflazione, disoccupazione e stagnazione stavano facendo a pezzi il tenore di vita degli americani. Per molti membri della generazione del dopoguerra, i primi anni Settanta segnarono il punto più basso del prestigio e dell'influenza degli Stati Uniti.

Scott-Heron era maestro nel mescolare politica e arte, senza compromettere né l'una né l'altra. Ciò gli consentiva di imporre all'attenzione dei suoi ascoltatori temi quali l'apartheid, la droga, la violenza della polizia, il razzismo e la povertà, pur senza cessare di intrattenerli. Molte delle sue canzoni divennero inni per i movimenti progressisti.

Per molti di noi, Winter in America costituì un'affermazione del declino terminale degli Stati Uniti: «È inverno in America, e non c'è nessuno che combatta, perché nessuno sa che cosa salvare». Stava calando un metaforico inverno che congelava speranze, promesse e idee: una crisi politica, ambientale, razziale e di politica estera.

Il testo di Scott-Heron toccava tutti i mali del 1974, osservando che «tutti i guaritori sono stati ammazzati o cacciati via». La «Costituzione era un nobile pezzo di carta... morto invano». E «la democrazia è uno straccio gettato in un angolo». Scott-Heron metteva in guardia contro i «razzisti disperati» e lamentava «il simbolo della pace che svanisce nei nostri sogni».

Ma se credevamo che gli Stati Uniti avessero toccato il fondo, ci sbagliavamo.

Il 1974 non fu che l'inizio di un lungo e doloroso declino. I salari orari medi di oggi sono appena superiori a quelli del 1974. Il salario minimo continua a diminuire, un dollaro dopo l'altro. L'indecente aumento delle diseguaglianze di reddito e di ricchezza appare inarrestabile.

Le continue e incessanti aggressioni - guerre per procura, invasioni, occupazioni e remote stragi simili a videogiochi - sono divenute quasi una routine, al punto che purtroppo suscitano ben poche resistenze all'interno del Paese.

Il razzismo rimane un flagello negli Stati Uniti, sebbene assuma sempre più una dimensione di classe. I lavoratori afroamericani sono stati colpiti ancor più duramente dei loro colleghi bianchi; la crescente povertà che affligge la popolazione tocca la popolazione nera in misura ancora maggiore; e di conseguenza, l'abbandono, il disprezzo e la violenza da parte delle istituzioni che accompagnano sempre l'impoverimento si abbattono duramente sugli afroamericani.

La competizione per i posti di lavoro negli Stati Uniti ha scatenato a un tempo una reazione miope e xenofoba e una corsa al ribasso nei salari. Il declino dei sindacati, retaggio delle purghe anticomuniste nel movimento sindacale, ha ulteriormente inasprito la competizione per i posti di lavoro sottopagati.

L'infuriare del fondamentalismo del libero mercato ha causato la privatizzazione o la decadenza della sanità pubblica, ha mercificato i servizi sociali e ha devastato la scuola pubblica.

Se credevamo che Nixon avesse violato vergognosamente la fiducia dell'opinione pubblica, la corruzione, i colpi bassi e le menzogne sono moneta corrente nella politica del XXI secolo.

Quello che nel 1974 era un inverno in America è oggi una vera e propria glaciazione.

E l'aspetto più tragico dell'incessante declino dell'impero USA in termini di influenza, pace interna e benessere di massa sono la vacuità e l'inefficacia delle opzioni politiche sul tavolo.

Dopo le purghe contro la sinistra degli anni Cinquanta e il successivo fallimento del liberalismo, la politica USA ha subito un'involuzione, trasformandosi in una tigre di carta incapace di fronteggiare le complesse crisi prodotte dal capitalismo.

A vent'anni dall'inizio del nuovo secolo, gli schieramenti politici, ormai privi di nuove idee, non possono che ripiegarsi sul passato, alla ricerca di un'«età dell'oro» ormai scomparsa. La politica di oggi è in gran parte una politica vista attraverso lo specchietto retrovisore - una politica nostalgica.

Per i piccolo-borghesi e gli aspiranti tali - intenti a ingozzarsi con le briciole della tavola dei super-ricchi - la presidenza Obama ha rappresentato l'apogeo e la realizzazione dell'esistenza. Gli hipster chiamano questi settori sociali PMC («classe professionale manageriale»). Il salvataggio dell'economia dalla crisi del 2007-2009, attuato da Obama dirottando verso l'alto le «ricadute favorevoli» del sistema, ha cementato la loro fedeltà verso la globalizzazione e il dominio dell'élite. Sono liberal sul piano sociale, e conservatori sul piano fiscale. Guardate i loro simboli Black Lives Matters, esposti in quartieri pressoché interamente bianchi e segregati. Sono sempre favorevoli ai gesti simbolici - purché il prezzo da pagare non sia la redistribuzione dei loro redditi, o sacrifici in termini di stile di vita. Per loro, Trump è il flagello che impedisce il ritorno della gestione civile in stile Obama degli affari nazionali. Sono loro la forza dominante nella politica del Partito Democratico.

L'imminente distruzione di migliaia di piccole imprese è destinata a costituire una dura lezione per molti piccolo-borghesi, che saranno costretti a guardarsi intorno alla ricerca di soluzioni. Molti di loro troveranno rifugio nel vittimismo amareggiato che tradizionalmente ha alimentato il populismo più vieto e distorto, le cui radici risalgono sino all'ottocentesco Partito Know Nothing.

Un'analoga catastrofe economica sospinge molti lavoratori verso il radicalismo fasullo del populismo di destra - specie negli Stati del Midwest, devastati dall'abbandono dell'industria da parte del capitale a vantaggio di investimenti in altri settori o in altri Paesi. In assenza di un movimento vigoroso e capace, in grado di indirizzare la loro giusta collera contro il capitale, trovano capri espiatori altrove.

Altri settori della classe operaia rimpiangono l'epoca tanto decantata della prosperità della «classe media» che fece seguito alla seconda guerra mondiale - il trentennio che i francesi chiamano Les Trente Glorieuses. Quest'epoca oggi avvolta da un'aura di romanticismo fu caratterizzata da un aumento parallelo dei salari e dei benefici per i lavoratori americani, da un lato, e della produttività, dall'altro, che permise a molte famiglie operaie di acquistare case e automobili, di andare in vacanza e di offrire ai loro figli un'istruzione nei college e prospettive di ascesa sociale. Questo ricordo idilliaco dimentica completamente la perfida oppressione che colpì in quel periodo i neri, le altre minoranze e le donne. Dimentica le repressioni ai danni della sinistra, la volgarità culturale e l'uniformità del pensiero. Dimentica l'impronta insanguinata lasciata dalla politica estera USA in giro per il mondo.

Il contratto sociale del periodo postbellico ebbe un costo che viene sovente dimenticato. I leader della classe operaia acconsentirono a epurare la resistenza della sinistra al capitalismo e ad appoggiare in modo acritico la politica estera imperialista degli Stati Uniti, facendosi complici dei crimini dell'anticomunismo globale. E quando venne il momento, la classe dominante degli Stati Uniti venne meno alla sua parte dell'accordo, rimangiandosi i vantaggi ottenuti dalla classe operaia.

Sebbene il ricordo di quell'epoca passata si affievolisca sempre più, la nostalgia di quell'interludio fa sì che gran parte dei vertici sindacali - e uno zoccolo duro di lavoratori sindacalizzati, per quanto sempre più scettici - continuino ad andare a braccetto con il Partito Democratico.

La maggior parte degli elettori, prigionieri del sistema bipartitico, cerca ispirazione politica in questo periodo idealizzato. Questa insipida nostalgia pervade gli slogan dei due candidati - il «Build Back Better» («Ricostruire il Meglio») di Biden e il «Make America Great Again» («Rendere di nuovo grande l'America») di Trump. Non possiamo fare altro che ricostruire o ripristinare ciò che è andato perduto. E la gente è confusa riguardo a ciò che ha perduto e perché.

Dovrebbe essere un momento ideale per la sinistra.

Ma purtroppo, gran parte della sinistra è alla deriva in un mare di idee vecchie e fallimentari. Alcuni pensano che la nobile abnegazione della cooperativa locale che si occupa di cibo o di arte rappresenti un modello di cooperazione in grado di competere con le corporation multinazionali e di mettere in ginocchio il capitalismo. Abbiamo già dimenticato le precedenti mode «anticapitaliste» spacciateci dagli accademici di sinistra - come i «programmi di partecipazione azionaria dei dipendenti» o il microcredito?

Tutte queste strategie condividono un presupposto profondamente pessimista, e cioè che sia impossibile affrontare direttamente e sconfiggere il capitalismo. Propongono invece di batterlo con l'astuzia, attaccandolo ai fianchi. Malgrado le strategie utopistiche di questo tipo si siano rivelate fallimentari nel corso dei secoli, influenti esponenti della sinistra continuano a riesumarle.

La sinistra USA è pervasa dall'idea che la perfezione della democrazia capitalista sia in grado di combattere efficacemente le diseguaglianze e le ingiustizie del capitale. Sin dalla soppressione della sinistra comunista durante la Guerra Fredda, la sedicente «Nuova Sinistra» ha puntato con forza sulla «democratizzazione» delle strutture e delle istituzioni che attualmente servono il capitalismo. Che questo progetto abbia senso o meno, quel che è certo è che non ha funzionato, con buona pace della «Nuova Nuova Sinistra» che lo ha fatto proprio. Ogni risposta inefficace alla crescente crisi del capitalismo sembra confermare che il sistema sociale, economico e politico che accompagna il capitale è semplicemente al suo servizio, e non potrà mai costituire uno strumento efficace contro le sue iniquità.

C'è un motivo se il capitale USA ha represso e continua a reprimere i movimenti operai di orientamento comunista e socialista. Non è nostalgia riconoscere che l'ideologia e le strategie ideate da Marx, Engels e Lenin sono riuscite in passato a scuotere le fondamenta stesse del sistema capitalista, spingendo i capitalisti e i loro lacchè a una resistenza frenetica e violenta. Di sicuro, questo fatto offre un insegnamento.

Il vento gelido di incertezza, paura e disperazione che sta spazzando gli Stati Uniti non cesserà sino a quando non combatteremo per un nuovo futuro. Gli strumenti ci sono.


Resistenze.org     
Sostieni Resistenze.org.
Fai una donazione al Centro di Cultura e Documentazione Popolare.

Support Resistenze.org.
Make a donation to Centro di Cultura e Documentazione Popolare.