www.resistenze.org - pensiero resistente - editoriali - 18-09-23 - n. 875

I silenzi della Dichiarazione di Delhi

Prabhat Patnaik | peoplesdemocracy.in
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

17/09/2023

L'incontro del G-20 a Delhi si è svolto nel bel mezzo di un'acuta crisi economica dell'economia mondiale. Secondo le previsioni del FMI, le economie capitalistiche avanzate subiranno un rallentamento della crescita dal 2,7% nel 2022 all'1,3% nel 2023; secondo una stima alternativa del FMI, nel 2023 la loro crescita potrebbe addirittura scendere sotto l'1%. Poiché il tasso di crescita della produttività del lavoro è probabilmente superiore a questa cifra, ciò significherebbe un sostanziale aumento della disoccupazione nella metropoli. A ciò si aggiungerebbe, soprattutto nel caso dell'UE, un vasto afflusso di migranti dall'Europa orientale che si sta verificando da tempo e di rifugiati dall'Ucraina, incitata a combattere la guerra per procura della NATO contro la Russia.

La tendenza al fascismo in Europa, che ha acquisito un notevole slancio negli ultimi tempi, riceverà un ulteriore e massiccio impulso da questa crescita della disoccupazione, che incoraggerà ulteriormente l'animosità verso gli immigrati. Il neonazista AfD in Germania sta già ottenendo quasi il 20% dei voti ed è pronto a fare accordi per salire al potere, almeno nei governi provinciali, con partiti che finora lo avevano evitato. Marine Le Pen, l'alfiere del fascismo in Francia, avrebbe un indice di gradimento superiore a quello di Emmanuel Macron. L'Italia ha già eletto un governo fascista e la Spagna, che generalmente ci si aspettava che lo facesse, ha appena ottenuto una tregua temporanea con un risultato inconcludente nelle sue recenti elezioni. Tutti questi elementi riceveranno un'ulteriore spinta.

Con le economie dei Paesi avanzati alle prese con una crisi senza precedenti, il suo impatto si farà sentire anche nel Sud globale, in termini di rallentamento della crescita del PIL, aumento della disoccupazione, accentuazione della crisi del debito e rafforzamento della tendenza al fascismo. L'Argentina si appresta a eleggere un presidente che si impegna a eliminare tutte le spese per il welfare; e questa preoccupante tendenza potrebbe diffondersi anche nei Paesi in cui non l'ha già fatto.

Ci si sarebbe aspettati che il Vertice del G20 tenutosi in questa situazione prendesse qualche iniziativa per superare la crisi economica, come aveva fatto il G20 tenutosi subito dopo il crollo della bolla immobiliare statunitense. In particolare, ci si aspettava qualche iniziativa in merito al debito estero dei Paesi del Terzo Mondo, visto che l'India ha presentato la sua leadership nel G20 come uno sviluppo favorevole alla causa del Sud globale e che alcuni portavoce ufficiali indiani hanno segnalato il debito del Terzo Mondo come argomento di discussione.

Ma non è successo nulla del genere. La Dichiarazione di Delhi che è emersa dal Vertice ha detto molto poco sulle scottanti questioni economiche del giorno, anche se, come i delegati cinesi e russi hanno sempre sottolineato, il G-20 dovrebbe occuparsi più di questioni economiche che di questioni di sicurezza. Indubbiamente, la Dichiarazione ha comportato un cambiamento di posizione rispetto a quella del precedente vertice di Bali, in Indonesia, per quanto riguarda la guerra in Ucraina: mentre in quell'occasione la Russia era stata oggetto di critiche esplicite, a Delhi si è evitato scrupolosamente di addossare la colpa alla Russia. Ma il suo appello alla pace, per quanto encomiabile, avrà ben poco effetto.

Tutte le iniziative per la pace sono state vanificate dai Paesi della NATO, decisi a usare il popolo ucraino come carne da macello nella loro lotta contro la Russia: sono stati gli Stati Uniti e la Gran Bretagna a silurare l'accordo di Minsk; gli stessi Paesi hanno anche fatto fallire i negoziati di pace subito dopo l'inizio delle operazioni militari russe; e sono ancora impegnati a incitare l'Ucraina a continuare la guerra. La guerra finirà quindi solo quando la NATO sarà disposta a farla finire, e la sua volontà non sarà influenzata neanche un po' dalla Dichiarazione del G-20 di Delhi, nonostante l'acquiescenza alla formulazione non molto favorevole per loro. La Dichiarazione contiene paragrafi che esaltano la tolleranza religiosa e il rispetto per la diversità; ma questi, sebbene certamente lodevoli, hanno uno scarso significato effettivo. Con Erdogan in Turchia e Modi in India firmatari di questa Dichiarazione, anche quando i loro Paesi si muovono esattamente nella direzione opposta con la connivenza dei loro governi, queste frasi non sono che pie banalità.

Non che le questioni economiche non siano presenti nella Dichiarazione, ma lo sono solo in termini molto generali. Non solo non c'è alcuna proposta specifica, nemmeno quella di un incontro internazionale per discutere della riduzione del debito dei Paesi poveri del Terzo mondo; ma, anche per quanto riguarda il raggiungimento di una crescita economica sostenuta, non sembra essere stata risparmiata una sola riflessione sui mezzi per farlo. Si può obiettare che una Dichiarazione non è la sede per proposte concrete; ma non c'è alcuna prova che al Vertice si sia svolta una discussione su questi temi di scottante attualità.

Ciò non deve sorprendere. L'interesse principale del governo ospitante era quello di ottenere la massima pubblicità dal Vertice, cosa che è riuscito a fare. I Paesi poveri, che sono le principali vittime della crisi in corso perché sono quelli che vengono schiacciati dall'"austerità" imposta dal FMI, non erano affatto rappresentati al Vertice. E i Paesi avanzati non ammettono nemmeno l'esistenza della crisi economica, né tantomeno discutono proposte per superarla, anche se singoli "economisti di establishment" ne hanno attestato l'esistenza. La riunione del G-20, insomma, è stata uno spettacolo a cui hanno partecipato diversi Paesi per le loro ragioni specifiche, ma che non si è preoccupato molto di risolvere i problemi del mondo.

Questo però solleva una domanda: perché i governi dei Paesi avanzati affrontano l'attuale crisi economica con tanta equanimità? La disoccupazione in un'epoca precedente era stata una questione di grande preoccupazione per i governi capitalisti, tanto che John Maynard Keynes, un difensore dichiarato del capitalismo, aveva persino affermato che "il mondo non tollererà ancora a lungo la disoccupazione che è associata... all'attuale individualismo capitalistico". Naturalmente, in quell'epoca precedente, la disoccupazione, sintomatica di una recessione, si accompagnava a una perdita di profitti, per cui sia i lavoratori che i capitalisti soffrivano della crisi di cui la disoccupazione era un sintomo. Nel capitalismo contemporaneo, tuttavia, non è più così: la produzione non è l'unica e nemmeno la principale fonte di profitto; le operazioni finanziarie rappresentano una parte sostanziale dei profitti, cosicché anche quando l'economia è in recessione, i profitti dei capitalisti reggono bene. È vero che le operazioni finanziarie non generano plusvalore, ma creano crediti sulle risorse, cosicché anche quando la produzione è stagnante, questi crediti sui beni pubblici, sui beni dei piccoli capitalisti e sulle risorse naturali possono continuare a crescere. In altre parole, nel capitalismo contemporaneo il plusvalore sottratto alla produzione è integrato dall'acquisizione diretta di beni da parte delle grandi imprese da altri capitalisti, dallo Stato e da settori finora non mercificati (che costituirebbero casi di centralizzazione o di accumulazione primitiva del capitale). Una recessione di per sé conta quindi meno per gli interessi aziendali dominanti nel capitalismo contemporaneo.

Ma che dire dell'instabilità sociale che genera a causa della disoccupazione di massa e dell'indigenza che ne deriva? Per capire l'equanimità degli Stati metropolitani di fronte alla crisi, dobbiamo guardare al contesto in cui Keynes scriveva e vederne le differenze rispetto a oggi. Keynes scriveva sullo sfondo della Rivoluzione bolscevica, quando il socialismo appariva non solo come possibilità, ma come prospettiva imminente; se non si fosse fatto subito qualcosa per la disoccupazione, la disaffezione dei lavoratori avrebbe portato all'ordine del giorno la trascendenza del capitalismo. Purtroppo non è più così. Con la battuta d'arresto del socialismo realmente esistente, i governi capitalisti metropolitani non sono più così preoccupati dalle prospettive di instabilità sociale. È vero che i Paesi capitalisti avanzati stanno affrontando una sfida alla loro egemonia, ma questa sfida non ha il taglio ideologico che aveva prima; e qualsiasi minaccia provenga dalla classe operaia può essere smorzata dall'uso di elementi fascisti.

Tuttavia, essi vivono in un paradiso per gli sciocchi. Nei Paesi capitalistici avanzati sono in corso enormi scioperi da parte dei lavoratori e non dimentichiamo che anche la Rivoluzione bolscevica, a suo tempo, era arrivata "all'improvviso".


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