Halas e molti altri fanno coincidere la resistenza nel nuovo millennio contro l'imperialismo degli USA e dei suoi partner (in gran parte ex-alleati della Guerra Fredda) con la resistenza contro l'imperialismo in generale. A loro avviso il mondo si divide tra gli USA e i loro amici da un lato e, dall'altro, coloro i quali in varia misura si oppongono agli USA. A volte definiscono questa contrapposizione un conflitto tra il Nord globale e il Sud globale. Altre volte raggruppano gli avversari imperialisti sotto la definizione collettiva «l'Occidente».
Dal punto di vista dei fautori del multipolarismo, se i Paesi che resistono agli USA riuscissero a neutralizzare il predominio degli USA e dei loro alleati, il mondo diventerebbe pacifico e armonioso. A loro avviso non è il capitalismo a impedire una pace duratura, ma soltanto le ambizioni imperiali degli Stati Uniti. Di conseguenza, in un futuro ideale, una molteplicità di Stati amichevoli e cooperativi (poli) intratterrebbero transazioni economiche pacifiche ed eque, unanimemente riconosciute come reciprocamente vantaggiose - quella che i leader cinesi definiscono una soluzione «win-win». E se questo scenario non è destinato a essere raggiunto immediatamente, è comunque prossimo. È il socialismo ciò che ci attende, dunque?
La realtà è che per quanto sia sicuramente importante resistere al predominio e alle aggressioni degli Stati Uniti, il loro declino o la loro sconfitta non metteranno fine all'imperialismo, fino a quando il capitalismo monopolistico continuerà a esistere.
Nella storia dell'imperialismo moderno, il declino di ogni grande potenza capitalista dominante ha innescato l'ascesa di un'altra. Nel momento in cui una potenza arretra, altre si fanno avanti e si contendono il predominio globale - è questa la logica fondamentale dell'imperialismo. E sin troppo spesso, la conseguenza è la guerra.
Classe: Nella teoria del multipolarismo, il concetto di classe è vistosamente assente. I fautori del mondo multipolare si dimenticano di spiegare come i rapporti di classe - e in particolare gli interessi della classe operaia - potrebbero trarre beneficio dall'esistenza di una molteplicità di poli capitalisti. Halas sostiene che «i BRICS+ sono una coalizione dal concreto carattere di classe radicato nel Sud globale», ma non spiega che cosa sia questo «concreto carattere di classe». Si tratta di una questione cruciale e di un problema significativo, dato che Halas stesso ammette che «le nazioni dei BRICS+ sono per la maggior parte capitaliste»! Considerando i membri originali dei BRICS, il capitalismo è indubbiamente il sistema economico dominante in Russia, India, Sud Africa e Brasile. E quanto ai membri candidati, il cui ingresso è previsto per il 2024 - Argentina (che probabilmente si ritirerà), Egitto, Etiopia, Iran, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti - sono tutti quanti capitalisti. L'idea che questo gruppo di Paesi possa servire gli interessi della classe operaia e promuovere il socialismo appare alquanto stiracchiata.
Lotta di classe: La lotta di classe - il motore delle conquiste dei lavoratori, del potere operaio e del socialismo - è stata osteggiata dai governi di quasi tutti i Paesi dei BRICS e dei BRICS+. In Iran, per esempio, il comunismo è illegale e un gran numero di comunisti sono stati giustiziati. Il comunismo è illegale anche in Arabia Saudita. Modi ha condotto una vera e propria guerra di classe contro i contadini indiani. La classe operaia sudafricana ha visto aumentare la disoccupazione e la povertà sotto il suo deludente governo. I lavoratori egiziani faticano sotto un brutale governo militare. In che modo l'ingresso di questi Paesi nei BRICS potrebbe rappresentare una promessa di socialismo?
Nord globale/Sud globale: Secondo Halas e i «multipolaristi», la «contraddizione» che caratterizza il multipolarismo sarebbe lo scontro tra il «Nord globale» e il «Sud globale» o, paradossalmente, tra l'«Occidente» e il resto del mondo. Oltre a significare ben poco - se non nella fantasia della sinistra da social media - questa ripartizione geografica crea l'impressione che l'Australia e la Nuova Zelanda abbiano qualcosa in comune con il misero Burundi, o che le «occidentali» Serbia e la Germania cooperino nello sfruttamento dei piccoli Paesi africani. Certo, esiste una divisione tra Paesi ricchi e Paesi poveri, tra sfruttatori e sfruttati. Storicamente, le linee di frattura più nette sono state create dal colonialismo e dal suo successore, il neocolonialismo. Ma il mazzo di carte dell'imperialismo viene di volta in volta rimescolato nel corso del tempo in funzione dell'accesso diseguale alle risorse, dello sviluppo ineguale o di altri vantaggi acquisiti. La Penisola Arabica, per esempio, era un tempo una colonia dominata dall'impero ottomano. La dissoluzione di questo impero e gli sviluppi successivi hanno condotto all'ascesa di un'Arabia Saudita ricca di risorse e piazzata in una posizione elevata all'interno della gerarchia imperialista. Oggi l'India è sede di tre delle 20 maggiori corporation asiatiche per valore di mercato, più grandi di tutte le corporation giapponesi a eccezione di Toyota. L'indiano Tata Group ha un capitale di mercato che supera i 380 miliardi di dollari, e i suoi tentacoli si estendono in un centinaio di Paesi. Secondo l'editoriale del 28 giugno scorso del britannico Morning Star, «la minaccia di Tata Steel di chiudere gli altiforni di Port Talbot con tre mesi di anticipo se Unite porterà avanti lo sciopero è un ricatto. La multinazionale con sede in India non ritiene che gli operai delle acciaierie debbano avere voce in capitolo sul futuro dello stabilimento... È uno scandalo che il futuro della siderurgia britannica sia alla mercé di un miliardario che risiede in un altro continente».
«Sganciamento»: Halas suggerisce che i BRICS+ offrano ai Paesi un'opportunità per sganciarsi dalle strutture finanziarie capitaliste internazionali imposte dopo il secondo conflitto mondiale e dal predominio del dollaro nelle transazioni internazionali. Tale possibilità potrebbe manifestarsi nel futuro, ma è evidente che rappresenta semplicemente un'alternativa, non certo un rimpiazzo per le strutture e gli strumenti di scambio esistenti. Ancora alla fine dello scorso giugno, il premier cinese Li Qiang dichiarava: «Dobbiamo avere una mentalità aperta, cooperare strettamente, mettere da parte gli schieramenti [corsivo mio] e contrastare lo sganciamento...». È chiaro che la prospettiva di rapporti bilaterali tra Paesi a livello globale - prefigurata da Li, il secondo leader più importante della Cina, in occasione del Forum estivo di Davos - non rappresenta affatto una sfida agli accordi finanziari esistenti o al predominio del dollaro. Il conflitto tra il vecchio ordine e il nuovo ordine multipolare è più una fantasia di alcuni esponenti della sinistra che un reale obiettivo politico del più importante Paese BRICS.
Anti-imperialismo: Halas vorrebbe darci a intendere che l'anti-imperialismo del nuovo millennio sia rappresentato dal multipolarismo incarnato dai BRICS. Cita le votazioni all'ONU sullo status e sull'oppressione della Palestina (prevedibilmente bloccate dal veto USA) quale esempio dell'anti-imperialismo del «Sud globale». Benché importanti sul piano simbolico e non privi di importanza, questi atti si possono difficilmente equiparare all'azione anti-imperialista basata su principi che abbiamo conosciuto in epoche precedenti. Vale la pena di rammentare che prima del 7 ottobre l'Arabia Saudita era sul punto di abbandonare la Palestina per assicurarsi relazioni migliori con Israele. L'Egitto ha da tempo svenduto la causa palestinese, così come gran parte del mondo arabo. Secondo Al Jazeera, l'India sta attualmente vendendo forniture militari a Israele. Le prese di posizione virtuose in occasione delle sedute dell'ONU non possono sostituire una solidarietà materiale e concreta.
Cina: Non è questa la sede adatta per discutere riguardo al fatto che la Repubblica Popolare Cinese sia o no un Paese socialista - uno dei dibattiti da salotto preferiti dalla sinistra europea e statunitense. Tuttavia, vale la pena di precisare che la RPC - unico tra i Paesi attualmente membri dei BRICS a dichiararsi socialista - non rivendica affatto di sostenere, incoraggiare o favorire materialmente la lotta per il socialismo fuori dalla Cina. Diversamente dall'ex-Unione Sovietica, la RPC non assegna alcuna priorità, in termini di investimenti privilegiati o di aiuti materiali, ai Paesi che imboccano la via del socialismo. Il termine «socialismo» è in gran parte assente dalle sue prese di posizione in politica estera. Pur rivendicando il proprio carattere in termini di «socialismo con caratteristiche cinesi», i vertici cinesi non sostengono apparentemente alcun «socialismo con caratteristiche di altre nazioni». E nonostante ciò, alcuni a sinistra continuano a ravvisare nel multipolarismo e nei BRICS, in gran parte capitalisti, una via verso il socialismo per tutti noi...
Tutto questo lo abbiamo già visto: Negli anni Sessanta era un fenomeno comune nella sinistra europea e statunitense perdere speranza nel potenziale rivoluzionario delle classi lavoratrici. Laddove i movimenti di classe europei si allinearono ai partiti comunisti, optarono senza mezzi termini per una via graduale e parlamentare al socialismo. E la Nuova Sinistra anticomunista propose un diverso veicolo del cambiamento rivoluzionario: il Terzo Mondo. Nel gergo comune all'epoca, la nuova forza emergente era il Terzo Mondo - ex-colonie che non si schieravano né nel campo USA né in quello sovietico. In questa prospettiva, il cambiamento rivoluzionario e (in ultima analisi) il socialismo sarebbero sorti dal cammino indipendente imboccato dai leader di queste nazioni emergenti. Al contrario, tuttavia, queste nazioni furono sopraffatte dal neocolonialismo delle grandi potenze capitaliste e assorbite, con poche eccezioni, dal mercato capitalista globale.
e prima ancora... Karl Kautsky, il più importante teorico dell'Internazionale Socialista, prefigurò il multipolarismo nel 1914, introducendo un concetto da lui definito «ultra-imperialismo». Kautsky riteneva che l'imperialismo e la guerra delle grandi potenze non avessero un futuro. Il sistema imperialista si sarebbe necessariamente stabilizzato; a causa del declino delle esportazioni di capitali, «L'imperialismo si sta scavando la fossa... La politica dell'imperialismo non può quindi proseguire ancora a lungo». Secondo Kautsky, una fase di «concentrazione» degli Stati capitalisti, paragonabile alla formazione di «cartelli» nel campo delle corporation, avrebbe condotto a un'armonia inter-imperialista. Lenin liquidò senza mezzi termini questa teoria: per un'analisi, v. qui.
L'imperialismo non è un sistema stabile. I soggetti capitalisti sono sempre alla ricerca di un vantaggio competitivo sui loro rivali. Talvolta trovano utile o necessario dare vita a coalizioni o alleanze (spesso temporanee) con altri, allo scopo di proteggere o promuovere i loro interessi. Un'alleanza di questo genere fu costituita dagli Stati Uniti dopo la seconda guerra mondiale in contrapposizione al blocco socialista e ai movimenti di liberazione nazionale.
Dopo la caduta dell'Unione Sovietica, gli Stati Uniti hanno tentato di mantenere intatte le coalizioni esistenti scegliendosi o inventandosi nuovi nemici - la guerra contro la droga, la guerra contro il terrorismo, le guerre umanitarie. Accanto a questi legami politici esisteva una struttura economica globale istituita e dominata dagli Stati Uniti che li privilegiava, ma che era ritenuta indispensabile per proteggere il sistema capitalista.
Questa cornice politico-economica ha servito ottimamente il capitalismo fino alla grande crisi economica del 2007-2009, che ha creato in essa spaccature e fratture. Il caos generato dalla crisi ha rallentato il ritmo della crescita del commercio internazionale, accelerando la competizione per i mercati. Un'ulteriore sfida per la cornice incentrata sugli Stati Uniti è stata rappresentata dalla capacità della Repubblica Popolare Cinese di superare la crisi in modo relativamente indolore. La classe dominante USA, che in precedenza vedeva nella RPC un'opportunità, ha iniziato a ravvisare in essa un rivale nel sistema imperialista.
Il mercato globale post-sovietico - cementato dal cosiddetto processo di «globalizzazione» - ha iniziato a venire meno per effetto dell'instabilità economica del nuovo millennio, in particolare della crisi del 2007-2009. Invece di arroccarsi nella difesa del dogma del liberismo, i Paesi capitalisti sono stati sospinti verso il protezionismo e il nazionalismo economico. Con un processo iniziato sotto l'amministrazione Trump e acceleratosi sotto l'amministrazione Biden, gli Stati Uniti hanno scatenato una guerra a base di dazi e sanzioni contro i loro concorrenti economici. Il predominio USA sulle istituzioni finanziarie internazionali e la quasi universale dipendenza dal dollaro hanno fornito ai leader statunitensi ulteriori armi in questa competizione.
L'assetto difensivo degli Stati Uniti imperniato sulla Cina e la loro crescente ostilità verso la Russia sono stati il riflesso della loro perdita di terreno di fronte alla crescente potenza economica della RPC e al predominio russo sui mercati energetici eurasiatici.
Era comprensibile che in questa nuova era di nazionalismo economico, la Russia, la Cina, l'India (potenza-guida del subcontinente), il Sud Africa (massima potenza economica africana) e il Brasile (maggiore economia dell'America Latina) ambissero a contrastare l'aggressiva concorrenza di USA e UE. L'era della cooperazione stava volgendo al termine, e ne iniziava un'altra caratterizzata da intensa rivalità e difesa degli interessi nazionali. È questo il contesto in cui sono nati i BRICS.
Si è trattato di una risposta capitalista a un problema capitalista - non di una via verso il socialismo.
Il compito principale dei comunisti e dei progressisti non è schierarsi, ma combattere per evitare che queste rotture e questi attriti degenerino in una guerra.
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