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Ciò che insegna la storia…

Greg Godels |
zzs-blg.blogspot.com
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

03/09/2024

«Anni di reazione (1907-1910). Lo zarismo trionfa. Tutti i partiti rivoluzionari e d'opposizione sono sconfitti. Scoraggiamento, demoralizzazione, scissioni, sfacelo, tradimento, pornografia invece di politica. Si accentua la tendenza all'idealismo filosofico; si rafforza il misticismo come copertura dello spirito controrivoluzionario. Ma al tempo stesso proprio la grande sconfitta è per i partiti rivoluzionari e per la classe rivoluzionaria una lezione effettiva e molto utile, una lezione di dialettica storica, una lezione che fa loro capire e apprendere l'arte di condurre la lotta politica. Gli amici si conoscono nella sventura. Gli eserciti sconfitti sanno trarre insegnamenti dalla sconfitta. (V. I. Lenin, L'«estremismo», malattia infantile del comunismo)

Che cosa ci insegna la storia riguardo alla situazione in cui siamo oggi, nel mezzo della prima metà del ventunesimo secolo?

Di sicuro ci insegna che il capitalismo rimane il maggiore ostacolo alla risoluzione delle molteplici ingiustizie, irrazionalità e minacce esistenziali che il genere umano deve affrontare. La storia ci insegna inoltre che le false soluzioni del nazionalismo, del razzismo e dell'esclusione sociale continuano a costituire importanti ostacoli al superamento del capitalismo e della barriera di classe che è al centro dei rapporti sociali capitalisti. La divisione - la separazione di potenziali alleati nella lotta contro il capitalismo - continua a essere una grave infezione che paralizza coloro che aspirano alla giustizia sociale per tutti; e questa è una lezione che né coloro che optano per identità estemporanee, né coloro che preferiscono profonde identità personali sembrano aver appreso.

E ci allontaniamo ancor più dalla possibilità di sconfiggere il capitalismo quando erigiamo insuperabili barriere identitarie all'unità, quando decidiamo che ciò che siamo come individui viene prima di ciò che siamo come classe.

La lezione della storia si perde facilmente di fronte alle generalizzazioni affrettate e al wishful thinking. La «vittoria» degli USA sull'Unione Sovietica nel 1991 fu interpretata come l'anticamera della fine della storia e, secondo il celebre intellettuale Francis Fukuyama, dell'ascesa globale dei valori e del predominio degli USA sull'ordine mondiale. Nello spazio di un decennio, queste conclusioni si sono scontrate con un'accanita resistenza su più fronti, quando il tentativo degli USA di imporre il loro predominio è stato sfidato a ogni livello da potenze indipendenti in ascesa, movimenti insurrezionali e forze ostili in Asia, Medio Oriente e Sud America. La guerra in Afghanistan, protrattasi per due decenni, non è che un esempio drammatico di questa ostinata resistenza al potere degli USA.

Purtroppo, la resistenza popolare all'interno delle potenze capitaliste europee e nordamericane ha imboccato una via ben diversa dopo il 1991. Un centro-sinistra fautore della «terza via», favorito dall'arretramento del comunismo, ha abbandonato la politica di classe per una linea economica persuasa che «l'alta marea fa galleggiare tutte le barche», come ha abbandonato la politica culturale, terreno di battaglia d'elezione della destra politica. Questa sinistra «rispettabile» - rispettabile agli occhi del potere e della ricchezza - ha pagato nei decenni seguenti il prezzo elettorale dell'erosione del voto operaio. Oggi il centro-sinistra euro-americano, insieme alla sua controparte di centro-destra, lotta fiaccamente per dominare la politica, come ha fatto sin dal secondo conflitto mondiale.

Le molte facce della crisi del capitalismo - disoccupazione, crescita economica asfittica, inflazione, recessione, delegittimazione politica, diseguaglianza, sventramento dello Stato sociale, sfacelo delle infrastrutture e degrado ambientale - hanno colpito tutte in un momento o nell'altro, dopo il «trionfo» del capitalismo del 1991. La riduzione delle aspettative delle masse e l'aumento della loro deprivazione hanno fornito alla sinistra radicale un'occasione oggettiva di cambiamento che le generazioni precedenti potevano soltanto sognare.

Ma la sinistra radicale non era pronta per la sfida, persuasa com'era dopo il 1991 che il socialismo, così come lo avevamo conosciuto, era o impossibile o troppo distante nel futuro per poter essere il nostro progetto. L'auto-annientamento e la mutazione genetica dei due maggiori partiti comunisti d'Europa non hanno fatto che contribuire al pessimismo. Era un periodo non dissimile dagli anni successivi alla fallita rivoluzione russa del 1905, così descritti da Lenin:

Lo zarismo [= il capitalismo] trionfa. Tutti i partiti rivoluzionari e d'opposizione sono sconfitti. Scoraggiamento, demoralizzazione, scissioni, sfacelo, tradimento, pornografia invece di politica. Si accentua la tendenza all'idealismo filosofico; si rafforza il misticismo come copertura dello spirito controrivoluzionario. Ma al tempo stesso proprio la grande sconfitta è per i partiti rivoluzionari e per la classe rivoluzionaria una lezione effettiva e molto utile, una lezione di dialettica storica, una lezione che fa loro capire e apprendere l'arte di condurre la lotta politica.

Salvo che la sinistra radicale, in gran parte, non ha tratto alcuna lezione utile dalla sconfitta del 1991, limitandosi ad abbandonare il progetto socialista. Quando i posti di lavoro si sono spostati sempre più numerosi nei Paesi caratterizzati da bassi salari, la sinistra ha dato la colpa alla «globalizzazione» - un processo che si osserva comunemente e frequentemente nell'ambito dell'accumulazione capitalista. È molto più semplice, ma anche molto meno efficace, attribuire i mali della società a una semplice fase - una fase destinata a essere ben presto superata da un risorto nazionalismo economico - piuttosto che attaccare ciò che l'ha generata: il capitalismo. Si direbbe quasi che qualcuno credesse di poter riportare indietro le lancette dell'orologio fino a un'immaginaria èra capitalista più benevola.

Altri, nei vari rivoli del movimento socialista, hanno scelto come nemico un'altra fase del capitalismo: il «neoliberismo», una serie di politiche della classe dominante elaborate per salvarla dal crollo del paradigma postbellico keynesiano e incentrato sulla domanda avvenuto negli anni Settanta.

Nel corso di quel decennio sprecato, la stagflazione e un'aggressiva competizione sul piano internazionale hanno screditato il modello della collaborazione di classe, e le corporation monopolistiche si sono avventate con ferocia sulla loro controparte, i vertici dei sindacati collaborazionisti di classe; a ciò sono seguiti decenni di offensive del capitalismo, che hanno messo in rotta i suoi ex-alleati liberali e «progressisti»; molte conquiste del passato sono state cancellate.

Dopo il 1991, dopo che troppi suoi esponenti avevano abbandonato il progetto socialista, la sinistra nel suo insieme ha scelto di non aggredire il cancro del capitalismo, tentando invece di alleviare il doloroso sintomo del neoliberismo.

Lo scivolamento nell'«idealismo filosofico» descritto da Lenin era ovunque all'indomani della caduta dell'Unione Sovietica. Gli accademici ridimensionavano la teoria leninista dell'imperialismo, abbandonandosi a fantasticherie sul declino dello Stato nazionale (una fantasia resa imbarazzante dalla potenza globale dell'impero USA, lo Stato nazionale dominante e più potente di tutti i tempi). Altri pensatori immaginavano che le multinazionali capitaliste avrebbero messo in ombra e sostituito lo Stato nazionale, come se quest'ultimo non fosse intimamente fuso con il capitale monopolistico. Questo allontanamento dall'analisi di Lenin fondata sul materialismo storico ha toccato il culmine con il famigerato volume di Hardt e Negri, Impero, che postulava che la storia era ora incentrata su una misteriosa forza totalizzante definita «Impero» dai due autori - un'entità oscura e ineffabile, che rivaleggiava con l'Assoluto hegeliano.

Alcuni esponenti della sinistra internazionale hanno creduto di vedere una possibilità di ripresa del socialismo nel sacrosanto rifiuto della dominazione USA da parte dei movimenti sociali dell'America Latina - la cosiddetta rivoluzione «rosa». Le elezioni hanno portato al potere diversi leader carismatici promettenti, che sfidavano apertamente e con determinazione i diktat da lungo tempo imposti dall'imperialismo USA. In particolare, Hugo Chávez ha beffato e umiliato l'arroganza del governo USA, lanciando una politica estera indipendente ed edificando un generoso e umano Stato sociale alimentato dalle allora cospicue entrate fornite dalle risorse energetiche del Venezuela.

Ciò ha ispirato altri leader centro- e sud-americani a unirsi a questo fronte socialdemocratico ostile all'imperialismo USA, il cui principale terreno comune era l'obiettivo dell'indipendenza bolivariana dal neocolonialismo - un progetto di sovranità. La retorica «socialista» utilizzata da questi movimenti interclassisti e riformisti ha fatto sì che molti a sinistra li identificassero con il «socialismo del XXI secolo». Va detto che alcuni di questi leader aspiravano sinceramente al socialismo, pur mancando di un programma, di un partito rivoluzionario e delle nozioni necessarie.

Ma il socialismo del XXI secolo, in mancanza di uno scontro decisivo con il capitalismo, si è rivelato essere un obiettivo sfuggente, specie in presenza di una borghesia interna appoggiata dagli USA e ancora provvista di un enorme potere economico. Il sogno socialdemocratico di ammansire il capitalismo, e al tempo stesso di farselo amico, non ha mai saputo conservare l'appoggio della classe operaia. E non sta funzionando nemmeno in America Latina, dove sulla sua porta di casa è in agguato un mostro ostile.

Per la sinistra, il più recente fattore di distrazione dal socialismo è la dottrina secondo cui il multipolarismo - cioè l'eliminazione degli USA unipolari dal vertice della piramide imperialista - sarà in qualche modo in grado di dare vita a un mondo più giusto e perfino più vicino al socialismo. Ma mentre i capitalisti di molti Paesi sarebbero ben lieti di livellare il campo di gioco dell'economia e di aprire i mercati allo sfruttamento di nuovi soggetti, un mondo multipolare non offre alcun beneficio evidente ai lavoratori. Non c'è dubbio sul fatto che la ferrea stretta da sempre esercitata dai capitalisti USA sulle istituzioni economiche internazionali e l'uso combinato di sanzioni e dazi da parte degli Stati Uniti abbiano fatto infuriare i loro rivali e indebolito l'egemonia statunitense. Ma il successo ottenuto da questi rivali nell'attenuare lo strapotere degli USA ha avuto ben poche conseguenze sui lavoratori sfruttati dell'Asia, dell'America Centrale e Meridionale e dell'Africa, che sono sfruttati come prima.

Come il periodo successivo alla rivoluzione russa del 1905 descritto da Lenin, il periodo seguito all'uscita di scena dell'Unione Sovietica è stato difficile per la sinistra internazionale. Dopo essersi gingillata con risposte bizzarre, «nuove» e assurde a quello che molti percepiscono come il fallimento del socialismo, la sinistra ha fruttato ben poche vittorie a una classe operaia assediata. Negli ultimi trentatré anni, vari teorici hanno costruito nuovi nemici: il capitalismo neoliberista, il capitalismo dei disastri, il capitalismo razziale, il capitalismo criminale, l'iper-capitalismo, il capitalismo del coronavirus, il capitalismo unipolare e una miriade di altri capitalismi-qualcosa. Ciò che tutte queste teorie hanno in comune è la fatale esitazione a chiamare in causa il sistema capitalista in sé. Condividono tutte la fede in un capitalismo riformato, gestito che - una volta depurato delle sue deviazioni - sarà in qualche modo al servizio di tutte le classi.

Dopo trentatre anni, questo esperimento di salvataggio del capitalismo da se stesso va accantonato. È giunto il momento che la sinistra tragga «una lezione effettiva e molto utile, una lezione di dialettica storica, una lezione che fa (...) capire e apprendere l'arte di condurre la lotta politica», per citare Lenin. Se il nostro obiettivo è sconfiggere il capitalismo, questo richiede forme di organizzazione politica sicure e collaudate: un'organizzazione politica rivoluzionaria. Richiede un partito coraggioso e indipendente, che garantisca sia la democrazia sia il centralismo - un partito leninista - con un programma chiaro basato a chiamare i lavoratori a realizzare il più grandioso progetto del XXI secolo: la conquista e la costruzione del socialismo. È questo ciò che insegna la storia.


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