(tratto da "Aginform" Numero 31, gennaio 2003)
Il 'che fare?' dei comunisti contro la guerra
Intervista a Domenico Losurdo
Nel tuo articolo su "L'Ernesto", per il centesimo anniversario del
Che fare?, richiami l'attenzione su un'importante lezione di Lenin: un progetto
autenticamente rivoluzionario presuppone la comprensione e la capacità di
utilizzazione di ogni contraddizione e persino di ogni "incrinatura"
nel campo nemico. E' un'indicazione ancora oggi attuale?
Ancor prima di Lenin, è già Marx a farsi beffe della visione del mondo che
vorrebbe contrapporre la "classe operaia" ad un'unica e
indifferenziata "massa reazionaria". Sembrerebbe una visione del
mondo assai radicale: i suoi sostenitori si atteggiano a rivoluzionari inflessibili
che combattono con lo stesso rigore ogni frazione e ogni settore delle classi
sfruttatrici. In realtà - fa notare la Critica del programma di Gotha -, questa
notte in cui tutte le vacche sono nere consente a Lassalle e ai suoi seguaci di
praticare e giustificare patteggiamenti coi settori più reazionari delle classi
sfruttatrici, e cioè coi ceti feudali e con l'assolutismo monarchico. Ai giorni
nostri Hardt e Negri contrappongono la "moltitudine" ad un Impero
planetario unificato. E, di nuovo, la notte in cui tutte le vacche sono nere
consente operazioni che più difficilmente potrebbero essere compiute alla luce
del giorno. In teoria, la "moltitudine" è chiamata a rovesciare
l'"Impero" nel suo complesso; in realtà, il bersaglio principale
della polemica di Hardt e Negri sono "gli ultimi sciovinisti della
nazionalità", e cioè coloro che si ostinano a difendere la sovranità
nazionale contro la pretesa di interventismo universale di Washington. Non a
caso, a suo tempo, Hardt ha giustificato la guerra contro la Jugoslavia: "Dobbiamo
riconoscere che questa non è un'azione dell'imperialismo americano. E' in
effetti un'operazione internazionale (o, per la verità, sovranazionale). Ed i
suoi obiettivi non sono guidati dai
limitati interessi nazionali degli Stati Uniti: essa è effettivamente
finalizzata a tutelare i diritti umani (o, per la verità, la vita umana)" ("Il manifesto" del 15
maggio 1999). Indipendentemente
peraltro da questa o quella presa di posizione, Impero è una chiara apologia degli USA.
Fra le tante critiche che sono state rivolte a Hardt e Negri, questa è la
critica o meglio l'accusa più pesante. E' realmente giustificata?
Ai giorni nostri, autorevoli studiosi statunitensi di orientamento liberal
descrivono la storia del loro paese come la storia di una Herrenvolk democracy,
cioè di una democrazia che vale solo per il "popolo dei signori" (per
usare il linguaggio caro poi a Hitler) e che, per un altro verso, non esita a
schiavizzare i neri e a cancellare i pellerossa dalla faccia della terra. Hardt
e Negri, invece, parlano sempre in tono compunto di una "democrazia
americana" che rompe con la visione "trascendente" del potere,
propria della tradizione europea. Né l'apologia si ferma qui. Prendiamo una
figura centrale della storia dell'imperialismo americano, e cioè Wilson. Nel
momento in cui egli inizia la sua carriera politica il Sud, da cui proviene,
vede lo scatenarsi delle squadracce del Ku Klux Klan contro i neri: i
linciaggi, spesso dopo torture prolungate e feroci, diventano uno spettacolo di
massa, che è preannunciato sui giornali locali e al quale assistono anche donne
e bambini. Ma il futuro presidente degli
USA prende la parola, con un articolo dell'Atlantic Monthly del gennaio
1901, per pronunciare una requisitoria contro le vittime: i neri, anzi i "negri" - come sprezzantemente
vengono chiamati - sono "eccitati da
una libertà che non comprendono", sono "insolenti e
aggressivi, sfaticati e avidi di
piaceri"! A questa piattaforma ideologica e politica Wilson rimarrà sempre fedele. Divenuto presidente,
mentre intensifica gli interventi
militari in America Latina, dopo essersi
fatto eleggere promettendo che avrebbe impedito il coinvolgimento del popolo americano nel massacro in atto in
Europa, interviene nella prima guerra
mondiale in nome della missione democratica universale degli Stati Uniti e stronca con pugno di ferro
ogni tentativo di propaganda pacifista.
Così esaltata è l'idea di missione e di primato degli USA, che la guerra da essi condotta si configura
letteralmente come una "crociata",
come una "guerra santa": a questo punto, i dissidenti interni, oltre che traditori, risultano
essere degli infedeli o uno strumento
di Satana. Ma ora leggiamo Hardt e Negri: a caratterizzare Wilson è "un'ideologia pacifista
internazionalista", ben lontana
dall'"ideologia imperialista di marca europea"! Da sempre gli
ideologi della missione planetaria e
unica degli Stati Uniti insistono sul
primato morale e politico degli americani, sull'eccezione ovvero sull'"eccezionalismo"
rappresentato da un paese, che è l'unica isola di libertà in uno sconfinato oceano di dispotismo: questo è il punto
di vista anche di Hardt e Negri.
Ma, allora, come spiegare il successo del loro libro a sinistra?
Per la verità, il loro successo è stato in primo luogo consacrato da giornali
quali The New York Times e Time. Per quanto riguarda la sinistra, si può fare
una riflessione: negli ultimissimi anni, in Italia, i libri che hanno suscitato
maggior attenzione e entusiasmo sono
Oltre il Novecento (di Marco Revelli) e, ora, Impero. I due libri si completano a vicenda: il primo liquida la
storia iniziata con la conquista del potere da parte dei bolscevichi come una
storia criminale; il secondo celebra la
storia degli Stati Uniti come storia
della libertà. Lo dico senza gridare allo scandalo: dopo la sconfitta
strategica da essi subita, i comunisti devono percorrere una strada lunga e
tortuosa prima di potersi scrollare di dosso la subalternità rispetto
all'ideologia dominante. Se trova la sua espressione più compiuta nel libro di
Hardt e Negri, la teoria dell'unica "massa reazionaria" fa sentire la
sua infausta presenza ben al di là della cerchia dei loro amici e dei loro
fedeli. Anche tra le file di coloro che realmente si richiamano al marxismo e al
leninismo, la lotta contro l'imperialismo perde la sua efficacia a causa di una
diffusa visione che vede moltiplicarsi
le potenze imperialiste, messe tutte sullo
stesso piano. Si assiste così ad una banalizzazione che confonde la categoria di imperialismo con la categoria
di grande potenza.
Quali distinzioni bisognerebbe operare?
In primo luogo, è necessario non perdere di vista il ruolo peculiare della
Cina, e non solo per il fatto che essa è diretta da un Partito Comunista: chi
non è frastornato dal bombardamento multimediale dell'ideologia dominante non
dovrebbe avere difficoltà a comprendere
che si tratta di un paese impegnato ad uscire definitivamente dal
sottosviluppo e a difendere l'indipendenza nazionale e l'integrità
territoriale. L'imperialismo americano non ha rinunciato ai suoi progetti di
smembramento della Cina. Ma le speranze di poter conseguire tale obiettivo
mediante una sovversione dall'interno, che pure sembravano assai prossime alla
realizzazione nel 1989, ora sono diventate decisamente più fragili. Ed ecco che
gli Stati Uniti intensificano il loro espansionismo militare, cercando di
completare l'accerchiamento. Il grande paese asiatico però risponde dando ulteriore impulso al suo sviluppo economico
e tecnologico e rafforzando i suoi rapporti,
grazie anche a tale sviluppo, coi paesi ad esempio del Sud-Est asiatico, che pure sono chiamati,
nel progetto strategico di Washington,
a isolare e "contenere" la Cina. Tutto ciò può sembrare banale e prosaico a quanti sono capaci di
entusiasmarsi per una lotta di
emancipazione, solo quando essa è perdente o condotta in condizioni disperate.
Ma a coloro che hanno un minimo di memoria storica non può sfuggire un elemento
fondamentale: l'odierna politica dei comunisti cinesi ha alle spalle l'esperienza
storica della lotta delle zone rosse per consolidarsi sul piano economico e
politico e rompere l'accerchiamento imposto dalla reazione interna e
dall'imperialismo giapponese. Ma lasciamo pure da parte la Cina, i paesi che si richiamano al socialismo e il Terzo Mondo
nel suo complesso. Dobbiamo considerare
come un'unità indifferenziata l'Occidente, il mondo capitalistico in quanto tale?
La superpotenza americana non può essere messa sullo stesso piano neppure delle
altre grandi potenze capitalistiche. Diamo uno sguardo alle modalità con cui
oggi si svolge la corsa al riarmo: nel 2003 gli Stati Uniti spenderanno da soli
più dei 15-20 paesi inseguitori messi assieme. Incolmabile sembrerebbe essere
il vantaggio di cui dispongono gli aspiranti padroni del mondo, i quali,
tuttavia, continuano ad accelerare: solo per il settore della Ricerca e dello
Sviluppo militare Washington destina risorse finanziarie superiori ai bilanci
militari complessivi della Germania e della Gran Bretagna messi assieme. Per
quanto riguarda la NATO, la situazione prima dell'ultimo allargamento era la
seguente: gli USA spendono per la Difesa quasi il doppio dell'insieme degli
altri membri dell'Alleanza. L'odierna situazione internazionale è in primo
luogo caratterizzata dall'ambizione di una superpotenza di costruire un impero
di dimensioni planetarie. Se tale ambizione incontra il suo principale ostacolo
nel rapido sviluppo di un grande paese asiatico per di più diretto da un
Partito Comunista, essa suscita diffidenza, preoccupazione e allarme anche nei
paesi capitalistici. Ignorare questo dato di fatto significare fuorviare e
condurre in un vicolo cieco la mobilitazione e la lotta antimperialista.
L'Unione Europea è però una risposta rilevante alla sfida americana.
Certamente. Epperò, si commette un grave errore quando, a partire dal
tendenziale mutamento dei rapporti di forza sul piano economico tra Unione
Europea e Stati Uniti, si afferma che un processo analogo è all'orizzonte anche
sul piano militare. In realtà, è privo di senso un confronto tra due grandezze
così eterogenee: l'Unione Europea non è uno Stato! Da che parte si schiererebbe
l'Inghilterra nella fantomatica ipotesi di un conflitto tra le due rive
dell'Atlantico? E da che parte si schiererebbe l'Italia di Berlusconi? E
riuscirebbe a sopravvivere l'odierno, malfermo, asse franco-tedesco
all'eventuale ritorno al potere in
Germania dei democristiani e in Francia di un partito socialista dai forti legami con Israele? In questo come in altri
casi l'economicismo si rivela
fuorviante. Ai dati già riportati
precedentemente ne aggiungo un altro che desumo da un autorevole storico statunitense (Paul Kennedy):
"Tutte le altre Marine del mondo messe insieme non potrebbero minimamente
intaccare la supremazia militare americana". E non si dimentichi che lo strapotere navale, sommato al
controllo delle aree più ricche di
petrolio e di gas naturale, dà agli USA la
possibilità di tagliare le vie di rifornimento energetico ai
potenziali nemici. Ciò costituisce un
motivo di ulteriore debolezza per i paesi
europei e, in misura ancora maggiore, per il Giappone. Una
conclusione s'impone: gli Stati Uniti
sono in grado di stritolare anche i loro
"alleati" e, in caso di necessità, non esiteranno a farlo.
Ancora una volta, è da questo dato di
fondo che i comunisti devono prendere le
mosse se vogliono analizzare e contrastare adeguatamente l'imperialismo.
Sì, torniamo al punto di partenza. In che modo è possibile oggi attualizzare
l'insegnamento di Lenin, secondo cui si è rivoluzionari nella misura in cui si
è capaci di individuare e utilizzare le contraddizioni e le incrinature
esistenti nel campo nemico?
Oltre che da Lenin (e da Marx), dobbiamo saper imparare dalla storia del movimento comunista nel suo complesso. A
suo tempo, esso ha pagato a caro prezzo
il ritardo con cui ha imparato a distinguere tra nazifascismo da un lato e
normali regimi borghesi dall'altro. Nel suo memorabile rapporto al VII
Congresso dell'Internazionale Comunista, Dimitrov definisce il fascismo come "la
dittatura terroristica aperta degli elementi più reazionari, più sciovinisti e
più imperialisti del capitale finanziario", come "lo sciovinismo e la
guerra di conquista più sfrenati".
Più sfrenato che mai, lo sciovinismo di Washington ha oggi di mira il mondo intero, come risulta immediatamente non
solo sul piano diplomatico-militare
(l'invio di truppe e l'installazione di basi militari in tutto il mondo), ma
anche sul piano ideologico. Diamo la parola a Clinton: l'America "deve
continuare a guidare il mondo"; "la nostra missione è senza
tempo". E ora ascoltiamo Bush jr.: "La nostra nazione è eletta da Dio
e ha il mandato della storia per essere un modello per il mondo".
Nell'analisi di Dimitrov, oltre lo sciovinismo a caratterizzare il fascismo è
anche "la dittatura terroristica aperta". Mentre sul piano interno
scatenano la caccia all'arabo e all'islamico, gli Stati Uniti, imitando
Israele, non esitano a condannare a morte senza processo, ogni individuo
sospettato di "terrorismo" e, in realtà, di resistenza al reale
terrorismo di Stato statunitense e israeliano.
Lo squadrismo nazifascista dei giorni nostri imperversa non coi manganelli, i pugnali e le pistole, ma in
modo più micidiale e più vile,
lanciando missili da aerei e da elicotteri, senza curarsi troppo delle vittime "collaterali".
Soprattutto, gli Stati Uniti si riservano
il diritto di colpire col loro mostruoso potenziale militare ogni paese ribelle e di assassinare o
"processare" i loro dirigenti politici; non esitano neppure ad agitare la minaccia del primo colpo nucleare.
"La dittatura terroristica
aperta" ha ormai assunto dimensioni planetarie. Naturalmente, non bisogna
dimenticare che la storia non è mai la ripetizione dell'identico; ma se c'è
qualcosa che oggi rassomiglia al nazifascismo, questo è l'asse che unisce Bush
e Sharon: nel governo e nello schieramento del primo ministro israeliano non
mancano coloro che professano un esplicito e odioso razzismo antiarabo e che
esigono la deportazione dei palestinesi. E' questo asse che bisogna in primo
luogo isolare e denunciare.
Ma quale atteggiamento, allora, i comunisti, devono assumere nei confronti dei
governi borghesi europei?
Non c'è dubbio che non possiamo rinunciare alla critica, alla denuncia e alla lotta nei confronti dell'ideologia e
del potere dominanti. Ma, ancora una volta, dobbiamo sapere distinguere.
Berlusconi e Prodi sono equipollenti? I dirigenti e il popolo palestinese
certamente non sottoscriverebbero questa assimilazione. In Germania, abbiamo da
un lato Stoiber che punta il dito
contro Schroeder, colpevole di non
appiattirsi completamente sulla politica di provocazione e di guerra
di Washington; dall'altro abbiamo non
solo Schroeder, ma, soprattutto l'ex- cancelliere Schmidt che condanna come
"unilateralista" e "imperialista" la politica statunitense. Qual è lo schieramento più pericoloso e
più succube nei confronti dell'asse
imperialista di Bush e Sharon? A suo
tempo, al momento dello scoppio della guerra fredda, Stalin ha
chiamato i partiti comunisti dell'Europa
occidentale a "risollevare" la
"bandiera dell'indipendenza nazionale e della sovranità nazionale
[...] gettata a mare" dai
governanti borghesi. Questi, cioè, venivano
soprattutto criticati non già in quanto imperialisti in prima
persona ma in quanto succubi
dell'imperialismo americano. Ai giorni nostri,
appoggiando la guerra contro l'Irak, i governanti europei possono
sì sperare di partecipare alla
spartizione del ricco bottino petrolifero
di quel paese. Per un altro verso, però, rafforzando il controllo militare statunitense sulle risorse
energetiche da cui dipende l'economia
dell'Europa, finiscono con lo stringere ulteriormente il cappio che Washington ha già predisposto al
collo dei suoi "alleati"
europei e giapponesi. Di ciò non si preoccupa un personaggio come Berlusconi, la cui massima aspirazione è di
diventare un Quisling coccolato e
protetto dalla superpotenza americana; ma di ciò chiaramente si preoccupano statisti come Schmidt. Disagio e
allarme per la guerra infinita che si
profila all'orizzonte esprime anche la Chiesa
cattolica, e non solo per ragioni religiose e ideologiche, della
cui sincerità, peraltro, non c'è motivo
per dubitare. C'è un'ulteriore
motivazione. La politica di provocazione e di guerra degli Stati Uniti e di Israele non può non provocare nel Medio
Oriente e nel Terzo Mondo una
gigantesca contro-ondata islamica e antioccidentale, dalla quale i cattolici rischiano di essere travolti. Si
diffonde la coscienza della gravità
dell'odierna situazione internazionale: mentre devono preoccuparsi di mantenere una rigorosa autonomia ad ogni livello,
i comunisti devono saper costruire un
fronte anti-imperialista il più ampio
possibile. Se i teorici dell'unica e indifferenziata "massa reazionaria" finiscono inconsapevolmente
al rimorchio della superpotenza che
oggi incarna il più sfrenato sciovinismo e il più brutale terrorismo di Stato, i comunisti, enunciando con
chiarezza e alla luce del sole le
distinzioni che s'impongono, devono impegnarsi in primo luogo per smascherare e contrastare il nemico
principale.
(tratto da "Aginform" Numero 31, gennaio 2003)